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Le lunghe ombre oltre il muro

Vi proponiamo un testo uscito sul primo numero di Negazine che ci interroga sulla brutalità di questo mondo, anche alla luce di quello che sta succedendo in Grecia sulla questione di muri, gas lacrimogeni, droni e respingimenti contro gli indesiderabili. Il massacro di Erdogan continua, ben aiutato dalla collaborazione di morte dell'Europa. Le immagini che arrivano da Lesbo sono agghiaccianti. Per chi ancora prova sensibilità ciò non può che colpire duramente il proprio animo.

Il “diverso” ha sempre impaurito i sogni dei benpensanti, colorendo il loro dramma interiore con le assurdità più atroci. Egli si aggira nella notte, sia nero di pelle o ambrato, con gli occhi a mandorla o il naso camuso, non ha importanza, è sempre lui, il portatore di discrepanze e disordini. Eccolo pronto a privarci della nostra gioia, sia pure modesta e strappata con i denti. Egli non la possiede e non la può capire. Al massimo, nella sua disperazione, può accontentarsi di qualche briciola caduta dal nostro desco, e in fondo dovrebbe essere contento di tanta magnificenza.

Sia pure con molte lamentele siamo orgogliosi di come stiamo, ci avvoltoliamo nel truogolo con la concupiscenza dei maiali e sogniamo di migliorare ciò che possediamo. Siamo così intenti a difendere la nostra miserrima vita che non ci accorgiamo di diventare sempre più pallidi e timorosi. Non si tratta soltanto di coloro che sono al limite della miseria, che hanno paura di piombare come sassi nel buio della completa indigenza, ma anche i cosiddetti ricchi hanno le stesse paure, solo collocate a un livello diverso. I benestanti pensano a come difendere il proprio benessere e, in questo pensare tortuoso, non trova posto la preoccupazione di fare veramente qualcosa per il “diverso”. Quando ci si indigna per i tanti morti in mare, nel disperato tentativo di approdare nelle coste contrassegnate dal benessere (si fa per dire), si soddisfa questa indignazione, mettendo a tacere il proprio animo sconvolto per la morte di tanti bambini, finanziando in parte – in piccola parte, visto che di regola le imposte sono pagate in proporzione inversa alla loro consistenza – l’apertura di campi di concentramento, ambulatori gratuiti gestiti dall’esercito, dormitori dove nessuno vuole andare perché bisogna avere i documenti in regola, refettori dove vengono forniti pasti a poveri disgraziati, luoghi in genere, questi ultimi, tenuti da pallidi fantasmi pieni di speranze e sogni infranti.

Queste contraddizioni dilagano in Europa e reggono bene facendo ricorso a cento sotterfugi legali: espulsioni, carceri vere e proprie e carceri a cielo aperto, elemosine civili e religiose, lavoretti sottopagati, irreggimentazione mafiosa, caporalato feroce e tutto il resto. Cioè tutto quello che è necessario per tenere lontana la paura del “diverso”.

Qui stiamo, per il momento, riferendoci ai benpensanti, a quelle persone caritatevoli che credono nell’umanità sostanziale di chi sta loro di fronte e li guarda con occhi sgranati dalla paura e dall’incertezza. Ed essendo persone dabbene si danno da fare (per il momento in buona fede) perché quegli occhi continuino a guardare il mondo da sopra e non da sotto, cioè dalla radice dell’erba che spesso serve loro da giaciglio. E gli altri? i cosiddetti realisti, cioè coloro che considerano le cose sulla base di convincimenti conservativi, esaltati da teorie aberranti e stupide, risalenti al positivismo vecchia maniera che aveva pensato di misurare tutto, dalla punta del naso alla forma dei piedi, e così dirci in che modo dovevamo educare i nostri sentimenti e tenere a distanza coloro che puzzavano in modo differente da come puzziamo noi? Questi altri non si limitano a costruire siepi o contrassegni, più o meno colorati, non cercano di tenere a distanza di sicurezza il “diverso”, proprio lo vogliono tagliare fuori in modo netto costruendo muri.

Eppure i poveri disgraziati che per il momento arrivano a gruppi numerosi, ma non tanto, sulle nostre coste o alle nostre frontiere, a decine e a centinaia, qualche volta a migliaia, provengono da una guerra, da una carestia, da una invasione del proprio paese, dalle repressioni orrende di dittature inimmaginabili, quindi dovrebbero sommuovere alla benevolenza, dovrebbero sciogliere anche i cuori di sasso, perfino, oso dire ma non ne sono convinto, i cuori induriti dalle perverse ideologie di razzisti e consoci che oggi, sotto mentite spoglie, si aggirano dappertutto nel mondo. Ma non è così. La paura sovrasta tutti questi sentimenti, e li trasforma in un bisogno perverso di garanzia del proprio possesso.

Dietro il braccio corto di una carità pelosa, quella che vediamo in atto oggi, e dietro lo stesso stravaccarsi osceno di parolacce e abusi retorici di coloro che vogliono buttare tutti a mare, ci sta la paura, solo la paura.

Esaminiamolo in concreto questo sentimento tanto diffuso e tanto vituperato.

Avere paura è un sentimento umano e appartiene a tutti. Non ci può essere una distinzione netta tra coraggiosi e paurosi. Tutti abbiamo paura e tutti, in un determinato momento, possiamo fare appello alle nostre tracce di coraggio per affrontare una situazione di pericolo. Non c’è da vergognarsi. Dire di avere paura e riconoscerla in quanto sentimento che blocca la nostra azione verso qualcosa che è giusto moralmente, riconosciuto tale in base al nostro statuto di essere umani, è il primo passo per avere coraggio, quel coraggio indispensabile all’azione. Personalmente non mi fido degli smargiassi, dei rodomonti, perché ho visto troppe volte alcuni di loro, e i più rumorosi, trarsi indietro di fronte al primo segno di pericolo.

Abbiamo tutti paura di fronte a una situazione di pericolo, perché questa situazione è foriera di dolore, di danni a noi, ai nostri cari, alle nostre cose e, all’estremo, di morte. E qui si trova il fondamento della paura. È, difatti, giusto avere paura. Ma chi ci suggerisce quando è il caso di avere paura? Con quali mezzi conoscitivi possiamo dire di trovarci in una situazione a rischio? In che modo possiamo darci i mezzi per valutare questa particolare situazione? Come individuare la perversa fonte ideologica che ci sta suggerendo di avere paura magari in una situazione che non è per niente pericolosa? E, al contrario, come individuare la fonte anche essa ideologica che ci sta ingannando disarmandoci nel momento in cui bisognerebbe affrontare una situazione effettivamente paurosa?

Ora, non c’è dubbio che tutto ciò che ci appare, sulle prime, diverso da noi ci mette in una situazione di disagio. Siamo abituati a vedere uomini e cose, relazioni e parlate, simboli e colori, contrasti di luce e ombre, secondo un codice che ci accompagna dalla nascita alla morte. Quasi certamente il prurito che spinge tanti imbecilli ad andarsene da turisti in giro per il mondo opportunamente accompagnati, e credere di vedere qualcosa di eccitante, mentre quello che stanno vedendo è filtrato non solo dallo schermo protettivo issato dagli organizzatori del viaggio ma anche dal contenuto del bagaglio che ognuno di questi esploratori dell’inesistente si è portato dietro, allo scopo di non tagliare del tutto i contatti col proprio mondo, indossare le stesse camice, le stesse mutande e tutto il resto, il prurito di cui dicevamo ha un fondamento di paura, ma non è di questo che vogliamo discutere.

Comunque è bene partire da questo livello minimo, quasi un solletico e un prurito piacevoli e stuzzicanti, per capire come sia estremamente modulato e ricco di varianti il sentimento della paura. Poi quello stesso esotismo che altrove magari poteva darci un brivido piacevole, viene fin sotto casa nostra, si affaccia improvvisamente alle nostre finestre, ed allora è un’altra cosa. Ci mostra la sua faccia contratta dal dolore e dalla fame, dal desiderio di avere un sorso d’acqua o anche qualcosa in più delle briciole che magari, facendo uno sforzo di memoria e ricordandoci del Vangelo, se credenti, saremmo disposti a cedergli, ma quello che pretende no. Come osa? Come si permette di affermare i propri valori, la propria dignità, la propria lingua incomprensibile, la propria fede (perché no!)? Come può arrivare ad affermare che lui, proprio lui che ha tratti tanto diversi dai nostri, questi sì (secondo la nostra atavica ottusità) che personificano il modello più avanzato, l’unico accettabile, di civiltà? Che importa se la faccia che intravediamo (o che immaginiamo) ghignante dietro la nostra ben tutelata finestra ha i tratti di un cinese o di un indiano, portatori di civiltà ben più antiche della nostra, di culture ben più articolate e filosoficamente più fondate? Una immane ignoranza ci tutela e non sapendo nulla di quelle culture e di quelle civiltà, sprofondiamo in una pietosa sensazione di disagio.

Di disagio, tanto per cominciare. Perché se quella faccia, appena intravista, si materializza in un essere umano richiedente qualcosa, qualcosa, si badi bene, che a suo tempo è stato tolto se non a lui personalmente alla sua progenie, con mille accorgimenti brutalmente militari o sofisticatamente commerciali, ecco che dal disagio si passa allo sbalordimento. Ma come osa pretendere qualcosa costui? Come può pensare di esigere quando dovrebbe soltanto limitarsi a stendere la mano tremante di vergogna e aspettare di ricevere quello che cade dalla nostra munificenza? Ecco, allora, che dallo sbalordimento passiamo all’indignazione e mettiamo mano a ogni difesa possibile. Ci arrocchiamo dentro le nostre mura, chiamiamo a raccolta sugli spalti dei nostri castelli in rovina, sulle soglie delle nostre catapecchie, tutta la forza del diritto, mettiamo in piedi l’usbergo della proprietà che quell’insistenza non può certo minacciare, seriamente parlando, ma su cui getta una lunga ombra foriera di future possibili richieste più pressanti.

E dietro le difese che ben conosciamo, da noi stessi per tempo messe in piedi e opportunamente foraggiate, dietro queste difese in divisa e a torso nudo ben visibili nelle loro muscolature vergognose e abiette, dietro queste oscenità che offenderebbero la sensibilità di un tronco d’albero, cominciamo a tremare. L’indignazione ha lasciato il posto alla paura vera e propria.

Ora, questo sentimento, di regola, se lasciato a se stesso, ingigantisce le ombre, dà corpo alle immaginazioni, gonfia i refoli e li fa diventare tempeste. La paura può essere riportata alla sua fonte originaria con la riflessione critica e il ragionamento, con la documentazione e una sufficiente apertura degli occhi. Per fare questo occorre però avere il cuore saldo e le mani pronte a colpire. Occorre lottare. Ecco il punto. Vincere la paura lo si può con la lotta contro chi la paura alimenta, contro tutte le chiacchiere ideologiche e tutte le mistificazioni messe in atto dalla visione politica delle cose. Che vuol dire “visione politica”? Non ci riferiamo all’interpretazione della realtà che viene bellamente fornita da dritta e da manca, secondo i gusti, tanto si equivalgono tutti, ma ci riferiamo a ogni interpretazione della realtà che pretende di mettere al primo posto i nostri personali interessi. Se riflettete un momento vi accorgerete che non sono soltanto gli uomini politici a “fare politica”, ma la facciamo tutti quando ottusamente ci chiudiamo in noi stessi, come fanno, per l’appunto, i cultori dei cosiddetti interessi comuni, che poi sono quelli del piccolo gruppo, o clan o possessori di beni specifici, che dicono di rappresentare. Se, per paura, ci chiudiamo in noi stessi, nel nostro mondo privato, se questo mondo lo eleggiamo a unica frontiera da difendere a qualsiasi costo, se in cima a questo muro issiamo la bandiera delle chiacchiere ideologiche, siano di destra o di sinistra, rivoluzionarie o reazionarie, siamo proprio noi i veri “uomini politici”, anzi siamo noi, in questo caso, i peggiori e i più feroci che esistano sul mercato. Da questo elenco, egregi signori, gli anarchici non vengono per niente esclusi. Anzi.

Ed eccoci allora sugli spalti, armati di tutto punto, a difendere la nostra cieca ottusità. E questa difesa avrà tutti, o quasi tutti, dalla nostra parte, tranne qualche crocerossina e qualche pallido reduce di battaglie radicali, oppure qualche anarchico tardo-pacifista che sta rileggendosi Tolstoj visto che di agire, per il momento (si fa per dire), non se ne parla. E avremo buon gioco perché di fronte a noi ci saranno poche decine di migliaia di vecchi, donne, bambini e uomini stanchi di combattere, avremo cioè i resti di una umanità in fuga dissanguata dalle guerre, dai genocidi, dagli inseguimenti, dalle bombe, dagli incendi, dai massacri sistematici casa per casa, dagli stupri e da tutto quello di osceno e di orrido l’uomo si è inventato da quando è sceso dall’albero. Allora saremo contenti quando avremo preso questa umanità dolorante e spaurita e l’avremo incasellata nei nostri modelli di giudizio, li avremo catturati e incarcerati, li avremo snaturati e fatti diventare europei di seconda categoria.

Ma non possiamo seriamente pensare di dormire sogni sereni per questa operazione di tamponamento. Quello che abbiamo adesso davanti, e che voci allarmate chiamano “invasione”, non è altro che una piccolissima parte di quello che potrebbe presentarsi alle porte dei nostri castelli ultrafortificati. Riflettiamo, per il momento, sul fatto tutt’altro che improbabile dell’avvicinarsi di un esercito non di decine di migliaia ma di milioni. Purtroppo l’aggiunta di uno o due zeri alle cifre che continuamente leggiamo sui giornali non lascia le cose come stanno. La nostra struttura sociale, considerando in questa formula grossolana l’intera Europa oggi interessata alla pressione dei migranti, non potrebbe reggere all’urto di milioni di persone in arrivo. Non occorre perché si verifichi un collasso l’ipotesi di decine di milioni ma basta un arrivo in massa di quattro o cinque milioni. Non si tratterebbe, in questo caso, di alzare muri o di votare leggi più o meno permissive o liberticide. Sarebbe il crollo di una concezione sociale che non può tollerare l’eventualità di massacrare sulle nostre coste due o tre milioni di persone per accettarne un paio di milioni. Non siamo preparati a una eventualità del genere.

Nessuno è in grado di prevedere quello che occorrerà fare. Quando questi benefattori dell’umanità arriveranno alle porte, alle porte della nostra cosiddetta civiltà, e metteranno mano a distruggerla, che cosa penseranno di fare i rivoluzionari che da sempre si sono riempiti la bocca di parole dedicandosi a piccole punzecchiature sul corpo della balena governante? Concorreranno anche loro alla più che benvenuta distruzione, impedendo per quanto possibile la ricostituzione di un nuovo potere col segno cambiato e con qualche bandiera di colore sconosciuto sulle più alte rovine del tempio magnifico della cristianità ormai tramontata?

Chi può saperlo?

AMB
marzo 2017