Categoria: Informazione
Andre, Tommy e Pippo non sono più ai domiciliari!
Andre, Tommy e Pippo, i tre compagni arrestati il 27 agosto e da allora ai domiciliari, con tutte le restrizioni, accusati di aver incendiato una sede di casa pound dislocata nel parmense, sono da ieri liberi con alcune restrizioni : obbligo di dimora con rientro notturno e la firma giornaliera.
Violenza di genere e femminicidi politici
La violenza di genere ha sempre una valenza politica, dal mio punto di vista, poiché è uno strumento utilizzato per perpetuare il secolare dominio del genere maschile sulle donne. Poco conta se questo uso sia sempre consapevole o sia frutto di una mentalità che inferiorizza le donne fino a renderle proprietà maschile, dunque schiave dell’uomo. È un dato di fatto storicizzabile, da combattere alla radice.
Esiste, poi, un uso politico della violenza di genere e del femminicidio, il cui obiettivo non è ‘solo’ quello di terrorizzare le donne per mantenerle in condizione di schiavitù, ma anche quello di terrorizzare un’intera popolazione. Generalmente questo secondo aspetto va di pari passo con la guerra.
Nella storia se ne possono rintracciare innumerevoli casi; il più recente è quello della guerra che il governo di Erdogan sta portando avanti, con rinnovata ferocia, nei confronti della popolazione kurda.
Ciò che è avvenuto a Colonia e in altre città a capodanno è terribile, senza dubbio. E non deve stupire che la mentalità patriarcale faccia uso anche dei social network per organizzare violenze di massa. O continuiamo a pensare, stupidamente, che il patriarcato abbia a che vedere con il feudalesimo e nulla abbia a che fare con la modernità e le sue tecnologie?
Ricordiamo bene le aggressioni sessuali di gruppo in piazza Tahrir, al Cairo, quando orde di maschi circondavano le donne, le molestavano e le stupravano per ‘punirle’ della libertà che si erano prese scendendo in piazza a protestare. Ma dovremmo anche ricordare bene come, nell’arco di breve tempo, si organizzarono i gruppi di difesa e autodifesa delle donne.
E così anche in India, e in tante altre parti del mondo.
Che oggi le aggressioni sessuali di gruppo – come quelle di Colonia – vengano ridotte ad una questione etnica o culturale, serve solo a coprire un dato di fatto, che noi donne abbiamo, invece, molto chiaro – anche se giornaliste & C. sembrano dimenticarsene molto facilmente quando si tratta di soffiare sul fuoco della xenofobia.
Quale donna non ha avuto a che fare con aggressioni sessuali di branco già dalle elementari, se non da prima?
Cosa c’entra la provenienza etnica, se non per dissimulare un problema molto più profondo che si chiama dominio patriarcale e che viene instillato nei maschi ancor prima che nascano?
Si tratta di un dominio che, pur manifestandosi con declinazioni differenti, nella sostanza non cambia affatto.
Quando ero in Olanda, ad Utrecht, per ragioni di studio, mi si raccontava di come quel paese fosse avanti anni luce, quanto le donne fossero emancipate e quanto illuminati fossero gli olandesi coi loro matrimoni gay e lesbici, col loro antiproibizionismo ecc ecc…
Trovavo poco convincenti queste affermazioni, anche perché sapevo della genderizzazione della popolazione migrante in base alla divisione capitalistica del lavoro: per ottenere il permesso di soggiorno, alle donne immigrate veniva insegnato come diventare delle ‘brave casalinghe olandesi’ – che il lunedì lavano i panni, il martedì stirano, e via dicendo – mentre agli uomini venivano insegnati lavori di basso profilo, per tenerli al fondo della scala sociale e ‘razziale’.
Ma la conferma che l’Olanda non fosse affatto un paese meno machista di altri l’ho avuto durante il Queen’s day, quando, il 30 aprile, l’intera popolazione è in festa per il compleanno della regina (tutto vero!). Si tratta di una giornata in cui si rovesciano le consuetudini quotidiane, più o meno rigidamente mantenute per tutto il resto dell’anno. Una sorta di carnevale, nel senso più alienato del termine; una ‘valvola di sfogo’. I festeggiamenti cominciano la sera del 29 aprile e proseguono per 24 ore – inutile dire che, poi, il primo maggio, tutti/e rientrano docili nei loro ranghi calvinisti, altro che festa del lavoro! – e per tutto quell’arco temporale gli olandesi (e le olandesi!) si scolano ettolitri di alcolici ed è molto frequente incontrare gruppi di maschi alti e biondi, ubriachi marci, che insultano e molestano le donne – soprattutto quelle che non hanno tratti somatici tipicamente nederlandse. Non sto qui a raccontare la serata che io e un’amica spagnola – entrambe basse e scure, quindi visibilmente non-nederlandse – abbiamo trascorso difendendoci da insulti e aggressioni da parte di vari branchi di olandesi, la cui mentalità machista è rafforzata da un’altrettanto forte eredità partiarcal-coloniale.
Tutto questo per dire che è inutile strapparsi i capelli per ciò che è accaduto lo scorso capodanno in alcune città europee, se lo si continua a leggere come una questione meramente etnica. Anche perché serve solo a dimenticarci che in quelle che vengono definite ‘altre culture’ molto spesso le donne lottano con una determinazione da cui noi avremmo soltanto da imparare.
Come le Imperial Ladies furono complici del patriarcato colonialista in nome della propria – presunta – emancipazione da esportare, così l’etnicizzazione della violenza di genere è complice della crescente violenza di genere ‘intra-etnica’ nostrana, e dissimula, buttandolo sull’altro, il dominio dell’uomo occidentale su tutte le donne – dall’autoctona mogliettina o ex fidanzata massacrata, alle bambine thailandesi stuprate dai turisti sessuali, alle donne ‘straniere’ sposate sperando che siano mogli sexy e remissive.
Accennavo, prima, all’uso politico che il governo di Erdogan fa della violenza di genere. Perché non se ne parla? Crediamo davvero che stia facendo diversamente da Daesh-Isis?
Nell’attuale genocidio in corso in Kurdistan, l’accanimento contro le donne – kurde o filo-kurde – ha assunto aspetti terribili. Dalle donne crivellate di colpi perfino nella vagina alle combattenti ferite, torturate e trascinate nude fino alla morte con una corda al collo, alle bimbe di pochi mesi, alle ragazzine e alle donne incinte ammazzate dai cecchini, alle donne i cui cadaveri non possono essere recuperati dalle strade perché la polizia e l’esercito sparano su chiunque provi ad avvicinarsi. E potrei continuare, perché la lista è lunga…
Oggi è il terzo anniversario dell’assassinio, a Parigi, di tre donne kurde, tre femministe che avevano dedicato le loro vite alla lotta con altre donne: Sakine Cansiz, Fidan Dogan e Leyla Söylemez. Un triplice assassinio in cui hanno grande responsabilità i servizi segreti turchi.
Pochi giorni fa, in una delle città kurde in cui la Turchia ha imposto da settimane un violento coprifuoco e le forze dello stato sparano a vista su tutto ciò che si muove – persone ed animali – altre tre femministe sono state ferite, torturate e poi violentemente ammazzate – i loro volti sono stati sfigurati da raffiche di colpi e, probabilmente, dall’esplosivo. Si chiamavano Sêvê Demir, Pakize Nayır e Fatma Uyar.
Ieri è stato dato fuoco alla sede di un’organizzazione femminista all’urlo di “Allahu Akbar”. No, non erano i miliziani di Daesh, ma le forze dello stato turco!
Ma alle nostre latitudini nessuna/o spende mezza parola su queste atrocità. Perché?
Di certo non soltanto perché di stragi e violenze se ne parla solo quando avvengono “nel nostro cortile”, ma perché gli stati occidentali sono complici delle politiche turche, non solo ingrassando il governo di Erdogan affinché blindi le frontiere a donne e uomini migranti, ma soprattutto perché la regione kurda è un laboratorio del confederalismo democratico, che fa paura all’occidente capitalista e ai suoi alleati arabi in quanto progetto antistatuale, cooperativo, egualitario, femminista ed ecologista.
Mai non sia che le anime belle, qui, si rendano conto di non vivere nel “migliore dei mondi possibili”! E magari decidano pure di rompere con la violenza di genere, lo sfruttamento del lavoro e la devastazione dell’ambiente – o almeno di non delegarne la soluzione agli apparati di potere.
Il nemico numero uno della Turchia, Abdullah Ocalan, ipocritamente consegnato – dal governo D’Alema – nelle mani del governo turco, dopo avergli fatto credere di poter essere in salvo in Italia, da anni è rinchiuso in un carcere di massima sicurezza su un’isola turca; di lui, né i suoi legali, né i familiari hanno più notizie da mesi.
Alcuni anni fa, mentre era già rinchiuso in quella tomba di cemento e ferro, Ocalan mandò un messaggio alle Donne Libere kurde, che voglio riportare qui, perché è lo specchio delle miserie di tutti i “democratici” signorini nostrani che si occupano di mascolinità e ci costruiscono le loro “democratiche” carriere accademiche (oltre ai loro, frequenti, marpionamenti), senza nulla cambiare realmente nei rapporti tra generi:
Organizzatevi bene contro di noi e anche contro di me. Rispetto a una donna libera io non sono che un quarto di uomo. Ma che ci posso fare? Alla mia età è tardi per cambiare. Questa è la realtà del vostro presidente.
Gli uomini sono solo asini in calore, sono signori feudali in disarmo. Questi uomini credono che bastonare la donna sia un loro sacrosanto diritto. L’uomo è rozzo, molto rozzo; anche al migliore degli uomini puzza l’alito. L’uomo non va al di là del suo istinto. Ma allora cosa volete farci voi donne di un uomo così?
Alla brava e coraggiosa Sakine, i torturatori turchi avevano, fra altre violenze, tagliato i seni quando era loro prigioniera – pratica sadica che ancora oggi tanto Daesh-Isis che le forze dello stato turco utilizzano per terrorizzare e cercare di sottomettere e colonizzare le popolazioni. A lei la parola.
Lo sgombero della jungle di Calais: cronologia della resistenza
Traduzione da Rabble, che sta tenendo la cronologia della resistenza allo sgombero di Calais e delle iniziative di solidarietà in altri luoghi
Oggi, 3 marzo, la parte sud della jungle di Calais entra nel terzo giorno di sgombero, in un processo che, a detta delle autorità, richiederà tre settimane di tempo per concludersi.
Qui sotto riportiamo alcune azioni di resistenza organizzate dentro e fuori dal campo. Sembra che questo processo andrà per le lunghe, per cui diamoci una mossa per cercare, preparare e realizzare azioni adesso. Questo post verrà aggiornato non appena ci saranno ulteriori resoconti di ciò che succede.
17 gennaio:
Due veicoli utilizzati per effettuare gli sgomberi sono stati dati alle fiamme durante la notte.
24 gennaio:
Sulle porte dell’ufficio Visti e Immigrazione del Regno Unito a Roma compare la scritta “Al fianco di chi lotta a Calais”.
22 febbraio:
Calais Migrant Solidarity fa un appello per una giornata transnazionale di azioni solidali , nello specifico indirizzate contro le istituzioni francesi e britanniche e le compagnie coinvolte nell’attacco alla jungle. Qui una lista di alcune di queste compagnie.
Stand up to Racism (SWP) organizza una manifestazione a Downing Street.
23 febbraio:
In un’iniziativa organizzata in poche ore, 30-40 persone si riuniscono a Shoreditch, a Londra, per interrompere il lancio della campagna governativa francese “Creative France”, a cui partecipava l’ambasciatore francese. L’edificio è stato evacuato dopo che i solidali hanno lanciato fumogeni e spazzatura nell’atrio.
25 febbraio:
La sfida legale contro lo sgombero è persa: esso andrà avanti con la presunta esclusione degli spazi sociali (edifici religiosi, biblioteca ecc.).
Bernard Cazeneuve, ministro degli interni francese, afferma che non è nelle intenzioni del governo, e mai lo sarà, usare bulldozer per lo sgombero del campo.
A Ventimiglia (a confine tra Italia e Francia) uno striscione viene calato da un ponte in solidarietà con le persone migranti di Calais.
26 febbraio:
Alcuni dipendenti del Municipio si aggirano attorno al campo sollecitando le persone ad andar via. Arrivano autobus per portare la gente nei vari centri sparsi nel paese, ma sono costretti ad andare via quasi completamente vuoti facendo infuriare le autorità, che accusano i No Borders di scarsa capacità di comprensione.
29 febbraio:
Lo sgombero della jungle inizia. Un’imponente operazione di polizia (circa 55 camionette) è lanciata alle prime luci del mattino. Bulldozer e operai della Sogea (una società della Vinci) distruggono i rifugi delle persone, in una vergognosa e palese contraddizione con l’annuncio di Cazaneuve della settimana precedente.
Gli abitanti lanciano sassi verso la polizia antisommossa, ricevendo in risposta dei lacrimogeni.
Le persone iniziano a occupare i tetti per resistere, e viene usato un idrante per cercare di spostarle da lì. Questo tipo di protesta continuerà a essere utilizzata anche nei giorni seguenti.
Una donna si taglia un polso sul tetto, prima che la polizia possa trascinarla via.
Un’altra manifestazione solidale viene organizzata a Downing Street da Stand Up to Racism (SWP).
CMS (Calais Migrant Solidarity) denuncia altre due aziende (Baudelet Environnement, e Groupe SOS Solidarités. dettagli qui ) coinvolte direttamente nello sgombero.
Durante la notte, i migranti occupano l’autostrada per costringere i camion a fermarsi e dar loro un passaggio nel Regno Unito.
1 Marzo:
50 persone manifestano fuori dall’Institut Francais a Londra, partendo poi in corteo a Kensington, cantando, distribuendo volantini e raccontando dal megafono la situazione a Calais.
Un abitante della jungle muore durante la notte, forse per un attacco di cuore.
Il Ministro degli Interni, Bernard Cazaneuve, fa un discorso denunciando i No Borders di aver interrotto il procedere dello sgombero.
Circa 100 persone, inclusi molti rifugiati, protestano in centro a Parigi contro la repressione a Calais, a dispetto dello stato d’emergenza e dei continui divieti a manifestare.
2 Marzo:
Dodici iraniani che vivono nel campo iniziano uno sciopero della fame, parecchi di loro si cuciono anche le labbra, ricevendo telefonate e messaggi di solidarietà da altri attivisti iraniani in Europa.
Il prefetto di Calais, Fabienne Buccio, dichiara -subito ripresa a pappagallo dai media- che “gli anarchici no borders” stanno incitando i “migranti più irriducibili” a reagire. L’idea che le persone potrebbero agire per fermare la distruzione delle loro case senza il bisogno di essere incoraggiate dall’esterno è chiaramente inconcepibile per queste persone.
Dei cinque cosiddetti “attivisti no borders” della jungle, presi in custodia negli ultimi due giorni, due erano iraniani che stavano difendendo i propri rifugi, due erano volontari dell’Auberge des Migrants, e uno era un volontario di Care for Calais. Gli iraniani e un’altra persona sono stati rilasciati nella jungle. Gli altri due sono comparsi davanti al Tribunale con l’accusa di incendio doloso, ma sono stati assolti.
Prossime manifestazioni:
3 Marzo:
Manifestazione di solidarietà con Calais a Bruxelles, ore 20, place de la Bourse.
4 Marzo:
Manifestazione di solidarietà con Calais a Parigi, ore 18 alla Gare du Nord.
5 Marzo:
London2Calais ha chiamato una manifestazione per “aprire le frontiere”, a Londra, in un luogo segreto che sarà annunciato il giorno stesso.
Anche a Bath chiamata altra manifestazione.
6 Marzo:
Manifestazione a Witney, Regno Unito.