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Un appello a manifestare contro la militarizzazione delle nostre vite e contro ogni potere, si chiami islamico o democratico, era stato ampiamente diffuso la scorsa settimana. L’appuntamento era stato dato per il 9 aprile in viale Stalingrad, vicino alla stazione del Midi a Bruxelles. Quel pomeriggio, la polizia ha occupato il luogo d’incontro e militarizzato un ampio perimetro attorno (fino ad Anneesens, piazza Jeu de Balles, piazza Bara e la porta di Anderlecht). All’arrivo dei primi manifestanti e fin dal dispiegamento di uno striscione proprio davanti allo sbarramento della sbirraglia, i poliziotti si avventano sui manifestanti accerchiandoli. Ne imbarcano dieci e li portano al commissariato di Anderlecht. Raggiunti poco dopo da altri 6 fermati, saranno rilasciati col contagocce durante la notte. Al commissariato, come d’abitudine, gli sbirri allungano qualche schiaffone ad alcuni recalcitranti ammanettati.
Nel frattempo, altre persone che cercano di raggiungere il luogo di incontro vengono identificate dalla polizia che spiega loro che è vietato ogni raduno su ordine del borgomastro Mayeur. Verso le 19, la polizia approfitta delle forze mobilitate per fare un’altra incursione al Passage (e siamo a 3), lo spazio di lotta contro la maxi-prigione ad Anderlecht. Le compagne ed i compagni presenti vengono identificati, il posto perquisito. Un compagno viene portato via perché «ricercato» nell’ambito dell’inchiesta condotta dal giudice istruttore De Coster in relazione alla lotta contro la costruzione della maxi-prigione. Dopo una notte trascorsa al commissariato, andranno a cercarlo alcuni agenti della sezione antiterrorismo della Polizia Federale. Costoro lo portano al quartier generale in via Royale, fanno qualche tentativo per interrogarlo (il compagno rifiuterà di rispondere a qualsiasi domanda) e infine lo rilasciano.
Il messaggio da parte dello Stato non poteva essere più chiaro: qualsiasi persona che osa criticare la militarizzazione in corso a Bruxelles, che rifiuta di scegliere tra due campi putridi (il califfato e lo Stato belga), che propone l’autorganizzazione e l’azione diretta come mezzi di lotta contro ogni oppressione ed ogni potere, deve aspettarsi una risposta energica.
Difficile fare a meno di riflettere su alcune analogie. A Raqqa, capitale dello Stato Islamico, ogni manifestazione critica è proibita e soffocata; a Bruxelles, capitale dello Stato belga e dell’Unione Europea, ogni manifestazione critica è proibita e soffocata. A Raqqa c’è l’Isba, la polizia religiosa del califfato, capeggiata dal belga Hicham Chaib, che si accanisce contro ogni opposizione alla legge là imposta; a Bruxelles c’è semplicemente la polizia, capeggiata dal belga Vandersmissen, che si accanisce contro ogni azione in opposizione alla legge qua imposta. A Raqqa, le bombe sganciate dagli aerei occidentali non colpiscono unicamente le basi militari dei partigiani della guerra santa, ma anche gli ospedali, le banche del sangue, le scuole, la distribuzione idrica, le piazze; a Bruxelles, i kamikaze agli ordini dello Stato Islamico non colpiscono affatto le basi repressive dello Stato belga, ma si fanno esplodere nella metro e all’aeroporto. A Raqqa, ogni stampa è vietata; a Bruxelles, la stampa del mondo intero continua a esercitare pressioni sui quartieri poveri mentre la stampa belga si distingue in particolare negli ultimi tempi per il suo zelo nel mettere in atto le consegne della polizia («al fine di non nuocere alle indagini») e pubblicare, parola per parola, ciò che il governo esige. A Raqqa, distribuire un volantino, fare una scritta, aprire uno striscione che rivendica la libertà è passibile di condanna a morte; a Bruxelles, distribuire un volantino anarchico, fare una scritta contro il potere, aprire uno striscione che rivendica la libertà, può portare ad essere arrestati ed è ormai passibile di lunghe condanne in carcere per… «incitamento al terrorismo». A Raqqa, le pattuglie della Hisbah cercano di perlustrare tutta la città; a Bruxelles, le telecamere di sorveglianza perlustrano tutta la città, la polizia federale utilizza tutti i mezzi possibili (cimici, telecamere nascoste, intercettazione della posta, osservazioni, pedinamenti) per sorvegliare gli antiautoritari, e non solo.
Esagerato, dite? Eppure, ogni potere ha un solo obiettivo: preservare il proprio imperio e soffocare chiunque cerchi di opporvisi. In questo, lo Stato belga e lo Stato Islamico hanno molto in comune. Ed è proprio questo che gli anarchici, i rivoluzionari e gli antiautoritari, nelle città siriane come nelle città belghe, combattono.
Se a Raqqa gli attivisti rivoluzionari non chiamano più a manifestare, non è perché abbiano abbandonato la lotta contro il regime di Bashar el-Assad e il regime dello Stato Islamico. È perché lottano ormai in un altro modo, ma con altrettanta determinazione e audacia, per distruggere ciò che li opprime. Allora, se a Bruxelles…
Contro ogni potere, sabotiamo la militarizzazione di Bruxelles
11 aprile 2016

Milano, 22-03-2016

LETTERA PUBBLICA PER I /LE COMPAGN* GREC*

Cari Nikos, Fivos, Kostas, Odysseas, Alexandros,

siamo felicissimi e molto vicini nel ricevere la vostra lettera complice e solidale. Cogliamo l’occasione per rispondervi con questa lettera che vogliamo che sia pubblica.

E’ raro il fatto di arrivare a sognare con persone con cui non si ha nessun rapporto, che nemmeno si conoscono, mai neanche sentite o incontrate; è ancora più raro il fatto di passare insieme una giornata di ribellione e gioia come quella che abbiamo passato, fianco a fianco, senza neanche guardarci in volto; ancora più raro è il sentimento profondo e “fraterno” che ci unisce anche a migliaia di chilometri di distanza, lingue diverse e mari che ci separano.

Con questo scritto vogliamo chiarire che assumiamo la nostra carcerazione come conseguenza politica alle nostre scelte consapevoli di schierarci, come nemici del potere nella guerra umana, al fianco di tutti gli sfruttati di questo mondo, animali e pianeta compresi: non possediamo la codardia di presentarci come delle vittime.

Noi arrestati siamo tutti parte o frequentatori solidali del movimento anarchico milanese “pirata” e come tali ci definiamo nei sentimenti di fratellanza, sorellanza, egualità e solidarietà che ci uniscono anche a voi in questa grande “famiglia” nella “lotta contro il mondo intero”, nemici giurati dell’autorità, del governo, di qualsiasi forma di dominio e sfruttamento che riguarda la nostra vita e/o quella de* nostr* fratelli/sorelle; ci unisce il desiderio di espropriare le nostre vite, il desiderio di “arricchirci” individualmente e collettivamente contro la nostra rassegnazione, la sottomissione e la “povertà” cittadina.

Crediamo che la frase di Brecht da voi scelta come introduzione alla lettera che ci avete mandato, sia la migliore fotografia per descrivere l’apertura dell’Esposizione universale del 1° maggio 2015 di Milano, durante la quale l’élite “economica e politica” ( finanziaria e politicante) di mezzo mondo si pavoneggiava e starnazzava su argomenti come alimentazione e cibo:

“Quelli che rubano il cibo da tavola / dichiarano l’austerità

Quelli che prendono tutti i doni / chiedono sacrifici

I sazi parlano agli affamati / dei grandiosi anni che verranno.”

Mentre l’élite festeggiava con caviale e champagne sui tappeti rossi, dall’altro lato della città gli/le sfruttat*, rinchiusi, incatenatati e ghettizzati tra zone rosse e barriere, tentavano di far sentire la loro volontà, non solo contro Expo (goccia che fa traboccare il vaso, esempio di scempio e sfruttamento); bensì contro la schiavitù che ci attanaglia nella nostra guerra quotidiana costellata da mille lotte e percorsi comuni. Lavoro, casa, istruzione, sanità, finanza, guerre, rapine di materie prime, diseguaglianze sociali, razzismo, specismo, diseguaglianze di genere, repressione, sgomberi… Un elenco troppo lungo da inserire completo, una moltitudine di cause, una moltitudine di individualità e collettività che coloravano quella esplosione di protesta, rivolta e rabbia.

Vogliamo rivendicare che noi non siamo nella posizione fredda o tiepida di chi si pente o dimentica il calore o la gioia di quei momenti, noi non lottiamo per migliorie e/o riforme per rendere più sopportabile l’esistenza dentro questo sistema; non ci rivendichiamo come studenti, lavoratori o disoccupati: siamo “pirati”, siamo anarchici in guerra contro chi possiede, rappresenta e/o difende questo sistema autoritario fascista e capitalista.

Noi ci “indigniamo” davvero e non crediamo sia utile, ma reazionario e controrivoluzionario, parlare di legalità o illegalità nelle o delle lotte, della rabbia nella guerra e nelle battaglie contro servi e padroni.

I/Le nostr* nonn* sono stat* chiamat* bandit*, hanno dovuto vivere nell’illegalità, hanno voluto scegliere la clandestinità, sono stati perseguitati dall’allora “giustizia legale”, in molti sono stat* impiccat* o fucilat* per devastazione, saccheggio e incendio, nel tentativo di donarci un briciolo di libertà, subito negato e tradito da chi tradì, con il potere, quella iniziale spinta insurrezionale; ma soprattutto negato da chi non aveva colto alcuni degli insegnamenti più alti della loro lotta: la libertà va sempre perseguita, difesa, ricercata; non può essere né mediata, né concertata con un potere, né lasciata (e/o delegata) nelle mani di qualcun altro all’infuori di noi stessi; tutt* abbiamo l’onere di conoscere e sapere per poter scegliere, essere liberi e partecipare.

Non è detto che una cosa illegale sia anche ingiusta; non è detto che una cosa legale sia per forza giusta: ciò che è legale o illegale non lo decide la giustizia ma il potere ed i suoi servi.

Siamo felici del blocco della vostra estradizione in Italia. Siamo fiduciosi che questo blocco avrà ripercussioni anche nel nostro processo dove saremo giudicati per un reato che ancora proviene dal Codice Rocco, codice penale monarchico/fascista, reato che ancora prevederebbe la fucilazione se non fosse che la parola “morte”, nel codice penale attuale, viene messa tra parentesi quadre e non cancellata, viene lasciata per ricordare la sua recente abrogazione costituzionale ma non eliminata nel caso si volesse fare ancora qualche altro passo indietro nostalgico, già pronta per il nuovo regime che verrà, monito attuale per chiunque volesse ribellarsi davvero.

Siamo vicini, solidali e complici; stiamo facendo fronte comune contro la stessa repressione. Qui la solidarietà, la vicinanza è forte, presente; fuori dalle grige, fredde e umide mura di questo carcere in molt* lottano insieme a noi e a voi!

Se i giudici di questo assurdo processo politico, mediatico, fascista e autoritario potessero davvero giudicarci, se avessero davvero gli strumenti, la cultura per capire, sarebbero sicuramente con noi fra gli imputati o dietro le barricate e non sul pulpito, dietro la cattedra di un tribunale; se questi giudici, al servo del sistema che ci sfrutta e ci reprime, crederanno che questi “pirati”, gentiluomini di ventura, questi esseri umani liberi siano degni di essere ospiti dello Stato nelle sue carceri, siano degni di essere condannati per aver combattuto al fianco di tutt* gli/le sfruttat* di questo mondo in difesa della libertà, non ci rimane che subire con calma e forza la nostra sorte, convinti e consci di non avere nulla da rimproverarci.

Vi salutiamo e vi abbracciamo forte nella speranza vera e sincera di potervi abbracciare un giorno davvero e in libertà.

Andrea (Casper), Alessio (Molestio), Nicolò (Iddu). Hold On….

Questa è una tre giorni pensata per supportare alcune pratiche di
opposizione all'esistente.
Pratiche che evocano fin da subito un sogno: sconvolgere quello che
abbiamo intorno a noi.
Ad Aro, Vivi, Tommy, Andre, Pippo e a tutte/⁠i quelli che non si
piegano e non si dissociano da loro stessi, va la nostra
incondizionata solidarietà, la nostra vicinanza e la testardaggine di
continuare sui sentieri scoscesi che ci potrebbero portare
all'incommensurabile deriva: la fine di questo mondo.
Incontrandoci per discutere come sostenere chi viene accusato del
reato di ''devastazione e saccheggio'', per pensare e condividere
l'unica campagna di mobilitazione possibile contro il Leviatano:
pensare ed agire per sovvertire quello che c'è, per entrare e perdersi
nelle smisurate possibilità che danno senso alla creazione di un mondo
senza galere, senza frontiere, senza autorità e senza denaro.
Da Genova a Roma, da Cremona a Milano alcune e alcuni ammutinati hanno
lanciato un messaggio inequivocabile: i comportamenti rivoltosi sono
contagiosi per chi ama la libertà.
Convinti che lo spirito di queste rivolte e dell'insurrezioni
partigiane contro il fascismo debba continuare, non facciamo nessuna
promessa, ma ci diamo infiniti appuntamenti segreti...

ultimo red a3

Abbattere le frontiere, al Brennero e ovunque.

Lo Stato austriaco ha annunciato che, con i primi di aprile, verrà ricostruita la frontiera del Brennero.
Questo significa: barriere di acciaio, filo spinato sui sentieri, controlli sull'autostrada, sulla statale, sulla ferrovia e sulle ciclabili, pattuglie di militari e di milizie, container per i profughi.
Esercito e filo spinato sono presentati ancora una volta quale "soluzione tecnica" per contenere e rinchiudere i poveri, il cui esodo è il risultato di guerre, devastazione ambientale, miseria.

Al di là delle rimostranze formali, le autorità italiane si adeguano, intensificando i controlli a sud del Brennero.
Siamo di fronte a un passaggio storico.
Credere che muri e soldati siano riservati sempre e comunque a qualcun altro è una tragica illusione: a venire recintata, bandita e schiacciata è la libertà di tutti.
Dalla Palestina al Messico, dalla Turchia alla Francia, e ormai a due passi da noi, le barriere sono l'emblema del nostro presente.

Accettarle rende disumani e complici.
Cercare di abbatterle è l'inizio di una libertà possibile.
Bisogna scegliere da che parte stare.

SABATO 7 MAGGIO 2016

GIORNATA DI LOTTA

MANIFESTAZIONE AL BRENNERO

ore 14,30

(davanti alla stazione dei treni)

Per informazioni, iniziative, testi di riflessione: abbatterelefrontiere.blogspot.it

Riceviamo e diffondiamo il testo di uno scritto diffuso dopo gli attentati di Bruxelles:
«La guerra è uno dei tanti fenomeni, il più grave di questi,
che scaturiscono dal presente ordinamento sociale.
E a noi questo fenomeno non deve riuscire inaspettato
poiché sappiamo che esso non è che il corollario inevitabile di questa civiltà.
Perciò noi non possiamo combattere isolatamente il fenomeno,
senza distruggerne le cause prime che lo hanno provocato»
Bruno Filippi

L’esistente non può ammettere intrusi, dove in uno stato di perenne prigionia sociale ci fa masticare le miserie che produce. Incubati e controllati essa tiene la nostra fantasia in vitreo, puntandoci perennemente delle armi in nome del tutto deve restare così com’è.
Dettando legge, cerca di dirigerci lontano da noi stessi, alza muri per difendere il terrificante diritto di mercificarsi, tenta di correggere ogni nostro desiderio sovversivo e cerca di guidarci come pecore nel gregge.
Il potere è il fine e tutti i difensori del mondo di oggi sono pronti ad usare ogni mezzo per difendere i propri privilegi. Il dominio attraverso la paura fortifica la dipendenza verso di esso e si prende in cambio assoluta obbedienza dai suoi sudditi.
Schiavi del tempo, sembra non esserci rimedio ai continui genocidi perpetrati da questa civiltà. Sangue chiama sangue, ora il sangue è ovunque, recita una canzone ed è quello, sostanzialmente, che la guerra porta con sé.
La guerra non ha confini. L’eterno ritorno della guerra fa sfumare, oggi più che mai, la distinzione fra un fuori e un dentro.
L’era contemporanea dell’idra tecnologica ha oltremodo allargato la guerra a funzione di cosa. L’attacco bellico colpisce la coltre dei luoghi in cui viviamo; ormai l’essere tutti in guerra non è più condizione lontana, ma è la situazione stessa in cui ci si trova.
I fatti di Beirut, Parigi, Raqqa, Ankara e Bruxelles ci dicono che la violenza ritorna, in modo sempre più frequente, al mittente.
Purtroppo non stiamo parlando di violenza che tenta di darsi a qualcosa di totalmente altro, rispondendo alla violenza continua della società.
Oggi siamo davanti a quella forma di violenza gregaria, dove il martirio è l’uscita timorata di qualsiasi invasato religioso, fautore della continuazione di questa società: la presenza dello Stato, che esso sia islamico, democratico o totalitario poco importa, con tutto il suo carico di morte. Ed è per questo fine che chi compie atti come quello di Bruxelles vuole proporre una propria egemonia, vuole unire oppressi e oppressori sotto la bandiera di un forza trascendente, con lo Stato come mezzo organizzatore di questo progetto.
Di conseguenza, questi timorati di Dio non sono nemici degli stati guerrafondai, ma sono nemici mortali di chi vuole sovvertire questa intera società poliziesca.
Esistono delle molteplici differenze per chi aspira alla realizzazione delle propria libertà con quello che sta succedendo. Al lato opposto, non esiste nessuna diversità da chi si fa esplodere in mezzo alla gente per lo stato islamico e chi fa esplodere bombe belliche in nome dello stato democratico, con l’impiego di eserciti e droni. Nessuna differenza con chi crea dei controlli alle frontiere e giganteschi campi di concentramento, chiamati inverosimilmente hot spot, con chi sgombera dei luoghi dove si ammassa quella eccedenza umana indesiderabile come a Calais o attacca militarmente come a Idomeni, con chi installa filo spinato ai confini fra diversi paesi europei e chi pratica espulsioni collettive.
Quando qualsiasi tipo di istituzione piange i massacri da loro stessi creati, la conseguenza è vomito e rabbia per tanta ipocrisia.
È il quotidiano di guerra che si concretizza nei paesi che hanno gonfiato di odio tantissimi individui, attraverso i bombardamenti democratici e l’obbligo alla fuga di milioni persone che scappano da guerre mortali e commercio che sarà sempre predatorio: Bruxelles diventa Gaza, Parigi diventa Kabul, Ankara diventa Baghdad.
Il potere è decentrato, ma il fine è sempre lo stesso: l’economia che si finanzia con la guerra, la guerra che elargisce materialmente e idealmente gli strumenti per sostenere l’economia.
Se il fine, cioè il dominio, è lo stesso fra integralismo religioso e oppressione democratica, la differenza sostanziale sta nell’uso e nell’immagine della morte.
La morte, che da un lato si manifesta palesemente e diviene reale con le immagini delle devastazioni provocate dai padrini del potere oscuro; dall’altra viaggia nelle esistenze dei consumatori omologati alla merce, di chi crepa con o senza lavoro e di chi viene controllato passo dopo passo da qualsiasi sistema di sorveglianza.
Oggi non esiste più un posto neutrale dalla guerra di chi bombarda e massacra in Oriente e di chi aspira al ruolo di dominatore creando terrore nel cuore delle necropoli occidentali.
E i sovversivi, in tutto questo, dove stanno? Come degli appunti in una discussione che non c’è, tutto questo rimanda al pensare per agire.
Chi aspira a farla finita con la guerra e i massacri indiscriminati potrebbe percorrere il sentiero che può spezzare il deja vu continuo del capitalismo: portare il disordine e la sedizione nei luoghi dove la guerra è in atto, cioè in ogni luogo. Per non trovarsi schiacciati fra guerra planetaria e guerra civile, pensare e praticare la diserzione per sabotare qualunque tipo di guerra.
Rovesciare la società tutta, cioè spingersi verso la rivolta per evadere il muro di cinta e trovare la libertà, mettendo in contraddizione le basi dell’edificio sociale e del suo totalitarismo.
Infondo, la vita non può essere qualcosa a cui aggrapparsi ma può divenire l’incendio dei propri desideri.

stampato in proprio: Cremona, fine marzo 2016