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15OT (1)

Chi si ribella non è mai solo/a.

Sono passati quasi 5 anni: era il 15 ottobre del 2011, le strade di Roma si erano riempite.

In quel periodo, dopo le forti proteste e rivolte che avevano acceso la “primavera araba”, anche in Europa e negli Stati Uniti, in seguito all’appello lanciato dai movimenti 15M nati a Madrid, si scendeva in piazza ovunque, davanti e contro i palazzi del Potere, nel rifiuto delle politiche di austerità adottate dai governi come ricetta alla crisi economica in atto.

A Roma quel giorno c’erano centinaia di migliaia di persone: non mancavano i carri di partiti, sindacati, organizzazioni di movimento. C’erano, come si suol dire, tutti.

“Tutti insieme”, i discorsi contro la crisi, oppure contro il sistema della crisi, contro il capitalismo e lo stato di diritto.

Il comitato promotore accettò di non manifestare davanti alle sedi governative, così come deciso dalla Questura; ci furono comunque tantissimi gesti di rivolta e diverse ore di scontri con le forze dell’ordine: un susseguirsi di cariche e una continua resistenza a esse.

In tanti e tante, durante quella giornata, non sentirono di reprimere la propria rabbia. Non scapparono, ma reagirono, perché troppo forte l’odio per la miseria economica e culturale cui il sistema capitalista ci costringe ogni giorno.

Perché, oggi come ieri, come il 15 ottobre del 2011, in questo mondo si determina lo sfruttamento da parte di pochi nei confronti di molte\i, la guerra e lo sterminio delle popolazioni oppresse, la distruzione delle risorse naturali e della terra, tutto in nome del profitto, dell’arricchimento, del denaro.
Ed è inevitabile che, per tutto questo, la rabbia possa anche esplodere.

Poi ne seguì il tormentone mediatico, quello dei discorsi contro la violenza e per il rispetto della legalità, a cui si affiancarono le prese di distanza dai rivoltosi, sostenute anche da coloro che avevano partecipato a quella manifestazione, nel tentativo di recuperare ciò che era loro sfuggito di mano.

Oltre a questo, la caccia ai resistenti di Piazza San Giovanni e ai rivoltosi del corteo, attraverso il ricorso a fotografie e video, con il prezioso contributo delatorio di innocenti cittadini o di zelanti tutori dell’ordine interno al corteo.

Dopo i manganelli e i caroselli della celere nelle strade, scattarono i primi arresti seguiti da ampie indagini e infine i processi. Inizia la risposta degli apparati giudiziari al soldo dei Poteri, che avvertirono il campanello d’allarme.

In un primo momento, decine di denunce e diversi arresti nei confronti di chi rimase in piazza San Giovanni. Poi, un filone di indagine specifico per il blindato dei Carabinieri andato in fiamme. Per finire, un ulteriore filone di inchiesta volto a sostenere l’architettura premeditata dell’esplosione di rabbia di quella giornata.

Quindi, processi e condanne anche in direttissima per i primi arrestati, con l’accusa di resistenza pluriaggravata, poi una punizione esemplare attraverso il ricorso al reato di devastazione e
saccheggio per i militanti di Azione Antifascista Teramo imputati dell’assalto al blindato; di nuovo il ricorso al reato di devastazione e saccheggio per le 18 persone rinviate a giudizio nell’ultimo filone di inchiesta.
Nei tribunali un accanimento feroce da parte dei Pubblici Ministeri, il ricorso al reato di devastazione e saccheggio come monito e punizione esemplare: il solito leitmotiv del colpirne alcuni per intimorire tutti e tutte.

È successo per la rivolta di Genova nel 2001, per il corteo antifascista di Milano nel 2006; si sono adottate queste misure anche lo scorso anno riguardo la manifestazione antifascista di Cremona e per il corteo No Expo a Milano.

È un dato di fatto che questo strumento, eredità del codice penale del ventennio fascista, venga adoperato sempre più frequentemente per sanzionare comportamenti di piazza di natura tumultuosa, affermando un chiaro indirizzo politico da parte della magistratura e la sua conseguente attestazione negli ambiti della giurisprudenza.

Detto in maniera più esplicita: manifestanti buoni e manifestanti cattivi. Il recinto di ciò che è consentito e quello che non lo è. Finché si esprime dissenso a parole, va tutto bene (per il momento), siamo in Democrazia. Con la variabile sempre presente che a sostenere questo indirizzo non siano solo gli inquirenti.

Tra tutti coloro che erano in piazza quel giorno, dopo il processo conclusosi in Cassazione con la conferma del reato di devastazione e saccheggio per i militanti di Azione Antifascista Teramo, altre 17 persone, a cui sarebbe stato aggiunto anche Chucky, se non ci avesse lasciato a causa della sua morte, potrebbero andare a sentenza il prossimo 12 Maggio 2016, a seconda che il PM Minisci decida di replicare o meno alle argomentazioni difensive.

L’accusa ha fatto richiesta di 115 anni complessivi per queste 17 persone rimaste ancora imputate. I reati contestati vanno dalla resistenza aggravata a pubblico ufficiale alla devastazione, dalle lesioni all’incendio doloso, ma anche capi d’imputazione ‘minori’ come turbativa dell’ordine pubblico e interruzione di pubblico servizio. La richiesta più alta è di 11 anni di carcere per un manifestante, le altre oscillano dai 3 ai 9 anni di reclusione. A queste si aggiunge la richiesta di risarcimento danni da parte di una banca, comune di Roma, AMA e ATAC, alcuni ministeri e di agenti delle forze dell’ordine che si sono costituiti parte civile.

Un appello alla solidarietà rivolto “generalmente”, oltre a essere un’illusione e una menzogna rivolta a sé stessi, a 5 anni di distanza da quella giornata, cadrebbe nel vuoto.

La consapevolezza di questo avviene dopo anni di udienze svolte qui a Roma, di posizioni dissociatorie assunte anche in sede processuale da parte di alcune difese, di silenzi perpetrati anche da parte delle stesse realtà che il giorno prima inneggiavano alla rivolta, quello dopo si nascondevano intimorite.

Eppure, pur considerando tutto questo, si preferisce guardare ad altro.

Chi si è ribellato quel giorno, come in altri momenti, non resta solo, perché la solidarietà non è una parola vuota di senso, ma pratica di vicinanza e compartecipazione tanto ideale quanto concreta.

Se intorno la giornata del 15 Ottobre e la rivolta che l’ha animata è in atto un’operazione di rimozione, noi invece non vogliamo dimenticare.

Se intorno le persone che sono imputate si vuole creare isolamento, non è nostra intenzione lasciarle sole.

Se rispetto l’espressione del dissenso c’è l’intenzione, da più parti, di tracciare il selciato del consentito, il sentiero della rivolta non conosce percorsi definiti da nessuno.

Perché un giorno, alcune volte, o tutti i giorni, ci si può trovare anche “tutti insieme” sotto lo stesso cielo, ma è l’orizzonte verso cui ci si muove che fa la differenza.
A chi ha vissuto la rivolta del 15 Ottobre 2011.

A chi non dimentica.

A chi pensa che coprirsi il volto durante una manifestazione non voglia dire essere infiltrati.

A chi si copre il volto quando gli pare.

A chi vive di rivolta.


Giovedì 12 maggio 2016, Roma

h 9 – Presidio davanti il Tribunale a Piazzale Clodio

h 18 – Assemblea sul reato di devastazione e saccheggio presso L38 Squat, in via Domenico Giuliotti 8x, con contributi sui processi relativi ai cortei del 1 maggio 2015 a Milano e del 24 gennaio 2015 a Cremona.

Rete Evasioni

Da finimondo.org:

Fatti non foste a viver come bruti…

… trascinando giorno dopo giorno la propria esistenza «nel mondo sanza gente» — quello di Dante Alighieri come quello odierno. No, fatti non fummo a vivere così, scodinzolanti al cospetto del potere, a capo chino davanti alle forze dell’ordine, ammutoliti accanto ai megafoni della propaganda, paralizzati sotto l’onnipresente occhio arcigno della sorveglianza.
Due notti fa alla periferia di Firenze, la città dove i fascisti ammazzano gli ambulanti dalla pelle nera, la città dove i carabinieri ammazzano i passanti troppo “agitati”, l’ennesimo controllo «anti-degrado» delle forze dell’ordine non si è concluso con l’ennesima rassegnazione. Il «venite con noi!» ordinato da una pattuglia a chi faceva i fatti suoi per strada si è trasformato in un «andate via voi!» urlato da molti presenti ad un concerto (ribattezzato «rave party» dai soliti pronisti ghiotti di sensazioni forti). E la pattuglia in effetti si è allontanata, il tempo di chiamare rinforzi e prepararsi a sfoggiare un muscoloso monito su chi è qui che comanda. Ecco quindi tornare alla carica oltre una decina di volanti fra carabinieri, polizia (che ha preso in pugno la situazione) e vigili urbani, i quali hanno subito iniziato a sfogare la rabbia per la propria lesa autorità ammanettando e pestando, ma trovando anche pane per i loro denti. Ne è nato un tafferuglio generale il cui bilancio finale è di alcuni contusi e, purtroppo, di tre arrestati. Portati in questura, sono stati incriminati e trasferiti in carcere in attesa dell'udienza di convalida (che si svolgerà la mattina di sabato 23 aprile presso il carcere di Sollicciano). Il presidio che nel frattempo si era formato davanti alla questura, tenuto a bada da un cordone di agenti, si è quindi sciolto.
Ma la movimentata notte è continuata — per non smentire il detto — portando consiglio. Poche ore dopo, infatti, qualcuno ha tratto ispirazione dall'insegnamento del sommo poeta: ha considerato la propria semenza, si è accorto di non essere fatto a viver come bruto, ha deciso di seguire «vertute e conoscenza» (non legge e ordine). Ed ha preso di mira la stazione dei carabinieri più vicina al luogo in cui sono avvenuti i fatti col lancio di alcune bottiglie molotov.
L’indomani, man mano che si diffondeva la notizia, nella bolgia infernale dove sguazzano adulatori, ipocriti, barattieri, consiglieri fraudolenti, seminatori di discordie, falsari, hanno iniziato a diffondersi lo stupore, l'incredulità, l'indignazione. Il coro dei vari rappresentanti locali e nazionali del partito dell’ordine si è alzato potente di fronte a cotanto scandalo.
«Le molotov contro la caserma di Rovezzano sono un atto gravissimo, che colpisce non solo l'Arma dei carabinieri ma reca un'offesa anche a tutta la società toscana e a coloro che lavorano per la coesione sociale, la sicurezza dei cittadini e la diffusione di una cultura della legalità. Questo gesto si pone fuori dalla civile e democratica convivenza su cui si fonda la società toscana» ha sentenziato Enrico Rossi, presidente della Regione.
«Totale, piena, sentita solidarietà all’Arma dei Carabinieri, che ha vissuto questa assurda aggressione. Tutta la popolazione, la cittadinanza e le istituzioni devono essere vicine al lavoro serio e professionale portato avanti dall’Arma a garanzia e tutela di tutti» ha dichiarato Eugenio Giani, presidente del Consiglio regionale.
«Massima solidarietà e vicinanza alle forze dell'ordine per l'episodio di violenza subita a seguito degli arresti di questa notte. Sembra incredibile che in una città come Firenze sia possibile il lancio di quattro molotov contro una caserma dei Carabinieri o che uomini delle forze dell'ordine mentre fanno un controllo siano circondati e minacciati da trenta persone, ma questo è quanto è successo oggi. Spero che arrivi la solidarietà e la vicinanza da tutta la città. Nessuno escluso» ha ammonito Gabriele Toccafondi, sottosegretario di Stato al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.
«Il gravissimo gesto di questa notte contro la Caserma dei Carabinieri di Firenze rafforzerà l'impegno quotidiano e la straordinaria determinazione dei nostri Carabinieri, baluardo a difesa dei cittadini e della legalità. Si tratta di un episodio inqualificabile che non verrà sottovalutato perché lo Stato è molto attento a ogni segnale che proviene dal territorio» ha chiosato Angelino Alfano, ministro degli interni.
Per altro, nelle stesse ore in cui venivano rilasciate simili dichiarazioni, i responsabili della devastazione ad alta velocità del Mugello venivano assolti definitivamente dalla Cassazione. Un atto normale, legale, civile e democratico (tanto quanto la recente assoluzione dei carnefici in uniforme di Giovanni Uva) che chiarisce bene quale sia la sola libertà concessa dallo Stato, da qualsiasi Stato, quella di obbedire e genuflettersi davanti all’autorità. Non è ciò che facciamo da cittadini, da lavoratori, da clienti, da utenti, inchiodati all’adempimento dei nostri obblighi sociali, tutti i santi giorni?
Ma la notte è canaglia, bella come una stazione di carabinieri che brucia…
[22/4/16]

Un appello a manifestare contro la militarizzazione delle nostre vite e contro ogni potere, si chiami islamico o democratico, era stato ampiamente diffuso la scorsa settimana. L’appuntamento era stato dato per il 9 aprile in viale Stalingrad, vicino alla stazione del Midi a Bruxelles. Quel pomeriggio, la polizia ha occupato il luogo d’incontro e militarizzato un ampio perimetro attorno (fino ad Anneesens, piazza Jeu de Balles, piazza Bara e la porta di Anderlecht). All’arrivo dei primi manifestanti e fin dal dispiegamento di uno striscione proprio davanti allo sbarramento della sbirraglia, i poliziotti si avventano sui manifestanti accerchiandoli. Ne imbarcano dieci e li portano al commissariato di Anderlecht. Raggiunti poco dopo da altri 6 fermati, saranno rilasciati col contagocce durante la notte. Al commissariato, come d’abitudine, gli sbirri allungano qualche schiaffone ad alcuni recalcitranti ammanettati.
Nel frattempo, altre persone che cercano di raggiungere il luogo di incontro vengono identificate dalla polizia che spiega loro che è vietato ogni raduno su ordine del borgomastro Mayeur. Verso le 19, la polizia approfitta delle forze mobilitate per fare un’altra incursione al Passage (e siamo a 3), lo spazio di lotta contro la maxi-prigione ad Anderlecht. Le compagne ed i compagni presenti vengono identificati, il posto perquisito. Un compagno viene portato via perché «ricercato» nell’ambito dell’inchiesta condotta dal giudice istruttore De Coster in relazione alla lotta contro la costruzione della maxi-prigione. Dopo una notte trascorsa al commissariato, andranno a cercarlo alcuni agenti della sezione antiterrorismo della Polizia Federale. Costoro lo portano al quartier generale in via Royale, fanno qualche tentativo per interrogarlo (il compagno rifiuterà di rispondere a qualsiasi domanda) e infine lo rilasciano.
Il messaggio da parte dello Stato non poteva essere più chiaro: qualsiasi persona che osa criticare la militarizzazione in corso a Bruxelles, che rifiuta di scegliere tra due campi putridi (il califfato e lo Stato belga), che propone l’autorganizzazione e l’azione diretta come mezzi di lotta contro ogni oppressione ed ogni potere, deve aspettarsi una risposta energica.
Difficile fare a meno di riflettere su alcune analogie. A Raqqa, capitale dello Stato Islamico, ogni manifestazione critica è proibita e soffocata; a Bruxelles, capitale dello Stato belga e dell’Unione Europea, ogni manifestazione critica è proibita e soffocata. A Raqqa c’è l’Isba, la polizia religiosa del califfato, capeggiata dal belga Hicham Chaib, che si accanisce contro ogni opposizione alla legge là imposta; a Bruxelles c’è semplicemente la polizia, capeggiata dal belga Vandersmissen, che si accanisce contro ogni azione in opposizione alla legge qua imposta. A Raqqa, le bombe sganciate dagli aerei occidentali non colpiscono unicamente le basi militari dei partigiani della guerra santa, ma anche gli ospedali, le banche del sangue, le scuole, la distribuzione idrica, le piazze; a Bruxelles, i kamikaze agli ordini dello Stato Islamico non colpiscono affatto le basi repressive dello Stato belga, ma si fanno esplodere nella metro e all’aeroporto. A Raqqa, ogni stampa è vietata; a Bruxelles, la stampa del mondo intero continua a esercitare pressioni sui quartieri poveri mentre la stampa belga si distingue in particolare negli ultimi tempi per il suo zelo nel mettere in atto le consegne della polizia («al fine di non nuocere alle indagini») e pubblicare, parola per parola, ciò che il governo esige. A Raqqa, distribuire un volantino, fare una scritta, aprire uno striscione che rivendica la libertà è passibile di condanna a morte; a Bruxelles, distribuire un volantino anarchico, fare una scritta contro il potere, aprire uno striscione che rivendica la libertà, può portare ad essere arrestati ed è ormai passibile di lunghe condanne in carcere per… «incitamento al terrorismo». A Raqqa, le pattuglie della Hisbah cercano di perlustrare tutta la città; a Bruxelles, le telecamere di sorveglianza perlustrano tutta la città, la polizia federale utilizza tutti i mezzi possibili (cimici, telecamere nascoste, intercettazione della posta, osservazioni, pedinamenti) per sorvegliare gli antiautoritari, e non solo.
Esagerato, dite? Eppure, ogni potere ha un solo obiettivo: preservare il proprio imperio e soffocare chiunque cerchi di opporvisi. In questo, lo Stato belga e lo Stato Islamico hanno molto in comune. Ed è proprio questo che gli anarchici, i rivoluzionari e gli antiautoritari, nelle città siriane come nelle città belghe, combattono.
Se a Raqqa gli attivisti rivoluzionari non chiamano più a manifestare, non è perché abbiano abbandonato la lotta contro il regime di Bashar el-Assad e il regime dello Stato Islamico. È perché lottano ormai in un altro modo, ma con altrettanta determinazione e audacia, per distruggere ciò che li opprime. Allora, se a Bruxelles…
Contro ogni potere, sabotiamo la militarizzazione di Bruxelles
11 aprile 2016

Milano, 22-03-2016

LETTERA PUBBLICA PER I /LE COMPAGN* GREC*

Cari Nikos, Fivos, Kostas, Odysseas, Alexandros,

siamo felicissimi e molto vicini nel ricevere la vostra lettera complice e solidale. Cogliamo l’occasione per rispondervi con questa lettera che vogliamo che sia pubblica.

E’ raro il fatto di arrivare a sognare con persone con cui non si ha nessun rapporto, che nemmeno si conoscono, mai neanche sentite o incontrate; è ancora più raro il fatto di passare insieme una giornata di ribellione e gioia come quella che abbiamo passato, fianco a fianco, senza neanche guardarci in volto; ancora più raro è il sentimento profondo e “fraterno” che ci unisce anche a migliaia di chilometri di distanza, lingue diverse e mari che ci separano.

Con questo scritto vogliamo chiarire che assumiamo la nostra carcerazione come conseguenza politica alle nostre scelte consapevoli di schierarci, come nemici del potere nella guerra umana, al fianco di tutti gli sfruttati di questo mondo, animali e pianeta compresi: non possediamo la codardia di presentarci come delle vittime.

Noi arrestati siamo tutti parte o frequentatori solidali del movimento anarchico milanese “pirata” e come tali ci definiamo nei sentimenti di fratellanza, sorellanza, egualità e solidarietà che ci uniscono anche a voi in questa grande “famiglia” nella “lotta contro il mondo intero”, nemici giurati dell’autorità, del governo, di qualsiasi forma di dominio e sfruttamento che riguarda la nostra vita e/o quella de* nostr* fratelli/sorelle; ci unisce il desiderio di espropriare le nostre vite, il desiderio di “arricchirci” individualmente e collettivamente contro la nostra rassegnazione, la sottomissione e la “povertà” cittadina.

Crediamo che la frase di Brecht da voi scelta come introduzione alla lettera che ci avete mandato, sia la migliore fotografia per descrivere l’apertura dell’Esposizione universale del 1° maggio 2015 di Milano, durante la quale l’élite “economica e politica” ( finanziaria e politicante) di mezzo mondo si pavoneggiava e starnazzava su argomenti come alimentazione e cibo:

“Quelli che rubano il cibo da tavola / dichiarano l’austerità

Quelli che prendono tutti i doni / chiedono sacrifici

I sazi parlano agli affamati / dei grandiosi anni che verranno.”

Mentre l’élite festeggiava con caviale e champagne sui tappeti rossi, dall’altro lato della città gli/le sfruttat*, rinchiusi, incatenatati e ghettizzati tra zone rosse e barriere, tentavano di far sentire la loro volontà, non solo contro Expo (goccia che fa traboccare il vaso, esempio di scempio e sfruttamento); bensì contro la schiavitù che ci attanaglia nella nostra guerra quotidiana costellata da mille lotte e percorsi comuni. Lavoro, casa, istruzione, sanità, finanza, guerre, rapine di materie prime, diseguaglianze sociali, razzismo, specismo, diseguaglianze di genere, repressione, sgomberi… Un elenco troppo lungo da inserire completo, una moltitudine di cause, una moltitudine di individualità e collettività che coloravano quella esplosione di protesta, rivolta e rabbia.

Vogliamo rivendicare che noi non siamo nella posizione fredda o tiepida di chi si pente o dimentica il calore o la gioia di quei momenti, noi non lottiamo per migliorie e/o riforme per rendere più sopportabile l’esistenza dentro questo sistema; non ci rivendichiamo come studenti, lavoratori o disoccupati: siamo “pirati”, siamo anarchici in guerra contro chi possiede, rappresenta e/o difende questo sistema autoritario fascista e capitalista.

Noi ci “indigniamo” davvero e non crediamo sia utile, ma reazionario e controrivoluzionario, parlare di legalità o illegalità nelle o delle lotte, della rabbia nella guerra e nelle battaglie contro servi e padroni.

I/Le nostr* nonn* sono stat* chiamat* bandit*, hanno dovuto vivere nell’illegalità, hanno voluto scegliere la clandestinità, sono stati perseguitati dall’allora “giustizia legale”, in molti sono stat* impiccat* o fucilat* per devastazione, saccheggio e incendio, nel tentativo di donarci un briciolo di libertà, subito negato e tradito da chi tradì, con il potere, quella iniziale spinta insurrezionale; ma soprattutto negato da chi non aveva colto alcuni degli insegnamenti più alti della loro lotta: la libertà va sempre perseguita, difesa, ricercata; non può essere né mediata, né concertata con un potere, né lasciata (e/o delegata) nelle mani di qualcun altro all’infuori di noi stessi; tutt* abbiamo l’onere di conoscere e sapere per poter scegliere, essere liberi e partecipare.

Non è detto che una cosa illegale sia anche ingiusta; non è detto che una cosa legale sia per forza giusta: ciò che è legale o illegale non lo decide la giustizia ma il potere ed i suoi servi.

Siamo felici del blocco della vostra estradizione in Italia. Siamo fiduciosi che questo blocco avrà ripercussioni anche nel nostro processo dove saremo giudicati per un reato che ancora proviene dal Codice Rocco, codice penale monarchico/fascista, reato che ancora prevederebbe la fucilazione se non fosse che la parola “morte”, nel codice penale attuale, viene messa tra parentesi quadre e non cancellata, viene lasciata per ricordare la sua recente abrogazione costituzionale ma non eliminata nel caso si volesse fare ancora qualche altro passo indietro nostalgico, già pronta per il nuovo regime che verrà, monito attuale per chiunque volesse ribellarsi davvero.

Siamo vicini, solidali e complici; stiamo facendo fronte comune contro la stessa repressione. Qui la solidarietà, la vicinanza è forte, presente; fuori dalle grige, fredde e umide mura di questo carcere in molt* lottano insieme a noi e a voi!

Se i giudici di questo assurdo processo politico, mediatico, fascista e autoritario potessero davvero giudicarci, se avessero davvero gli strumenti, la cultura per capire, sarebbero sicuramente con noi fra gli imputati o dietro le barricate e non sul pulpito, dietro la cattedra di un tribunale; se questi giudici, al servo del sistema che ci sfrutta e ci reprime, crederanno che questi “pirati”, gentiluomini di ventura, questi esseri umani liberi siano degni di essere ospiti dello Stato nelle sue carceri, siano degni di essere condannati per aver combattuto al fianco di tutt* gli/le sfruttat* di questo mondo in difesa della libertà, non ci rimane che subire con calma e forza la nostra sorte, convinti e consci di non avere nulla da rimproverarci.

Vi salutiamo e vi abbracciamo forte nella speranza vera e sincera di potervi abbracciare un giorno davvero e in libertà.

Andrea (Casper), Alessio (Molestio), Nicolò (Iddu). Hold On….