Noi siamo i barbari calati per saccheggiare la città vetrina e gozzovigliare sulle sue rovine. Noi siamo il selvatico che infesta le crepe di questa civiltà. Non capiamo il lavoro e non ci interessa capirlo. Siamo viventi, non ingranaggi meccanici di produzione e riproduzione di questa società. Non ci interessano le vostre gabbie dorate. Che poi viste da vicino tanto dorate non sono. Sentiamo continuamente parlare di "riqualificazione", di "lotta al degrado", "sicurezza e legalità". Quello che vediamo è speculazione edilizia per far aumentare il valore degli immobili, aumento degli affitti, espulsione dei poveri, distruzione di vite e legami sociali e consumo di quel suolo che la natura ha faticosamente riconquistato alla civiltà. La vostra lotta al degrado è lotta contro i poveri, i devianti, gli esclusi. Lotta contro tutto ciò che disturba l'occhio del penbensante e che con la sua devianza rischia di abbassare le prospettive di rendita della speculazione. La sicurezza poi sembra una barzelletta. Voi non volete la sicurezza della vostra libertà, voi volete la tirannia, l'occhiuto controllo che colpisca con violenza il diverso, l'emarginato e chiunque altro vi ricordi l'iniquità, lo sfruttamento, il dolore e la morte su cui sono fondate la vostra civiltà, il vostro presunto benessere e quei simulacri che chiamate vite. Invocate continuamente la legge, ovvero quelle stesse catene che i vostri padroni usano per tenervi incatenati al vuoto delle vostre esistenze. Vi diamo una cattiva notizia, l'orda d'oro è in arrivo. L'orda non è una casa, un edificio, un'organizzazione, un collettivo o un progetto politico. L'orda è l'ebrezza incontenibile, è i legami che ci uniscono, è la gioia armata dei nostri corpi. Potete anche demolire gli edifici nei quali sverniamo sperando di colpirci e noi rideremo incontenibilmente della vostra idiozia. Siamo nomadi per istinto, semplicemente occuperemo una nuova rovina. Nascondete i vostri tesori: l'incendio di milano incombe all'orizzonte. Cordialmente, i portatori di rovina
Prossime iniziative:
Ciao gente, continua da ieri la resistenza a iosa di Casa Brankaleone, i ragazzi stanno bene ed il morale anche qua giù è ancora alto, tanto che siamo determinat* a rimanere qui il più possibile con una serie di appuntamenti nei prossimi due giorni : giovedi 23 H.11.30 passeggiata in quartiere, porta pentole e coperchi H.18.00 ape vegan bella vita con contributi audio, riflessioni e analisi sulla sorveglianza speciale, a seguire si aprano le danze e chi più ne ha più ne metta. Venerdi 24 ancora in forze, tarda colazionata H.11.00 (porta tutto quello che vorresti trovare, possibilmente caldo) e poi nel pomeriggio stornellanacciata anarchica e presa abbenee.. portiamo solidarità casino ragaaaa (A) in Piazza Alfieri, 1 Milano
Noi ci culliamo — talora inebriandoci — con fallaci parole che rappresentano solo vaghe astrazioni. Pretendiamo che la speranza sia il nostro sostegno, se non la nostra guida, nell'aspra lotta che conduciamo nel corso della nostra effimera esistenza. E coloro che considerano la speranza una chimera a volte sono solo disillusi che, dopo molte speranze infrante, dubitano di tutto e di se stessi. Ma, a parte questi disincantati dalla vita, tutti gli esseri umani non vedono forse nella speranza il faro luminoso che li guida e verso cui tendono i loro sforzi? Essendo la speranza in un futuro migliore l'unica vera ragione di vita, per tutti? È così che il credente si rassegna al triste destino della sua vita terrena, contando ingenuamente in una ricompensa nell'aldilà. Questo è anche il motivo per cui l'eterna vittima pone il proprio futuro nelle mani di un padrone e non si scoraggia, sebbene costantemente ingannata. Sono queste fallaci speranze che contribuiscono a prolungare miseramente una vita sociale talmente assurda e monotona. Sperare significa credere in un’ipotetica felicità e aspettarsela ingenuamente dagli dèi, dai padroni o dal cieco caso. Farsi cullare da una speranza ingannevole significa far addormentare ogni energia in se stessi, talvolta è rinunciare persino a qualsiasi idea di lotta, significa preparare un avvenire che è solo un ritorno del passato e una triste continuazione del presente. Non dobbiamo avere alcuna fiducia cieca; non crediamo in niente; nessuno può migliorare la nostra vita meglio di noi stessi. Acquisiamone coscienza e mettiamo la nostra energia in continua attività. Lottiamo e reagiamo contro tutto ciò che ostacola la nostra esistenza. La speranza indebolisce e imbroglia. Ci fa marcire nel tran-tran di un’ebete ingenuità o sprofondare in un tetro scoraggiamento. La volontà, madre dell'azione, è un reale fattore di vita. Bisogna agire, non sperare.
(l’idée anarchiste, n.5, 8 maggio 1924)
Un'arte antica
«A dirla in breve, tutti i Numi aborro» Eschilo, Prometeo incatenato
Molti secoli dopo la tragedia di Eschilo, il figlio di un contadino scozzese si imbatté in un fenomeno che il Prometeo della leggenda non avrebbe rinnegato: il fuoco, come conoscenza e come arte. Venuto ad annettere alla Corona britannica le isole del Sud Pacifico, James Cook descrisse così nel suo diario la visione che gli apparve quando raggiunse le coste australiane nel 1770: «Ovunque siamo, vediamo fumo durante il giorno ed incendi di notte... Quel continente è un continente di fumo». Questa arte del fuoco abilmente gestita dagli aborigeni consentiva loro di coltivare terre aride (con la tecnica agricola del debbio), di favorire certe sostanze che attirano le prede, di formare boschi aperti o mantenere praterie erbose che favorivano la caccia. Ogni giorno, centinaia di fuochi aborigeni mantenevano ciclicamente un paesaggio a mosaico che alternava campi, praterie e foreste aperte. La specificità pirofila di parte della flora australiana di arbusti è tale che ancora oggi addirittura un quinto di quelle specie hanno bisogno del fuoco per la germinazione dei loro semi. Ma cosa volete che un piantatore di bandiere capisca in materia d'arte prometeica, lui che fin dal suo primo approccio si rivolse a colpi di moschetto agli abitanti di quelle terre? Dopo aver ampiamente sterminato gli aborigeni (passati dai 750.000 dei tempi di Cook ai 20.000 del 1920) e represso non senza resistenza le loro pratiche incendiarie al fine di introdurre bestiame e recinti, i coloni non si resero nemmeno conto che i loro allevamenti estensivi di pecore avevano sterilizzato il terreno di quel fragile ambiente in meno di una generazione. Se a questo si aggiunge il fatto che l'Australia è diventata a poco a poco una gigantesca miniera a cielo aperto (con 60.000 miniere abbandonate e 400 ancora attive), si arriva ai giganteschi incendi che stanno devastando quel continente dal mese di novembre.In primo luogo, quel megafire ha fatto abbondantemente parlare di sé perché sta divorando un paese ricco sorpreso dalla sua furia, al punto che il suo governo attende ormai l'arrivo delle piogge estive come se fossero un nuovo messia. Poi, poiché a differenza del precedente storico di vastità ancora maggiore (un'area di 117 milioni di ettari era bruciata nel 1974-75, ossia undici volte più di oggi), questo non sta interessando solo l'interno più desertico ma direttamente il volto radioso del paese situato sulle coste orientali e meridionali: le metropoli di Sydney, Melbourne e Canberra, così come numerosi bacini di turisti (parchi nazionali e altre riserve naturali allestite). Per tre volte da novembre, è stato dichiarato lo stato d'emergenza per una settimana nelle province del New South Galles e della capitale, causando l'evacuazione forzata di 100.000 persone (tra cui 30.000 beoti vacanzieri) e l'intervento dell'esercito. Il dispiegamento sull'area di cinquemila soldati con ampi poteri — che vanno dalle evacuazioni forzate e le requisizioni di beni alla sospensione delle libertà in vigore — con aerei, gipponi blindati e navi da guerra, dà un assaggio di cosa sia una qualsiasi gestione statale di una catastrofe che mette in pericolo i suoi interessi. Un rapporto che consente anche di coordinare meglio pompieri e assassini in uniforme per gerarchizzare le priorità, poiché una infrastruttura critica da preservare viene sempre prima di qualsiasi abitazione, e una miniera di titanio, o tantalio, o torio, o nichel, o litio, o carbone, o tungsteno con cui l'Australia rifornisce a profusione l'industria di morte viene sempre prima di qualsiasi famiglia di koala. Senza ironia, la situazione è tale da venire descritta in loco «Chernobyl del clima». Non perché l'Australia è il terzo produttore mondiale di uranio con il suo radioso giacimento Ranger sfruttato nel bel mezzo del famoso parco naturale di Kakadu per rifornire le centrali giapponesi, ma perché le colonne di fumo rilasciato nella stratosfera da questi mega-incendi che si moltiplicano dall’Amazzonia alla Siberia e dal bacino del Congo all'Artico, fungono già da modello per studiare le conseguenze di un eventuale inverno nucleare. Tuttavia, proprio come Chernobyl o Fukushima, questa catastrofe non ha proprio nulla di «naturale», la sfrenata devastazione dell'ambiente non è un semplice errore di negligenza dell'attuale organizzazione sociale suscettibile di essere corretto una volta riconosciuto dai suoi dirigenti, ma una delle ovvie conseguenze del capitalismo. Come tutti i miti, quello di Prometeo è stato oggetto delle più diverse interpretazioni, poiché la loro funzione è proprio quella di mobilitare il passato in funzione dello sguardo da portare sul presente. E come avrebbe potuto sfuggirvi il Titano greco, lui che rubò con un atto di ribellione il fuoco sacro dell'Olimpo per portarlo agli umani, prima di essere condannato da Zeus a restare incatenato mentre un'aquila arrivava ogni giorno per divorargli il fegato? A partire da quel fuoco sottratto, simbolo di conoscenza, alcuni si sono soffermati ad esempio sugli scontati tormenti di Prometeo come una metafora della paura del futuro; altri l'hanno usato per mettere in guardia gli umani da una volontà di onnipotenza tecnica al limite dell'eccesso; e altri ancora lo hanno talvolta invocato in nome del destino mitico delle masse proletarie in marcia verso la grande sera. Ma cosa accadrebbe in fin dei conti se, invece di rifugiarsi dietro il mito di un necessario intermediario trafficante di fuoco, ci si sbarazzasse una volta per tutte della sua figura per voltarsi verso l'utopia e agire in prima persona? Quella delle coscienze individuali insorte, quella dei favolosi Titani che spezzano le catene forgiate dagli dèi moderni dell'autorità e del progresso. Oh, come sembrerebbe allora assurdo ad ogni essere la cui protesi tecnologica non serve né da coscienza né da cuore, chiedere ai tiranni di risolvere un problema di cui sono la causa! Oh, come sembra più che mai tempo di fermare tutto noi stessi sviluppando quest'arte antica, diffusa e mirata, contro tutto ciò che ci distrugge. Perché ciò che non aveva capito un esterrefatto James Cook prima che i suoi discendenti cospargessero l'Australia di veleni, è che il problema non è il fuoco, ma contro chi e contro cosa sia indirizzato.
Spunto di critica partendo da uno scritto preciso, ma che vuole ragionare su pensieri diffusi tra gli/le anarchicu sulle questioni di genere.
Sono anarchic@, sono froci@. Ho sempre apprezzato quando persone che non fanno i conti con un certo modo di esistere, non si arroghino il diritto di parlare come se lo vivessero sulla propria pelle. Nel transfemminismoqueer, credo che il ripiegamento settoriale e vittimista, venga distrutto.. Non si puo’ confondere o mescolare il femminismo istituzionale, associazionista e riformista, acritico verso la societa’ e le dinamiche di potere tutto, con il transfemminismo, che parte da un’orizzontalita’, che fa della lotta al patriarcato una pratica che si estende contro tutte le forme del dominio.
C’e’ una bella differenza tra chi vuole ottenere leggi, pene severe, chi grida alle carceri, e chi invece porta avanti una pratica di guerra al patriarcato passando per la guerra allo stato e alle sue galere, rifiutando la delega alla sbirraglia e allo stato, con una pratica di risposta diretta ad aggressioni e discriminazioni.
Riguardo alla filippica contro la presunta “iperemotivita’ di chi reagisce a una violenza di qualsiasi forma”, vorrei ricordare che in questi casi non ci si rapporta con il fatto che tale “emotivita’” viene da una quotidianita in cui certi individui si ritrovano, in cui subiscono violenze di questo tipo in ogni momento. Non siamo macchine, ma individui anche con emozioni, e tali reazioni che vengono definite iperemotive, altro non sono che uno sfogo minimo della violenza quotidiana subita. Quindi piu che parlare dell’iperemotivita di chi reagisce, sarebbe piu sensato focalizzarsi su come una reazione a una violenza venga troppo spesso screditata da questo appellarsi a una presunta iperemotivita.
Riguardo alle discriminazioni di genere, credo che, come quando siamo bianchi e crediamo che non scadiamo mai in retaggi razzisti, perchè non e nella nostra volontà, quindi non succede. Credo sia un tantino arrogante partire dal presupposto che siccome non sono omotransfobicu/sessista, per ideale, allora non pratico certi comportamenti che invece lo sono, e chiunque me lo fa notare è solo iperemotivo…… O cagacazzi…
No, il linguaggio genderfriendly (che termine e poi?), non è uno strumento per la rivoluzione, non è una pratica di lotta. Non arriveremo all’anarchia usando gli asterischi, di questo ne siamo coscienti tuttu. Il linguaggio che include il non binarismo di genere e l’esistenza di altre individualita’, non e’ una pratica rivoluzionaria, e’ una forma di distruzione dell’invisibilizzazione di alcunu individui, la cui esistenza viene eliminata dallo stato e dal potere quotidianamente, e io (che lotto contro lo stato), a questu individux gli solidarizzo, supportando la loro esistenza nonostante il potere cerchi di cancellarla.
Condivido che nell’anarchia il superamento e l’eliminazione dei privilegi e delle oppressioni di genere sia esplicito nell’ideale stesso. Quello su cui vorrei porre il punto pero’ e che forse se e’ esplicito per l’anarchia, non lo e’ per tuttu gli/le anarchicu. Perche le discriminazioni omotransfobiche (mi limito a parlare di quelle, evitando le critiche al pensiero sul femminismo sia per praticità di testo, sia perche non essendo donna, lascerei parlare chi si vive tale condizione a rispondere a quelle frasi), sono quotidiane, cosi come esclusione e isolamento quando si schecca un po’ troppo sono quotidiani.
L’anarchia e’ anti omotransfobica, certo, ma gli anarchici e le anarchiche? Siamo sicuru che possiamo dire di aver superato tali retaggi perche’ siamo anarchicu? Io stessx da anarchicx frocix posso dire di aver dovuto affrontare percorsi anche belli lunghi sull’omofobia, nonostante la mia condizione. L’omotransfobia e il sessismo non si combattono solo con un linguaggio inclusivo, ovvio, ma non ho ancora mai sentito, o ne ho sentiti veramente pochx, di compagni e compagne che chiedevano cosa potessero fare per superare tali retaggi, indi per cui…..
Un altro punto su cui mi volevo soffermare era quello di “per chi sente il bisogno di categorizzarsi LGBTQIA….XYZ…., (:::) che ha bisogno di sentirsi categoria protetta”..Categorizzarci non è di certo per diventare dei panda da proteggere, ma per dimostrare di esistere, alla faccia di tutto il sistema eteropatriarcalecis, smetteremo di darci “etichette” quando lu nostru sorellu smetteranno di essere massacratu per strada….Chi porta avanti una retorica di farsi difendere dallo stato come specie protetta non e’ tutta la “comunità LGBTQIA+”, ma un groviglio di gente asservita al potere che vuole semplicemente diventare come questa societa vuole gli individui, costruendosi una relazione, magari violenta, farsi una famiglia con il modello pre impacchettato dal potere, andare a lavorare, abbracciarsi con la polizia quando arrestano il ladro del proprio portafoglio e via. Dall’altra pero ci sono tutte le altre soggettivita, la cui rabbia cresce,e che con lo stato non ci vogliono avere niente a che fare, che riconoscono nella polizia un nemico storico e che di farsi accettare o proteggere non ne hanno la minima intenzione. Ovviamente individui di cui e meglio non si sappia nulla. Per cui smettiamola di paragonare il pride di oggi al pride cosa significa per alcunu individux, di paragonare arcigay alle trans di newyork che assaltano gli sbirri,di paragonare il gay bianco di destra con la frocia di strada che reagisce senza alcuna delega, senza appellarsi allo stato o a leggi di sicurezza.
Se il pride oggi non puo essere visto come uno strumento rivoluzionario, e sono d’accordo, vorrei pero ribadire da dove il pride e nato, e cioe da una rivolta, scatenata dalle soggettivita froce lelle e trans, contro stato e polizia. Ed è quello che celebriamo. Se associazioni e movimento mainstream lgbt hanno praticato per anni un lavoro di distruzione di ciò che le rivolte di stonewall hanno significato, trasformando il pride da una celebrazione di una rivolta a una vetrina commerciale bianca, filosbirro e con i partitelli che “ci danno una mano con i diritti”; con retoriche familiste, binariste e sessiste, dall’altra c’e ancora chi prova a recuperare quel significato, ribadendo che quel giorno era esplosa una rabbia gioiosa, che si è espansa fino ad altri continenti, ma che è stata fagocitata da stato e capitale, tramite la pacificazione e la commercializzazione, contentini di “diritti” alla parte di quel movimento cui interessavano, ovvero i gaybianchi binaristi e preferibilmente conservatori, ben adattati alla societa capitalista. Lasciando indietro tutte quelle altre soggettività artefici della rivolta e della rabbia,che a questa società sono inadattabili, per cui meglio invisibilizzarle e farle sparire a sprangate di notte.
“Se non sappiamo reagire a un commento per strada, o se non sappiamo sostenere una discussione accesa senza nascondersi dietro all’ipersensibilita‘”. Quest’altra frase dello scritto, credo che alla base non ragioni su una distinzione molto importante, e cioe’ che c’e una bella differenza tra il “non reagire, il nascondersi dietro la propria ipersensibilita”, e l’essersi rotte le ovaie di ricevere commenti per strada, o di dover stare sempre a spiegare tutto sulla propria esistenza.
Le persone marginalizzate non devono niente a nessuno, nessuna spiegazione è dovuta. Non capisci perchè ti dico che una cosa e omofoba transfobica razzista misogina e bla bla blA? Non e un mio problema, non sono io che sono obbligatx sempre a dover dare una spiegazione. Inoltre, lungi dall’avere un approccio vittimistico, ma vuole solo essere una constatazione : Quei commenti per strada per alcune son la strafottuta quotidianita, dalla mattina alla sera, ovunque e sempre. Quindi se dopo un po’ ti stanchi anche di reagire non vuol dire essere vittimistu, ma fare i conti che per froce/trans/ donne ecc.. l’insulto e l’umiliazione sono una quotidianità onnipresente, e mi dispiace ma, individui che questo non se lo vivono, non dovrebbero dirci come reagire, o no, a ciò.
Esistiamo in questo mondo, in cui per chi è un determinatu individux, non vi è posto manco nelle ultime file, e i conti con ciò vanno fatti, e che diventi uno sprono a lottare contro questo mondo, anzichè a delegare allo stato di proteggerci. Questo non accadrà se chi blatera di liberazione da qualsiasi autorità, non fa i conti con i privilegi, perche è una grande mancanza che trovo tra moltu compagnu.
Riguardo L’invisibilizzazione della storia rivoluzionaria femminista e ci aggiungo queer, non sono d’accordo con quanto scritto. Di storie di arrabbiati non femministi e etero i libri di storia, anche quelli piu venduti dallo stesso stato, sono comunque pieni. Dei partigiani moltx hanno conoscenza, dei femminelli, in prima fila sulle barricate di Napoli, davanti ai partigiani, quasi nessun.
I maschi che combattevano per il pane nel 48 parigino, sono diventati un modo di dire nella cultura europea, delle donne che imbracciavano i fucili contro la polizia per partecipare alle lotte, no.
Di rivolte e rivoluzioni, dove i maschi etero sono i protagonisti, le pagine sono piene.Della storia parallela, no. Gia il fatto stesso che nello scritto in questione si parli di pride e tacco rosso senza badare che sia il pride che il tacco rosso siano storie che partono da bocce sulle guardie e sassate sui celerini, dimostra quanto l’ignoranza su tale parte di storia sia allarmante. E’ certo che lo stato campa di censura degli arrabbiati, ma chi si e occupato di rompere con quella censura ha sempre portato avanti le rivolte di uomini cis e etero, cosi come sappiamo quasi un cazzo di rivolte in africa e oceania contro i coloni, cosi sappiamo tutto per filo e per segno di cosa accadeva in francia dal 1801 a oggi. Di cui i maschi sono sempre i protagonisti. Se e certo che lo stato quindi censura chi si arrabbia, è evidente che stringa ancora piu la morsa verso quelle arrabbiate che sono anche parte di minoranze, per cui donne, femministe, froce, trans e neru.
Ultimo punto, quello riguardo lo sbandierare le lotte per categorie finendo per non combattere per nulla. Credo che questo passaggio sia possibile, e che sia anche accaduto in varie lotte. Ma anche qua c’e una differenza molto importante tra la cosa scritta, e cio’ che invece potrebbe essere necessario e auspicabile, e cioè che le minoranze si uniscano tra loro nel loro essere minoranza, primo per capire come noi internamente combattere una discriminazione,e poi come combatterla fuori,affiancandoci alle altre minoranze e agli oppressi tutti.
Questo credo sia una liberta che le minoranze, qualsiasi siano, che si vivono una discriminazione specifica per l’appartenere a tale minoranza, debbano prendersi con qualsiasi mezzo.
Perche solo partendo dal presupposto che la discriminazione che una minoranza subisce,e solo parte di un meccanismo piu ampio di repressione totale degli individui, e solo riconoscendo la propria e i mezzi per combatterla prima contro i retaggi dell individuo stesso, si potra uscire a combatterla fuori e combatterle tutte.
Concludo facendo alcune considerazioni personali,
A proposito di vittimismo, vorrei far notare come negli spazi o tra individui anarchic si parli di omosessualita solo in contrapposizione all’omofobia, di come ci si interessi di omofobia solo dopo che una frocia venga pestata o uccisa. Di come il termine omotransfobia sia praticamente inesistente in ogni contributo che si scrive riguardo le discriminazioni dello stato e della societa capitalista.
Non e vittimismo questo? Esistere solo come vittime passive di aggressioni fasciste e sbirresche, e stop? Portato avanti dagli stessi compagni?
Punto due il bigottismo anarchico, presente e forte nel retaggio maschilista e patriarcale di moltissimi compagni. L’etero e etero, il frocio e frocio, non vi e nient’altro, l’eterosessualita obbligatoria è difesa sotto ogni contesto, anche quando la volonta di sperimentare, forse proprio per volonta di pratica anarchica, si fa sentire, e’ lu stessu individux ad autoreprimersela. Guai se succede, e se succede, dopo bisogna nasconderla, la frocita dopo tutto e una cosa sporca.
Come si puo ragionare di anarchia e liberta totale, se non mettiamo in discussione processi di repressione come quello sessuale, che influisce totalmente sulla nostra esistenza? Come si puo coltivare la rabbia delle minoranze, se chi porta la bandiera anarchica guarda storto chi indossa una minigonna non essendo una donna cis?
Come si puo sperare nella rivolta irreversibile al dominio se una compagna trans a un corteo viene derisa perche “e un uomo vestito da donna e cio svilisce il brutto muso verso lo stato?” (ciao anche noi ricordiamo le cose )
Ma sopratutto come possiamo non fare i conti col fatto che le nostre esistenze vengono messe in dubbio anche dai/lle compagn con cui lottiamo contro un mondo che ci elimina quotidianamente?
Per me la lotta transqueer e’ fortemente anarchica, non potrebbe essere altrimenti, non esisterà mai un potere che tollererà le nostre esistenze, perchè la nostra essenza come individux LGBTQIA+ è quella di abbattere ogni gabbia mentale e fisica, e dove non si puo incasellare un individuo, non si può opprimere. Ma ciò non puo succedere se le nostre istanze sono viste al massimo come una pagliacciata o come un capriccio (vizio borghese? Remember? Anarchicu e stalinistu unitu in questo credo?).
Non potremo mai liberarci dei retaggi omotransfobici e sessisti finchè ogni volta che cerchiamo di prendere parola siamo vittimist@, siamo ignorat@ o derisi@, o cagacazz@. O ogni volta che cerchiamo di prenderci spazio tra di noi, perchè non troviamo comprensione nè solidarietà, complicità nelle collettività, allora siamo le stronze che vogliono categorizzare le lotte e scacciare gli altri per partito preso.
Non si puo raggiungere l’anarchia se non si mette in discussione il nostro individuo come cresciuto in una societa antianarchica, ragionando e abbattendo tutti i retaggi antianarchici che ci portiamo addosso.
Ciò che è partito, dalle rivolte di stonewall, e quindi la nascita di un “movimento” di liberazione sessuale, e’ partito da istanze comuniste per alcunx, fortemente anarchiche per altrx, ma in quella rivolta si e’ sfogata la rabbia trans, queer, lesbica, femminista e anche di senzatetto, migranti e di chi semplicemente odiava la polizia e la sua esistenza,altro che settarismo. Eppure sembra che tra gli/le anarchic, esista solo il vedere le celebrazioni di quella rivolta, come non altro che carnevalate ridicole,(forse sempre per quel retaggio che se tiri in minigonna una molotov a uno sbirro, vale di meno). ma che seppur svilite e commercializzate,continuano a ricordare quelle rivolte a gli/le individu@ che da quei giorni vogliono partire per ricostruire la lotta di liberazione dei corpi.
Penso che sia dovuto, se si ha interesse, di ragionare su come le persone non bianche, non etero, non binarie, non cis, non maschi, non conformi alla norma imposta, si vivano la totale inesistenza di rapporti anarchici tra gli/le anarchicx, sia per quanto riguarda il riconoscimento di istanze politiche “minoritarie”, sia in ambito di rapporti e relazioni.
La rabbia va coltivata, non svilita.
L’anarchia o è transfemministafrocia o non e’!
complicità e solidarietà con Anna e glu altru reclus@ anarchic@ in tutto il pianeta!