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È uscito da pochi giorni un appello che chiama tutte le donne ad una manifestazione nazionale “per l’eliminazione della violenza sulle donne”, che dovrebbe tenersi a Roma il prossimo 26 novembre; un appello incentrato, al di là degli slogan e delle belle parole, sulla richiesta allo Stato di diritti e di “presa di coscienza” delle Istituzioni.

Si dimentica e si omette completamente che cosa sia lo Stato cioè il momento organizzativo del potere e, quindi, del sistema socio-economico-politico, in questo momento, capitalista neoliberista.

La violenza maschile sulle donne e il ruolo che a queste è destinato sono costruiti in maniera assolutamente funzionale a questa organizzazione economica basata sulla gerarchia, sul comando, sull’autoritarismo, sulla meritocrazia, sul controllo. Un organismo economico-politico che ci costruisce a suo uso e consumo, che ci usa come riproduttrici, come destinatarie del lavoro di cura, come lavoratrici quando serviamo e quindi come lavoratrici di serie B perché si arroga il diritto di rimandarci “a casa” in qualsiasi momento, può mai essere un interlocutore? Uno Stato che, attraverso l’emancipazionismo, ha cooptato e continuare a cooptare nella struttura di potere le donne che si prestano, in cambio della promozione sociale e della collocazione di classe, a perpetuare l’oppressione su tutte le altre donne – meccanismo usato anche con i/le migranti e le differenze sessuali –, uno Stato che, attraverso le sue istituzioni, dall’istruzione all’informazione, dalla sanità al lavoro, preposte alla trasmissione dei valori dominanti, ribadisce e impone, in ogni ambito della vita, questa divisione del lavoro e dei ruoli basata sulle differenze di classe, genere e razza, può mai essere un interlocutore di qualsivoglia specie?

Nell’appello si legge: ”Non c’è nessun piano programmatico adeguato. La formazione nelle scuole e nelle università sulle tematiche di genere è ignorata o fortemente ostacolata, solo qualche brandello accidentale di formazione è previsto per il personale socio-sanitario, le forze dell’ordine e la magistratura.” Si pensa davvero, che insegnare la pace nelle scuole, insegni a non fare la guerra?  Questi “brandelli accidentali di formazione” non sembra abbiano impedito o impediscano a giudici e polizie di ogni tipo di reprimerci violentemente nelle piazze quando lottiamo per la casa, contro il massacro sociale, contro la distruzione della scuola pubblica, contro il militarismo – che è cultura dello stupro-  o contro le guerre umanitarie e la distruzione dei territori. Possiamo mai avviare un’interlocuzione con quelli/e, magistrati e forze dell’ordine, che ci condannano nei tribunali e che hanno il compito di soffocare ogni forma di dissenso?

Le donne non sono oche da cortile che starnazzano in luoghi protetti e che non sanno guardare al di là del loro recinto!

In questo momento storico il neoliberismo, in quanto ideologia a tutto campo, ha rotto il vecchio patto sociale e ha chiuso, in modo unilaterale, ogni spazio di mediazione attraverso il PD, annessi e connessi, che si sono assunti l’onere di naturalizzare la società neoliberista nel nostro paese. In questo scenario, qualsiasi lotta corporativa – com’è la lotta delle donne quando è incapace di connettersi alle altre lotte e cerca, al contrario, il dialogo con le istituzioni – perde di senso in termini di antagonismo e di lotta di classe dal basso e purtroppo ne acquista, sempre di più, in termini di lotta di classe dall’alto. Le lotte corporative che hanno successo oggi sono quelle condotte dai lobbisti per conto delle multinazionali.

Il femminismo non è lotta corporativa, è ben altra cosa! Il femminismo è consapevolezza dei meccanismi che informano l’oppressione e la violenza su di noi ed è quindi alterità a questa società; è ricerca di vie di fuga, è riconoscimento del nemico, è autorganizzazione e autodeterminazione al di fuori di ogni rapporto con le Istituzioni. Non è spartizione di soldi pubblici, non è contrattazione né collusione, non è concertazione, non è vertenza sindacale.

L’appello chiede “ la rapida revisione del Piano Straordinario Nazionale Anti Violenza”

E, così, lo Stato diventa carnefice, giudice, tutore e samaritano delle donne tutte attraverso le donne che si sono prestate e che si prestano ancora.

È dalla fine degli anni ’70 che il c.d. terzo settore è in costante crescita. Una miriade di ong, onlus e associazioni di volontariato si fa carico della realizzazione di “interessi pubblici” e della protezione dei diritti umani e sociali al posto delle istituzioni pubbliche o collaborando con esse. Un modello di rapporti tra cittadine/i e poteri pubblici in cui la partecipazione si paga profumatamente: lo stanziamento di fondi pubblici non è gratuito, ha il prezzo della depoliticizzazione del conflitto sociale.  È un modello in cui si fa fatica a riconoscere il significato delle parole ed è facile smarrire la strada della liberazione. Dove riforma significa soppressione delle garanzie e regresso delle conquiste sociali ottenute con la lotta, dove antisessismo significa usare la violenza sulle donne come grimaldello di controllo sociale e leggi securitarie, dove un “movimento delle donne” come SNOQ non era altro che spartizione di posti di potere da parte delle donne che si sono prestate a naturalizzare il neoliberismo nel nostro paese.

Oggi, nella stagione neoliberista, non ha senso chiamare a raccolta tutte le donne perché non tutte le donne sono nostre sorelle, non sono nostre sorelle quelle che fanno il lavoro sporco di licenziare, dall’alto delle loro posizioni acquisite/privilegiate, altre donne, quelle che reprimono e condannano forti di una divisa o di una carica istituzionale, quelle che giustificano le guerre umanitarie, quelle che medicalizzano tutte le altre, quelle che partecipano, da posti di responsabilità negli ospedali e mimetizzate con il camice bianco dell’emancipazione, alla guerra alla 194, quelle che propagandano l’ideologia dominante e partecipano attivamente all’oppressione e alla violenza, questa sì, su tutte le altre donne e sugli oppressi tutti..

Per questo è necessario resistere, opporre resistenza personale, interpersonale, politica alla marea montante della normalizzazione e rimanere fortemente ribelli alle molteplici oppressioni, renitenti alla chiamata della leva, ferme nel nostro pensare femminista con una lucidità che respinge la disperazione, la delusione.

Tutto quello che è stato ottenuto con le lotte degli anni ’70 non è stato ottenuto perché è stato chiesto o contrattato, ma perché il femminismo diceva e voleva altro: voleva la luna, il sole, la vita, perseguiva il sogno della liberazione e si era autorganizzato al di fuori di ogni struttura istituzionale. Ed è proprio per questo che il potere ha tolto l’acqua ai pesci dando contentini e concedendo “diritti”, consultori pubblici e 194, proprio per riportare al controllo e alla ragione un movimento che non ne voleva sapere. E, in questo modo, è stato dato un colpo mortale al femminismo perché alcune in buona fede e alcune in cattiva hanno avallato la scelta istituzionale, hanno accettato la delega e la vittimizzazione, il controllo delle esperte e degli esperti, hanno riportato le donne sotto il controllo dello Stato.

Un controllo “moderno” e “partecipativo”… pericolosissimo!

Insieme a tutte le donne e alle compagne che rifiutano la delega, che continuano a lottare per la propria autodeterminazione, che si prendono ciò di cui hanno bisogno, che conquistano a spinta i propri diritti, che si autodifendono e si autorganizzano contro la violenza di genere esercitata dalle istituzioni, dagli uomini e dalle donne, insieme alle donne vessate dalla magistratura e richiuse in carcere o nei c.i.e., insieme a tutte quelle che si oppongono alla militarizzazione dei territori, alle “guerre umanitarie”, alle speculazioni e alle nocività, che siano un tav, un muos, un inceneritore o lo sfruttamento lavorativo, insieme a tutte quelle che ancora vogliono la luna.

Rimanere rivoluzionarie è il solo modo di costruire strade di liberazione.

Coordinamenta Femminista e Lesbica coordinamenta@autistiche.org/coordinamenta.noblogs.org

Un altro passo della resistenza oltremisura

Martedì 2 agosto una cinquantina di solidali con gli indagati e le indagate per l'irruzione agli uffici della Turkish Airlines del 2015, sono tornati ad interrompere la tranquillità dell'aeroporto di Caselle durante l'orario degli imbarchi della compagnia aerea turca.
Sono tornati lì dove li avrebbero voluto tener lontani, per ostacolare nuovamente gli interessi dello Stato turco, ribadendo la propria totale avversità nei confronti del boia Erdogan e il sostegno al PKK ed a tutti e tutte coloro che resistono con dignità in quei territori. Ma anche per sostenere coloro che, colpiti dalle misure cautelari, hanno deciso di non sottostare alle limitazioni della propria libertà, così come già avevano fatto prima di loro i compagni e le compagne a Torino ed in Val Susa.

Lo stillicidio di misure repressive sempre più pretestuose con cui la magistratura sta tentando di soffocare i movimenti di lotta va fermato, per questo è estremamente importante continuare a sostenere coloro che si stanno mettendo di traverso con coraggio e determinazione.

Contro la politica terroristica ed assassina di Erdogan
Al fianco di chi lotta e resiste in Turchia e in Kurdistan
Al fianco di chi si ribella alle misure repressive

Libertà per tutti e tutte

I compagni e le compagne presenti ieri a Caselle

 

Informiamo che la sera di martedì 2 agosto, a seguito di una lite in casa, il nostro compagno Divine si è trovato alla porta la polizia. Immediatamente le merde entravano nell'abitazione effettuando una perquisizione ed allertando la digos. A seguito di questa perquisizione, come scritto dalla stampa di regime, venivano rinvenuti oggetti e sostanze di uso comune che se collegati tra loro con alchemica sapienza potevano generare un ordigno, oltre a svariato materiale cartaceo riconducibile agli ambienti anarchici. Come risaputo in casa di un anarchico, anche del minestrone andato a male può diventare un'arma.
Divine viene portato in questura dove viene trattenuto per più giorni in assenza di comunicazione con l'esterno e con gli avvocati. Il giorno dopo i giornali parlano di un soggetto che gravita intorno all'area anarchica trovato in casa con materiale potenzialmente esplosivo e immediatamente rilasciato con denuncia a piede libero. La notizia risulta falsa visto che, nonostante i tentativi, nessuno riesce a vedere Divine o ad avere notizie sicure sul suo rilascio.
Dopo 4 giorni infatti arriva la conferma che il compagno si trova rinchiuso nel carcere di Bologna con le stesse accuse già scritte sui giornali, in attesa che il giudice si pronunci sul da farsi.
Da sottolineare il ruolo infame e di copertura svolto dagli scribacchini di regime che, dando una falsa notizia, hanno permesso il prolungato isolamento di Divine. Non ci stupisce l'accanimento dello stato verso i suoi nemici e non ci ferma un tentativo di isolamento dal continuare l'attacco verso l'esistente e i suoi attivi collaboratori.
Siamo vicini a Divine, come lo siamo a tutti i compagni che subiscono la repressione dello stato e determinati più che mai a proseguire per la nostra cattiva strada.

Seguiranno aggiornamenti.

Per scrivergli telegrammi di solidarietà:

Divine Umoru
Via del Gomito 2, CAP 40127, Bologna

Alcun* anarchic*

 

da noborders ventimiglia

Questo è solo un breve e parziale ricostruzioni di quanto successo tra il 4 e il 5 Agosto. Piü Informazioni a breve.

Info da Ventimiglia:

Nella notte del 4 Agosto 2016 oltre 300 migranti lasciano il centro della Croce Rossa a Ventimiglia per andare al confine con la Francia, le persone senza documenti si sono fermate nei pressi dei Balzi Rossi a 50 metri dalla frontiera (dove l’estate scorsa c’era il No-Border Camp). Il loro obbiettivo era quello di abbandonare il centro della croce rossa, reclamare l’apertura del confine e il rilascio del ragazzo sudanese detenuto dentro il CIE (Centro di Identificazione ed Espulsione) di Brindisi.

Alcuni solidali arrivano sul posto per portare acqua ai migranti e vengono fermati dalla polizia e portati alla stazione di polizia di Ventimiglia. 2 compagni hanno ricevuto una restrizione amministrativa “foglio di via” che gli impedisce l’accesso a 16 comuni della prefettura di Imperia e altri 2 son stati trattenuti nella stazione francese della PAF (Police aux Frontières) e hanno ricevuto un interdizione dall’Italia per cinque anni.

La polizia sgombera i migranti dai Balzi Rossi con violenza, durante questa operazione 7 solidali vengono arrestati e sono attualmente nella questura di Imperia. Non sappiamo se sono in attesa di un processo immediato per resistenza o se verranno rilasciati a breve.

In totale 17 compagni europei sono stati fermati dalla polizia italiana e francese.

Durante l’operazione circa 200 migranti riescono a sfuggire alla polizia italiana, alcuni attraversando la frontiera a nuoto raggiungendo la spiaggia di Menton in Francia, la maggior parte attraversa a piedi e si scatena una caccia all’uomo per le strade di Menton, Cannes, Sospel, Nizza. La polizia francese reagisce con violenza, con cariche e sparo di lacrimogeni sui migranti che escono dall’acqua.

118 migranti sono attualmente detenuti nei container e altri 25 nella stazione della PAF.

La polizia francese impedisce ai giornalisti di effettuare riprese, distruggendo le telecamere e arrestandone molti per non far trapelare notizie e non far capire che hanno perso il controllo della frontiera.

Diversi bus della Linee Azur trasportano i migranti fino alla frontiera Italo-Francese per deportarli, si fermano e non li fanno scendere, perché non ci sono più posti per detenerli nei container previsti dalla PAF per il fermo dei migranti. Finora vi sono state solo 60 riammissioni in Italia, nel frattempo la polizia francese ha tentato un approccio diplomatico provando a calmare i migranti, dando cibo e bevande. Non sappiamo se verranno rinviati verso il centro della Croce Rossa o deportati verso gli hotspots o i CIE del sud Italia, essendo molto più numerosi che normalmente.

Secondo un’impasse pare che la polizia italiana non riaccetterà tutti i migranti anche per paura di non riuscire a rispettare il piano Alfano che prevede di risolvere la questione migranti con la loro deportazione nell’sud Italia.

Venerdì pomeriggio un corteo improvvisato di una trentina di compagni e compagne ha attraversato il centro di Como dietro allo striscione "Distruggere il razzismo e tutte le sue frontiere". Il corteo era in solidarietà ai migranti accampati in stazione S.Giovanni, ma anche a tutti coloro che non vogliono o non possono avere i documenti e contro ogni tipo di frontiera, sia essa un confine tra Stati, sia il razzismo dilagante.
I giornali di Como riferiscono, inoltre, di alcune scritte sulla Posta Centrale contro le frontiere le deportazioni, di cui la compagnia aerea delle Poste (Mistral Air) è complice.

Segue il testo del volantino distribuito:

DISTRUGGERE TUTTE LE FRONTIERE, OGNI GIORNO!

Le frontiere sono l'emblema della società in cui viviamo e ci circondano quotidianamente; alcune sono più tangibili, altre meno. Il risultato è che viviamo all'interno di recinti concentrici, spesso senza rendercene conto, che siano essi fisici, economici, psicologici.
Per tutti coloro cui questa situazione è diventata insostenibile, la scelta è di combatterle.

La frontiera più evidente rimane il confine tra nazioni. In questo momento storico in cui stanno avvenendo migrazioni di massa, spesso rappresentano un limite invalicabile per tutti coloro che hanno scelto di spostarsi da uno Stato all'altro. Questo tipo di frontiera trasforma gli individui e il loro desiderio di movimento in flussi da gestire e quote da spartire, nonché in migranti accettabili o indesiderabili, a seconda del luogo da cui uno proviene e delle competenze che si porta dietro. In pratica, è in atto una trasformazione di persone in numeri e una differenziazione di classe da parte degli Stati che “accolgono”. In questo modo gli esseri umani cessano di esistere e diventano merci, trasferibili, deportabili, utilizzabili a seconda della richiesta. Sorgono luoghi in cui stiparli, a seconda della destinazione d'uso: CIE, Hotspot, Cara, Cas, Sprar; nasce un florido mercato intorno a loro: enti di gestione (spesso Caritas, Croce Rossa e cooperative varie) che si arricchiscono sulla loro pelle, sfruttatori e consumatori d'ogni risma che utilizzano la forza lavoro dei migranti; la propaganda alimenta di continuo la percezione del fenomeno come qualcosa di emergenziale e pericoloso, da gestire a tutti i costi.

Esistono poi altre frontiere, non per forza direttamente tangibili e destinate a reprimere la volontà di muoversi degli individui al momento sul più basso gradino della scala sociale, ma potenzialmente dirette a sopprimere ogni anelito di libertà presente nella società odierna.
Spesso il laboratorio di sperimentazione delle nuove tattiche repressive parte proprio dall'evidenziazione di alcuni soggetti più consoni su cui agire, perché già ai margini o socialmente sacrificabili, ma poi estendibili a tutto il resto della popolazione, in via diretta o in via indiretta.
I continui attentati che stanno scuotendo l'Europa in questo periodo hanno portato ad un innalzamento paranoico del concetto e delle misure di sicurezza in tutto il continente e, più in generale, in tutto il mondo occidentale, spaventato dal fatto che un po' del terrore che esso stesso sparge in Medio Oriente da almeno il 1991 gli ritorni in casa.
A noi preme sottolineare, invece, come non ci siano precauzioni o misure di sicurezza che mettano al sicuro dall'attacco suicida individuale che colpisce nel mucchio e che quindi tutte le misure di sicurezza poste in atto hanno come scopo reale e concreto quello di gestire e controllare la popolazione e il continuo cristallizzarsi di stati di eccezione porta alla normalizzazione dell'eccezione.
Conseguenza è una sempre maggiore militarizzazione e un controllo sociale sempre più esteso dei nostri territori. Tale processo non ha i tratti dell'invasività, che potrebbe destare sospetti o indignazioni da parte di qualcuno, ma è uno stillicidio continuo. Se ci guardiamo intorno, infatti, possiamo notare un aumento esponenziale sia dei dispositivi di controllo tecnologici (telecamere private e pubbliche, telefoni cellulari, documenti elettronici, ecc...) che ormai non ci permettono di passare inosservati, sia di uomini delle forze dell'ordine e dell'esercito, pronti a scrutare ed identificare tutti coloro che loro stessi credono sospetti. Chiunque in teoria, in pratica tutti coloro che, anche solo apparentemente, non hanno un aspetto consono al giudizio di sbirri e soldati.

Ancora, la frontiera del razzismo: sempre più presente e serpeggiante inizia a diventare tangibile. E' innegabile che, soprattutto in questi momenti di trasformazione del capitale e spostamento di migliaia di individui, lo spettro del nazionalismo e della xenofobia possa attecchire più facilmente, anche a causa del panico diffuso dai media e dai pregiudizi che facilmente dilagano. E così, in tutto il territorio nazionale, si diffondono episodi di intolleranza e aggressione nei confronti di migranti e non bianchi, che hanno trovato il loro apice nell'omicidio fascista di Fermo. In questo clima i gruppi neofascisti hanno gioco facile a soffiare sul fuoco del razzismo, a fare propaganda e proseliti, indicando come capro espiatorio di tutto il malessere sociale gli individui al momento più esposti e a ergersi veri difensori della nazione.

Contro tutto ciò bisogna lottare fermamente non solo per permettere a chiunque di spostarsi dove meglio crede, ma per riconquistare, pezzo dopo pezzo, le nostre libertà, sempre più soffocate ed erose.

Se oggi i più colpiti sono i migranti, non è detto che domani, una volta sedata questa situazione, lo Stato non rivolga le sue attenzioni contro chi ancora osa esprimersi in direzione ostinata e contraria.

Abbattiamo ogni frontiera che ci impedisce di vivere come vorremmo!

Alcuni nemici e alcune nemiche delle frontiere

 

Domenica pomeriggio a Chiasso, un presidio di circa una cinquantina di nemici delle frontiere si è trasformato in un corteo che ha attraversato la città, portando la propria rabbia sia contro la dogana di Como-Chiasso, sia contro la presenza sbirresca nella stazione di Chiasso.

Segue il testo del volantino distribuito:

LE FRONTIERE E IL RAZZISMO UCCIDONO!
NON ESSERNE COMPLICE!

Oggi il razzismo ristagna silenziosamente e sottilmente nelle coscienze di molte persone. Alla parola razzismo tutti pubblicamente ne condannano fermamente sia l’atteggiamento sia l’esistenza avvenuta i periodi storici ormai lontani, ma poi, nel vivere quotidiano, l’enfasi scompare e cede alla tacita approvazione della reclusione, persecuzione sociale e la deportazione di persone ree solamente di non avere i documenti in regola.
Questo sentirsi superiori ponendosi come giudici delle vite altrui usando come criterio di giudizio il paese di provenienza, colore della pelle e l’estrazione sociale (gli “extracomunitari” con grandi capitali da investire o interessi economici in Svizzera non hanno nessun problema di permessi) è lo stesso sentimento di superiorità che ha portato i nazisti ad autoproclamarsi “razza” superiore autorizzando la deportazione di migliaia di fasce sociali considerate “sbagliate”, “impure” o minacciose” (gay, zingare, dissidenti politici e ebrei).
Questo parallelismo ad alcuni potrà sembrare forzato, ma ciò solamente perché oggi la persecuzione e la repressione sono più velate e inconsciamente condivise dalle masse, che ammaestrate da TV e media in generale cadono nei vortici degli allarmismi e insicurezze sociali approvando qualunque decisione liberticida che promuova la “sicurezza del cittadino”.
Facendo leva sulle paure usate per disciplinare la popolazione, l'immagine del migrante è diventata quella di una persona illegale, ospite di un paese che la vorrebbe solo come manodopera a basso costo, usa e getta, un comodo capro espiatorio per distogliere l'attenzione dalle reali cause del disagio sociale.

Viviamo in un mondo paradosso di se stesso, dove forze politiche democratiche professano libertà e uguaglianza dove la merce viene prima delle persone e gli interessi prima degli esseri umani. Il benessere occidentale è la pricnipale causa di sfruttamento, morte e sofferenza nei paesi dell'emisfero sud. L'industria bellica della “neutrale” Svizzera trae profitto, tramite l'esportazione di armi, dalle guerre che colpiscono i paesi delle persone che forzate dalle circostanze si spostano dal proprio paese in cerca di una vita dignitosa. La sofferenza da noi generata ci bussa alla porta.

Chiudergliela in faccia significa alimentare la stessa morte e sofferenza che abbiamo creato, restare indifferenti vuol dire esserne complici!

Centinaia di persone sono oggi bloccate alla stazione di Como San Giovanni in attesa di continuare un viaggio per cui hanno e continuano tutt'ora a rischiare la loro stessa vita.
La causa di questa situazione è la totale chiusura delle frontiere svizzere, in particolare in Ticino. Ogni giorno guardie di confine svizzere perquisiscono i treni provenienti dall'Italia prelevando fi forza queste persone, utilizzando come criterio di scelta il colore della pelle.
Trattate come merce di scarto vengono identificate, schedate e deportate in Italia.

Nostro nemico non sono i/le migranti ma questo regime democratico, nostro nemico è il politicante che strumentalizza il fenomeno dell'immigrazione in modo da distogliere l'attenzione dai reali motivi che caratterizzano le problematiche di questo sistema.
Nostra nemica è la frontiera che decide il valore o meno di un essere umano, nostri nemici sono il sistema capitalista, ogni razzismo e nazionalismo.

ROMPI IL SILENZIO E PRENDI POSIZIONE CONTRO LA CHIUSURA DELLE FRONTIERE!

Nemiche e nemici di ogni frontiere

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Nell'afa di una Milano ancora intontita per le cannonate che il generale Bava Beccaris ha sparato sulla folla inerme, un tessitore anarchico di trent'anni aspetta il suo momento. È appena tornato dall'America, dove è emigrato per sfuggire alla miseria e alle persecuzioni, e ha con sé una rivoltella appena comprata a New York. Il suo obiettivo è il petto pieno di medaglie di Umberto I di Savoia, quello che la retorica monarchica chiama il Re Buono e che il popolo ha invece ribattezzato Re Mitraglia dopo i morti di Milano, e della Sicilia, e della Lunigiana… I tre colpi che Gaetano Bresci spara al cuore del re non colpiscono solo il singolo ma anche la sacralità del suo potere. E il quarto colpo, quello non esploso, Bresci sa di averlo sparato contro se stesso. Percosse, isolamento, deprivazione sono quello che si aspetta. Forse anche l'omicidio camuffato da suicidio. Ma a Monza quella sera di luglio la mano del tessitore anarchico non trema.

Tratto da: HO UCCISO UN PRINCIPIO
vita e morte di Gaetano Bresci l'anarchico che sparò al re

di Paolo Pasi, edizioni Eleuthera

 

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Lo stillicidio di misure cautelari contro chi decide di portare avanti iniziative di lotta è oramai routine, eppure sembra che stia diventando altrettanto consueta la coraggiosa scelta da parte di numerosi imputati e imputate di non sottostare ai divieti e agli obblighi imposti. È infatti di poche ore fa la decisione di alcuni dei colpiti da un doppio obbligo di firma giornaliero per una contestazione alla Turkish Airlines di non rispettare la misura, col sostegno e la forza di tutti gli altri imputati. Ancora una volta una misura minore, ossia non detentiva ma comunque funzionale all’allontanamento dai percorsi conflittuali, oltre che costringere a una vita estremamente sotto pressione e con grossi limiti di movimento. La creatività del nemico non smette di stupire.

Violare le misure è una scelta che per chiunque ha il sapore di scommessa e le tinte di un salto nel buio, ma proprio per questo sempre più sta mostrando l’impossibilità di relegarla nei confini di una decisione individuale rilanciando la palla ai tanti affetti e compagni di lotta che orbitano di volta in volta attorno agli imputati. È stato il caso dei primi 12 compagni con divieto di dimora, poi delle ultime misure in Val di Susa tra arresti domiciliari e obblighi di firma, infine con quest’ultima inchiesta. Per non restare sulla soglia della semplice ammirazione verso una tale scelta impavida, occorre cogliere l’occasione che porta con sé: la capacità di reagire collettivamente non è votata solo al risultato immediato, alla liberazione di compagni e compagne che vogliamo tra noi per continuare a lottare, ma alla possibilità di invertire una tendenza tra le file del nemico, alzando di nuovo l’asticella di ciò che può essere praticato senza che la controparte continui a poter reprimere ogni possibilità di azione. Un’occasione che di fatto si fa sempre più evidente con l’aumentare dei rifiuti alle misure. Una decisione che inoltre è spesso anche spinta emotiva a continuare le proprie lotte con più forza e determinazione. Che sia di pancia e viscerale o ponderata attorno a un tavolo, le scelte di questi compagni già si parlano tra di loro e si incoraggio anche nella prospettiva di affrontare le possibili conseguenze. Lo si legge nei comunicati e lo si sente gridare nei saluti fuori dalle mura di un carcere.

Allo stato attuale alcuni compagni si sono visti annullare, per vari motivi tra cui probabilmente anche l’influsso della propria scelta, la misura imposta. Luca e Giuliano imputati per un corteo in Val di Susa non hanno rispettato i domiciliari e sono invece rinchiusi al carcere delle Vallette, inoltre sono stati condannati in primo grado per evasione rispettivamente a cinque e sei mesi. Per altri non è ancora dato sapere cosa decideranno nel palazzo del Tribunale.

Con l’avanzare dell’estate e questo ritmo incalzante non ci è dato sapere se tra le fila del nemico riprenderanno fiato o si prepareranno a dare un altro colpo a chicchessia, di sicuro finché qualcuno rilancerà la partita è ancora aperta.

Per aggiornamenti e per ragionare sulle prossime iniziative riguardo a quest’ultima operazione repressiva, l’appuntamento è giovedì 28 luglio, ore 19.00, a Radio Blackout (via Cecchi 21/a, Torino).

Invece per scrivere a Giuliano e Luca:

Giuliano Borio e Luca Germano

c/o Casa Circondariale ‘Lorusso e Cutugno’

Via Maria Adelaide Aglietta 35

10149 Torino

macerie @ Luglio 23, 2016