Vai al contenuto

A proposito di Kavarna

...la passione per la libertà è più forte d'ogni autorità...

di John Brunner

Autore britannico noto per mescolare fantascienza e questioni sociali, John Brunner (1934-1995) pubblicò nel 1972 quello che è forse il suo romanzo migliore: Il gregge alza la testa. Lo sfruttamento delle risorse naturali del pianeta ha spinto l'umanità sull'orlo del baratro dell'autodistruzione, tra epidemie diffuse dai prodotti di un'industria che si vanta di far avanzare il progresso, misteriose diffusioni di parassiti nocivi, ed un'atmosfera con livelli di inquinamento così elevati da sviluppare allergie e malattie praticamente in tutti gli abitanti (il Mediterraneo è diventato una fogna, il sud-est asiatico un deserto chimico, l'Africa un'enorme discarica...). Se in basso molti fanno disperati tentativi per evitare o impedire il disastro (attraverso la creazione di comunità o l'attuazione di sabotaggi), se in alto pochi continuano la loro corsa sfrenata verso il profitto ed il potere, la maggior parte della popolazione cerca semplicemente di sopravvivere in situazioni sempre più intollerabili. Condividendo tutti lo stesso pianeta, sfruttati e sfruttatori condivideranno anche lo stesso destino — è inutile che il gregge alzi la testa, quando si trova invischiato in una spirale senza ritorno. A meno di non mettere in atto ciò che, con notevole provocazione, Brunner propone al termine del romanzo: eliminare i 200 milioni di esseri umani più nocivi del pianeta.

Ogni mattina, mentre ondeggiava verso il proprio ufficio, Moses Greenbriar elargiva di solito saluti a destra e a manca, come beneficenze. Oggi distribuì brontolii. Era inzuppato di sudore (fuori, l'aria era spaventosamente calda e umida) e in ritardo di oltre un'ora. Irruppe nel proprio ufficio e sbatté la porta.  — Il dottor Grey l'aspetta da più di mezz'ora — disse la segretaria, agitata, attraverso l'interfonico.  — Zitta! Lo so.  Tolse con dita impazienti il coperchio di una bottiglietta di capsule, ne ingoiò una, e in capo a pochi minuti si senti un po' meglio. Ma anche là dentro c'era caldo e umido. Richiamò la segretaria. — Che diavolo ha, il condizionatore?  — Euh... Sovraccarico, signore. È già regolato sul massimo. La ditta ha promesso di mandare qualcuno ad aggiustarlo la settimana prossima.  — La settimana prossima!  — Sì, signore. Non hanno ancora smaltito l'arretrato accumulatosi durante l'epidemia d'enterite.  — Ah, diavolo! — Greenbriar s'asciugò il volto e si tolse la giacca. Che importava se la camicia era bagnata. Era così per tutti, in una giornata simile. — Va bene, faccia entrare il dottor Grey.  Quando il dottor Grey apparve sulla soglia, era riuscito a ricomporsi, con l'aiuto della pillola, fino ad avere un'apparenza affabile abbastanza simile all'usuale.  — Tom, si sieda, la prego. Mi scusi d'averla fatta aspettare: di nuovo quegli sporchi Trainiti.  — Non mi era giunto all'orecchio che ci fossero state dell'altre dimostrazioni, anche oggi — disse Grey, accavallando le gambe.  Greenbriar lo guardò con rabbia; costui non faceva una grinza, tanto meno aveva chiazze di sudore. Disse: — Non si trattava d'una dimostrazione. A quanto pare, hanno lasciato perdere quelle bravate innocue, no? Lei avrà saputo, immagino, che Hector Bamberley è stato rapito?  Grey annui. — Lei ha avuto delle noie in relazione a...  — No, cavolo. — Greenbriar afferrò un sigaro e ne morse con ferocia la punta. — Anche se non posso certo dire che questo non ci abbia procurato delle noie grossissime: morto Jack Bamberley, in cura sotto sedativi Maud, speravamo che Roland intervenisse, per aiutarci a tenere l'organizzazione in assetto e a fermare la disastrosa caduta dei titoli… Ma a me è accaduto che la polizia ha saputo d'un pazzo che voleva far saltare in aria il Queens Midtown Tunnel passandoci con una bomba nell'auto. E saltando anche lui, immagino. Perciò fermano e perquisiscono tutti. Scommetto ch'è uno dei soliti falsi allarmi.  — Sì, le minacce costituiscono, in sé e per sé, un'eccellente tecnica di sabotaggio — disse Grey con interesse clinico. — Una cosa molto simile alle V1 tedesche, come lei sa. I missili portavano delle testate esplosive troppo piccole per fare molto danno; ma ognuno correva nei rifugi. Perciò, risultavano d'una efficacia notevole nell'intralciare la produzione bellica e i pubblici servizi.  Greenbriar lo guardò attonito. Dopo un attimo di silenzio, disse: — Beh, può darsi; è comunque una maledetta seccatura... Ma mi scusi, avrei dovuto congratularmi, per prima cosa, di vederla rimesso. È stato indisposto, vero?  — Nulla di grave — disse Grey, ma sembrava, ed era, arrabbiato. Non beveva, non fumava, era celibe e seguiva una dieta equilibrata; inconsciamente, perciò, partiva dal presupposto che i microbi si rendessero conto che lui era un osso duro, e stessero alla larga. Invece, si era presa la febbre maltese. Lui, Tom Grey, che non toccava mai latte non pastorizzato e che invariabilmente mangiava non burro ma margarina!  Adesso, naturalmente, era guarito; esistevano degli ottimi specifici ad effetto rapido. Ma quelle tre settimane che gli erano state sottratte le avrebbe volute dedicare al suo progetto. All'Angel City aveva avuto molto tempo a disposizione per seguirne gli aspetti che considerava più importanti. Qui, viceversa, assunto apposta per lavorare al progetto come occupazione principale e non più come iniziativa privata, era costretto a subordinare le proprie preferenze alle richieste prioritarie dei suoi datori di lavoro.  — Credevo che lei volesse vedermi in relazione alla triste dipartita di Jacob — disse.  Greenbriar esaminò attentamente la punta del suo sigaro con critica concentrazione. Disse: — Beh... sì. Non è un segreto che questo colpo sia stato l'ultimo di una serie; ed esistono dei limiti anche alla dose di batoste che un'organizzazione immensamente ricca come il Bamberley Trust è in grado di sopportare. La faccenda africana, il pasticcio onduregno, il tumulto allo stabilimento idroponico, ora questo... Tutto ciò ci ha inimicato la pubblica opinione e ha cancellato, in pratica, la fiducia nelle nostre azioni. Abbiamo un bisogno disperato di qualcosa di sensazionale, per migliorare la nostra fama. All'ultima riunione di consiglio ho sollevato l'argomento di questo suo... programma cautelativo, e tutti hanno ritenuto che contenesse delle forti opportunità per questa contingenza. C'è qualche possibilità di metterlo a disposizione per uso pubblico in un futuro immediato?  Grey esitò. Aveva un po' temuto questa richiesta; ma...  — Beh, in realtà ciò mi riporta alla mente un suggerimento avanzato, qualche settimana fa, da Anderson. Sa, quel giovane programmatore che mi avete assegnato come aiutante. Ho il sospetto che l'abbia detto un po' per scherzo; ma, durante la mia degenza, ci ho riflettuto. In pratica egli asseriva che, per i nostri bisogni, le analisi estrapolate per impedire che si compiano nuovi errori sono meno necessarie delle soluzioni d'emergenza per le difficoltà già esistenti. S'intende ch'egli non si esprimeva con queste parole.  — E con quali, dunque?  — In realtà, ha detto questo — rispose Grey, e Greenbriar (non per la prima volta) si disse che quell'uomo mancava totalmente del senso dell'umorismo: di fronte a una domanda, si sentiva in dovere di rispondere minuziosamente. — Ha detto: «Dottore, perché non cerca, anziché il modo d'evitare altri e più grossi pasticci, quello d'uscire dal pasticcio in cui siamo? Così come vanno le cose, forse non vivremo abbastanza a lungo da commettere altri errori!». — Prudentemente, aggiunse: — Come dicevo, ho il sospetto che celiasse.  — Celia o no, lei pensa che avesse ragione?  — Beh... Sa, io sono stato talvolta accusato di vivere in una torre d'avorio ed è vero che ho tendenza alla quiete; ma mi tengo aggiornato. Non posso esimermi dal credere che qualcosa di simile alla proposta di Anderson sarebbe bene accolto dal largo pubblico. Non posso concordare con i nostri leader politici quando affermano che le preoccupazioni per la deteriorazione ambientale siano una moda, ormai vecchia, che annoia gli ascoltatori in un discorso propagandistico. Sono giunto piuttosto alla conclusione che il pubblico, vedendo che i politici se ne sono annoiati, si rivolga a misure più estreme. Ha notato quante azioni di sabotaggio, ultimamente?  — Certo, maledizione! — disse secco Greenbriar. Fra i grossi pacchetti azionari del Trust, concentrati sulle industrie chimiche per l'agricoltura, molti avevano subito delle perdite.  — Una cosa si può dire, a scarico dei sabotatori, non le pare? Colpiscono le industrie che danno alti tassi d'inquinamento. Petrolio, plastica, vetro, cemento, e in genere tutti i prodotti non soggetti a putrefazione. Più la carta, naturalmente, in quanto consuma alberi insostituibili. — Mi pareva che lei fosse dalla parte del progresso — mormorò Greenbriar. — Questa mattina sembra che lei faccia l'apologia dei Trainiti.  — Oh, no. — Un pallido sorriso. — Ho dovuto, sì, rileggere l'opera di Train per incorporare i dati nel mio programma, come ho fatto per ogni altro pensatore che abbia avuto un grande influsso sul mondo moderno: Lenin, Gandhi, Mao e compagnia bella. Ma la cosa che voglio dire è un'altra. Dopo secoli di progresso non pianificato, i risultati si possono giustamente definire caotici. I non addetti ai lavori, gli «ignoranti» che formano la gente comune, sanno solo che la loro vita può essere rivoluzionata senza preavviso e perciò hanno un'impressione d'insicurezza. Giungono anche a non aver fiducia nei capi, per motivi che trovano una dimostrazione in quel ch'è accaduto al vostro stabilimento idroponico, dove s'è distrutto del cibo per un controvalore di mezzo milione di dollari, e nonostante l'assicurazione governativa che fosse perfettamente commestibile, mentre c'è un panorama di carestia in Asia, in Africa, persino in Europa. E per di più — si sporse avanti, con intensità, — mentre quei jigras seminano la rovina attraverso tutti gli Stati agricoli. Si sta mettendo in piedi un'enorme campagna pubblicitaria per invitare tutti a stare all'erta e segnalarne le nuove comparse; ma chi la prenderà sul serio, dal momento che il governo autorizza che si bruci una tal quantità di sostanza alimentare, unicamente per segnare un punto a proprio favore sul piano politico?  Greenbriar annuì. Tra l'altro, nel suo ristorante preferito, le bistecche erano aumentate da $7.50 a $9.50, quella estate.  Grey continuava a macinare: — Ho il sospetto che i giovani, in genere, desiderino credere nella buona fede dei loro capi. Dopo tutto, molti sono orgogliosi del fatto che la massima organizzazione d'aiuti del mondo sia americana. Ma invece di far tesoro del capitale di buona volontà esistente, il governo si ostina a calpestarlo. Invece di gettare un grido d'orrore per la morte della moglie del suo amico, la signora Thorne, i governanti respingono ogni addebito, cercano persino di negare che esista un pericolo reale. E, tornando al tumulto nel vostro stabilimento: non è uno spaventoso errore tattico, quello d'impiegare dei laser da battaglia? Il loro impiego in Honduras ha suscitato notevole indignazione, e bisogna convenire che le notizie sui loro effetti non erano piacevoli a leggersi. È da credere che i giovani fossero profondamente turbati dalla descrizione di come una persona, ai margini del fascio di potenza, possa trovarsi istantaneamente con un braccio o una gamba amputati e cauterizzati.  — Lei comincia a ricordarmi Gerry Thorne — disse adagio Greenbriar. A un certo punto di quello sproloquio, Grey doveva avergli toccato una piaga dolente. — Lui, naturalmente, diceva la cosa con... maggiore energia: «Siamo in mano a dei mentecatti, bisogna fermarli!».  Guardò Grey, e l'uomo magro annuì sobriamente.  Sì, verissimo, maledizione. Che cosa sarebbe accaduto se al più presto non si fosse fatto avanti qualcuno con un piano razionale, scientifico, pratico, per guarire i mali del paese? Da quel fantoccio del Presidente e dal suo gabinetto d'individui mediocri non ci si poteva aspettare nulla di utile, all'infuori di pie banalità. Sembrava che si attenessero al «Beh, non ha funzionato questa volta nonostante dovesse senz'altro funzionare, perciò lo rifaremo»! Intanto, fra la popolazione, l'appoggio silenzioso d'un tempo si spostava ininterrottamente verso l'ala estremista dei Trainiti, o verso la destra radicale, o verso i marxisti. Sembrava che il pubblico si adeguasse al primo atteggiamento che capitava, purché fosse un atteggiamento che potesse mettere fine a quel rimbalzare inerte da un giorno al successivo.  Disse, abbassando lo sguardo sulle sue mani grasse appoggiate sulla scrivania e notando che erano lucide di sudore: — Ritiene che ci sia la possibilità di adattare il suo programma per offrire soluzioni... concrete?  Grey rimase a meditare. Infine rispose: — Sarò schietto. Fin dall'inizio del mio lavoro sono partito dal presupposto che quel ch'è fatto è fatto, e che al massimo possiamo evitare di moltiplicare i nostri errori. È ovvio, tuttavia, che i dati già accumulati possono venire impiegati per altri scopi, anche se certi aggiustamenti indispensabili per i quali forse occorrerebbe un certo tempo...  — Ma lei sarebbe disposto a permetterci di annunciare che il Bamberley Trust finanzierà uno studio computerizzato dal quale potrebbero scaturire delle idee nuove e utili? Le garantisco che ci limiteremo al «potrebbero». — Greenbriar sudava più che mai. — Ad essere sincero, Tom, ci mettiamo nelle sue mani. Siamo in guai terribili. E sarà ancora peggio l'anno prossimo, se non incocciamo in qualcosa che migliori la disposizione del pubblico nei nostri confronti.  — Mi occorreranno più fondi, più personale. — Li avrà. Ci penso io. 

[Il gregge alza la testa, 1972]

Tratto da Finimondo

“Negavano tranquillamente, contro ogni evidenza, che noi avessimo mai conosciuto un mondo insensato, in cui l’uccisione d’un uomo era quotidiana al pari di quella delle mosche, negavano quella barbarie ben definita, quel calcolato delirio, quell’imprigionamento che portava con sé una terribile libertà nei riguardi di tutto quanto non fosse il presente, quell’odore di morte che instupidiva tutti quelli che non uccideva, negavano insomma che noi eravamo stati un popolo stordito, di cui tutti i giorni una parte, stipata nella bocca d’un forno, evaporava in fumi grassi, mentre l’altra, carica delle catene dell’impotenza e della paura, aspettava il suo turno”.

Tratto da La peste di Albert Camus

Vi proponiamo un testo uscito sul primo numero di Negazine che ci interroga sulla brutalità di questo mondo, anche alla luce di quello che sta succedendo in Grecia sulla questione di muri, gas lacrimogeni, droni e respingimenti contro gli indesiderabili. Il massacro di Erdogan continua, ben aiutato dalla collaborazione di morte dell'Europa. Le immagini che arrivano da Lesbo sono agghiaccianti. Per chi ancora prova sensibilità ciò non può che colpire duramente il proprio animo.

Il “diverso” ha sempre impaurito i sogni dei benpensanti, colorendo il loro dramma interiore con le assurdità più atroci. Egli si aggira nella notte, sia nero di pelle o ambrato, con gli occhi a mandorla o il naso camuso, non ha importanza, è sempre lui, il portatore di discrepanze e disordini. Eccolo pronto a privarci della nostra gioia, sia pure modesta e strappata con i denti. Egli non la possiede e non la può capire. Al massimo, nella sua disperazione, può accontentarsi di qualche briciola caduta dal nostro desco, e in fondo dovrebbe essere contento di tanta magnificenza.

Sia pure con molte lamentele siamo orgogliosi di come stiamo, ci avvoltoliamo nel truogolo con la concupiscenza dei maiali e sogniamo di migliorare ciò che possediamo. Siamo così intenti a difendere la nostra miserrima vita che non ci accorgiamo di diventare sempre più pallidi e timorosi. Non si tratta soltanto di coloro che sono al limite della miseria, che hanno paura di piombare come sassi nel buio della completa indigenza, ma anche i cosiddetti ricchi hanno le stesse paure, solo collocate a un livello diverso. I benestanti pensano a come difendere il proprio benessere e, in questo pensare tortuoso, non trova posto la preoccupazione di fare veramente qualcosa per il “diverso”. Quando ci si indigna per i tanti morti in mare, nel disperato tentativo di approdare nelle coste contrassegnate dal benessere (si fa per dire), si soddisfa questa indignazione, mettendo a tacere il proprio animo sconvolto per la morte di tanti bambini, finanziando in parte – in piccola parte, visto che di regola le imposte sono pagate in proporzione inversa alla loro consistenza – l’apertura di campi di concentramento, ambulatori gratuiti gestiti dall’esercito, dormitori dove nessuno vuole andare perché bisogna avere i documenti in regola, refettori dove vengono forniti pasti a poveri disgraziati, luoghi in genere, questi ultimi, tenuti da pallidi fantasmi pieni di speranze e sogni infranti.

Queste contraddizioni dilagano in Europa e reggono bene facendo ricorso a cento sotterfugi legali: espulsioni, carceri vere e proprie e carceri a cielo aperto, elemosine civili e religiose, lavoretti sottopagati, irreggimentazione mafiosa, caporalato feroce e tutto il resto. Cioè tutto quello che è necessario per tenere lontana la paura del “diverso”.

Qui stiamo, per il momento, riferendoci ai benpensanti, a quelle persone caritatevoli che credono nell’umanità sostanziale di chi sta loro di fronte e li guarda con occhi sgranati dalla paura e dall’incertezza. Ed essendo persone dabbene si danno da fare (per il momento in buona fede) perché quegli occhi continuino a guardare il mondo da sopra e non da sotto, cioè dalla radice dell’erba che spesso serve loro da giaciglio. E gli altri? i cosiddetti realisti, cioè coloro che considerano le cose sulla base di convincimenti conservativi, esaltati da teorie aberranti e stupide, risalenti al positivismo vecchia maniera che aveva pensato di misurare tutto, dalla punta del naso alla forma dei piedi, e così dirci in che modo dovevamo educare i nostri sentimenti e tenere a distanza coloro che puzzavano in modo differente da come puzziamo noi? Questi altri non si limitano a costruire siepi o contrassegni, più o meno colorati, non cercano di tenere a distanza di sicurezza il “diverso”, proprio lo vogliono tagliare fuori in modo netto costruendo muri.

Eppure i poveri disgraziati che per il momento arrivano a gruppi numerosi, ma non tanto, sulle nostre coste o alle nostre frontiere, a decine e a centinaia, qualche volta a migliaia, provengono da una guerra, da una carestia, da una invasione del proprio paese, dalle repressioni orrende di dittature inimmaginabili, quindi dovrebbero sommuovere alla benevolenza, dovrebbero sciogliere anche i cuori di sasso, perfino, oso dire ma non ne sono convinto, i cuori induriti dalle perverse ideologie di razzisti e consoci che oggi, sotto mentite spoglie, si aggirano dappertutto nel mondo. Ma non è così. La paura sovrasta tutti questi sentimenti, e li trasforma in un bisogno perverso di garanzia del proprio possesso.

Dietro il braccio corto di una carità pelosa, quella che vediamo in atto oggi, e dietro lo stesso stravaccarsi osceno di parolacce e abusi retorici di coloro che vogliono buttare tutti a mare, ci sta la paura, solo la paura.

Esaminiamolo in concreto questo sentimento tanto diffuso e tanto vituperato.

Avere paura è un sentimento umano e appartiene a tutti. Non ci può essere una distinzione netta tra coraggiosi e paurosi. Tutti abbiamo paura e tutti, in un determinato momento, possiamo fare appello alle nostre tracce di coraggio per affrontare una situazione di pericolo. Non c’è da vergognarsi. Dire di avere paura e riconoscerla in quanto sentimento che blocca la nostra azione verso qualcosa che è giusto moralmente, riconosciuto tale in base al nostro statuto di essere umani, è il primo passo per avere coraggio, quel coraggio indispensabile all’azione. Personalmente non mi fido degli smargiassi, dei rodomonti, perché ho visto troppe volte alcuni di loro, e i più rumorosi, trarsi indietro di fronte al primo segno di pericolo.

Abbiamo tutti paura di fronte a una situazione di pericolo, perché questa situazione è foriera di dolore, di danni a noi, ai nostri cari, alle nostre cose e, all’estremo, di morte. E qui si trova il fondamento della paura. È, difatti, giusto avere paura. Ma chi ci suggerisce quando è il caso di avere paura? Con quali mezzi conoscitivi possiamo dire di trovarci in una situazione a rischio? In che modo possiamo darci i mezzi per valutare questa particolare situazione? Come individuare la perversa fonte ideologica che ci sta suggerendo di avere paura magari in una situazione che non è per niente pericolosa? E, al contrario, come individuare la fonte anche essa ideologica che ci sta ingannando disarmandoci nel momento in cui bisognerebbe affrontare una situazione effettivamente paurosa?

Ora, non c’è dubbio che tutto ciò che ci appare, sulle prime, diverso da noi ci mette in una situazione di disagio. Siamo abituati a vedere uomini e cose, relazioni e parlate, simboli e colori, contrasti di luce e ombre, secondo un codice che ci accompagna dalla nascita alla morte. Quasi certamente il prurito che spinge tanti imbecilli ad andarsene da turisti in giro per il mondo opportunamente accompagnati, e credere di vedere qualcosa di eccitante, mentre quello che stanno vedendo è filtrato non solo dallo schermo protettivo issato dagli organizzatori del viaggio ma anche dal contenuto del bagaglio che ognuno di questi esploratori dell’inesistente si è portato dietro, allo scopo di non tagliare del tutto i contatti col proprio mondo, indossare le stesse camice, le stesse mutande e tutto il resto, il prurito di cui dicevamo ha un fondamento di paura, ma non è di questo che vogliamo discutere.

Comunque è bene partire da questo livello minimo, quasi un solletico e un prurito piacevoli e stuzzicanti, per capire come sia estremamente modulato e ricco di varianti il sentimento della paura. Poi quello stesso esotismo che altrove magari poteva darci un brivido piacevole, viene fin sotto casa nostra, si affaccia improvvisamente alle nostre finestre, ed allora è un’altra cosa. Ci mostra la sua faccia contratta dal dolore e dalla fame, dal desiderio di avere un sorso d’acqua o anche qualcosa in più delle briciole che magari, facendo uno sforzo di memoria e ricordandoci del Vangelo, se credenti, saremmo disposti a cedergli, ma quello che pretende no. Come osa? Come si permette di affermare i propri valori, la propria dignità, la propria lingua incomprensibile, la propria fede (perché no!)? Come può arrivare ad affermare che lui, proprio lui che ha tratti tanto diversi dai nostri, questi sì (secondo la nostra atavica ottusità) che personificano il modello più avanzato, l’unico accettabile, di civiltà? Che importa se la faccia che intravediamo (o che immaginiamo) ghignante dietro la nostra ben tutelata finestra ha i tratti di un cinese o di un indiano, portatori di civiltà ben più antiche della nostra, di culture ben più articolate e filosoficamente più fondate? Una immane ignoranza ci tutela e non sapendo nulla di quelle culture e di quelle civiltà, sprofondiamo in una pietosa sensazione di disagio.

Di disagio, tanto per cominciare. Perché se quella faccia, appena intravista, si materializza in un essere umano richiedente qualcosa, qualcosa, si badi bene, che a suo tempo è stato tolto se non a lui personalmente alla sua progenie, con mille accorgimenti brutalmente militari o sofisticatamente commerciali, ecco che dal disagio si passa allo sbalordimento. Ma come osa pretendere qualcosa costui? Come può pensare di esigere quando dovrebbe soltanto limitarsi a stendere la mano tremante di vergogna e aspettare di ricevere quello che cade dalla nostra munificenza? Ecco, allora, che dallo sbalordimento passiamo all’indignazione e mettiamo mano a ogni difesa possibile. Ci arrocchiamo dentro le nostre mura, chiamiamo a raccolta sugli spalti dei nostri castelli in rovina, sulle soglie delle nostre catapecchie, tutta la forza del diritto, mettiamo in piedi l’usbergo della proprietà che quell’insistenza non può certo minacciare, seriamente parlando, ma su cui getta una lunga ombra foriera di future possibili richieste più pressanti.

E dietro le difese che ben conosciamo, da noi stessi per tempo messe in piedi e opportunamente foraggiate, dietro queste difese in divisa e a torso nudo ben visibili nelle loro muscolature vergognose e abiette, dietro queste oscenità che offenderebbero la sensibilità di un tronco d’albero, cominciamo a tremare. L’indignazione ha lasciato il posto alla paura vera e propria.

Ora, questo sentimento, di regola, se lasciato a se stesso, ingigantisce le ombre, dà corpo alle immaginazioni, gonfia i refoli e li fa diventare tempeste. La paura può essere riportata alla sua fonte originaria con la riflessione critica e il ragionamento, con la documentazione e una sufficiente apertura degli occhi. Per fare questo occorre però avere il cuore saldo e le mani pronte a colpire. Occorre lottare. Ecco il punto. Vincere la paura lo si può con la lotta contro chi la paura alimenta, contro tutte le chiacchiere ideologiche e tutte le mistificazioni messe in atto dalla visione politica delle cose. Che vuol dire “visione politica”? Non ci riferiamo all’interpretazione della realtà che viene bellamente fornita da dritta e da manca, secondo i gusti, tanto si equivalgono tutti, ma ci riferiamo a ogni interpretazione della realtà che pretende di mettere al primo posto i nostri personali interessi. Se riflettete un momento vi accorgerete che non sono soltanto gli uomini politici a “fare politica”, ma la facciamo tutti quando ottusamente ci chiudiamo in noi stessi, come fanno, per l’appunto, i cultori dei cosiddetti interessi comuni, che poi sono quelli del piccolo gruppo, o clan o possessori di beni specifici, che dicono di rappresentare. Se, per paura, ci chiudiamo in noi stessi, nel nostro mondo privato, se questo mondo lo eleggiamo a unica frontiera da difendere a qualsiasi costo, se in cima a questo muro issiamo la bandiera delle chiacchiere ideologiche, siano di destra o di sinistra, rivoluzionarie o reazionarie, siamo proprio noi i veri “uomini politici”, anzi siamo noi, in questo caso, i peggiori e i più feroci che esistano sul mercato. Da questo elenco, egregi signori, gli anarchici non vengono per niente esclusi. Anzi.

Ed eccoci allora sugli spalti, armati di tutto punto, a difendere la nostra cieca ottusità. E questa difesa avrà tutti, o quasi tutti, dalla nostra parte, tranne qualche crocerossina e qualche pallido reduce di battaglie radicali, oppure qualche anarchico tardo-pacifista che sta rileggendosi Tolstoj visto che di agire, per il momento (si fa per dire), non se ne parla. E avremo buon gioco perché di fronte a noi ci saranno poche decine di migliaia di vecchi, donne, bambini e uomini stanchi di combattere, avremo cioè i resti di una umanità in fuga dissanguata dalle guerre, dai genocidi, dagli inseguimenti, dalle bombe, dagli incendi, dai massacri sistematici casa per casa, dagli stupri e da tutto quello di osceno e di orrido l’uomo si è inventato da quando è sceso dall’albero. Allora saremo contenti quando avremo preso questa umanità dolorante e spaurita e l’avremo incasellata nei nostri modelli di giudizio, li avremo catturati e incarcerati, li avremo snaturati e fatti diventare europei di seconda categoria.

Ma non possiamo seriamente pensare di dormire sogni sereni per questa operazione di tamponamento. Quello che abbiamo adesso davanti, e che voci allarmate chiamano “invasione”, non è altro che una piccolissima parte di quello che potrebbe presentarsi alle porte dei nostri castelli ultrafortificati. Riflettiamo, per il momento, sul fatto tutt’altro che improbabile dell’avvicinarsi di un esercito non di decine di migliaia ma di milioni. Purtroppo l’aggiunta di uno o due zeri alle cifre che continuamente leggiamo sui giornali non lascia le cose come stanno. La nostra struttura sociale, considerando in questa formula grossolana l’intera Europa oggi interessata alla pressione dei migranti, non potrebbe reggere all’urto di milioni di persone in arrivo. Non occorre perché si verifichi un collasso l’ipotesi di decine di milioni ma basta un arrivo in massa di quattro o cinque milioni. Non si tratterebbe, in questo caso, di alzare muri o di votare leggi più o meno permissive o liberticide. Sarebbe il crollo di una concezione sociale che non può tollerare l’eventualità di massacrare sulle nostre coste due o tre milioni di persone per accettarne un paio di milioni. Non siamo preparati a una eventualità del genere.

Nessuno è in grado di prevedere quello che occorrerà fare. Quando questi benefattori dell’umanità arriveranno alle porte, alle porte della nostra cosiddetta civiltà, e metteranno mano a distruggerla, che cosa penseranno di fare i rivoluzionari che da sempre si sono riempiti la bocca di parole dedicandosi a piccole punzecchiature sul corpo della balena governante? Concorreranno anche loro alla più che benvenuta distruzione, impedendo per quanto possibile la ricostituzione di un nuovo potere col segno cambiato e con qualche bandiera di colore sconosciuto sulle più alte rovine del tempio magnifico della cristianità ormai tramontata?

Chi può saperlo?

AMB
marzo 2017

“Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra persone, mediato da immagini.”

“Lo spettatore più contempla, meno vive; più accetta di riconoscersi
nelle immagini dominanti del bisogno, meno comprende la propria
esistenza e il proprio desiderio.”

“Nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso.”

Guy Debord, La societa dello spettacolo

In questo tempo, in questo mondo, cercare parole per descrivere e analizzare il presente è sempre una sfida che mi da i singhiozzi. Non so se sarò letto, compreso, strumentalizzato, gettato in pasto al tritacarne dei “post” e non so, cosa molto più importante per me, se riuscirò ad essere all’altezza delle mie necessita’ espressive.
Inoltre scrivere dal presente, sul presente, è come rincorrere i propri pattini stregati: ci sei sopra ma loro schizzano più forte, più avanti, sempre in movimento, sempre più veloci di te.
Ma solleticatx da notti a rigirarmi nel letto con frasi che traboccavano dalla mente nel tentativo di mettere caos nell’ordine dei miei pensieri tento un salto, una boccata di ossigeno e parole…

Non possedendo uno smartphone e nemmeno avendo una connessione perpetua alla rete internet per me il Coronavirus non esiste.
Dico questo con la piena consapevolezza che questo virus, così come altri che l’hanno preceduto (ma questo pare essere più imponente) è una pura costruzione spettacolare.
Ragionare di “dati reali” e di “proiezioni plausibili della realtà” mi porterebbe a dovermi inzaccherare di numeri e di cifre che nessunx, in buona fede, può dire di possedere come specchio “reale” dell’esistente fuori dagli schermi.
Qualsiasi specialista ben pagatx sarà dispostx a dire tutto il contrario di tutto non appena l’odore di promozione e/o di stipendio infoltito indorerà le sue narici.
Questo virus è esploso nell’etere ben prima che nei mercati, nelle sale di ospedale, nelle strade.
È un virus di strisciate di dito su uno schermo, un virus di cinguettii cibernetici, una escrescenza virtuale virale (non è geniale che si dica esattamente cosi’ anche per i video di youtube che spopolano?!) che ha attaccato la mente e le percezioni surrogate di miliardi di persone in tutto il mondo, ben più a fondo e più rapidamente di quanto non
abbia fatto il suo corrispettivo biologico sui corpi.
Potrei dire che per me esistono due virus: uno, quello vero (nel senso di vero Debordiano) che e’ quello che inonda le pagine di giornali online, di social, gli schermi e le tv di tutto il mondo e che i governi stanno trattando alla stregua di una catastrofe naturale con tutto il corollario di “emergenza” che ne consegue; e uno falso (idem) che è
quello che ha ammazzato circa millesettecento persone in tutto il mondo pare (il 98% in Cina) e che a me si è palesato quando ho iniziato a vedere le prime facce con le mascherine appiccicate sopra…ma non più di sei e su persone sane, che non avevano altri sintomi della malattia che lo smartphone.
A voler giocare al gioco del potere, delle sue statistiche, della sua retorica da padre-padrone che ti terrorizza del buio e poi ti porge la lampada (ma solo se fai x bravx) mi verrebbe da chiedermi: se la preoccupazione delle istituzioni è davvero la salvezza della popolazione, se i governanti sono dei filantropi cosi generosi da non voler vedere nemmeno una vita immolata sull’altare dell’incuria, allora dai, ditemi, quanti morti fanno all’anno le sigarette e l’alcol monopoli di Stato*?!
E se questi insigni filantropi inorridiscono alla vista dei cadaveri e dell’ingiustizia sociale che esprimono, cosa ne facciamo delle migliaia di morti all’anno (**) per causa delle frontiere che essi stessi hanno eretto a salvezza e glorificazione dei loro mercati?!
Perché non hanno messo fuori legge i sali-tabacchi, ostracizzato x tabaccax, quarantenato x tabagistx per salvarci tuttx dalla piaga del cancro ai polmoni e annessi e connessi?
Perché leggi su leggi che condannano individui a morire ammazzati, torturati, violentatx nei lager libici o affogati in mare?
O per contro, se non hanno trattato il tabagismo con pugno di ferro, come sta accadendo per il Corona, forse per spirito liberale, perchè non si sono allora limitatx ad affiggere, ora nel momento del contagio, dei cartelli nelle città, come quelli che stanno su tutti i pacchetti di tabacco/sigarette che avverte x sudditx dei rischi che, consapevolmente esercitando il nostro libero arbitrio, ci si assume girando in una piazza o in un teatro?
E non è sorprendente la svista che vuole che si debbano chiudere teatri e scuole e musei, ma non si faccia menzione dei centri commerciali? Che all’oggi sono forse i (non)luoghi, non direi più vissuti perché la Vita la destino ad altro, ma quanto meno più attraversati di una città!?
Era la mia anima cittadinista che parlava, quella che ho sepolto anni or sono sotto mole di gas lacrimogeno e disillusione…non mi interessa porre il discorso in questi termini.
Ossia non voglio criticare questo o quell’operato del sistema di potere come a voler dire che il potere potrebbe agire in una maniera più giusta, più rispettosa, più equa.
I termini del discorso per me sono da porre altrove, contro: disertare la narrazione spettacolare del sistema e dei suoi falsi critici, ossia quegli specialisti (medici in questo caso) che gareggiano per sottrarre lo scettro della verità al potere e cosi’ facendo, glielo riconsegneranno più lucido e più pulito appena passata l’emergenza.
Non è questione dunque che lo Stato sia troppo allarmista o troppo poco, è questione di prendere atto della strategia che gli stati stanno mettendo in campo sfruttando questa spettacolare (in tutti i sensi) occasione.
Se infatti non ho la capacità e forse nemmeno la pretesa ne la voglia di capire cosa sia reale e cosa no, dove stia il vero e dove risieda il falso (relativo, contestuale, non assoluto! Non esageriamo) ho però ancora la possibilità di fidarmi del mio corpo, delle mie viscere, dei miei occhi, dei miei sentimenti.
Posso ossia scorgere le “conseguenze” di questo virus.
Non posso stabilire se il virus Corona, quello biologico, venga un serpente o da una spia della CIA, ma, visto che non voglio salire sulla giostra del complottismo, mi basta (e mi avanza) rifarmi a ciò che vivo, in conseguenza dell’evento oramai scatenato.
Questo per me non significa indulgere sux responsabilx, ma piuttosto aver ben chiaro che e’ il sistema tecno-industriale nella sua totalità, attraverso tutte le sue emanazioni (umane e appendici tecnologiche) il
responsabile di sofferenze e morti che negano il vivente e i suoi ignoti palpitanti.

Credo di poter dire sulla mia pelle e ricorrendo alla mia memoria (dal 2001 di torri gemelle e Genova, passando per strade sicure e terremoti…etc) che l’emergenzialità non ha nulla di emergenziale, ne di temporaneo; è invece un ben collaudato modo di governo politico-militare.
Questo momento storico, di assedio sociale da parte del virus virtuale/biologico, non fa eccezione, anzi, catalizza e amplifica e perfeziona tutti i dispositivi di dominio sperimentati fin’ora.
Gli onnipresenti militari (che se ax terroristx almeno potevano sparare, al virus che faranno?!), sbirri, guardie di ogni tipologia e divisa (protezione civile inclusa) mobilitati per primi, passando per  quarantene e intere regioni blindate e trasformate in “terra di nessuno” del diritto, fino alle vaccinazioni di massa che tarderanno giusto il tempo perchè la casa farmaceutica di turno sforni la strabiliante panacea (vaccinazioni di massa obbligatorie esattamente come quelle già imposte ax bambini di età scolare in Italia dallo scorso anno: nulla di fantascientifico).
Come sempre, mi pare, x primi a essere vessatx da queste sevizie repressive sono x ultimx.
Migranti, già odiatx e perseguitatx e oppressx piu di quanto ogni sopportazione possa immaginare, che anche prima del Corona erano, tra le altre cose, vistx come untorx e portatorx di contagi esotici (per esmepio la Legionella) ora sono definitivamente marchiatx come bombe virali deambulanti e che dicano quello che vogliono x specialistx garantistx, tanto la verità è nello schermo di ogni mano e quello schermo parla la lingua del padrone.
Ora, grazie al Corona, grazie alla paranoia endemica, grazie cioè al vero virus in espansione,  saranno legalmente sequestratx nelle navi che li traghettano dal mare aperto alle coste come misura di “quarantena”: è notizia del 26/02 che a una nave di un'ONG diretta in Sicilia sia stato vietato lo sbarco e imposta la “quarantena a bordo” e questo pare sarà il protocollo da seguirsi.
Esattamente quello che fece il testosteronico ministro dell’interno leghista, precorrendo i tempi, ora sotto processo (Ah! Ah! Ah!) per sequestro di persona, ma questa volta senza tante remore, senza nemmeno quelle flebili voci sinistrose o democratiche a lamentare l’ingiustizia e la disumanità del nazismo ministeriale e dei suoi sbirri esecutori.
Ultimx e dannatx che se possibile vedono ancora più buia la prospettiva di ogni giorno che passa, come x prigionierx delle carceri delle “zone contaminate” che non potranno avere colloqui con nessun esternx al carcere (come accade per Nat, compagna anarchica rinchiusa nel carcere di Piacenza) non ci è dato di sapere per quanto.
L’emergenza avvolge tutto di un manto di impenetrabilità: le domande sono sediziose e le risposte sono dominio di chi ha il sapere e gli strumenti per ottenerlo.

Col virus si è come in guerra, e la guerra, si sa, è sempre stata un collante sociale potentissimo o quanto meno uno spartiacque sociale: stai con la patria o coi nemici della patria. Punto.
E già si parla di “governo di unità nazionale” per fare uscire l’Italia dalla crisi del virus, con tute verdi e democratici e destra e sinistra e centro e bla bla bla a fare facce serie e responsabili nelle tv, a stringersi le mani come degli operosi Churchill nostrani.
La solita vomitevole farsa, che però ha la pesantezza gretta delle catene che si stringono di più, il puzzo fetido dell’aria che comincia a mancare serratx dietro alla finestra che si ha sempre piu paura ad aprire, l’oleosa consistenza della democrazia poliziesca che giunge al suo apice (per ora): non aver nemmeno bisogno di un nemico in carne ed ossa come furono Comunistx, Talebani e Terroristx di piu vasta gamma.
Oggi basta la paura per la paura, l’invisibile, il virus che esiste perché si , senza bisogno di tanti morti o di sintomi, basta la sensazione del contagio per esserne contagiatx.

DI “CHE FARE” O DI “DOVE STARE”
Io credo che il sistema non soffra colpi quando si visibilizzano le sue contraddizioni, perché mi pare che il sistema sia divenuto abilissimo a gestire e recuperare le proprie contraddizioni.
Credo che il dominio possa soffrire quando c’è chi queste contraddizioni le affronta da una prospettiva che nega la sua appartenenza al gioco.
La negazione che non punta l’attenzione sull’utilità o meno di questo o quel voto, ma diserta e incendia l’urna; la negazione che non vuole scegliere tra “accoglienza” nazista nei campi o “diffusa” e democratica
ma combatte l’esistenza stessa di società privilegiate che “accolgono” persone oppresse che fuggono. Che combatte l’esistenza stessa, direi io, di qualsivoglia società.
La contraddizione e’ tale se c’è chi la coglie, perché credo sia una relazione sociale anch’essa tra differenti aspetti del tessuto economico-sociale-politico. Ma la contraddizione di questo virus non c’è, è tutto perfettamente logico e funzionale: se c’è un virus mortale (e io credo che pur essendo evidente per me che NON c’è alcun
virus e altrettanto evidente che C’È un virus) ci vogliono misure straordinarie per assicurare la sopravvivenza al popolo.
E la guerra dei dati che potrebbe dar ragione allo schieramento meno allarmista e far emerge quelle discrepanze di trattamento a cui si accennava sopra è truccata in partenza: le carte, il tavolo da gioco, il pubblico pagante si chiamano mass media e sono struttura ossea della società stessa.
L’intangibilità di questo virus, dei suoi effetti sui corpi è compensata dalla concretezza dell’azione repressiva introiettata in anni di politica-della-sicurezza.
Mi pare che pochissimi individui oggi nel paese chiamato Italia sfiderebbero la quarantene dei corpi e delle emozioni per desiderio di non vedersi annullare la libertà.
La legge è pura astrazione, è un assunto teorico che introiettiamo e per obbedienza ad essa arriviamo a non sorpassare una staccionata non perché sia troppo alta per le nostre potenzialità di scalata, ma per la scritta rossa su sfondo bianco che impone“non oltrepassare”.
Come un virus la legge si installa nei corpi ed evolve, muta, si difende dagli attacchi degli antidoti, dagli slanci liberatori. La legge si concretizza con la forza del manganello e del chiavistello, il virus con
la quarantena, col camice, l’isolamento, la siringa, ma il cuore del problema è identico.
Non sono x mortx ammazzatx dalle bombe che piovono dal cielo i cadaveri dai quali rifugge il popolo terrificato serrandosi in casa, sono numeri, cifre, ordini, dettami, ordinanze.
La paura e l’immediata ricerca di rassicurazione sono il moto perpetuo della repressione.
Mi pare che il potere stia ben dimostrando quale siano le priorità (quantomeno alcune) della sua azione repressiva: chiudere.
Chiudere il più possibile spazi, strade, luoghi, agibilità, dissenso.
Nulla di nuovo né di differente da quanto portato avanti dallo Stato italiano negli ultimi decenni, solo che adesso con una capacità tecnologica e una rapidità d’esecuzione (anche per mancanza di resistenza e ossequiosità sociale) davvero virali.
State chiusx in casa, chiusx nei comuni, nelle regioni.
Recinti che si sommano a recinti in una spirale di repressione senza fine potenziale.
Io credo che il potere sia multiforme così come l’attacco che scelgo di portare contro di esso.
Oggi è la reclusione e l’autoreclusione che sta applicando con forza sul territorio posto sotto il suo dominio (e in questo terreno metto anche le coscienze e i corpi degli individui) allora credo che sia lì che voglio stare, all’aperto.
Aprire spazi di dialogo, di gioco, di discussione, disertare la narrazione dex “terrorizzatorx” e la contronarrazione dex piu “cautx”, aprire le strade, le braccia, gli spazi cementati.
L’immagine più mirabolante che posso produrre nella mia testa pulsante sono individui selvaggi che si abbracciano e scambiano effusioni davanti al fuoco di farmacie in fiamme e servx (in divisa e non) inorriditx…ma anche solo il presentarsi nelle piazze laddove c'è divieto assoluto può essere un inizio.
Capire cosa (se) la legislazione d’emergenza prospetta per chi infrange la quarantena, camuffarsi (oggi le mascherine vanno di moda), disertare l’annichilimento, rifiutarlo, sputare in faccia al virus della paura il virus della rivolta.
I tempi del potere sono sempre più rapidi e sempre più sicure e forti e senza contrapposizione appaiono le azioni del dominio: chissà per quanto ancora si potrà stare all’aperto senza doversi nascondere, per quanto potrò scrivere testi come questo con la consapevolezza che qualcunx lo potrà “liberamente” pubblicare; per quanto ancora avremo la possibilità di rifiutare protesi biotecnologiche sui nostri corpi per correggere la fallibilità della nostra finitezza.
Uscire all’aperto mi pare un esercizio anche per noi stessx (anarchicx, antiautoritarx, individui in rivolta…) per non appassire nell’insinuante paranoia che più si delegano le percezioni alle macchine, più si rafforza mentre appassiscono i nostri istinti e diveniamo incapaci di fidarci di noi stessx, di guidarci, di prenderci cura di noi.
E non credo che il popolo acclamerà un pugno di piratx avvelenatx dal germe inestirpabile della sovversione, ma forse qualche individuo alla ricerca di un Altro/ve rispetto allo schermo che l’ha contagiato si
unirà alle danze o più semplicemente l’avrò fatto per me stessx. Per stare là dove mi piace stare, dalla parte sbagliata, contraria, ignota.

Sarà che la Corona l’ho sempre immaginata solo sulla testa di un Re e poco importa che questo abbia le fattezze di un ominide con pompose  parrucche o di un virus circolare, il Re detiene il potere assoluto… l’importante, però, è che la testa del Re rotoli nella cesta.

unx Appestatx

(*) Giusto per sfizio numerologico:
Rapporto di ricerca, “Indagine sull’Alcolismo in Italia. Tre percorsi di
ricerca”, realizzato nell’ambito delle attività previste
dall’Osservatorio permanente Eurispes-Enpam su “Salute, previdenza e legalità”. Dal 2008 al 2017 in Italia sono stati 435mila i morti per
malattie alcol-correlate, incidenti, omicidi e suicidi ad esso dovuti.
Fumo di sigarette, dati maggio 2019: Solo in Italia muoiono ogni anno circa 70’000 persone. Globalmente inoltre, secondo le stime OMS, 165.000 bambinx muoiono prima dei 5 anni di infezioni respiratorie causate dal fumo passivo.

(**)Amnesty International parla di circa 15’000 morti nel solo
Mediterraneo dal 2015-2019. Possiamo ben dirci, se la mente riesce a
concepire numeri di così vasta e orrifica portata, che siano molti di
più quelli reali.

Fonte: Round Robin

«Nonostante le apparenze, l'ecofascismo ha un futuro davanti a sé e sotto la pressione della necessità potrebbe essere il risultato di un regime totalitario sia di sinistra che di destra. In effetti i governi saranno sempre più costretti ad agire per gestire risorse e spazio via via più rarefatti... La preservazione del livello di ossigeno necessario per la vita potrà essere garantita solo sacrificando un altro fluido vitale: la libertà. Ma, come accade in tempo di guerra, la difesa del bene comune, della terra, varrà il sacrificio. L'azione degli ambientalisti ha già iniziato a tessere una rete di regolamenti fatta di ammende e di carcere al fine di proteggere la natura dal suo sfruttamento incontrollato. Cos'altro fare? Ciò che ci aspetta, come nell'ultima guerra totale, è probabilmente una miscela di organizzazione tecnocratica e ritorno all'età della pietra» (Bernard Charbonneau)    

Sono trascorsi quarant'anni da quando uno dei primi critici della civiltà tecno-industriale pubblicava tali osservazioni, impregnate di una certa mestizia dovuta all'indifferenza generalizzata nei confronti delle devastazioni attuate dal progresso. Ce le ha fatte venire in mente quanto sta accadendo in questi giorni qui in Italia, dove a cominciare da Lombardia e Veneto è in via di sperimentazione un test d’irreggimentazione di massa in nome del bene pubblico. Non essendoci alcun nemico visibile all'orizzonte in grado di giustificare uno stato di emergenza, è stato dato grande risalto alla minaccia costituita da un nemico invisibile. Così, per impedire la diffusione di una forma influenzale appena più virulenta di quelle con cui si ha a che fare ogni anno, si è giunti ad istituire zone rosse, posti di blocco, divieti di movimento, sospensione della vita pubblica. Misure eccezionali che potrebbero presto venire estese al resto del paese e che stanno già provocando una sorta di psicosi di massa, con tanto di assalti ai supermercati per accaparrarsi beni di prima necessità e non solo, esaurimento di dispositivi medici di protezione quali mascherine e disinfettanti, aggressioni agli untori con gli occhi a mandorla. Di primo acchito verrebbe da chiedersi come mai l'Italia risulti essere il terzo paese al mondo (dopo Cina e Corea del Sud) per numero di contagiati dal cosiddetto coronavirus. Si tratta di efficienza del sistema sanitario nazionale, in grado di attuare fin da subito (a differenza degli altri paesi occidentali più negligenti) quei controlli a tappeto che hanno fatto scoprire l’epidemia in corso, o di deficienza della popolazione nazionale, giacché in nessun altro luogo avrebbe potuto attecchire un tale allarmismo? Interrogativo che potrebbe anche essere riformulato in altri termini: l'italica importazione di un timore asiatico è il frutto della dabbenaggine mediatica, a cui la notizia sensazionalistica è scappata dagli indici di ascolto, o è opera dell'arguzia istituzionale intenzionata a sondare la rinuncia volontaria alla minima libertà da parte dei suoi cittadini? Che un'influenza possa uccidere, non è certo una novità. In un rapporto diffuso la scorsa estate dal Dipartimento Malattie Infettive dell'Istituto Superiore di Sanità, riportante i dati relativi all'influenza che ha colpito il paese nella stagione 2018-19, si ricorda che «le infezioni respiratorie acute causate dai virus influenzali possono essere lievi, gravi e possono persino causare la morte nei soggetti a rischio come anziani e bambini». Ciò non significa affatto che febbre e raffreddore siano sintomi letali, giacché «il ricovero e la morte si verificano principalmente tra i soggetti ad alto rischio, che includono donne in gravidanza e chiunque abbia patologie sottostanti come diabete, obesità, malattie dell’apparato respiratorio e cardiovascolari». Si tratta di una vera e propria banalità: l'influenza in sé non è affatto pericolosa, ma potrebbe diventarlo qualora colpisse chi versa già in condizioni di salute compromesse. Secondo lo stesso rapporto, «nell'intera stagione influenzale, il 13,6% della popolazione italiana ha avuto una sindrome simil-influenzale, per un totale di circa 8.072.000 casi» ed «anche l’impatto di questa stagione, in termini di numero di forme gravi e complicate di influenza confermata, è stato elevato e paragonabile a quello della precedente stagione influenzale. In particolare, nella stagione 2018-19, sono stati segnalati 812 casi gravi di influenza confermata in soggetti con diagnosi di gravi infezioni respiratorie acute e/o sindromi da distress respiratorio acuto ricoverati in terapia intensiva, 205 dei quali sono deceduti. Il 63,2% dei casi gravi è di sesso maschile e l'età mediana è pari a 63 anni. Nell'83,4% dei casi gravi e nell'89,7% dei deceduti era presente almeno una condizione di rischio preesistente (diabete, tumori, malattie cardiovascolari, malattie respiratorie croniche, obesità, ecc.)». Fino ad ora il coronavirus non si discosta affatto dalle suddette caratteristiche, mietendo le sue vittime fra anziani già malati o pazienti debilitati. Che senso ha allora tutto questo allarmismo? Soprattutto se aggiungiamo che le sole infezioni ospedaliere provocano ogni anno qui in Italia circa 8.000 morti (più di venti al giorno!), per non parlare delle 80.000 morti all'anno (più di duecento al giorno!) che le statistiche indicano causate dal tabagismo. Realtà ufficiali che non hanno mai portato a quarantene né a chiusure di strutture sanitarie o a serrate di tabaccai. Ordunque, se in questo momento l'esercito si trova a pattugliare le strade del lodigiano non è certo per bloccare una pandemia di influenza, quanto per estendere la pandemia di servitù volontaria. Unità nazionale ed obbedienza alle leggi, davanti al pericolo! Fine del dissenso e delle critiche al governo, davanti al rischio! Largo ad esperti e specialisti, davanti alla minaccia! In effetti, al di fuori di paesi asiatici soggiogati da grandi e piccole tirannie, quale altra popolazione poteva andare nel panico per una semplice influenza non essendosi mai curata della quasi totale assenza di piacere nella vita? Quale, se non quella a cui in un passato recente era stato spiegato che un manifestante era stato ucciso da un proiettile (sparato da un agente dell'ordine, ma) deviato dal sasso scagliato da un altro manifestante; quella a cui era stato raccontato che il suo premier si preoccupava delle nipoti minorenni di capi di Stato esteri ora defunti; quella già sottoposta, in occasione di terremoti, a misure che limitano la libertà individuale; quella che da lunghi decenni non conosce più rivolte, ma solo pacifiche e civili proteste vogliose di legittimità istituzionale? Nel frattempo, dalla Cina giunge anche la notizia che la sospensione di quasi ogni attività lavorativa ha avuto come conseguenza l'abbattimento delle emissioni di anidride carbonica. Nel giro di poche settimane, la rottura con la normalità quotidiana avrebbe ridotto l'inquinamento di circa un quarto. Grazie alla drastica diminuzione del consumo energetico, i cieli della Cina sono tornati ad essere azzurri. Ora — al di là del fatto che un eventuale virus che alleggerisca davvero il pianeta da quella fauna parassitaria conosciuta come umanità sarebbe per certi versi una panacea — ciò significa forse che solo una pandemia ci salverà?    

Finimondo, 25/2/20