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A proposito di Kavarna

...la passione per la libertà è più forte d'ogni autorità...

LA REPRESSIONE NON ATTACCA, ATTACCHIAMOLA!

Ciao a tutte e tutti,
finalmente mi sono deciso pure io a scrivere due righe sull'attuale teatrino repressivo nei confronti di noi anarchiche e noi anarchici, che sta relegando in galera me ed altri due compagni.
E' da ormai circa 11 mesi che siamo imbrigliati nelle maglie della loro trappola: Ghespe undici mesi tutti in carcere, io sette di carcere e 4 con obbligo di dimora e rientro notturno, Giova 2 mesi e mezzo di carcere più altri otto tra obblighi, rientri e firme.
Ma la loro “famigerata” Operazione Panico, avviata a gennaio 2016 e che ha iniziato a colpire dal 31 gennaio 2017, ha inoltre “regalato” ad altre compagne ed altri compagni giorni di carcere, arresti domiciliari, obblighi di dimora, rientri notturni, firme, divieti di dimora da Firenze ed altri assurdi divieti di dimora dal Galluzzo, quartiere di Firenze dov'era sita l'occupazione della Riottosa, che è stata sgomberata insieme all'altra occupazione anarchica cittadina, Villa Panico.
Il tutto per una serie di avvenimenti accaduti in città: un assalto alla sede di CasaPound, due ordigni piazzati davanti alle sedi dei fasci (di cui uno a Capodanno 2017, dove nel tentativo di disinnescare l'ordigno ha perso mano ed occhio un artificiere e da questo avvenimento il reato di tentato omicidio per cui all'oggi in 3 siamo in custodia cautelare in carcere), un presidio antimilitarista non autorizzato, un corteo non autorizzato, il lancio di molotov alla caserma dei Carabinieri a Rovezzano in seguito all'arresto di due compagni e una compagna per una rissa con gli sbirri fuori da un concerto, presidi sotto al carcere, scritte sui muri della città...e infine i reati relativi all'avvenimento di Capodanno, che loro pongono come perno centrale della questione.
Un'inchiesta che ha accelerato notevolmente i tempi repressivi dopo il 1° gennaio 2017, e dove non poteva mancare un'associazione a delinquere ed incredibili colpi di scena: arresti, scarcerazioni, aggravamenti di misura per scritte, riesami – cassazioni – controriesami... gip competenti, gip incompetenti, capi della polizia e servizio anti-terrorismo, unità operativa della polizia italiana (UOPI) e chi più ne ha più ne metta... Un pastrocchio giudiziario teso a colpire certe tipologie di pratiche e chi le mette in atto, perché non sottomesso al sistema e nemico di esso.
I metodi di indagine, poi, sono stati i più infami e squallidi, ma cosa vogliamo aspettarci dai nostri nemici? In particolare, per giustificare il tentato omicidio e l'altro reato annesso (detenzione, fabbricazione e porto d'arma da guerra) che vede imputati noi arrestati ed un altro compagno, intercettazioni di chiacchiere simpatiche tra amiche ed amici diventano prove madre, frammenti di DNA prelevati a casaccio segno indiscutibile di colpevolezza, stati d'animo emozionali e personali sintomi d'ammissione.
Per non parlare della loro meschinità nel tentare, con tutto quel materiale cartaceo che più di un'inchiesta giudiziaria pare un copione di un film già scritto, di dividere e mettere gli uni contro le altre i compagni e le compagne dell'inchiesta. Tutto ciò non è stato solo atto a trovare chi secondo loro è colpevole dei reati contestati, a fare arresti e sgomberare spazi, ma ha tentato di levare di mezzo la realtà fiorentina e di frammentare e dividere ancora di più la situazione.
Bene, personalmente dico che ci hanno provato, ma non ci sono del tutto riusciti: c'è ancora chi si organizza, discute ed agisce in città, e chi è stato colpito dalla repressione in questo lasso di tempo è ancora lì, sulle sue posizioni, a testa alta, e penso che consapevolmente si ripeta: “io trovo giusto il mio percorso perché sono nel giusto!”.
La loro repressione ci ha sì colpito, ma non attaccato del tutto come era nelle loro intenzioni iniziali.
All'oggi, come continuare? La loro repressione non attacca, attacchiamola noi. Sarebbe finalmente a questo punto importante ripartire, piuttosto che dalle discussioni e da mille ragionamenti sulla solidarietà in risposta alla repressione, da quelle pratiche che loro ci contestano e che a loro danno molto più fastidio dei nostri discorsi teorici.
Dimenticare quest'anno e mezzo di batoste e ripartire lì da dove a loro è più nuociuto: per noi dentro queste mure abbassandosi il meno possibile al loro potere, e per chi sta fuori “con la scelta delle armi che è tua per il duello”.

Un saluto, un enorme abbraccio ed un urlo carico di rabbia ed amore a Ghespe e Giova!

Contro il potere, contro l'autorità, per la libertà!

PER L'ANARCHIA!
PASKA

Avete ottenuto il vostro attestato in giornalismo. All’università o in una Scuola di alto livello, avete imparato a osservare la realtà sociale attraverso i libri dei sociologi, le memorie di uomini di Stato e i manuali retorici sulla manipolazione. Avete decifrato il principio della democrazia: mentre il potere è in apparenza nelle mani del popolo sovrano, a governare sono il denaro e la politica. Vi impegnate così a rafforzare e ad accrescere questa impostura in ogni articolo che redigerete.
Avete imparato ad attirare le persone che intervistate in una trappola. Dispensate banalità su banalità, e cercate sempre di dividere le persone e di metterle le une contro le altre: siete i moderatori della cacofonia delle opinioni; i capomastri dei luoghi comuni.
Onorate il principio di neutralità; non scegliete un campo. All’interno di questa neutralità, riducete tutte le idee e tutte le questioni a mere opinioni, senza peso né conseguenza. Il peggio è che sapete servirvi di una forma un po’ più di sinistra o di destra, ma abiurate ogni idea propria, ogni analisi personale e vi limitate a trascrivere l’esistente, in pratica non siete che scribacchini del potere.
Riuscite a descrivere un conflitto sociale in modo tale che nessuno ci capisca qualcosa. Sapete come fare affinché nessuno si riconosca nelle rivolte. Sapete che è meglio presentare i detenuti in rivolta come bestie, i giovani ribelli come barbari, i clandestini come parassiti, gli anarchici che attaccano il capitale e lo Stato come terroristi sanguinari capaci di piazzare una bomba in qualsiasi luogo e in ogni momento. Utilizzate la tattica della divisione e della separazione.
Sapete che anche stare in silenzio è una tattica interessante, materia in cui la vostra amica polizia vi ha certamente istruito. Sapete che talvolta è meglio non dire nulla di una rivolta in un Cie, di una azione diretta, di un sabotaggio, di un attacco contro una struttura del potere. Con la vostra abilità, anticipate il fatto che molte persone pensano che quando qualcosa non viene detta dai media, non esiste. Adescate i movimenti sociali e li invitate a prostituirsi dedicando loro qualche riga accattivante sul vostro giornale.
Utilizzate la tecnica dello scandalo e sapete sfruttare la miseria delle persone per fare risuonare la voce del potere. Come tutte le schifose carogne, volteggiate sulle miserie degli altri. Conoscete la forza delle parole e siete grandi maestri nella deformazione, nella manipolazione, nella falsificazione e nel ridicolizzare qualsiasi lotta sociale. Non scordate mai chi sono i vostri alleati e siete sempre pronti a dare una mano alla polizia e ai controllori. Sapete che a seconda delle esigenze contingenti, potete farvi avanti come «giornalisti critici» denunciando piccoli scandali per nascondere meglio il grande scandalo di questo mondo mortifero.
Infine, eccellete in stupidità. Imbrogliate tutto, confondete nomi, luoghi e idee, mancate di ogni conoscenza reale in relazione ai soggetti di cui scrivete. Talvolta presentate le cose in modo complicato e complesso per far sentire idioti i vostri lettori. Quando date la parola a ogni sorta di specialisti e di professori, sapete che nessuno capirà niente, e così potrete utilizzare la vostra stessa stupidità come la risposta della gente comune. Non dimostrate solo di aver fatto della vostra stupidità la più grande virtù, ma aiutate soprattutto a mantenere tutti nell’ignoranza.
[Hors Service, n. 9, 24/9/10]

Questo è un testo volantinato all'incontro del becero PAF intitolato: "Imparare dalla Leggera. Conversazione a due voci su Danilo Montaldi, tra politica, filosofia e letteratura". Una relatrice ha definito la posizione esistenziale di Danilo Montaldi "eccentrica". Questo la dice lunga sulla miseria dell'intellettualismo. Una lieta nota: chi ha conosciuto Danilo ha apprezzato questo scritto critico. Ciò non può che fare piacere, dato il valore esperienziale che si porta appresso questo pensiero. Buona lettura.

Cosa c'entra Danilo Montaldi con il PAF (Potere Agonizzante Festival)?

Questa domanda frulla nel cervello. Come si può pensare che un rivoluzionario, critico verso qualsiasi potere e verso qualsiasi dirigenza (anche quella fatta da kompagni), possa star dentro il carrozzone autoritario del PAF? Se il dominio dirige non solo l'economia e la politica, ma detta la cultura e contiene l'esistenza, anche il pensiero sovversivo può essere trasformato in un'opinione del tutto opinabile. Come se non bastasse, nel Potere Agonizzante Festival, troviamo anche un incontro sulle stragi di Piazza Fontana e Piazza della Loggia. Non è che gli organizzatori vogliono chiedere i diritti d'autore per quelle stragi allo Stato, nelle vesti del Comune di Cremona?
Fino a quando la cultura sarà di potere, nessun potere verrà distrutto dalla cultura altra, cioè l'unione fra pensiero ed azione, parafrasando le calde parole di Simone Weil.
Come diceva Lautréamont: «Tutta l'acqua del mare non basterebbe a lavare una macchia di sangue intellettuale». Quel mare, come il Mediterraneo, dove le persone oggi muoiono. E dove una città come Cremona elargisce fogli di via, multe, galera e repressione in strada a chi è indesiderabile, considerato un vivente solo se detiene un pezzo di carta, dietro alla retorica dell'accoglienza.
Qual connubio fra Danilo Montaldi, noto critico di qualunque forma di dominio, e il PAF, festival che vuole abbellire la crudeltà di questa società?
Un refrattario all'ordine non può essere recuperato in questo modo...

Il significato dei fatti di luglio di Danilo Montaldi

I fatti di luglio sono stati giudicati da buona parte della stampa nazionale come “un tentativo rivoluzionario da parte di teddy-boys e di masse esasperate” e questa opinione è stata ripresa anche da certi “uomini di sinistra” preoccupati che non venisse loro attribuita la responsabilità degli avvenimenti, dato che veniva orchestrata la campagna come se si fosse trattato di un tentativo di colpo di Stato comunista.
I fatti di luglio non sono stati “un tentativo rivoluzionario”; sono stati un’azione di difesa, ma svoltasi questa volta su un piano di classe. A Genova i giovani, i lavoratori, hanno inteso difendersi con i propri mezzi, con i propri metodi, non hanno questa volta delegato nessuno, hanno applaudito i discorsi dei dirigenti politici quando questi hanno parlato di lotta; ma nello stesso tempo non hanno aspettato che arrivasse l’ordine dall’alto (che non sarebbe arrivato, come non è arrivato); hanno stabilito nell’azione una propria, profonda unità; e hanno tratto, infine, un insegnamento dall’azione condotta.

Si è parlato quindi di teddy-boys e di masse esasperate. Ma anche questo è un giudizio interessato. I ragazzi di Genova che hanno bruciato le camionette della Celere erano dei giovani che sanno quello che fanno; sono operai e studenti che hanno maturato un profondo disprezzo nei confronti del potere che grava su ogni momento della loro vita di giovani.
I fatti di luglio sono la prima manifestazione di classe della nuova generazione cresciuta nel clima del dopoguerra: da parte della classe dirigente non sono stati risparmiati mezzi perché i giovani rimanessero imbrigliati nel sistema, ma i fatti di luglio hanno dimostrato che i giovani rifiutano questo sistema.

Sempre, da parte borghese e opportunista, quando avvengono fatti di piazza si parla di “masse
esasperate”. I borghesi per ovvie ragioni; e gli opportunisti lo fanno per semplificare, così, il problema, e per dimostrare che senza la loro guida illuminata non si risolve niente. Ma i lavoratori, se sono di qualcosa “esasperati” è di sentirsi trattati nel lavoro, nella vita pubblica, nei partiti, nei sindacati, come gente che va costantemente guidata. Questa volta hanno voluto guidare loro stessi la lotta e l’hanno portata sul proprio piano, di classe.

Si sono mossi i lavoratori della Liguria, dell’Emilia, del Piemonte, i lavoratori dell’area cosiddetta evoluta del Paese, dove ugualmente il potere borghese non si è risparmiato in 15 anni per intralciare l’urto di classe del proletariato; entro quest’area il livello di vita dei lavoratori, grazie alle lotte passate, è piuttosto elevato nei confronti del resto [del territorio] nazionale, ed è in quest’area che viene praticata la politica del neocapitalismo tendente a risolvere la lotta di classe in termini di consumo e di benessere.

Entro quest’area ci sono isole “privilegiate” dove tale politica ha funzionato per anni; tuttavia è stato proprio da quelle isole che è partita la risposta di piazza. Non erano lavoratori, quelli scesi contro la polizia nelle giornate tra giugno e luglio, esasperati dalla fame e dalla miseria; non erano lavoratori in preda all’elementare bisogno del pane; sono operai industriali, cui il lavoro non manca, i quali hanno dimostrato che quando cessa la fame e la miseria non cessano i motivi per mettersi contro l’attuale società, le classi che la governano, e la polizia che la difende.
Situata dunque su questo terreno, la difesa dei lavoratori e dei giovani che ha avuto inizio da Genova è stata in Italia la manifestazione politica più notevole degli ultimi anni proprio per le modalità nelle quali si è svolta e per le qualità classiste dei suoi protagonisti: i lavoratori delle zone industriali.

Ai fatti di luglio la borghesia nazionale, che già cantava da anni vittoria contro una classe operaia
che si sarebbe appagata di alti salari, frigoriferi e ferie pagate, ai fatti di luglio la “generosa” borghesia nazionale ha reagito facendo sparare sui lavoratori. Ai fatti di luglio gli opportunisti, che in nome del “progresso raggiunto” escludevano che si potesse ancora ricorrere all’agitazione di piazza e cercavano di convincere tutti che soltanto in Parlamento possono essere condotte azioni efficaci, ai fatti di luglio gli opportunisti hanno reagito cercando di diminuire la portata
degli avvenimenti affinché non gliene venisse attribuita la responsabilità.

Nei fatti di luglio i lavoratori, i quali sanno perfettamente che non si dà alcun progresso reale senza
il loro diretto intervento sul terreno sociale, i lavoratori hanno detto no non soltanto al potere borghese ma anche agli opportunisti: a Genova è stata capovolta anche l’automobile della Camera del Lavoro dalla quale si lanciavano appelli perché l’azione venisse fermata, a Roma un burocrate del PCI che faceva opera crumira di “convincimento” ne è uscito con la testa rotta, altrove si sono verificati scontri tra lavoratori e sindacalisti che volevano rimandare tutti a casa, dovunque l’interessata indecisione dei partiti di sinistra e del sindacato è stata criticata dai lavoratori e dai giovani.
Di tutti questi fatti va condotta un’analisi che possa liberarne l’interno significato politico.

[da Quaderni di unità proletaria, 1960]

Cremona, 29 giugno 2018

Lumpen

 

Nei mesi precedenti...

Una serie di atti repressivi cadono sulle teste di sette compagne/i di Cremona: imbrattamento, danneggiamento, rifiuto di dare le proprie generalità e fogli di via contro alcuni antimilitaristi (in questo caso per una compagna e un compagno dal noto paese di proprietà della NATO Ghedi, dopo una notte turbolenta contro vigili e carabinieri), il tutto condito dall'aggravante del concorso.
Nel mezzo un processo per danneggiamento ad una banca (fatto avvenuto nel 2012) va avanti contro altri due compagni, dove il giudice chiede il risarcimento dei danni in favore dell'istituto bancario. Inoltre, il processo che vede imputati degli antifascisti per la lugubre sera del 18 gennaio di tre anni fa, quando Emilio andò in coma, continua. Un giornale cittadino fa notare tutta la propria visione patriarcale dando giudizi lesivi su quanto sono corti i pantaloncini di un'antifascista presente quel giorno. Giornalista terrorista e figlio convinto del patriarcato, ergo un merda di persona. C'è chi si veste come vuole, c'è chi inneggia con i propri articoli la cultura dello stupro.

Mercoledì 6 giugno

Nel quartiere Cascinetto vengono affissi dei manifesti che annunciano la due giorni di critica radicale alla tecnologia chiamata Switch the inputs!

Giovedì 7 giugno

Il Signor Comitato di Quartiere 11 si mobilita democraticamente scrivendo un'aberrante lettera alle istituzioni cittadine chiedendo il rispetto della convivenza civile. Le chiacchiere da facebook diventano esposti insulsi. La povertà di una vita di stenti che vivono alcune e alcuni individui del quartiere Cascinetto rispetta nell'abitudinaria esistenza l'ecumenica convivenza civile?

Venerdì 8 giugno, sabato 9 giugno e domenica 10 giugno

La due giorni di critica radicale sulla tecnologia si svolge senza intoppi. Purtroppo quella che voleva essere per il potere green e smart cittadino la notte bianca della tecnologia, diviene la notte nera della critica ad un mondo controllato, sorvegliato e tecno-marcio. Mai citazione fu più azzeccata: «L'impiego particolare della tecnica e il contesto economico ha ridotto le occasioni di sofferenza e morte, mentre la morte si installava, come una malattia incurabile, nella vita di ciascuno», frase di Raoul Vaneigem che dà inizio alla mostra di critica esposta nella due giorni chiamata Tecnocrazia, dentro l'incubo tecnologico.

Lunedì 11 giugno

Arriva il primo spione di una televisione cittadina, Telecolor, per fare delle foto al Kavarna e a chi in quel momento è presente nello spazio. Naturalmente il tutto senza consenso. Il giornalista viene cacciato dal posto non prima di averli fatto notare una questione fondamentale: gli spioni in alcune zone della città non sono ben accetti. Dopo poco arrivano due pattuglie degli sbirri e una macchina di due digossini nervosissimi, minacciando denunce e ripercussioni legali. Sarà, ma la difesa delle proprie idee non ha prezzo.

Martedì 12 giugno e mercoledì 13 giugno

Mentre i giornali cittadini parlano di un incontro sull'ordine e la sicurezza tenuto in Prefettura sulla questione Kavarna, ormai il quartiere Cascinetto pullula di spioni. In queste giornate vengono fatti allontanare telecronisti di Cremona1, nota televisione cittadina del padrone di Cremona l'inquinatore Arvedi, e un giornalista de La Provincia riceve lo stesso trattamento. Fin da bambini lo spione è stata una delle figure più odiate, perché non dovrebbe esserlo anche ora?

Giovedì 14 giugno

Si apprende la notizia che il Signor Comitato di Quartiere ha incontrato la giunta comunale. La nota che riassume questo incontro uscita poco dopo indica nel rafforzamento dei controlli la soluzione. Come se il Kavarna non fosse già controllato giornalmente da digos e sbirri vari... Forse qualcuno è infastidito, dopo essere stato beccato con le mani nella marmellata, mettendo localizzatori GPS sull'auto di una compagna e di un compagno qualche mese fa, o che la telecamera posta sopra l'entrata del Kavarna sia sparita poco dopo l'installazione poliziesca?

Venerdì 15 giugno

Viene affisso il seguente manifesto in quartiere:

«La verità è un momento del falso

La vita è una farsa dove tutti abbiamo una parte
Arthur Rimbaud

Negli ultimi giorni è esploso il caso mediatico del rapporto fra il Kavarna e il quartiere Cascinetto. Allergici alla spettacolarizzazione politica, abbiamo subito percepito il fondo della scottante questione: l'inizio della campagna elettorale per l'elezione del prossimo sceriffo (ah già, sindaco) che si terrà fra pochi mesi.
Stare insieme perché si sente il desiderio di farlo arreca molto fastidio a chi basa sui bisogni la propria becera propaganda. Che la due giorni kavernicola di critica radicale alla tecnologia denominata Switch the inputs! desse fastidio, lo sapevamo. Guarda caso, aver scombussolato la notte bianca dell'oppressione tecnologica per trasformare la città in un'app ha creato qualche grattacapo a chi vorrebbe questa città silenziata.
Le critiche emerse per il rumore che proviene dal Kavarna dodici sere all'anno sembrano uscite dalla noia dei social network, per darsi agli esposti all'amato Galimberti e ai suoi adepti leghisti Burgazzi e Carpani, il fascista Ventura e la pentastellata Lanfredi. Tutti questi personaggi sono in parte autori della devastazione ambientale ed emozionale di questo piccolo mondo chiamato Cremona. Essi rappresentano, per esempio, i partiti che hanno firmato e che mantengono l'accordo assassino con la Libia, dove uomini e bambini vengono torturati e le donne vengono stuprate nei lager. Solo per questi due esempi noi non prendiamo nessuna lezione dello stare insieme da loro.
Riteniamo, invece, che le voci di chi abita nel quartiere insieme a noi siano da ascoltare. Al posto di avere rapporti mediati da facebook, apprezziamo le relazioni autentiche. Per questo siamo sempre disponibili ad un confronto con chi vive questo scorcio di città. Chi vuole parlarci sa dove trovarci. Ma con vigili di quartiere e politicanti, assessori o sceriffi, razzisti e sessisti, sbirri o giornalisti di ogni risma non vogliamo condividere neanche l'aria inquinata che respiriamo. Agli spioni ci pensiamo noi, non l'autorità!
Come diceva un vecchio filosofo, l’attimo è l’eternità. È la polizia del pensiero dominante a volerci mutilare, per farci diventare esseri robotici senza più uno straccio di desiderio a cui aspirare. Darsi al disordine dei sogni è ciò che può interrompere il mondo e anche il becero spettacolo a cui non siamo stati invitati.

kavernicole e kavernicoli»

Alcune e alcuni abitanti della zona vengono a parlare individualmente al Kavarna. Questo non può che far piacere, dato che le relazioni dirette e non mediate sono apprezzabili.
Alla sera il quartiere Cascinetto viene completamente militarizzato. Chi vuole partecipare all'assemblea di quartiere lanciata dal Signor Comitato si trova davanti a sé uno scenario di guerra. La questura di Cremona adotta un dispositivo di controllo enorme e imbarazzante.
L'assemblea di quartiere, comunque, inizia lo stesso. Qualche kavernicola partecipa per affermare a voce le questioni riportate sul manifesto apparso in mattinata in quartiere. Alcuni individui che vivono nei dintorni del Kavarna svestono l'armatura cittadinista e riportano una questione fondamentale: se ci sono dei problemi fra chi fa vivere quotidianamente il Kavarna e chi ci abita vicino, questi vanno affrontati in modo diretto, senza nessun mediatore istituzionale di mezzo, neanche il Signor Comitato. Grande è la sorpresa per alcuni. La polizia fa una grande figura di merda.

Sabato 16 giugno

La mattina si apre con il giornale cittadino che parla di incendi avvenuti in città nella notte fra giovedì e venerdì. A prendere fuoco sono stati: alcuni cestini dell'immondizia in una via centrale della città, una fonte dell'acqua di proprietà di Padania Acque (nota società di staccamento dell'acqua nei confronti delle persone più povere) e una macchina in un quartiere di Cremona.
In mattinata, inoltre, il centro cittadino viene militarizzato per la presenza di un banchetto della xenofoba Lega . Alcune/i compagne/i srotolano uno striscione che recita: «Il mare annuncia tempesta. Affondiamo la Lega e il Movimento 5 Stelle», chiaro riferimento a quello che sta succedendo in questi giorni nei porti di questo paese razzista. Viene distribuito un volantino che recita così:
«LA DIFESA E L’ATTACCO
A Macerata si spara sulle persone migranti. A Firenze, non avendo il coraggio di suicidarsi, si spara sul primo straniero che si vede. Nel Mediterraneo persone migranti annegano. Alla frontiera italo-francese del Monginevro/Alta Val di Susa muoiono congelate. Sul Brennero le persone senza il foglio di carta giusto muoiono folgorate dalla linea elettrica ferroviaria o schiacciate dalle ruote dei vagoni per bianchi (i neri vengono fatti scendere a Verona, Trento
e Bolzano anche se dotati di biglietto). In Calabria i migranti sono bersagliati da colpi di fucile perché rubano rottami per costruirsi le baracche dove vivono. In Sicilia i braccianti agricoli vengono sequestrati e torturati dall’assessore comunale del PD per aver rubato, per il troppo freddo, delle bombolette di gas dalle serre dove si tengono, in un dolce tepore, le piante di pomodoro affinché possiamo trovarli anche a dicembre sugli scaffali del supermercato. In Puglia le persone muoiono lavorando nei campi sotto il sole. In Liguria un ragazzo ecuadoregno, provato dalla vita, viene abbattuto dalla polizia mentre cercava di opporsi ad un TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio). Eppure, è risaputo, la miglior difesa è l’attacco. E a volte ciò avviene. Il 2 giugno a Benevento viene assaltato da alcuni arrabbiati ed arrabbiate (poniamo fine alla separazione noi/loro, italiani/migranti) il gazebo della Lega. I giornali vociferano che ci fosse dietro lo zampino di qualche facinoroso che ha aizzato gli “stranieri”, ma basta sapere che è stato subito annullato dai leghisti il presidio che ci sarebbe dovuto essere il giorno dopo perché questi sobillatori si guadagnino la più completa simpatia. A Pisa il 5 giugno viene schiaffeggiato un leghista che stava volantinando in centro e, contemporaneamente ma dall’altra parte della città, i venditori abusivi della Torre pendente cacciano a schiaffi e pugni (30 giorni di prognosi) i carabinieri mandati a minacciarli, identificarli, multarli, arrestarli. L’anno prima, sempre a Pisa, era accaduta ai finanzieri la stessa disavventura. Nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR), nelle carceri, nelle strutture di seconda accoglienza, è un continuo ribollire di repressione e rivolta: piccoli gesti, ma anche grandi, in tutta Europa e Nord Africa. In Tunisia, il 7 giugno e dopo la morte di 73 persone nel Mediterraneo, viene data alle fiamme una caserma della Guardia Nazionale. In Libia non si contano le evasioni e le sommosse nei centri per migranti finanziati dal governo italiano. Il 13 giugno brucia l’anagrafe di Asti, e gli inquirenti parlano di una possibile vendetta per dei documenti non rilasciati: diceva un vecchio slogan, “Permesso di soggiorno, carta di identità, la carta
è solo carta, la carta brucerà!”.
A soffiare sul fuoco del razzismo, della deriva securitaria, della carcerazione e della
repressione di massa, dei proclami populisti-giustizialisti-criptofascisti, si può restare bruciati dal fulmineo ritorno di fiamma di un fuoco che si pensa erroneamente addomesticato. Nel 2006, in risposta alla provocazione del ministro leghista Calderoli di indossare una maglietta satirica sull’Islam, a Bengasi venne assaltata e bruciata l’ambasciata italiana. Da anni il malcontento delle periferie francesi finisce col rafforzare le fila del radicalismo islamico. La rabbia c’è, nel nostro mondo, ed è palpabile, seppur sommersa sotto gli schermi degli smartphone e sotto la peggiore ideologia religiosa.
Molte persone sono disposte a giocarsi la vita. Come si fa quindi a far emergere tutto ciò? Come si fa a non lasciarsi abbattere dalla propria rabbia - consigliando di reagire anche ad altre e altri - e ad attaccare i diretti responsabili delle brutture ed infamie che ci circondano? Come si fa ad indirizzare la propria rabbia - e consigliare di farlo - verso coloro che sono i diretti responsabili delle brutture ed infamie che ci circondano?
Eppure, prima di un semplicistico “loro”, siamo “noi” a dover imparare a metterci in gioco, se davvero non vogliamo rassegnarci a questo mondo.»
Purtroppo le bandiere e i volantini delle merde leghiste reggono e non si ripete il divertentissimo caos del febbraio scorso, quando alcune e alcuni nemici della Lega crearono un po' di disturbo creativo ai razzisti e a chi li difende, durante una giornata antielettorale di critica ai banchetti di qualunque partito politico, a pochi giorni dalle elezione del 4 marzo.

A mo' di conclusione con le parole di Günther Anders

«Impararlo era stato necessario. Giacché chi non odia l'infame, non solo dà prova di viltà, ma si rende anche sospetto di essere complice dell'infame. E, con stupore, un mattino scoprirà di essere davvero complice dell'infame, di passare per suo amico e di non poter più tornare indietro; e in questo modo anche lui si rende odioso e sarà giustamente odiato. E proprio da coloro che fanno la differenza: da coloro che anche se odiano l'odiare ciò nonostante odiano.»