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Il 12 maggio si è tenuta l'ultima udienza del processo di primo grado per i fatti del 15 ottobre 2011 a Roma. Fu una giornata di lotta in cui la rabbia e l'insofferenza, a lungo trattenute, sfociarono in numerose azioni di attacco contro luoghi rappresentativi dello sfruttamento e dell'oppressione e che ebbe il suo culmine negli scontri di piazza S. Giovanni.

Eravamo in tanti/e a vivere quella giornata di rivolta, oggi alcuni di noi rischiano di pagarne le conseguenze.

Come abbiamo già visto per il processo di Genova l'accusa di devastazione e saccheggio è lo strumento attraverso il quale il potere attua la sua vendetta: colpendo alcuni/e vuole intimorirne molti.

Le condanne sono pesanti, da 4 mesi fino a 9 anni (distribuite tra 15 imputati, due sono stati assolti). Inoltre, ministeri (Ministero degli Interni, Ministero della Difesa, Ministero dell'Economia), banche (Banca Popolare del Lazio), Comune di Roma e aziende municipalizzate (ATAC e AMA), hanno ottenuto ingenti risarcimenti in qualità di parti civili danneggiate.

La beffa, oltre che il danno, dal momento che proprio questi sono tra i soggetti che ogni giorno devastano e saccheggiano le vite di milioni di uomini e donne.

 

La magistratura si è accanita contro chi ha espresso una rottura della pacificazione sociale  indicativa di una tensione reale che al potere fa paura, una tensione che ci auguriamo si ripeta con sempre maggiore frequenza ed estensione.

Rivoltarsi è l'unico modo possibile per cambiare l'ordine delle cose, continuare ad attaccare è la prima forma di solidarietà verso i compagni colpiti dalla repressione.

 

La stessa rabbia e determinazione esplose a Roma le abbiamo vissute nelle manifestazioni del 24 gennaio a Cremona e del 1° maggio a Milano.

Nella loro specificità si è trattato, in tutti i casi, di momenti di conflitto condivisi e partecipati da molti/e, rispetto ai quali il potere ha risposto con gli stessi strumenti repressivi.

Proprio l'uso strumentale del reato di “devastazione e saccheggio” denota la natura politica di questi processi a cui viene però attribuita in maniera formale, da parte dello Stato, una funzione puramente tecnico giuridica. La repressione ha tentato di azzittire gli accusati, di dividerli, di isolarli, di privarli della solidarietà.

 

Vogliamo rompere questi meccanismi, essere vicini ai nostri compagni, difenderli, rivendicare con fierezza le ragioni per cui abbiamo lottato.

Vogliamo unire gli sforzi dei/delle solidali per costituire quella forza in grado di rispondere all'attacco.

Questa sentenza non pone fine a niente, né alla lotta né alla solidarietà: facciamo appello a tutte e tutti a partecipare alle prossime udienze dei processi di Milano e Cremona, e a dare il loro contributo in ogni modo e luogo ritengano necessario e utile.

 

Il silenzio è complicità, la rassegnazione è morte!

Solidarietà a tutti i compagni colpiti dalla repressione.

Libertà per tutti e tutte.

10-100-1000 15 OTTOBRE!

 

Prossimi appuntamenti processuali:

14 GIUGNO MILANO

7 LUGLIO CREMONA

 

LE COMPAGNE E I COMPAGNI RIUNITISI IN ASSEMBLEA  A ROMA IL 12/05/2016

Lunedì 9 maggio. Molti compagni davanti al tribunale di Bolzano.
Ore 14:00 Stanno finendo di convalidare gli arresti di sabri e miriam,poi ci sarà il processo in direttissima per tutti e sei insieme, il capo di imputazione è solo resistenza e la misura cautelare richiesta è il divieto di dimora in provincia di Bolzano, probabilmente questa sera dovrebbero essere tutti liberi!

ore 16:00 Richiesta spropositata da parte del PM:
2 anni e 6 mesi per tutti tranne che per Sabri, per lei 2 anni e 4 mesi con già lo sconto di pena per il rito abbreviato e per Miriam 2 anni e 2 mesi, tutti senza condizionale.
La sentenza è prevista per le 17.

E' stata emessa la sentenza: 1 anno con condizionale Miriam, 1 anno e 2 mesi Stefano e Cristian con condizionale, 1 anno e 4 mesi con condizionale a Luca, 1 anno e 4 mesi senza condizionale e con divieto di dimora a Bolzano a Sabri e Nemo.

Tutti liberi stasera!

7 MAGGIO: UNA GIORNATA DI LOTTA

Non doveva essere una giornata di testimonianza. Non è stata una giornata di testimonianza.
Ci sono donne e uomini che non vogliono accettare barriere, filo spinato, detenzione amministrativa, immigrati che muoiono in massa alle frontiere di terra o di mare, campi di concentramento. All'interno di una giornata di lotta internazionale – con cortei in diversi paesi e varie iniziative anche in Italia, di cui cercheremo di fare un resoconto – al Brennero varie centinaia di compagne e compagni si sono battuti. Difficile immaginare un contesto più sfavorevole di un paesino di frontiera con una sola via di accesso. Quelle e quelli che sono venuti lo hanno fatto col cuore, consapevoli che nella battaglia contro l'Europa concentrazionaria che gli Stati stanno costruendo – di cui il confine italo-austriaco è un piccolo pezzo, il più vicino a noi – si paga un prezzo. L'aspetto più prezioso sta proprio qui: nel coraggio come dimensione dello spirito, non come fatto banalmente “muscolare”.
Siamo fieri e fiere di aver avuto a fianco donne e uomini generosi, con un ideale per cui battersi.
In tutte le presentazioni della giornata del 7 maggio – e sono state tante – siamo sempre stati chiari: se ci saranno le barriere, cercheremo di attaccarle, altrimenti cercheremo di bloccare le vie di comunicazione, a dimostrazione che il punto per lorsignori non è solo erigere muri, ma gestirli; sarà una giornata difficile.
Lo scopo della manifestazione era bloccare ferrovia e autostrada. Così è stato. Va da sé che se tra una manifestazione combattiva e il suo obiettivo si mette quella frontiera costituita da carabinieri e polizia, il risultato sono gli scontri.
Siamo riusciti a salire al Brennero senza aver chiesto il permesso a nessuno perché lo abbiamo fatto collettivamente, in treno e con una lunga carovana di auto. Abbiamo preso – senza pagarlo – un treno Obb, società ferroviaria responsabile di controlli al viso e di respingimenti. Per gli altri, solo la determinazione a reagire con prontezza ha distolto gli sbirri dai controlli all'uscita dell'autostrada. Le auto che non erano nella carovana sono state purtroppo fermate e i compagni a bordo non hanno potuto raggiungere il Brennero.
Quella di sabato è stata una manifestazione contro le frontiere anche nel senso che erano presenti tanti compagni austriaci.
Non sono certo mancati limiti organizzativi e di comunicazione. Tutt'altro. Ma questa è una discussione tra compagne e compagni.
Ci rivendichiamo a testa alta lo spirito del 7 maggio, con la testarda volontà di continuare a lottare contro le frontiere e il loro mondo.
La solidarietà nei confronti dei compagni arrestati, che ora sono di nuovo con noi, è stata calorosa. Nel carcere di Bolzano, i cui detenuti hanno risposto con entusiasmo al presidio di solidarietà, i quattro compagni sono stati accolti come fratelli.
Ciò per cui ci scandalizziamo rivela sempre chi siamo.
Per noi l'orologio danneggiato della stazione del Brennero ha questo significato: che si fermi il tempo della sottomissione.

Abbattere le frontiere

liberisubito

 

fonte: zic.it

Fermati e rilasciati dopo diverse ore due attivisti No border che erano partiti ieri da Bologna per partecipare alla manifestazione al valico del Brennero. In centinaia erano giunti al confine tra l’Italia e l’Austria per protestare contro la chiusura dei confini in Europa. Duri gli scontri tra la polizia di confine e i manifestanti. A fine giornata si apprende la notizia dell’arresto di cinque persone e del fermo di altri diciotto manifestanti. Contro il corteo determinato che provava ad attraversare la frontiera la polizia non ha risparmiato l’uso di manganelli ed un fitto lancio di lacrimogeni.

Di rientro dalla giornata al Brennero, in serata, al grido di “Tout le monde déteste la police”, un corteo selvaggio ha attraversato le strade della Bolognina per chiedere l’immediato rilascio degli attivisti arrestati durante il corteo della mattina. Al passaggio dei manifestanti alcuni cassonetti della spazzatura di via Matteotti sono stati ribaltati e alcune transenne sono state divelte provocando qualche disagio al traffico cittadino.

Anche nel pomeriggio di domenica le azioni di solidarietà sono proseguite con un breve presidio in piazza Maggiore. Subito dopo in una cinquantina hanno attraversato via Ugo Bassi dove si sono fermati davanti il consolato d’Austria per chiedere ancora una volta libertà per gli arrestati del giorno prima al Brennero. Gli stessi attivisti No border hanno poi proseguito fino in via del Pratello, presidiata da tre blindati della polizia e forze dell’ordine in assetto anti sommossa.

Così un comunicato rilasciato oggi a firma di alcuni “Solidali e compagn* di Bologna” in solidarietà agli arrestati: “C’è una parte del mondo incredibilmente ricca, ed una che l’ha resa tale. A suon di guerra, colonialismo, accordi con dittatori, il ‘Nord’ ha preso risorse e lavoratori da sfruttare. Ma questo benessere che è solo per pochi e non per tutti/e: anche in Europa, c’è uno spazio sempre più ampio fra chi opprime e chi è oppresso, e in entrambe le classi ci sono sia nativi che migranti. Per questo gli Stati sostengono la propaganda razzista e tengono nel ricatto del permesso di soggiorno chi arriva da altri paesi: per poterli ricattare e sfruttare, dirottandogli contro l’odio che meriterebbero i padroni, provocando una guerra tra poveri. Un esempio di questa politica è quello delle barriere e dei muri che si stanno costruendo in luoghi di passaggio. In questo caso, è l’Austria a finanziare la prima barriera visibile a tutti nel ‘cuore’ dell’Unione Europea, la prima al suo interno. Per questo ieri, sabato 7 maggio, un corteo si è mosso dalla stazione di Brennero, per sottolineare cosa significhi la proposta austriaca, per non dimenticare le tante frontiere che già isolano l’Europa per terra e per mare. Sappiamo bene da che parte stare: con i/le cinque compagni/e attualmente in stato di arresto. Al grido di ‘Abbattere le frontiere’ si voleva ribadire che non siamo disposti ad accettare nessun tipo di confine, né fisico né mentale. L’unica libertà di movimento accettata è quella delle merci e dei capitali, unico motivo per cui l’Europa ha minacciato ripercussioni per l’eventuale creazione di un materiale confine interno”.

 Da nobordersard.wordpress.com

ABBATTERE OGNI FRONTIERA - Solidarietà con i compagni e le compagne arrestati al Brennero

Il filo spinato di una base militare non è diverso da quello che si trova lungo una frontiera.

Tagliare le reti di un poligono significa dimostrare che i limiti imposti dagli stati sono valicabili. Lottare per distruggere le frontiere assume la stessa valenza.

I confini diventano barriere che vengono innalzate per impedire l'accesso a chi è ritenuto scomodo, un problema da risolvere con burocrazia e manganelli, frontiere e CIE, hot spot e galere.

L'obiettivo del corteo del 7 maggio al Brennero è stato chiaro, dimostrare con determinazione di voler abbattere le frontiere e prendere una posizione netta scegliendo da che parte stare: quella degli sfruttati, contro ogni sfruttatore.

La risposta della repressione non si è lasciata attendere: cariche ripetute, lacrimogeni e manganellate hanno lasciato il segno ma non hanno impedito che per alcune ore la ferrovia e l'autostrada fossero bloccate.

Il prezzo da pagare è stato alto: oltre le contusioni e le ferite, infatti, 4 compagni e 2 compagne sono stat* arrestat*.

Gli sbirri si sono rivelati per quello che sono, l'ennesima frontiera posta ad ostacolo alla libertà, una frontiera prezzolata e sostenuta dagli Stati che nella giornata di ieri ha dimostrato la sua ferocia.

Per questo ci sentiamo complici con chi lotta per rendere valicabili questi limiti, con chi il 7 maggio ha espresso fermamente la propria volontà di abbattere le frontiere. Tutta la nostra solidarietà va ai/alle compagni/e arrestati/e.

Contro ogni frontiera, contro ogni limite invalicabile, per la libertà.

SOLIDARIETA' CON SABRINA, MIRIAM, STEFANO, CRI, LUCA, NEMO

TUTTE LIBERE, TUTTI LIBERI

Alcuni antimilitaristi sardi

 

NON SEMPRE LA FORTUNA AIUTA GLI AUDACI

Solidarietà e complicità con i compagn* arrestati al Brennero.

Scenari apocalittici di un futuro fascista, le destre prendono piede in Europa, muri che si alzano e confini che si chiudono, deportazioni e campi di detenzione.

I gerarchi del capitalismo globale sono disposti a chiudere il valico del Brennero pur di fermare il transito agli esseri umani. Le persone devono essere fermate anche a costo di contraddire gli stessi principi costitutivi della UE, scricchiolante di fronte alla prima ondata migratoria.

Sapevamo bene cosa stavamo andando a fare il 7 maggio al corteo “Abbattere le frontiere al Brennero e ovunque”, sapevamo bene cosa volesse dire sfilare in un corteo non autorizzato attraverso un valico largo 370 metri da montagna a montagna. Sapevamo che la geografia del luogo era tutta a nostro sfavore.

Sapevamo tutto questo ma sapevamo anche che se un domani, in un futuro fatto di reti, fili spinati e muri, qualcuno ci chiederà “Quando costruivano l`ennesimo muro in Europa tu dov’ eri?`”, noi potremo dire di essere stati la` per provare ad abbatterlo, scagliando la prima pietra, in continuità con i percorsi di solidarietà e lotta con i migranti attivati a Monza e il supporto alle mobilitazioni e pratiche NoBorder, da Ventimiglia a Calais.

Doveva essere una giornata di lotta e così e` stato. C`e` voluto coraggio, ma non sempre la fortuna aiuta gli audaci. Svariati fermi si sono tramutati in sei arresti: due compagne e quattro compagni, dopo una lunga permanenza nella questura del Brennero, si trovano ora in carcere.

Uno di loro e` il nostro compagno, amico e fratello Cristian “Sicho” a cui va tutta la nostra totale complicità e solidarietà, iniziata già sabato stesso all’immediata notizia del fermo con un corteo spontaneo per le strade di Monza.

Domenica diversi striscioni sono apparsi nella curva del Masnada e nel concerto della scena hardcore di cui Sicho fa parte. A Bolzano un saluto al carcere ha portato il nostro calore dentro quelle mura dimostrando agli arrestati che non saranno mai soli.

Oggi stesso al tribunale di Bolzano si tiene l`udienza per direttissima per le misure cautelari e un presidio è chiamato lì davanti dalle 9 di mattina.

La solidarietà è solo all’inizio, abbiamo il fiato lungo.

SICHO, SABRINA, MIRIAM, NEMO, STEFANO, LUCA LIBERI SUBITO!

ABBATTERE OGNI FRONTIERA!

DELLE GALERE SOLO MACERIE!

Foa Boccaccio 003

CordaTesa

Tarantula

PORTARE LA GUERRA A CASA

"In tutto il mondo coloro che si battono contro l’imperialismo americano guardano alla gioventù d’America e attendono che essa sfrutti la sua posizione strategica dietro le linee del nemico e unisca le proprie forze per la distruzione dell’impero.

I neri hanno combattuto da soli per anni. Sapevamo che il nostro compito era di guidare i ragazzi bianchi alla rivoluzione armata. Non è mai stata nostra intenzione trascorrere i nostri prossimi cinque o venticinque anni in galera. Da quando l’SDS è diventata un’organizzazione rivoluzionaria abbiamo cercato di mostrare come è possibile superare la frustrazione e il senso di impotenza che colpiscono chiunque cerchi di riformare questo sistema. I ragazzi sanno che oggi il gioco è fatto: la rivoluzione investa la vita di tutti noi. Decine di migliaia hanno imparato che proteste e marce sono lettera morta. L’unica strada da seguire è quella della violenza rivoluzionaria.

Noi oggi stiamo adattando la strategia classica della guerriglia Vietcong e la strategia della guerriglia urbana dei Tupamaros alla nostra situazione qui, nel paese tecnologicamente più avanzato del mondo.

Il Che ci ha insegnato che "i rivoluzionari si muovono come il pesce nell’acqua". L’alienazione e il disprezzo che i giovani provano per questo paese hanno creato l’oceano per la rivoluzione.

Le centinaia, e poi le migliaia di giovani che manifestarono negli anni Sessanta contro la guerra e per i diritti civili sono diventati le centinaia di migliaia che in queste ultime settimane si sono battuti contro l’invasione della Cambogia ordinata da Nixon e il tentativo di genocidio contro i neri. La follia della ‘giustizia’ americana ha aggiunto alla lista delle sue atrocità l’uccisione di sei neri ad Augusta, di altri neri a Jackson e di quattro studenti bianchi della Kent State University, trasformando migliaia di altri giovani in rivoluzionari.

I genitori dei ragazzi ‘privilegiati’ hanno continuato a dire che per noi la rivoluzione era un gioco. Ma la guerra e il razzismo ci mostrano che questa società è definitivamente marcia. Noi non vivremo mai pacificamente sotto questo sistema.

Questo si è dimostrato totalmente vero per i tre che sono morti nell’esplosione di New York. La terza persona che vi è rimasta uccisa era Terry Robbins, che guidò la prima ribellione alla Kent State meno di due anni fa.

I dodici Weathermen incriminati per aver diretto gli scontri dello scorso ottobre a Chicago non hanno mai lasciato il paese. Terry è morto, Linda [Evans] è stata catturata da un informatore dei porci, ma il resto di noi va e viene liberamente in ogni città, dovunque esistono liberi aggregati di giovani in questo paese. Non ci nascondiamo, ma siamo invisibili.

Ci sono parecchie centinaia di Weathermen nella clandestinità, e alcuni di noi rischiano più anni di galera di tutti i cinquantamila disertori e i renitenti alla leva che si trovano in questo momento in Canada. Parecchi di loro stanno già rientrando per unirsi a noi nella clandestinità o per ritornare nell’esercito dell’avversario e unirsi a coloro che vi sono sempre rimasti, e scatenarvi il caos.

Combattiamo in molti modi. L’‘erba’ è una delle nostre armi. Le leggi contro la marijuana fanno di noi dei fuorilegge prima ancora che rompiamo definitivamente con il sistema. Il fucile e l’‘erba’ sono uniti nel movimento giovanile clandestino.

I freaks sono rivoluzionari e i rivoluzionari sono freaks. Se ci volete trovare, ecco dove siamo: in ogni tribù, comune, dormitorio studentesco, fattoria, baracca dell’esercito e appartamento dove i ragazzi fanno l’amore, fumano ‘erba’ e caricano le pistole – in tutti questi posti i fuggiaschi dell’America possono liberamente andare.

Per Diana Oughton, Ted Gold e Terry Robbins una cosa era ormai chiara da tempo, ed è chiara per tutti i rivoluzionari che sono ancora in movimento: non torneremo mai indietro.

Nelle prossime due settimane attaccheremo un simbolo o un’istituzione dell’ingiustizia americana. E’ in questo modo che celebreremo l’esempio di Eldrige Cleaver e di H. Rap Brown e di tutti i rivoluzionari neri che per primi ci ispirarono lottando dietro le linee del nemico per la liberazione del loro popolo.

Essi non combatteranno mai più soli.

21 maggio 1970"

Questo è il primo comunicato dei Weathermen in clandestinità (cioè dei Weather Underground). Il 9 giugno 1970, la centrale della polizia di New York viene fatta saltare in aria. Il gioco è cominciato.

 

Ma da dove provengono i Weathermen?

Nel 1960 nasce l’organizzazione Studenti per una Società Democratica (Students for a Democratic Society, SDS). Si tratta di un’associazione liberal (cioè riformista) di studenti bianchi attivi soprattutto contro la povertà e il razzismo, i due aspetti più visibili (e più ‘emotivi’) del capitalismo americano. Le loro azioni dirette per i diritti civili maturano durante le lotte di autodeterminazione dei neri. La feroce repressione contro questi ultimi e poi, a partire dal 1965, i bombardamenti nel nord del Vietnam mettono sempre più in luce i limiti dell’azione legale, spingendo molti giovani bianchi a radicalizzarsi. La nascita del Black Panther Party e l’entrata nell’SDS del Progressive Labor, un partito "marxista-leninista-maoista", trasformano l’organizzazione studentesca in un vasto movimento rivoluzionario. Soprattutto per il linguaggio usato dalle Pantere nere, molti giovani bianchi pensano che essere rivoluzionari significhi essere marxisti-leninisti, o per lo meno mimarne i concetti. Nel ’69 il Progressive Labor viene espulso, soprattutto per le pressioni delle Pantere Nere che non ne tollerano le posizioni (circa il ruolo centrale della classe operaia e, soprattutto, circa il carattere reazionario di ogni lotta di liberazione nazionale, compresa quella dei neri). E’ contro il PL che si forma, all’interno dell’SDS, la tendenza dei Weathermen, i quali prendono il nome da un verso di una canzone di Bob Dylan: "Non c’è bisogno di un metereologo [weatherman, appunto] per sapere da che parte tira il vento". I Weathermen, che si pongono lo scopo di organizzare la gioventù rivoluzionaria della classe oppressa, si assicurano la direzione dell’SDS. La loro ideologia è un miscuglio assai disinvolto (e inconcepibile per un marxista-leninista europeo). Vediamone i tratti principali. Sulla base delle tesi dell’ultimo Malcom X, i neri vengono considerati una colonia interna dell’imperialismo americano, una nazione oppressa. La loro liberazione nazionale, come quella dei popoli del cosiddetto Terzo Mondo, viene interpretata come antimperialista e anticapitalista allo stesso tempo. Sono questi popoli l’avanguardia del movimento rivoluzionario a cui i bianchi possono fornire unicamente un appoggio. Se la classe operaia americana è sfruttata, essa gode nondimeno dei vantaggi dell’imperialismo USA. Lo sviluppo tecnologico ha trasformato la stessa natura dello sfruttamento, unendo gli operai e gli studenti sul piano della precarietà e dell’alienazione quotidiana. Si aggiungano a ciò il tema della liberazione femminile e le esigenze nate all’interno della controcultura americana (vita comunitaria, sperimentazione sessuale e libero uso delle droghe, fusione del personale e del politico).

La spinta più forte al movimento viene dalle sommosse dei quartieri neri di Watts (1965), Newark e Detroit (1967), nel corso delle quali lo Stato assassina rispettivamente 30, 27 e 40 proletari neri.

Vista l’inconcludenza delle proteste e delle marce contro la guerra, i Weathermen decidono di organizzare, per l’ottobre del 1969, un incontro a Chicago all’insegna del loro slogan "Portiamo la guerra a casa!". Quelli che passeranno alla storia come i "giorni della rabbia" sono una sommossa scatenata contro le proprietà dei ricchi nel centro di Chicago. Nonostante si raduni solo qualche centinaio di giovani – invece delle migliaia attese dai promotori –, gli studenti bianchi, suddivisi su basi regionali e organizzati in piccoli gruppi di affinità, sfasciano tutto e si scontrano con centinaia di poliziotti allibiti.

In seguito ai mandati di cattura spiccati contro alcuni Weathermen, e visto il contesto di repressione crescente che rende difficile conciliare l’attività pubblica con quella nascosta, il gruppo decide di passare alla clandestinità. Prima però un tragico evento ne segna la storia. Nel marzo del ’70, tre di loro – Ted Gold, Diana Oughton e Terry Robbins – saltano in aria mentre preparano una bomba in un appartamento del Greenwich Village, a New York. Il contraccolpo è pesante Ne segue una dolorosa analisi sui metodi e sulle prospettive. I Weathermen decidono di attaccare le strutture del dominio senza colpire le persone (ed è quello che riusciranno a fare nelle decine di azioni dinamitarde che realizzeranno).

I loro comunicati ne riflettono bene la mentalità e lo stesso linguaggio (incomparabilmente più vivace del triste gergo marxista-leninista delle organizzazioni combattenti europee) esprime un movimento assai multiforme, non riducibile all’antimperialismo. I riferimenti alla vita quotidiana (l’‘erba’, le comuni), le espressioni mutuate dalle Pantere Nere ("fratelli e sorelle", "Amerika", i "porci" per indicare i padroni e gli sbirri), da un lato, e i riferimenti a Ho Chi Min e a Fidel Castro, dall’altro, ne indicano rispettivamente le aperture e le rigidità, le esigenze di vita e le illusioni ideologiche, la rivolta totale e l’autoritarismo.

Ora è importante chiarire il contesto di conflittualità diffusa in cui matura la scelta dei Weathermen. Basteranno alcuni dati (resi pubblici dallo stesso governo americano). Fra il ’69 e il ’70, negli Stati Uniti i ROTC (i Riserve Officer Tranig Corps, centri di ricerca militare legati all’università) subiscono circa 5000 attacchi. Nel solo ’69, 86 poliziotti vengono uccisi e le forze dell’ordine sono oggetto di circa 33.000 attentati. A questo vanno aggiunte le grandi sommosse nelle carceri, gli arresti di massa (1800 persone solo a metà maggio del ’69), ed azioni come la totale distruzione dello stabilimento della compagnia petrolifera Standard Oil, l’abbattimento di un elicottero della polizia a Tucson e i numerosi sabotaggi nelle industrie belliche (la classe operaia è molto meno sottomessa di quanto non pensino i Weathermen…); e poi le decine di migliaia di disertori, gli attentati contro gli ufficiali da parte della truppa in Vietnam. Insomma, la "guerra a casa" non è soltanto un auspicio dei "metereologi", ma anche una realtà sociale. E’ un continuo fiorire di gruppi armati dai nomi fantasiosi (come le New Year’s Gang o i Motherfuckers) e di attacchi anonimi. E, contemporaneamente, costanti sono le esecuzioni di rivoluzionari neri, le torture e le brutalità poliziesche pianificate in un disegno di controspionaggio (il famigerato Cointelpro) dell’FBI.

La parabola dei Weathermen segue l’ascesa e il riflusso di questo movimento. A metà degli anni Settanta, l’organizzazione entra in crisi. Nel giro di qualche anno, alcuni si costituiranno (ma, in base alle numerose illegalità commesse dall’FBI per incastrali, usciranno dopo qualche mese dal carcere), altri raggiungeranno nuove organizzazioni rivoluzionarie (Marilyn Buck e Laura Withehorn, ad esempio, entreranno nella Revolutionary Armed Task Force, lo stesso gruppo di cui faceva parte Silvia Baraldini). Qualcuno oggi è professore universitario, qualcun altro, come David Gilbert, è ancora in carcere, condannato all’ergastolo per una sparatoria durante una rapina di autofinanziamento, sempre determinato nel rivendicare il proprio percorso. Una vicenda conclusa, direbbero gli storici.

Perché allora parlare dei Weathermen oggi, perché proiettare il film "The Weather Underground"?

Non certo per il loro modello organizzativo fortemente gerarchico, né per i loro tratti profondamente gauchistes (alla fine di Prateria in fiamme, il loro documento ideologico-politico del ’74, ad esempio, affermano che bisognerebbe… incarcerare Nixon, dopo aver elencato mille ragioni per abbattere il governo degli Stati Uniti!). Quello che ci sembra attuale, dolorosamente attuale, è il loro "Portiamo la guerra a casa". Dopo i 180 milioni di persone scesi in piazza in tutto il mondo contro la guerra in Iraq; dopo le proteste, le marce, le fiaccolate; dopo le petizioni, gli appelli, i digiuni, il genocidio della popolazione irachena continua. Dopo tanta retorica sulla Resistenza, gli arabi insorti contro le truppe del capitale mondiale sono disperatamente soli, sempre più aspirati nel vortice integralista.

Forse non esistono anche in Italia le compagnie petrolifere, le industrie belliche, i finanziatori dell’esercito, i centri di ricerca militare legati alle università? E’ accettabile una "nonviolenza" che trasforma la frase "Stop the war" in un vuoto slogan e noi in semplici spettatori di un massacro? E’ forse troppo vecchia e ingenua, per milioni di dannati della Terra, l’affermazione "I ricchi, ecco i nemici", scritta e urlata durante i giorni della rabbia di Chicago?

"Non abbiamo scuse – hanno scritto di recente alcuni compagni –; qualcuno un giorno di fronte alle guerre, ai genocidi del nostro tempo dirà: come potevamo non sapere? In fondo bastava cliccare". E una volta venuti a conoscenza, cosa facciamo?

Fuori da ogni intento incensatorio o banalmente apologetico, riflettere sull’opposizione pratica alla guerra del Vietnam e sull’esperienza dei Weathermen è un buon modo per capire la distanza che ci separa dalle rivolte di quegli anni; e anche la strada che ci resta da percorrere.

 

Breve cronologia delle azioni dei Weather Underground

27 luglio 1970. Attacco esplosivo contro una filiale della Banca d’America.

15 settembre 1970. I Weather fanno evadere dal carcere Timothy Leary, il ‘padre dell’LSD’.

8 ottobre-fine ottobre 1970. "Offensiva d’autunno". Attacco dinamitardo contro l’edificio del ROTC (centro di ricerca militare) della marina all’università dello Stato di Washington. "La cultura della morte non potrà più usare liberamente le università come basi dell’imperialismo". Firmato: Tribù del quarto della luna. Il gruppo rivendica anche un attacco contro una banca della regione e la distruzione della sede dell’American Legion. Lo stesso giorno un’esplosione devasta l’armeria della Guardia Nazionale di Santa Barbara (California). Firmato: Società del giardinaggio casalingo del Perfect Park. Sempre l’8 ottobre, salta in aria l’aula del tribunale della contea di Marin (California), dove qualche mese prima Jonathan Jackson aveva cercato di liberare dei detenuti neri durante il loro processo. "Dedichiamo questa azione ai prigionieri delle carceri di San Quentin, di Soledad e di New York … e a tutti i prigionieri di guerra neri …". Firmato: Weather Underground. Gli stessi rivendicano la distruzione della sezione penale del tribunale di Long Island, sempre in solidarietà con i prigionieri in rivolta. Il 15 ottobre una bomba esplode contro il Center for International Affairs di Harvard. Firmato: Tribù dell’aquila superba, un gruppo di donne rivoluzionarie. Un’altra bomba esplode nell’istituto di ricerca della Standford University, "addetto alla ricerca e preparazione di defolianti chimici da usarsi non solo in Vietnam ma in tutta l’Asia, in Africa e in America Latina". Firmato: Cospirazione comunista internazionale della contea di Orange. Il 30 ottobre due bombe esplodono contro il centro della riserva miliare a Jamaica e all’armeria della marina a Whitestone in solidarietà con la rivolta in Porto Rico. Firmato: Tribù della volpe sorridente.

4 febbraio 1971. Una bomba scoppia al Campidoglio di Washington, nei locali adiacenti gli uffici senatoriali. "… I B-52 sganciano ogni due giorni sul Laos una quantità di bombe equivalenti all’esplosione di Hiroshima. Abbiamo attaccato il Campidoglio perché esso è in tutto il mondo, con la Casa Bianca e il Pentagono, il simbolo del governo che sta assalendo l’Indocina …". Firmato: Weather Underground.

27 agosto 1971. Attacco dinamitardo dei Weathermen contro gli uffici dell’amministrazione penitenziaria californiana a San Francisco e a Sacramento, in risposta all’assassinio in carcere del rivoluzionario nero George Jackson e in solidarietà con le rivolte dei prigionieri di San Quentin. "… Noi consideriamo le nostre azioni semplicemente come una prima risposta di amore e di rispetto per Gorge Jackson e per i guerrieri di San Quentin …".

9-13 settembre 1971. In appoggio a una furiosa sommossa nella prigione di Attica (New York), i Weathermen fanno esplodere una bomba negli uffici dell’amministrazione carceraria di New York.

19 maggio 1972. I Weathermen attaccano un’ala del Pentagono contro la guerra in Vietnam nell’ottantaduesimo anniversario della nascita di Ho Chi Min.

18 maggio 1973. Attacco dei WU contro una centrale di polizia di New York in risposta all’assassinio di un ragazzino nero di dieci anni.

28 settembre 1973. I Weathermen attaccano la sede centrale dell’ITT dopo il golpe fascista in Cile.

6 marzo 1974. I WU attaccano il dipartimento centrale di Assistenza, Educazione e Sanità di San Francisco contro la sterilizzazione delle donne povere.

31 maggio 1974. I WU attaccano l’ufficio del procuratore generale della California in risposta all’assassinio di 6 membri dell’Esercito Simbionese di Liberazione.

17 giugno 1974. Bomba dei WU contro il quartier generale della Gulf Oil’s Pittsburgh per protesta contro le sue responsabilità in Angola.

28 gennaio 1975. Attacco al dipartimento di Stato contro la recrudescenza dei bombardamenti in Vietnam.

16 giugno 1975. Bomba contro il Banco de Ponce di New York in solidarietà con la lotta dei lavoratori di Porto Rico.

 

In italiano è possibile leggere:

Weathermen, Prateria in fiamme, edito nel 1977 dal Collettivo Librirossi e ristampato da Calusca City Lights, Archivio Moroni e Cox 18, Milano, 2004;

Weathermen. I fuorilegge d’America, a cura di Harold Jacobs (ed. italiana a cura di Sandro Sarti), Feltrinelli, Milano, 1973. In questo libro sono contenuti quasi tutti i comunicati dalla clandestinità.

alcuni anarchici

Fonte: http://guerrasociale.altervista.org/weathermen.htm

Manifestazioni selvagge, banche sfondate, barricate nelle strade, stazioni di polizia attaccate…. nelle ultime settimane né gli enormi dispositivi di polizia — con i loro gas, i loro manganelli e i loro proiettili di gomma — né le organizzazioni politiche di sinistra ed i sindacati con i loro servizi d’ordine, sono riusciti a controllare la rabbia e la gioia di migliaia di ribelli. A Parigi come a Nantes, Rennes, Tolosa e in molte altre città in Francia, abbiamo finalmente assaporato alcuni momenti di libertà. In questa epoca buia di guerre, terrore, miseria economica, nazionalismi e religione, in quest'epoca in cui ci vorrebbero tutti in riga o in ginocchio, solo il fuoco della rivolta può riaccendere nei nostri cuori qualche speranza di rottura radicale con l'esistente.
La «Loi Travail», ennesima misura per intensificare lo sfruttamento, ennesimo attacco dei padroni e del governo contro gli interessi dei lavoratori, è solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Nei discorsi come nelle pratiche, la questione di questa legge è stata di gran lunga superata da tutti coloro che rifiutano di negoziare con il potere la lunghezza delle proprie catene. L'eventuale ritiro di questa legge non rappresenterà nessuna vittoria se avrà come effetto la fine delle ostilità, il ritorno alla normalità.
Perché se c'è qualcosa da combattere è proprio questa «normalità»: la normalità di un padrone che vive sulle tue spalle, che si arricchisce con il tuo sudore, che ti umilia; la normalità di un mondo in cui la stessa possibilità di esistere è determinata dalla quantità di denaro che si ha in tasca, un mondo in cui milioni di esseri umani crepano nella più totale povertà o vivono nella schiavitù; la normalità del controllo e della disciplina delle nostre vite attraverso le scuole, le università, gli orari, le carceri, i manicomi, la burocrazia, le frontiere, le telecamere di sorveglianza...; la normalità degli schemi e dei modelli di vita che ci vengono imposti attraverso lo spettacolo e la televisione, la pubblicità e la merce...
È questa normalità che vogliamo rendere impossibile. Non crediamo alla «grande sera» della rivoluzione, non crediamo che si debba aspettare il giorno in cui il genere umano sarà pronto a vivere in una società perfetta. Noi viviamo qui ed ora, e non abbiamo altra vita che quella che stiamo vivendo. Non si tratta di aspettare che le condizioni siano propizie, di proporre programmi, di attendere che la maggior parte dei «lavoratori», degli «studenti» o dei «senza documenti» diventino rivoluzionari. Rompere con gli schemi di questa normalità significa rompere anche con gli schemi della politica, del consenso, della gestione democratica. Sforzarsi di rendere comprensibili le nostre idee e le nostre azioni non significa relegarsi nell'impotenza, rinunciare ad agire, consultarsi con coloro che vogliono «gestire meglio» questo sistema strutturalmente fondato sull'oppressione e sul dominio. L'attacco al potere non sarà mai consensuale, nemmeno tra gli sfruttati e le vittime del potere. Ma è proprio a partire dall'attacco contro il potere, le sue idee, i suoi modelli, le sue strutture e le sue persone, che noi vogliamo «incontrare le persone», poco importa che siano studenti o lavoratori, disoccupati o precari, con o senza documenti. È a partire da un terreno di ostilità condivisa contro il dominio, contro tutti i domini, che forse potremo un giorno essere in grado di costruire qualcosa di diverso in maniera collettiva. Non siamo una intellighenzia illuminata che vorrebbe sensibilizzare le masse, siamo individui che subiscono la stessa oppressione e che hanno deciso di tradurre la propria rabbia in azione. Se diffondiamo le nostre idee non è per cercare consensi, per guadagnare pedine, ma è perché auspichiamo che gli atti di rivolta e di non-sottomissione si moltiplichino fino a rendere impossibile il normale funzionamento della società.
Purtroppo, anche la rivolta rischia farsi integrare o incanalare dal potere. Nelle ultime settimane ci siamo trovati spesso nelle strade ad affrontare gli sbirri. Siamo sempre là dove ci attendono in forze, a giocare una partita che hanno già scritto per noi, su un terreno che non ci è favorevole. Ne conseguono manifestazioni concertate da sindacati e prefettura, in quartieri borghesi dove la rivolta rischia di essere meno contagiosa. Si accetta la presenza di giornalisti, cameramen e fotografi di tutti i colori, e poi si guardano i video delle sommosse su internet e ci si esalta. Si finisce col parlare la stessa lingua del potere, l'esaltazione virile dello scontro e la spettacolarizzazione della rivolta.Perché non cercare di superare tali limiti? L'intelligenza e l'imprevedibilità possono essere i nostri migliori strumenti. Apparire all'improvviso per attaccare laddove non ci aspettano e poi scomparire rapidamente; bloccare, paralizzare, sabotare le vene dell'economia, le strutture del controllo, i luoghi di lavoro. Uscire dagli schemi classici della protesta, dai suoi luoghi e dai suoi spazi, ecco cosa potrebbe rappresentare un salto di qualità nelle nostre lotte. L'euforia del cosiddetto «movimento sociale» è destinata a morire se quest'ultimo non riesce ad andare fuori dai binari della politica. Ma le conoscenze che si saranno accumulate, le idee che si saranno diffuse, i legami che avremo costruito, sociale», non smetteremo mai di seguire la nostra passione distruttrice, inseguire i nostri sogni di libertà, seminare il caos della rivolta nell'ordine dell'autorità.
[Tout peut basculer,
giornale anarchico pubblicato a Parigi
in occasione del «movimento contro la loi travail», aprile 2016]