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“CONTACT TRACING”, OVVERO LE APP DI TRACCIAMENTO DEI CONTATTI.

Tra le diverse strategie – tutte comprendenti mezzi che comprimono la libertà degli individui – messe in campo a livello globale dai vari governi per contenere il contagio del nuovo coronavirus c’è anche il cosiddetto “contact tracing”, ovvero il tracciamento dei contatti tra persone tramite l’uso di app scaricabili sui dispositivi mobili (smartphone).

Si tratta di strumenti previsti e consigliati anche dall’Europa e dalla stessa Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in caso di epidemie, e che i governi han fatto proprio basandosi sull’esempio di paesi asiatici come Cina, Sud Corea, Taiwan, Honk Hong, Singapore ed altri, tra i primi a sviluppare ed introdurre questo tipo di tecnologie di controllo nei loro paesi, pur con alcune differenze nel loro funzionamento (alcune prevedono il tracciamento con GPS, altre col solo Bluetooth, altre ancora attraverso il codice QR o prevedendo un mix delle diverse soluzioni).
Anche l’Italia, come altre nazioni, a marzo ha predisposto un bando per individuare un progetto per sviluppare apposite tecnologie di tracciamento, a cui hanno partecipato centinaia di aziende italiane e internazionali. A seguito della scelta del governo italiano, la app di contact tracing “Immuni”, sviluppata da un raggruppamento di società guidato dalla milanese Bending Spoons, è entrata a far parte dell’arsenale governativo a partire dal 1 giugno.

Nel PDF allegato, uno studio e un approfondimento sulle diverse app di tracciamento, in Italia, in Europa e all’estero, sul loro funzionamento, sulle diverse società sviluppatrici coinvolte, sui diversi protocolli previsti, nonché il ruolo dei colossi multinazionali come Google e Apple (ma anche Amazon ed altre ancora) e le criticità e i rischi per la libertà individuale che tali nuove tecnologie mettono a repentaglio.
Perché come ha detto qualcuno «Le misure temporanee hanno la fastidiosa abitudine di sopravvivere alle emergenze, specialmente se c’è sempre una nuova emergenza all’orizzonte» e «Qualsiasi cosa entri a far parte della quotidianità presto comincia a passare inosservata».

contact-tracing (qua puoi scaricare, leggere e stampare l'opuscolo)

Dentro e fuori

È la mattina del 9 marzo 2019 quando la Milano della produttività e del profitto si sveglia con l’acre odore dei materassi bruciati e il nero fumo negli occhi. In piena emergenza corona virus l’autorità é chiamata a ricordarsi di coloro i quali pensa sia possibile scordarsi. Dal carcere di San Vittore si alza una colonna di fumo nera mentre si odono grida e canti. I detenuti stanno insorgendo; qualcuno sale sul tetto mentre altri danno mano e voce al desiderio vendetta distruggendo tutto ciò che trovano. La gioia, l’emozione, il brivido, che quei momenti hanno provocato nella mia persona sono alcune tra le più importanti ragioni della mia ostinazione nel non mollare né men che meno scendere a compromessi nella lotta contro la limitazione/volgarizzazione delle mie passioni. É notizia di ieri l’arrivo in carcere della chiusura delle indagini a carico di 12 detenuti accusati di devastazione e saccheggio, lesioni personali e rapina. Per quanto mi riguarda nulla m’interessa in merito alla veridicità o meno delle accuse, esprimo la mia incondizionata solidarietà agli inquisiti senza mai dimenticare però il ritornello di quella vecchia canzone che recitava: liberare tutti vuol dir lottare ancora, vuol dire organizzarsi senza perdere un’ora.

Tratto da: parolealvento.noblogs.org

Op. Bialystok – Un testo di Nico

A* amic* e amor* della mia vita, a*  mi* compagn* di lotte e avventure, a* anarchic* e a tutt* coloro che hanno interesse per la mia situazione: scrivo queste poche righe per aggiornarvi sulle mie condizioni e farvi avere notizie sul caso repressivo che mi riguarda.
Il mio arresto è avvenuto a casa dei miei genitori la mattina presto di Venerdì 12 giugno ad opera dei ROS di Roma affiancati da carabinieri del comando locale. Dopo una lunga perquisizione, che ha interessato principalmente il materiale cartaceo presente nel furgone in cui dormivo e nella stanza che lì utilizzo, mi sono stati sequestrati una lunga serie di manifesti e locandine, libri, riviste ( alcuni dei quali a detta loro gli “mancavano”), corrispondenza personale, agende, taccuini e appunti manoscritti vari, tutti i computer ed i supporti di memoria esterni trovati nell’abitazione, due telefoni, una sim, una macchina fotografica digitale, nonché le scarpe che indossavo, un paio di guanti, uno scaldacollo ed una maschera antigas di tipo militare. Mi è stata contestualmente notificata un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per partecipazione ad un’associazione con finalità di terrorismo e eversione dell’ordine democratico. Sono inoltre accusato a vario titolo di danneggiamento, imbrattamento, manifestazione non autorizzata, furto, istigazione a delinquere; la maggior parte dei suddetti reati è riconducibile alla solidarietà nei confronti de* indagat* e dei prigionieri dell’operazione Panico. L’operazione che mi riguarda (soprannominata Operazione Byalistock)  è il risultato dell’intensa attività d’indagine partita a seguito di un’azione a firma FAI/Cellula Santiago Maldonado avvenuta a Roma il 7/12/2017, oltre che della preoccupazione delle autorità repressive per alcune azioni dirette avvenute nella capitale negli ultimi anni (nel dispositivo sono stati citati alcuni incendi di auto del servizio car-sharing eni enojy, l’incendio di un ripetitore Vodafone, mentre i media parlano perfino di fatti risalenti fino a 10 anni fa, ovvero dell’attentanto esplosivo a una caserma dei carabinieri del 2010, ad una banca nel 2012, al tribunale di Civitavecchia nel 2016 e di uno avvenuto nel 2017 ai danni della sede dell’Eni) e per il periodo di possibile instabilità sociale che seguirà l’emergenza Covid-19. Nelle carte a mia disposizione si parla anche di collagamenti internazionali con Grecia (per un mio viaggio nel novembre-dicembre 2018), Cile ( per la visita di una compagna presso il Bencivenga Occupato nel settembre 2018) e con Berlino ( a quanto pare solo per un’azione a firma FAI avvenuta in quella città nell’ottobre dello stesso anno), oltre che ideologici con Alfredo Cospito, anarchico detenuto per la gambizzazione Adinolfi e varie azioni firmate dalla Federazione Anarchica Informale
Sono stato conseguenzialmente rinchiuso in una sezione di isolamento del carcere di Rieti per fare la quarantena di 14 giorni, adottata come misura dell’amministrazione penitenziaria volta a contenere la diffusione del virus Covid-19 all’interno delle carceri. Noi nuovi giunti siamo rinchiusi in celle 3,5 m x 2,5 m circa al piano terra dell’angolo sud-ovest della struttura. Da mercoledì 17 Giugno ci stanno finalmente facendo fare 40 minuti di aria a testa. La sezione è al completo e riusciamo a tenerci compagnia e ad aiutarci come possibile. Io sto bene, il mio morale è buono e per ora non mi manca niente in carcere. Ho sentito il saluto di domenica scorsa e ricevuto molti telegrammi e posta, tutte cose che hanno contribuito a darmi forza in queste lunghe giornate.
Ringrazio moltissimo tutt* per questo.Mi aspetto di essere traferito in un altro carcere con sezioni di alta sorveglianza entro la fine dei 14 giorni di quarantena. Entro 15 giorni circa da oggi dovrebbe svolgersi il riesame che si esprimerà sull’ordinanza di applicazione delle misure cautelari per me e * altr* 6 indagati detenut*. Colgo quest’occasione per mandare un caloroso saluto a loro e a voi tutt*. Il mio cuore è con voi.
Carcere di Rieti
19/06/2020
Nico

La mattina del 12 giugno 2020 i Ros inscenano l’ennesima operazione repressiva anti-anarchica, stavolta firmata dalla Procura di Roma. Due compagni finiscono agli arresti domiciliari e altre/i cinque vengono
arrestate/i sul territorio italiano, francese e spagnolo. Tra le accuse, come ormai prassi, quella di associazione sovversiva per finalità di terrorismo e istigazione a delinquere. Ancora una volta lo scopo è quello di colpire chi si rivendica la solidarietà come pratica offensiva e supporta attivamente i compagni e le compagne anarchiche nelle maglie della repressione. Come a Bologna il mese scorso, con l’operazione Ritrovo, le modalità si ripetono: sbirri in passamontagna, in alcuni casi pistole spianate e porte sfondate, telefoni requisiti, perquise e sequestri di materiale informatico e cartaceo.

Lo stato attraverso queste dimostrazioni muscolari tenta di impaurirci e farci sentire isolate, in linea con questa società patriarcale che ci vorrebbe docili, rinchiuse nei nostri predefiniti ruoli di genere. Non ci sorprende quando, come in questo caso, i media sottolineano la presenza di donne all’interno delle inchieste, mostrando stupore nel non trovarci relegate in seconda fila. Rifiutiamo queste logiche impregnate di paternalismo, non cerchiamo protezione ma complicità nell’attaccare.
Al tentativo di sottrarci l’uso della violenza come risposta a ciò che ci opprime ci si è sempre ribellate e sempre ci si ribellerà.

Non vogliamo avere in concessione un posto in questa società patriarcale, che si mantiene e si riproduce anche attraverso la distribuzione del potere al genere socializzato come femminile, ma solo danzare sulle sue macerie.

Non ci interessano i tecnicismi legali e i concetti dicotomici di colpevolezza e innocenza. Come femministe e anarchiche possiamo solo rivendicare la solidarietà con chi colpisce il sistema patriarcale in tutte le forme con cui questo si esprime.

Trasformiamo la paura in rabbia e la rabbia in forza. E questo ci rende pericolose.

Morte allo stato
Morte al patriarcato
Per l’Anarchia
Complici e solidali con le arrestate/i dell’operazione Bialystock
TUTTI E TUTTE LIBERE

Alcune anarchiche femministe

Gli incendi — siano essi intenzionali o causati da fulmini — fanno parte da millenni di parecchi ecosistemi. Sappiamo che prima della colonizzazione europea, gli incendi controllati venivano usati da diversi popoli autoctoni per modificare in modo favorevole il proprio habitat. Tra i molti vantaggi, hanno contribuito a facilitare gli spostamenti eliminando i grossi arbusti, ad aumentare la fauna selvatica, a rendere più produttivi gli alberi da frutta e da noci. Era una tattica di sussistenza perfezionata nel corso di generazioni. Al colonizzatore giunto dall'Europa densa e sedentaria, gran parte di ciò che chiamiamo Nord America appariva come una natura selvaggia ed incontaminata, con grandi distese di terre vergini o appena toccate. In realtà l'intero continente era, in un certo senso, un vasto complesso di culture composto da un numero incredibile di habitat variegati sostenuti da pratiche diverse, fra cui il fuoco controllato che, su vasta scala, ha contribuito anche a stabilire e a mantenere i confini tra le praterie e le foreste. Tutte le forme di vita hanno bisogno di un habitat, ma le città non lo sono. Sotto il pavé non c'è solo la spiaggia, ma anche il suolo della foresta, il potenziale giardino, il cumulo di fragole soffocate, l'estuario prosciugato, il ruscello deviato che porta i pesci. La città non è il luogo di tutto ciò che è avanzato, complesso e progressivo della storia umana, della libertà, della creatività e della coscienza di sé. È la tana della borghesia e dei governanti, un luogo di prigionieri spossessati, in cui sono onnipresenti apparati repressivi — a cominciare dall'orologio cittadino che permette di assicurarsi che le attività degli individui potenzialmente auto-organizzati, auto-diretti e liberamente creativi siano sincronizzate per l’interesse della borghesia, dell'efficienza economica e politica. Immaginate di vivere in un mondo infernale dove non potete mangiare quando avete fame, dormire quando avete sonno, bere quando avete sete, pisciare quando ne avete bisogno, perché è uno strumento a dettare quando siete autorizzati a soddisfare questi bisogni fondamentali da animali quali siamo. Sto scherzando, non serve immaginarlo: viviamo in questo mondo in questo preciso momento. Ecco cos'è la civiltà capitalistica urbana: milioni di persone vengono strappate al proprio riposo e ai propri sogni da una sveglia, poi tutte vengono sincronizzate per seguire gli stessi schemi quotidiani in modo che l'economia possa prevalere sui singoli corpi, sui loro processi e sui loro desideri. L'incendiario insurrezionalista che brucia una banca, la sede di una multinazionale o un commissariato diventa, man mano che quel gesto primordiale e profondamente onesto si compie e si manifesta, una persona al tempo stesso ecologica e spirituale. Si tratta di un atto per la comunità nella misura in cui si oppone al potere e all'ingiustizia e difende i propri amici e vicini. È un atto di smascheramento in quanto strappa il velo che nasconde il mostruoso ordine sociale che si cela dietro secoli di elitarismo, d’ingiustizia e di violenza. Noi dobbiamo rifiutare, ri-naturalizzare o distruggere la città, luogo centrale del controllo autoritario e dell'ideologia che privilegia la proprietà sulla vita, la ricchezza accumulata da pochi sulle comunità basate sulla condivisione, i prigionieri obbedienti e deboli sugli individui forti e determinati. Non c'è futuro se non smettiamo di adattarci al capitalismo e se non cominciamo ad adattarci alla natura. Ogni molotov lanciata porta un messaggio all'interno della bottiglia, che recita come segue: «Ne ho abbastanza di adattarmi al capitalismo, di adattarmi ad un mondo di padroni, di proprietari e di élite, al pensiero suprematista bianco, al cemento e ad orizzonti spogli di vita». Esiste un legame fra l'ecologia e le sommosse, fra la creazione di uno spazio di guarigione e di rigenerazione e l'incendio dell'insurrezione. L'attuale insurrezione americana è stata scatenata dagli afro-americani in risposta ad un mondo violentemente razzista da quattrocento anni. Affermare il contrario significherebbe cancellare la sofferenza e l'azione collettiva delle persone razzializzate. Non ho la pretesa che questa insurrezione provenga in realtà da un impulso ecologico. Ciò che voglio sottolineare è che noi siamo pur sempre animali umani e che in quanto tali, quando ci ribelliamo, lo facciamo anche contro le nostre condizioni di vita in quanto esseri potenzialmente liberi e viventi in habitat sani ma che sono attualmente prigionieri negli enormi campi di lavoro e nelle prigioni costituiti dalle città, molti di noi — in particolare le persone razzializzate, letteralmente in gabbia. Quando si vuole costruire un rifugio oppure piantare delle zucche o del mais, quando si vuole costruire un deposito comunitario per le provviste o un arsenale per il proprio gruppo, si deve liberare un'area. Che si tratti di un campeggio stagionale per pratiche di sussistenza o per un eco-villaggio più sedentario, bisogna fare spazio. Distruggere i beni urbani durante le sommosse è la stessa cosa. È al tempo stesso un atto contro e un atto per. Come liberare la nostra immaginazione senza visualizzare nulla di specifico, ma intravedendo delle possibilità? Quando il terreno è interamente occupato dai piani e dagli interessi di pochi privilegiati, e lo è da tanto tempo, occorre liberare lo spazio, spesso con furia vendicatrice. La rigenerazione è impossibile senza morte. Gli incendi sono stati utilizzati per liberare aree per la produzione alimentare, per facilitare gli spostamenti e per altre pratiche di sussistenza. Anche gli incendi insurrezionali possono essere visti in questa ottica. Quale maniera migliore di affrontare la nostra alienazione di prigionieri spossessati, di esseri viventi senza libertà né habitat, che incendiare non solo le torri di guardia e le prigioni, ma anche tutto ciò che è relativo alla produzione alimentare sostenibile, all'acqua potabile locale, ad una foresta di rientro per gli uccelli? Il capitalismo dà la priorità alle merci e alla proprietà privata a scapito della vita. L'ecologia favorisce la reciprocità e la vita rispetto alla proprietà privata e alle merci. Il saccheggio è allora un'azione contro un modo di produzione che cancella la vita e a favore di un altro che la privilegia. Il saccheggio su vasta scala è un mezzo per trasferire ricchezze. Una maniera di utilizzare immediatamente cose che sono comunque destinate alla discarica. Una comunità sana produrrebbe solo per necessità o per piacere, e tutto ciò che si trova in essa sarebbe condiviso liberamente, quindi il saccheggio di merci non è in realtà che un'azione diretta contro il capitalismo. Man mano che il capitale cresce, la natura si riduce. Attaccare le merci è quindi un atto ecologico, poiché è vero anche il contrario. Allorché il capitale diminuisce, la natura guarisce. Più ci sono incendi e saccheggi, più c'è rifiuto — di lavorare, di accettare idee normative sulla razza e sul genere, di vivere negli spazi artificiali del commercio e dell'autorità politica — più la natura e gli animali umani hanno una possibilità di guarire e di rigenerarsi. Le città si basano su un insieme di accordi violenti: tra proprietario e inquilino, tra ricco e povero, tra polizia e cittadino, tra bianchi e scuri, e così via. Al loro interno, la natura è stata violentemente distrutta. L'automobile domina tutti gli imperativi di concezione urbana. I cittadini sono alienati, atomizzati e ghettizzati. La stragrande maggioranza di loro sembrano amare le proprie catene; danno e ricevono ordini, trascorrono docilmente la vita a produrre e a consumare. Le città distruggono ecosistemi complessi e sani che possono accogliere un gran numero di forme di vita. Pertanto, la distruzione delle città e dei miti borghesi e razzisti del progresso che le sostengono e le giustificano, è un atto dalla parte della natura, del primato, dell'istinto di conservazione. Le sommosse possono far cadere il velo e aiutare a mettere in evidenza il violento cemento che mantiene la forma della città così come gli effetti di quegli accordi sociali: polizia, leggi, gerarchia, potere politico, razzismo, sistemi di sorveglianza, logica militar-industriale, povertà, malattia mentale, ecosistemi distrutti... per non parlare del fatto che praticamente ogni città un tempo era il nido di un popolo anarchico che possedeva la saggezza ecologica di prendere decisioni intelligenti circa l’ubicazione dei propri insediamenti. Decolonizzare non significa solo pensare in modo diverso, ma anche vivere in modo diverso. È salutare voler distruggere ciò che è brutto quando il potenziale di manifestazione della bellezza della natura è un ricordo inscritto nella nostra carne. Facciamo sì che l'era della conflagrazione generale sia finalmente arrivata.

Anne Archet

Tratto da: https://flegmatique.net/2020/06/10/eloge-de-lincendie/

Traduzione: Finimondo

«Ho studiato il fenomeno della dedizione, spesso cieca, dei tecnici per il proprio compito.Considerando la tecnologia moralmente neutra, costoro erano privi del minimo scrupolonello svolgere le loro attività. Più tecnico era il mondo che ci imponeva la guerra, più pericolosa era l'indifferenza dei tecnici davanti alle conseguenze delle loro attività anonime».

Albert Speer, architetto membro del partito nazista  e Ministro per gli armamenti e la produzione bellica dal 1942 al 1945

Nel 1959, un fisico che aveva partecipato al programma di ricerca che ha portato alla costruzione della bomba atomica, fece una curiosa presentazione in una università californiana. Concluse pronunciando parole che volevano essere profetiche, come si addice ai grandi visionari della scienza: «C'è molto spazio in fondo alla scala». Per decenni la sua profezia generò più speculazioni che accurate ricerche. Fino al giorno in cui i primi laboratori di ricerca cominciarono, negli anni 80, a dedicarsi allo studio dell'«infinitamente piccolo». Battezzate «nanotecnologie», queste ricerche comprendono tutti i procedimenti di fabbricazione o di manipolazione di strutture su scala nanometrica (1 nanometro corrisponde ad 1 miliardesimo di metro; un filamento di DNA umano ha una larghezza di 2 nanometri). Il «grande balzo in avanti» è stato fatto nel 2001, quando gli Stati Uniti riconobbero le nanotecnologie come un settore strategico per la ricerca scientifica, irrorando i laboratori col più grande piano di investimenti della loro storia. Ma le tenebre durarono ancora per un po' in fondo alla scala. Passò diverso tempo e molti laboratori faticavano a produrre qualcosa di «concreto», nel senso di applicazioni industrializzabili. Diventarono un po' più discreti, non solo a causa della feroce concorrenza tra differenti potenze, ma forse anche per timore di una contestazione «irrazionale» e «tecnofobica» come quella incontrata dall'introduzione degli OGM in alcune parti del mondo (oggi in gran parte sconfitta, anche se alcuni paesi come la Francia continuano a vietare la loro commercializzazione per l’alimentazione umana nel proprio territorio — il che non impedisce che la quasi totalità delle coltivazioni di mais negli Stati Uniti sia transgenica, così come il riso in India, il grano e la colza in Argentina, ecc.). Assisteremo dunque all'ennesimo inutile annuncio da parte di scienziati che giurano di «rivoluzionare il mondo»? Dappertutto sono stati creati nuovi laboratori, unità di ricerca, cluster che raggruppano istituzioni e aziende, tutti dediti a ricerche sulle nanotecnologie. In Francia, si contano almeno 240 laboratori di nanoscienze. I «poli di competitività» collegati alle nanotecnologie si trovano a Lione (Lyonbiopôle), Grenoble (Minalogic), Besançon (Microtechniques), Provence Alpes-Côtes d’Azur (Optitec e Solutions Communicantes Sécurisées) e Centre-Limousin (Sciences et systèmes de l'énergie électrique). Invece i più importanti istituti di ricerca sono a Grenoble (Institut des Neurosciences), Saclay (Triangle de la Physique), Strasburgo (CentreInternational de Recherche aux Frontières de la Chimie) e Aix-Marseille (Institut Carnot). Si noti comunque che la maggior parte delle università dispongono ognuna di almeno un laboratorio specifico per le nanotecnologie e che molte regioni si sono dotate di un «centro di competenze» che raggruppa gli attori della ricerca e della produzione nanotecnologica. Qualche anno fa, lo Stato francese ha istituito un meccanismo di dichiarazione obbligatoria per le imprese che usano nanomateriali nei propri prodotti. Senza ovviamente riportarne i nomi esatti (non esiste alcuna regolamentazione relativa alla segnalazione di presenza di nanoparticelle prodotte, come avviene ad esempio nel caso di additivi negli alimenti), ma l'ultimo rapporto annuale (relativo al 2019) rileva almeno 900 prodotti alimentari contenenti nanoparticelle. Tra questi c'è il latte per bambini, dolciumi, cereali per la colazione, barrette di cereali o dolci e dessert surgelati. Inoltre l'utilizzo di nanomateriali in altri settori conosce da qualche anno un aumento significativo: nanocomponenti in elettronica, nanoparticelle nei prodotti cosmetici, nanopolveri utilizzate per trattare e migliorare le superfici metalliche, ecc., senza dimenticare — e questo con un po' meno «trasparenza» — le loro numerose applicazioni in campo militare. E siccome ogni produzione genera la sua parte di rifiuti, i residui dei processi produttivi di nanomateriali si accumulano. Sembra che per il momento questi scarti vengano semplicemente bruciati oppure spediti altrove, preferibilmente verso i campi della morte in Africa (come in Ghana, dove si trova una delle più grandi discariche a cielo aperto per i rifiuti informatici del mondo intero).

E allora? In cosa i nanomateriali differiscono da qualsiasi altro prodotto industriale? Da qualsiasi tossicità prodotta dall'economia? Oseremmo dire, a rischio di dare forse troppo credito all'entusiasmo dei ricercatori, che un'altra soglia qualitativa può essere superata coi nanomateriali, e che non si tratta di una mera estensione quantitativa di ciò che già esiste. Per fare il parallelo con gli OGM: questi costituiscono, sì o no, una soglia-limite in rapporto alla devastazione già provocata dall'agricoltura industriale? Sono semplicemente «un po' più della stessa cosa» o stanno aggiungendo «qualcosa d’altro» alla somma delle schifezze esistenti? Per gli OGM, non v'è dubbio che la risposta sarebbe generalmente affermativa, trattandosi di manipolazioni che influenzano la struttura stessa del vivente e della sua diffusione nell’ambiente. Ebbene, noi saremmo piuttosto propensi a dare la stessa risposta in materia di nanotecnologie. La sintetizzazione di composti chimici non è certo nuova. Durante la Seconda guerra mondiale, i complessi chimici del Terzo Reich producevano già un «petrolio sintetico» per rispondere ai bisogni della Wehrmacht. La novità con le nanotecnologie è la scala su cui è possibile lavorare, e soprattutto il fatto che su scala nanometrica le proprietà della materia cambiano. Non si comporta più secondo le medesime leggi fisiche. Il carbonio ad esempio può diventare più resistente dell'acciaio. Il rame può diventare trasparente e l'alluminio esplosivo. Basta e avanza per suscitare l'entusiasmo degli apprendisti stregoni in questo mondo in cui l'artificiale prevale sempre più sul «naturale». Modificare le proprietà della materia potrebbe semplicemente trasformare nel tempo l’insieme della produzione attuale e generare nuovi «insormontabili problemi» (rifiuti, tossicità, limiti fisici…). Basti pensare a come potrebbe essere sconvolto il panorama del trasporto di elettricità, considerata l'attuale perdita di quasi il 5% sulla linea, se alcuni nanomateriali superconduttori venissero usati per sostituire i cavi odierni, costituiti per lo più da una lega di alluminio. O se i microchip diventassero così microscopici (oggi, la loro miniaturizzazione è limitata dalle proprietà dei materiali usati, di solito il silicio) da non essere quasi più rilevabili.  Parlando di irrilevabile, istituzioni di controllo come l'Anses (Agenzia nazionale di sicurezza sanitaria) ammettono da parte loro che è molto difficile e per il momento abbastanza aleatorio rilevare le nanoparticelle nei prodotti o nell'ambiente. Inoltre le nanoparticelle sono «indistruttibili», non scompaiono mai, viaggiano di corpo in corpo, dai laboratori ai prodotti, dai prodotti alla terra, dalla terra al cibo, ecc. Queste particelle, le cui proprietà sono state modificate, trapassano per di più tutte le membrane e i «filtri» protettivi di cui sono dotati la maggior parte degli organismi viventi. Pertanto, una nanoparticella può passare dallo stomaco o dal polmone al sangue, quindi dal sangue al cervello e così via, e sono disponibili pochissimi dati sulla loro tossicità. A titolo di esempio, lo Stato francese ha vietato nel 2019 in base al «principio di precauzione» l'additivo E171, il biossido di titanio, in tutti i prodotti alimentari ma non nei 4000 farmaci che lo contengono. Secondo cifre ufficiali, lo stesso biossido di titanio utilizzato dall'industria può contenere fino al 2,3% di nanoparticelle. Come per gli altri veleni industriali, la tossicità nanometrica è legata principalmente a una questione di gestione, con soglie modificabili all'infinito in funzione delle necessità del momento.

Per il momento, i «limiti» contro cui si scontra l'attuale produzione capitalistica sono parecchi, ma non costituiscono ostacoli insormontabili tali da annunciare la fine della loro preziosa crescita. Al contrario, costituiscono altrettante «sfide» per un'economia in perpetua ristrutturazione. Ad esempio, le previsioni di penuria di petrolio (tra l'altro abbastanza discutibili) incitano da decenni alla ricerca, alla commercializzazione e alla produzione di idrocarburi alternativi, e oggi possiamo vedere dovunque i disastri causati dal superamento di tale «limite»: monocolture di mais e colza per produrre idrocarburi, esplosione del fracking, sostituzione dei tradizionali motori a combustione con motori elettrici (e domani forse a idrogeno) e così via. Le nanotecnologie svolgeranno sicuramente un ruolo fondamentale nell'ulteriore artificializzazione del mondo. In questo senso, ogni attesa non fa che contribuire al progresso del dominio e delle sue opprimenti prospettive. Perdersi in interminabili discussioni sui gradi di pericolosità delle nanoparticelle rischia allo stesso modo di far perdere di vista che si tratta anzitutto di una via importante per l'economia allo scopo di superare determinate soglie e perpetuare così, ipotecando permanentemente il mondo, la sua mortifera esistenza. In fondo, come davanti alle altre promettenti tecnologie del dominio, la sola questione di qualche interesse da porre, qui e ora, resta quella dell'attacco distruttivo.  

Tratto da: Avis de tempêtes, n. 30, giugno 2020

Traduzione: Finimondo