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Le stagioni cambiano 

i giorni sono simili 

vari epiloghi

possibili sogni invisibili 

strade inconoscibili

notti imprevedibili

Se la vita ha un valore quantitativo è ovvio che scienza e tecnica divengano le religioni del dominio. Il mondo si arma, progredendo verso il baratro. Oggi c'è l'ammissione ineluttabile che esso produca cura e controllo totalizzante di una malattia incurabile. Qualcuno si chiede come mai la tecnologia sembra sempre più all'avanguardia e incontestabile ma altrettanto vulnerabile?

Qualcosa di invisibile ed impercettibile sta facendo crollare parte del sistema. E dato che questo mondo è basato sulla relazione millenaria fra potere e servitù, noi stiamo cadendo con esso. Con l'avanzare di un processo tecnologico sempre più somigliante ad una matrice, le porte della scienza chiudono di fatto le possibilità della conoscenza, e questa permanente condizione alienante sta minando le capacità singolari degli individui, rendendo strazianti le relazioni. Piano piano si sta andando verso una mentalità che contribuisce ad appiattire le discussioni, isolare i corpi, rimbecillire le menti.

Nell'epoca non solo del contagio ma anche del coprifuoco delle coscienze, una persona che si rinchiude in casa — preludio alla chiusura di qualunque alterità — assorta di fronte ad uno schermo lavora, si distrae ed intrattiene relazioni mediate e robotiche, immersa nel ruolo sociale che le viene imposto, aspirando solamente a diventare un ingranaggio della macchina dell'orrore quotidiano. Un individuo privato della creazione umana è ridotto ad un essere senza stimoli, povero di idee e di tensioni in grado di capovolgere se stesso e il mondo.  Una banalità di base: è dal contatto fra individui che mettono in gioco la propria esistenza, dallo scontro e dal rischio, che possono nascere possibilità in apparenza inavvicinabili. Eterna condivisione della solitudine, nel chiuso della propria povertà emozionale, nella propria divagazione disciplinata e strutturata ci si lascia morire lentamente. Ci si spegne come si fa con qualche strumento tecnico che ci circonda prima di andare a dormire, percependo lo svuotamento delle proprie capacità come lo svuotarsi inesorabile delle strade.

Tentare di rompere con un presente che ci stanno cucendo addosso per provare nostalgia di un passato che ci hanno tolto è un rimpianto che ha l’afrore della conservazione. Di cosa mai sentiamo la mancanza? Di balenare nella vita veloce senza afferrare i propri spazi e i propri tempi? Delle conversazioni che sentiamo in ogni luogo di aggregazione da cui vorremmo scappare, tramortiti dalla crescente ideologia della servitù che rende questo mondo incontestabile, nella sua totalitaria neutralità?

La catastrofe, come la storia, non ha un senso deterministico, ma procede a balzi. Mentre forme tradizionali di economia stanno sprofondando nel fallimento (turismo, attività sportive e ludiche di base o trasporti, ad esempio), altre forme tecniche del dominio stanno inesorabilmente estendendo i propri tentacoli sul mondo, rielaborando reti (pensiamo alla banda ultralarga di fibra ottica che sta devastando i territori) e collegamenti per un mondo a misura di incubazione (il 5G o le piattaforme commerciali come Amazon): basta dire smart perché tutto diventi sicuro come la morte.

Questo virus è nemico dell'unicità dell'individuo perché potenzialmente accelera il progresso di cretinizzazione digitale in corso. Il capitale non è bloccato, sa adattarsi a tutto questo. La finanza continua a speculare ingrassando vecchi e nuovi dominatori (pensiamo alle aziende che tracciano dati). La produzione corre ad una velocità minore di un tempo ed è per questo che gli scienziati economisti, gli strateghi psicosociali e gli esecutori armati di realtà tremano al pensiero di veder finire i propri privilegi.

Le manette nelle menti sono sempre più strette, ed ogni cambiamento fa rima con cruento. Oggi tutto può succedere. E il mondo non andrebbe affrontato riproducendo il mantra che l'individuo è solamente mera retorica o che le parole che possono spezzare il mondo siano solo quelle dette dopo aver fatto qualcosa. Abbandonare le braccia adulatorie del fare coatto per lasciarsi andare all'ignoto, ad un altrimenti, uscendo dall'ambito della resistenza. Cercare complici e soffiare sugli animi quando tutto sembra un'opera pia è già una prospettiva che apre all'osservazione, alla preparazione del caos che diviene, all'attacco.

Pensiamo alle rivolte del marzo scorso nelle carceri. L'esplosione dell'insubordinazione è deflagrata ad opera di chi era già braccato e ha visto un’unica possibilità per spezzare la misura della segregazione: giocarsi una sopravvivenza di merda rischiando la vita. In questo cimitero di degenti, allora, cosa sentiamo? Se l'assenza è la questione che ci interroga prepotentemente oggi, pensare l'impensabile e l'intrattabile è capire che questo strappo decretato all'interno di una civiltà in putrefazione comporta una incessante metastasi che contribuirà a rielaborare scientificamente la condizione umana. All'incastro sociale, alla manipolazione delle sensazioni individuali, all'artificialità del progresso, rispondere con la sovversione, spazzando anche buona parte di noi stessi, finalmente. 

Una congiura degli io è ancora possibile perché è del tutto sperimentabile. Sempre che si sia disposti ad una responsabilità sconosciuta nel viversi l'assenza di qualcosa di comune per portare lo scontro fra carne e macchina ad un punto di non ritorno. In un mondo dove la realtà sta assumendo le sembianze di una distopia, solo il sogno può alimentare la gioia anonima e imprevista dove nessuno si aspetta. 

A distanza dal mondo per disertarlo e farne saltare gli ingranaggi. Alla ricerca di qualcosa di inconfessabile: un frammento di utopia — da una parte la distruzione necessaria, dall'altra l'autonomia irrealizzabile fin quando esisterà questa civiltà.

tusai-chi

22 ottobre 2020, tratto da Finimondo

In questo caso avete capito che:

  1. Il vero inquinamento è l’inquinamento attraverso la merce universalizzata, estesa a tutti gli aspetti della vita. Ogni merce esposta in un supermercato è l’elogio cinico dell’oppressione salariale, della menzogna che fa vendere, dello scambio, del capo e del poliziotto che servono a proteggerli.
  2. L’esposizione delle merci è un momento della sopravvivenza e la glorificazione della sua miseria: elogio della vita perduta in ore di lavoro forzato; di sacrifici consentiti per acquistare della merda (cibo sofisticato, oggetti inutili, automobili-sarcofaghi, oggetti concepiti per realizzare la propria autodistruzione...); di inibizioni; di piaceri-angoscia; di immagini derisorie proposte in cambio di un’assenza della vera vita e comprate per compensazione.
  3. L’incendio di un grande magazzino non è un atto terrorista. In effetti, poiché la merce è concepita per distruggersi da se stessa e venire rimpiazzata, l’incendio non distrugge il sistema mercantile ma vi partecipa solo con un poco di brutalità in più. Ora, non si tratta che la merce ci distrugge distruggendo se stessa. Bisogna distruggerla totalmente per costruire l’autogestione generalizzata.

In sostanza voi siete stufi delle apparenze, della noia e dell’essere spettatori; stufi di un mondo in cui ciò che si vede impedisce di vivere e in cui ciò che impedisce di vivere si fa vedere come caricatura astratta della vita. E voi lottate di già, coscientemente o no, per una società in cui la vera fine della merce è nel libero uso dei prodotti creati attraverso la fine del lavoro forzato. Contro il lavoro che impedisce l’abbondanza e produce solo il riflesso menzognero, noi vogliamo l’abbondanza che invita alla creatività e alle passioni.

Tratto da qui:

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SABATO 17 OTTOBRE ALLE 16.00 IN PIAZZA SANTA CATERINA A PISA

DISCUSSIONE A PARTIRE DAL LIBRO

 “CONTRO LO SCIENTISMO”

di Pierre Thuillier (S-edizioni)

A SEGUIRE CENA BENEFIT AL GARAGE ANARCHICO

In caso di maltempo l’intera iniziativa si terrà al Garage Anarchico, chiassetto S. Ubaldesca (zona S. Martino)

“Sapere è potere” F. Bacone

Il fondamento che si cela dietro questa frase, espressa da uno dei padri della scienza moderna, sembra abbastanza chiaro da non necessitare di alcuna spiegazione.

Eppure in molti tendono a considerare la scienza e la tecnica come due dimensioni distinte, se la tecnica è imprescindibilmente legata alle sue funzionalità e quindi si forgia al solo scopo di piegare la natura al suo utilizzo, la scienza viene ancora considerata da molti come una romantica ricerca del sapere fine a se stesso. Ciò che non è mai stata. Scienza e tecnica sono inscindibili. Se l’una si realizza grazie alle scoperte della prima, l’altra necessita di uno scopo che la orienti verso un fine pratico ed è strettamente legata alle condizioni materiali e culturali dell’epoca in cui si sviluppa. Il metodo scientifico si fonda già dalla sua invenzione sulla sintesi dell’esperienza in parametri misurabili, riducendola ai suoi meri aspetti quantitativi.

Che la scienza è potere diviene particolarmente vero quando essa, come soprattutto in tempi odierni, diviene l’unica dispensatrice ufficiale di verità. Se dio non è mai morto, è perché ha solo cambiato aspetto. Chi oggi potrebbe smentire le sentenze di uno dei qualsiasi esperti in camice bianco? Basta anche solo mettere in dubbio il pensiero unico della scienza di stato per essere tacciati di essere ignoranti, complottisti, irresponsabili… E chi sarebbero i responsabili?

Coloro che da bravi credenti a testa bassa si coprono il volto, purificano le proprie mani con un disinfettante, riducono al niente i propri contatti fisici, sempre pronti a puntare il dito verso chi non si adegua alle norme?

Coloro che all’interno delle mura di università come il Sant’Anna producono il sapere necessario all’evoluzione delle tecniche usate in ambito militare?

Coloro che nei laboratori sacrificano animali in nome del culto del progresso?

Ebbene sì essi sono i responsabili. Responsabili di sostenere un esistente fondato sul dominio e la distruzione dell’ambiente naturale; responsabili di ridurre le relazioni umane a freddi comportamenti meccanici; responsabili della morte e tortura di milioni di persone dall’altra parte del mondo e di milioni di animali in quella parte di questo mondo che viene tenuta sistematicamente nascosta.

E noi sì, siamo irresponsabili perché ancora non ci pieghiamo di fronte alla verità impartitaci da qualcun altro, siamo irresponsabili perché contrastiamo il potere in tutte le sue forme, siamo irresponsabili perché amiamo il lato selvaggio della vita, amiamo la bellezza della natura e l’irriducibile espressività indefinita della poesia.

Alcuni irresponsabili

“In partenza, vi era il mondo della vita, nel senso banale e ingenuo che i non-scienziati danno all’espressione. Un mondo a volte allegro a volte triste, in cui gli uomini provano dei sentimenti e delle emozioni, dove cercano la loro strada, amano, lottano, ecc. Poi arriva la “scienza”, neutrale e oggettiva: non restano che atomi, ancora atomi, soltanto atomi. Ed esperti di atomi, che ci insegnano, sempre neutrali e oggettivi, che noi dobbiamo vivere “scientificamente”; vale a dire come dei conglomerati di atomi, come dei grossi edifici molecolari di cui sono i soli a conoscere la vera natura. Curiosamente i nuovi maestri spirituali ci fanno tornare alla vecchia affermazione biblica: l’uomo è polvere e tornerà polvere…” P. Thuillier

Roger Bernard (1921-1944) impara il mestiere nella tipografia del padre, ma la poesia lo travolge fin dalla prima gioventù. Trascorre l'adolescenza chino sui libri, a perfezionarsi, a scoprire i segreti dell'alchimia del verbo. I Chantiers de Jeunesse – organizzazione paramilitare che doveva sostituire il servizio militare, all'epoca abolito – lo annoiano, per cui al suo ritorno cercherà la rude compagnia di chi lotta contro l'invasore croceuncinato. Si unisce alla Resistenza, assieme alla sua compagna incinta, nella valle di Calavon, e qui fa la conoscenza del capitano Alexandre, il poeta René Char. È a lui che, fra un sabotaggio ed un altro, leggerà le sue poesie. Il 22 giugno 1944 Roger Bernard cade nelle mani dei nazisti. Farà appena in tempo ad inghiottire il messaggio che sta portando, prima di venir fucilato in mezzo alla strada dopo aver rifiutato di rispondere a qualsiasi domanda. Straziato e sconvolto, René Char lo ricorderà più volte nei suoi Fogli d'Ipnos.  

***  

Non passare sotto l'albero:

Piove una dolcezza troppo pesante da sopportare!  

Notte della terra, proteggimi! che il mio scheletro non sia più triste e battuto come la terra schiacciata da un portico di chiesa. Non sono brutto. Faccio solo paura. Ma lo spavento è gioia isterica. Sono colui che si vuole resuscitare. La carogna puzza sul tetto;

E tutto muore di respirare. Un solo buon odore mi piace: quello della radice. No. Non voglio rinascere grano identico a quello che si è seminato – pesante, uniforme ma sottilmente distinto come i dodici grani di mezzanotte! Sono colui che non resusciterà!  

Addio biancore tagliente d'estate. Addio cotone del pioppo, bava di tamarisco, fiamma di santoreggia.  

La cicala ha trebbiato il grano! Dolore vieni sul mio cuore; che si sottometta.  

Adesso penetro ciò che il tuo dito mi indica. Io vivrò. Io vivo! Vivo Sull'eterna gioia vivente di morire!  

Pronuncia la parola gioia; il mio respiro ora s'accorcia. Comincio ad ottenere tutto.  

Dobbiamo separarci. Hai sofferto in me e penetri la gioia di te stesso. Sono tuo amico e ti abbraccio. Ma allontanati da me, per la nostra pace!  

Allontanati da me e avrai la gioia.  

L'anno muore, un pigmento rosso sul bordo di ogni ciglio. Qui termina il libro del tuo stupore.  

Quelli che hanno sofferto non parlano più. (e quelli che hanno la gioia; silenzio).  

La gioia viva di morire! La gioia viva di morire.  

Un bacio e che la pace sia nei tuoi occhi!    

Moulin du Calavon, 1943  

Tratto da Ma faim noire déjà, 1945

Fonte: Finimondo