È abbastanza facile intuire quali passaggi abbiano portato all’inchiesta per cui oggi Chiara, Claudio, Niccolò e Mattia si trovano in carcere. Che un’azione di sabotaggio, come quella avvenuta nel cantiere di Chiomonte nella notte del 13 maggio, sia pubblicamente fatta propria dal movimento No Tav non deve aver fatto molto piacere alle autorità. E se anche altrove qualcuno cogliesse il suggerimento che arriva dalla Valle? E magari non solo per sostenere da lontano la lotta contro il treno veloce, ma anche per rafforzarne altre? Questi devono essere stati più o meno i dubbi che hanno crucciato i governanti, ben consapevoli dell’attenzione con cui molti guardano a ciò che accade in Valsusa. Un fastidio che dev’essersi trasformato in un’emicrania durante l’estate, quando i sabotaggi si sono diffusi un po’ in tutta la Valle, ignorando il fortino di Chiomonte o più precisamente colpendolo da lontano, attraverso alcune delle aziende che vi lavoravano. Insieme a ruspe ed escavatori è stato duramente colpito anche l’orgoglio delle istituzioni che, nonostante l’elefantiaco dispositivo di controllo approntato in due anni a difesa del cantiere, sono state del tutto incapaci di far fronte a queste azioni.
Per correre in qualche modo ai ripari, alla Procura di Torino è stato dunque chiesto di tirar fuori dal cilindro il reato di terrorismo con le pesanti condanne e il cupo immaginario che porta con sé. Colpendo Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò, si voleva dunque terrorizzare chi lotta contro il Tav e non solo, intimando, neanche troppo velatamente, di prendere le distanze dai terroristi e dalle pratiche di cui erano accusati se non si voleva fare la loro stessa fine. Niente di nuovo, come spesso accade lo Stato tenta di dividere chi lotta in buoni e in cattivi per poter poi più facilmente aver ragione degli uni e degli altri, stroncando di fatto la lotta. Una strategia che purtroppo molto spesso funziona alla perfezione.
In questo caso, invece, si può tranquillamente affermare che la strategia appaltata a Rinaudo e Padalino stia miseramente fallendo. L’etichetta di terroristi infatti non ha in alcun modo messo i compagni in un angolo. Non li ha isolati, nonostante il regime di Alta Sorveglianza in cui si trovano rinchiusi. Chi lotta contro il Tav, e non solo, si è subito esposto richiedendone l’immediata liberazione senza indulgere in piagnistei innocentisti. La differenza, evidentemente chiara a molti, tra ciò che è giusto e ciò che è legale ha stimolato una solidarietà molto ampia e non condizionata dalle categorie di innocenza e colpevolezza proprie dei tribunali.
«C’eravamo tutti la notte del 13 maggio ad assaltare il cantiere di Chiomonte». «Se i 4 compagni in carcere sono terroristi, allora lo siamo tutti». «Terrorista è chi devasta e militarizza i territori». Questi alcuni degli slogan che hanno scandito finora la solidarietà a partire dal 9 dicembre. Slogan che poi sono riusciti a concretizzarsi in diverse iniziative ed azioni che hanno continuato la lotta per cui Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò sono stati arrestati.
I danneggiamenti delle sedi del Partito Democratico, le azioni contro la Banca Intesa San Paolo, i blocchi dei Frecciarossa e i sabotaggi contro alcune ditte collaborazioniste hanno di fatto rilanciato l’idea delle campagne contro i responsabili, politici, economici e imprenditoriali del Tav. Campagne di cui si parla da anni, ma che di fatto non si erano mai realmente sviluppate. La repressione quindi, per una volta, non solo non ha diviso chi lotta ma ha anzi liberato molte energie che non trovavano modo di esprimersi, consentendo di percorrere altre strade contro il treno veloce finora non battute a sufficienza. In questo modo tanti hanno contribuito alla lotta senza recarsi in Valsusa e senza attendere le indicazioni di qualcuno o le giornate di mobilitazione nazionali, mostrando come si possa lottare contro il Tav ogni giorno, autonomamente e un po’ ovunque. Non che ci sia naturalmente alcuna contrapposizione tra queste azioni diffuse, e non annunciate, e gli appuntamenti nazionali del 22 febbraio scorso o di sabato 10 maggio. Le prime dovrebbero infatti servire, anche, a preparare il terreno alle grandi manifestazioni, evitando che queste si riducano a delle scadenze più o meno distanti, sfilacciate e poco incisive. A loro volta, manifestazioni come quella di sabato dovrebbero servire, anche, a dare risalto alle indicazioni fornite dalle iniziative “più piccole”.
Particolarmente significative a riguardo le iniziative contro le sedi del Pd che, contrariamente a quanto potrebbero pensare alcuni, non rischiano in alcun modo di isolare la lotta contro l’Alta Velocità, anzi. La loro diffusione sul territorio e la diversità dei modi e delle motivazioni di chi le ha realizzate – opposizione al Tav, ma anche agli sfratti o ai Cie e più in generale, come mostra ad esempio il Primo maggio torinese, alle politiche del Governo – mostrano piuttosto come le azioni contro il Partito Democratico possano essere un modo di intrecciare un filo tra lotte diverse senza far ricorso ad alcuna piattaforma politica. L’augurio è quindi che l’ostilità contro il Pd continui a generalizzarsi e che ognuno trovi le proprie modalità per manifestarla.
Come il sabotaggio, del resto, anche l’attacco alle sedi dove si incontra e organizza la controparte è sempre stato una parte importante delle lotte sociali. Quando lottavano per impedire che l’Italia entrasse in guerra, nel maggio del 1915, gli operai torinesi erano usi, per esempio, sfasciare le vetrine del Caffè Ligure di piazza Carlo Felice, dove si ritrovavano abitualmente gli studenti interventisti. La Stampa e il sindaco, e forse pure qualche pacifista più sincero di loro, si lamentavano come adesso, e urlavano ai barbari, ma quei fatti, piccoli, erano un pezzo integrante dell’opposizione alla guerra: insieme agli scioperi spontanei e alle battaglie di piazza, insieme ai comizi oceanici sotto i balconi della Camera del Lavoro e ai falsi manifesti che invitavano alla diserzione, insieme ai cortei selvaggi e ai depositi dell’esercito bruciati.
E se novantanove anni fa, attraverso questo ventaglio di pratiche chi lottava non raggiunse il proprio obiettivo, è bene sottolineare che allora ci si opponeva a una guerra. Oggi invece, tutto sommato, solo a un treno.
Categoria: Informazione
“Mia nonna si rivolterebbe nella tomba…”
Fascisti e leghisti a parlare di volontariato con olio di ricino, spari dalle coste per gli indesiderabili, lager di Stato come i CIE per i senza documento, odio razziale, omofobia e
sessismo.
Tutto questo è una merda!
Il forum del terzo settore del volontariato complice di razzismo!
L'unica volontà è la libertà umana, cioè la rivolta contro questo mondo.
VERGOGNA!!!!!!!
Come fai a vivere se muori dentro?
Antifasciste e antifascisti
Lupi non passa inosservato a Cremona. No Tav Ovunque!
Oggi, sabato 3 maggio, il mortifero ministro delle infrastrutture Lupi è passato per Cremona
per sostenere il sindaco del centrodestra Perri.
Prima che iniziasse a blaterare parole incapibili, alcuni No Tav sono riusciti ad arrivare
vicinissimi alla piazza dove costui si stava crogiolando delle sue imprese di morte, non ultimo
il Tav.
I No Tav arrivati alle porte della piazza con in mano lo striscione "Terrorista è chi sostiene il Tav. Chiara Mattia Nicco e Claudio Liberi" sono stati respinti da un manipolo di Carabinieri, preoccupatissimi di uno striscione, cento volantini che rammentavano che terrorista è chi devasta e saccheggia i territori e un megafono, dove si è ribadito che Lupi non è gradita persona per quello che rappresenta, la lotta No Tav non si arresta, i quattro compagni accusati di terrorismo devono essere subito liberati e che il sabotaggio è una pratica giusta e necessaria per fermare l'alta velocità.
Se il potere è nell'infrastrutture, allora blocchiamo tutto.
Claudio, Mattia, Nicco e Claudio Liberi
Liberi/e Tutti/e.
Alcuni No Tav che c'erano
Da Piacenza a Cremona, solidarietà con i detenuti in lotta
Sabato 5 aprile 2014, carcere di Piacenza, primo giorno di mobilitazione: dalle celle e da un prato prigionieri molto arrabbiati e manifestanti solidali si vedono, si parlano, unendosi immediatamente nella protesta. E’ andata così, con lo striscione “Solidarietà ai prigionieri in lotta” nel campo lavorato a frumento in un punto dove con i prigionieri di 36 celle (insomma, circa 100 persone) ci si vede e sente, perché è questo che si vuole da entrambe le parti, senza altro mezzo che le corde vocali. Ci dividono, oltre alle sbarre delle finestre delle celle, il muro di cinta percorso da guardie armate di mitra, telecamere... e un’ulteriore inferriata. Nelle oltre 2 ore di comunicazione, tutto ciò è stato messo in ridicolo dalla sintonia crescente fra manifestanti e prigionieri.
Siamo andati a Piacenza per far sentire a chi è dentro che fuori c’è chi sostiene, solidarizza con chi in carcere tiene la testa alta, si unisce nella protesta, nella lotta; con chi il 21 marzo ha distrutto la sezione di isolamento di quel carcere. Si è riusciti a comunicare, a sentire quel che è realmente accaduto: nell’ora d’aria di quel pomeriggio fra alcuni prigionieri parte una lite, intervengono le guardie e li portano alle celle di isolamento, dove ci sono altri prigionieri fra i quali Valerio (Crivello, coimputato di Maurizio Alfieri). Le guardie saltano addosso ai prigionieri raccolti all’aria, per fermare
il pestaggio i prigionieri dell’intera sezione passano in breve dalla battitura alla distruzione completa delle celle. Tutti vengono pestati e trasferiti lontano, persino in Sicilia (Valerio a Viterbo, il cui indirizzo è: Strada S. Salvatore 14/b - 01100 Viterbo).
E siamo lì, lo urliamo, per dare sostegno alla mobilitazione di proteste e lotte (dal 5 al 20 aprile) annunciate dal “Coordinamento dei detenuti” nei mesi scorsi. Una mobilitazione che mira a far uscire dalla clandestinità quel che realmente accade dentro: dalle morti-uccisioni all’uso massiccio della dipendenza dai farmaci, dall’aumento delle condanne anche attraverso il circolo chiuso guardie-giudice di sorveglianza - da cui l’impiego dell’isolamento prorogabile chiamato “14bis”- unito alla censura o all’ancor più vigliacco cestinamento della posta, dalla riduzione dei salari per chi riesce a lavorare a cifre offensive, per esempio 50 euro al mese al raddoppiamento e oltre dei prezzi dei
prodotti venduti dallo spaccio interno, dalle condizioni igieniche paurose data la forte riduzione delle forniture di detersivi-disinfettanti all’impoverimento e abbruttimento del vitto...
Tutto questo e purtroppo altro ancora anche nel carcere di Piacenza è ben presente: il cambio delle lenzuola avviene una volta al mese, le docce non funzionano, i pacchi postali contenti cibo non entrano, il vitto è schifoso, il giudice di sorveglianza (di Reggio Emilia) è come non esistesse, l’uso dei farmaci è diffuso e puntuale al punto che esiste una sezione per chi è divenuto particolarmente dipendente. Come esiste la sezione femminile composta da 25 persone; le donne ci sentivano e si è riusciti ad afferrare
l’urlo: “tentano di stuprarci”.
Assieme abbiamo urlato per tutto il tempo “Libertà... Hurria...Guardie fasciste, razziste, assassine”..., abbiamo cantato “Bella ciao”... ci hanno detto di tornare, abbiamo risposto che lo faremo. (In quel carcere ci sono 600-700 prigionieri chiusi in due sezioni; in quella la vecchia ci sono il femminile, l’isolamento e quella “psichiatrica”).
Nel pomeriggio ci siamo diretti verso il carcere di Cremona. Anche qui la comunicazione fra solidali e prigionieri è continuata per due ore. Lo scambio di informazioni è avvenuto attraverso il nuovo padiglione del carcere di Ca' del Ferro. Qui abbiamo scoperto che due sezioni della parte vecchia sono rese inagibili per infiltrazioni. Tutti i detenuti di quelle sezioni sono stati ammassati nel nuovo padiglione dove... manca già l'acqua calda ma non i psicofarmaci. Anche qui lo striscione di solidarietà ai prigionieri in lotta era ben visibile.
Abbiamo salutato tutti i prigionieri con botti ed effetti pirotecnici molto vicini alle celle, con la promessa di tornare al più presto. In ultima analisi, rivolgiamo un appello a tutti/i i solidali/e; presto torneremo sotto le mura di queste due galere, e sarà importante avere una presenza più numerosa:
perché ce l’hanno chiesto i prigionieri e perché mai come in questi due presidi abbiamo trovato detenuti così arrabbiati, chiaro sintomo di un grave disagio che si protrae da ormai troppo tempo.
Spesso sotto le mura delle galere, abbiamo invitato i prigionieri a ribellarsi, a distruggere quell’infame istituzione totalitaria... A Piacenza una rivolta spontanea, a seguito delle ennesime violenze delle guardie, ha procurato la devastazione dell’intera sezione di isolamento. Quindi, da par nostro, non fermiamoci alle chiacchiere, sosteniamo in maniera attiva chi mette in atto pratiche di ribellione, perché non possiamo lasciare soli chi si ribella agli aguzzini!
Compagne e compagni contro il carcere
Ci siamo ripresi una parte del maltolto!
Nel pomeriggio di lunedì 31 marzo è stata emessa dal tribunale di Bologna la sentenza di assoluzione per i 21 compagni e compagne sotto processo dal 2011 per associazione a delinquere con finalità eversiva. Siamo stati dunque tutti assolti.
Nell'aprile del 2011, all'interno dell'operazione repressiva denominata “Outlaw”, in via san Vitale 80 lo spazio di documentazione Fuoriluogo era stato messo sotto sequestro e quindi chiuso, 5 compagni arrestati e 7 allontanati dalla città con divieto di dimora. A ciò sono seguiti 3 anni di accanimento sbirresco, con l'evidente e dichiarato tentativo di toglierci ogni spazio di agibilità in questa città.
Oggi dopo la sentenza, attesa in piazza da un grosso presidio, ci siamo ripresi uno spazio, strappato anch'esso ai compagni 15 anni fa. Si tratta della sede di un circolo anarchico intitolato a Carlo Cafiero che ospitava la Libreria Circolante. A metà degli anni '60 fu preso in affitto da Libero Fantazzini con alcuni compagni anarchici. Il comune di Bologna lo concesse a un costo simbolico per sostituire la sede storica di Porta Galliera chiusa durante il ventennio fascista. Questo posto, nel corso degli anni meglio conosciuto come Laboratorio Anarchico Paglietta, nel giugno del 1999 fu messo sotto sequestro e poi chiuso con mattoni e cemento a seguito di un'inchiesta che aveva condotto in carcere una compagne e un compagno. Per più di trent'anni era stato utilizzato da gruppi e individualità anarchiche, riempito di attività, assemblee, incontri e condivisione di vita. Come spesso accade il procedimento penale non ebbe alcun seguito, ma il locale restò murato e inaccessibile, chiudendo con sé un pezzo di storia della città.
Nella giornata della sentenza ci siamo ripresi uno spazio sottratto al piacere e all'esigenza di utilizzarlo. Uno spazio per confrontarci, discutere e trovare il modo di opporci con efficacia a un sistema che opprime, affama, devasta e avvilisce la vita. Uno spazio per continuare a lottare per un mondo del tutto altro da questo.
Bologna, 31 marzo 2013
Anarchiche e anarchici felicemente delinquenti