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A proposito di Kavarna

...la passione per la libertà è più forte d'ogni autorità...

Le voci dell’Est si faranno ascoltare durante il fine settimana di ricostruzione; Attraverso la loro musica e la presa di parola;
Nel cantiere collettivo di lama faché, la grée, il campo del primo maggio (di fronte alle assi). L’EST sono gli ecologisti radicali della Zad che supportano tutti gli attacchi in corso contro l’aeroporto e soprattutto contro il suo mondo. Nessun aeroporto, nessuna strada, riconoscimento di uno status di decrescita. Tutti gli aiuti volontari e materiali sono benvenuti.

CHIAMATA A VENIRE DAL MAGGIO 11 E PER SEMPRE:

Rioccupare la terra;
Azioni per affrontare l’occupazione militare, le prese di potere, l’autoritarismo nelle nostre lotte ;
Perchè che la ZAD rimanga un luogo di accoglienza fuori dalle leggi, di sperimentazione dell’organizzazione orizzontale e di resistenza all’oppressione.
Portare la tua pala, il tuo piccone e i materiali di cui può esserci necessità.

Lista degli oggetti che potrebbero servirti – clicca per leggere

Lista degli oggetti utili alla Grée e alle altre fortificazioni – clicca per leggere

Piccola guida di sopravvivenza sulle barricate – clicca per leggere

fonte: zadresist.antirep.net


Sotto assedio militare dal 9 aprile scorso, la ZAD di Nostre Dame des Landes continua a resistere alle varie forme di repressione messe in pratica dalle autorità francesi: dal massiccio dispiegamento di armamenti, all’infiltrazione di agenti in borghese tra i/le resistenti, sino al taglio delle linee di approvvigionamento idriche ed elettriche.
Dove non hanno avuto successo cingolati, blindati, elicotteri e granate ora tenta lo stato, tramite subdole pratiche di corteggiamento volte a destabilizzare la resistenza interna alla ZAD.
Un’opera di stigmatizzazione della resistenza vista sino a questo momento che punta a criminalizzare una parte dei/delle zadistes al fine di generare classifiche che dividano tra “buoni” e “cattivi”, nella più classica delle strategie attuate dagli organi di potere che tentano di mettere gli/le un* contro gli/le altr* laddove temono di perdere il dominio sulle masse.
Il 14 maggio prossimo scade il termine imposto dallo stato francese entro il quale i/le zadistes ritenuti “illegali” dovranno lasciare la ZAD se non intenzionat* a “regolarizzare” la loro permanenza, ma questo fa emergere diverse questioni e quesiti espressi da una parte dei/delle resistenti:

…cos’è un “occupante illegale”? Quali sono questi posti? Dovre dovrebbero andare le persone ritenut* tali? La ZAD diventerebbe un territorio di accesso controllato? Chi avrà accesso? Chi darà i permessi? Su quali basi? In quali limiti geografici? Cosa implica questo come misura di controllo sociale? Cosa succederà alle persone ritenute “illegali”?

Lo stato francese non è interessato a promuovere opere di valorizzazione dell’area in cui doveva sorgere il mega aereo-porto, se così fosse accetterebbe quelle autonome già presenti.
L’opera di corteggiamento è volta piuttosto ad aggirare una parte dei/delle occupanti, convincendoli che firmando accordi con le istituzioni, cessando blocchi e barricate, accettando gli ordini della polizia “zadionale” e dei suoi “zadiocrati”, lo stato li lascerà in pace, questo al solo ed unico scopo di cancellare ciò che la ZAD rappresenta: un luogo libero da ogni forma di gerarchia e struttura verticistica, auto-determinato e auto-organizzato, mantenuto grazie alla solidarietà tra i/le resistenti e che rifiuta la sua gentrificazione.
Un precedente scomodo ai “poteri forti”, da cui potrebbero prenderne vita altri, delegittimando e sovvertendo il ruolo di stato e capitale.

Invitiamo tutti gli anti-autoritari, i ribelli, gli insorti, gli autonomi, le minoranze, i marginali, i casi sociali, i perdenti a raggiungere la ZAD di Notre Dame des Landes il 12 e il 13 maggio 2018 (se volete venire prima siete i/le benvenut*) per organizzare orizzontalmente le risposte più imprevedibili agli attacchi autoritari, statali e capitalisti.
PS: comportamenti sessisti, comportamenti omofobi e in generale tutte le espressioni oppressive non hanno nulla da fare da questa parte della barricata; sono gli strumenti delle nostre oppressioni!

VM

più info su ZADResist – Mars-Infos

fonte: earthriot.altervista.org

Più nulla sembra poter fermare la corsa bellica. Da quando la rivolta popolare in Siria si è trasformata in guerra civile di lungo corso, i massacri, le distruzioni e gli esodi hanno superato di gran lunga ciò che riusciamo semplicemente a concepire. I bollettini di morte hanno da tempo rinunciato a fare gli aggiornamenti quotidiani. Cento, duecento, quattrocento, settecentomila morti… Tre, quattro, sei milioni di rifugiati. Mille, quindicimila, trentamila attacchi aerei. I massacri avvengono su una scala fuori dalla portata del nostro cervello. Eppure, sono fin troppo reali.
La rivolta in Siria è diventata un magma di interessi internazionali (Stati Uniti, Russia, Iran, Israele, Turchia, Francia, Inghilterra, Arabia Saudita…), in cui alleanze e accordi oscillano nella corsa verso il baratro finale. Tutto sembra indicare che un’ulteriore estensione della guerra sia ineluttabile, superando la soglia di uno scontro indiretto tra potenze coinvolte nella guerra siriana verso conflitti aperti, dalle conseguenze imprevedibili, a prezzo di altre decine di migliaia di morti. Così verrà modellato il nuovo mondo in cui non tarderemo a svegliarci, un mondo diverso da quello della Guerra Fredda, diverso dal dominio di un gendarme del mondo dagli accenti democratici garante della pace dei mercati con operazioni militari limitate ad una precisa regione. L’invasione di Afrin da parte dell’esercito turco è forse il preludio dell’estensione di una guerra annunciata, dai tratti ben più vasti.
Siamo lontani dai sollevamenti che hanno scosso tanti paesi in un momento in cui la ristrutturazione capitalista mondiale si affermava sempre di più. Questi sollevamenti, le loro grida di rivolta e di libertà, sono stati spesso affogati nel sangue, aprendo la strada ad un’accelerazione della militarizzazione, ad una moltiplicazione degli interventi militari, con tutte le loro conseguenze anche all’interno dei paesi belligeranti. Se le centinaia di migliaia di profughi che arrivano in Europa hanno condotto un po’ di quelle «guerre lontane» e delle devastazioni capitaliste alla porta delle democrazie occidentali, se gli sporadici attentati jihadisti hanno fatto riecheggiare il suono degli attentati indiscriminati – la guerra è guerra! – nelle strade di diverse città europee, la spirale in cui il mondo sta per lanciarsi porta direttamente ad una vera e propria guerra sia esterna che interna, che non lascia più nessuno al riparo.

La guerra che monta con forza giorno dopo giorno determinerà i contorni del mondo di domani. E gli anarchici, in tutto questo? Ci saranno ancora, attraversando la prova del fuoco in questo mondo di domani? Niente è meno certo, tanto più che siamo già – diciamolo chiaramente – terribilmente in ritardo. Noi guardiamo ancora a un ennesimo movimento sociale come se annunciasse in sé una nuova ondata di sovversione, lottiamo contro questo o quel progetto del dominio, ma senza includere queste lotte in un contesto più ampio, più vasto, più internazionale, e restiamo un po’ a bocca aperta quando persino le nostre pubblicazioni o le nostre sedi si trovano nel mirino della democraticissima giustizia antiterrorista. Ci muoviamo entro i margini che ci vengono lasciati, piuttosto che su terreni da noi stessi creati e conquistati con forza e convinzione. La questione non è di insistere sull’urgenza, quanto di portare uno sguardo lucido e critico su a che punto siamo davvero. Il mondo va in fiamme, i massacri seminano gli odi di domani, le favole di un mondo fatto di tecnologie partecipative e inclusive si rivelano ogni giorno di più per ciò che sono: controllo e ancora controllo. E noi, in tutto questo? Niente, o molto poco. Se è sempre tempo di sbattere la porta, come diceva qualcuno, tanto vale provarci. Provare, partendo dalle nostre idee anarchiche, rifiutando la guerra dei potenti, rifiutando la pace dei mercati, alzando il nostro sguardo verso la sola liberazione che non è foriera di nuove oppressioni: una rivoluzione sociale che distrugga da cima a fondo le vestigia dell’autorità, la mentalità di obbedienza e sottomissione. Puntare alla rivoluzione sociale è assurdo, in tempi in cui ogni prospettiva rivoluzionaria sembra così lontana? Forse, ma i tempi non sono più approssimativi, e nemmeno buoni per proposte possibiliste o nichiliste che riflettono fin troppo questo mondo: il realismo o il nulla. Per gli anarchici, che vogliono tutto, subito, e molto di più, occorre un progetto, con proposte chiare, lucide, coraggiose. Le idee ci sono, maturate nel corso dei secoli, spesso messe a dura prova, a volte approfondite e spesso trascurate, ma ci sono. Distruzione di ogni autorità, guerra contro ogni potere e ogni schiavitù, libertà per tutte e tutti. Anche le nostre armi ci sono: sabotaggio, azione diretta decentrata, attacco senza mediazione, immaginazione creativa piuttosto che programma. Anche i nostri metodi esistono: azione individuale, gruppi di affinità, coordinamenti puntuali, lotta di «guerriglia» asimmetrica piuttosto che guerra militarista, auto-organizzazioni informali e solidarietà rivoluzionaria. A partire da questo, sì, anche in un momento in cui il mondo si dirige verso l’abisso, abbiamo qualcosa da dire, qualcosa da fare, qualcosa da proporre.
Il cielo può anche offuscarsi, la morte può anche essere in agguato, ma non vogliamo in nessun caso rinunciare alle nostre proposte anarchiche, qui come altrove. Amiamole, difendiamole, battiamoci per esse. Non è detto che avremo una seconda possibilità.

 

 

 

 

 

 

 

 

Non solo per quest’ultima tesi, ma per tutte quelle qui
formulate, bisogna aggiungere che sono state scritte
perché non risultino vere. Poiché esse potranno non
avverarsi solo se terremo continuamente presente la loro
alta probabilità, e se agiremo in conseguenza. Nulla di più
terribile che aver ragione. Ma a quelli che, paralizzati dalla
fosca probabilità della catastrofe, si perdono di coraggio,
non resta altro che seguire, per amore degli uomini, la
massima cinica: «Se siamo disperati, che ce ne importa?
Continuiamo come se non lo fossimo!».

Dalla postfazione:
Il sabotaggio del sistema mercantile avviene anche liberandosi dal vecchio mondo che ci portiamo dentro. La liberazione non ha peggior nemico di chi pretende di cambiare senza scrollarsi di dosso gli aneliti di questa civiltà poliziesca. È troppo tempo che imparare a vivere significa cupamente vedere la morte viaggiare nelle vite.
Dipende solo dagli esclusi, dai fuorilegge, dagli spiriti alla ricerca di cieli stellati, da chi occupa gli spazi per prendersi il tempo di stravolgere le proprie vite, da chi è ostile a questo mondo, da chi non abbassa la testa davanti ai potenti e ai loro servi o anche da chi ha, fin ad oggi, solamente sognato di farlo.
Darsi all’invenzione della vita, darsi all’anonimato dei desideri anche se la situazione tecnica vorrebbe impedircelo.
Ciò che è non va negato in nome di ciò che era o di ciò che sarà prematuramente, ma per dare finalmente vita a tutto ciò che desideriamo e che potrebbe divenire, nelle sue smisurate possibilità.
Il contributo di Anders è prezioso perché è spinto da una tensione etica intransigente, incompatibile a qualsiasi forma di recupero filosofico, morale o politico.
Un contributo che annuncia diserzioni da questo mondo e sogni di un’insorgente aurora, affinché la sete di libertà possa contagiare in ogni dove.

Isodore Maldoror

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