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PORTARE LA GUERRA A CASA

"In tutto il mondo coloro che si battono contro l’imperialismo americano guardano alla gioventù d’America e attendono che essa sfrutti la sua posizione strategica dietro le linee del nemico e unisca le proprie forze per la distruzione dell’impero.

I neri hanno combattuto da soli per anni. Sapevamo che il nostro compito era di guidare i ragazzi bianchi alla rivoluzione armata. Non è mai stata nostra intenzione trascorrere i nostri prossimi cinque o venticinque anni in galera. Da quando l’SDS è diventata un’organizzazione rivoluzionaria abbiamo cercato di mostrare come è possibile superare la frustrazione e il senso di impotenza che colpiscono chiunque cerchi di riformare questo sistema. I ragazzi sanno che oggi il gioco è fatto: la rivoluzione investa la vita di tutti noi. Decine di migliaia hanno imparato che proteste e marce sono lettera morta. L’unica strada da seguire è quella della violenza rivoluzionaria.

Noi oggi stiamo adattando la strategia classica della guerriglia Vietcong e la strategia della guerriglia urbana dei Tupamaros alla nostra situazione qui, nel paese tecnologicamente più avanzato del mondo.

Il Che ci ha insegnato che "i rivoluzionari si muovono come il pesce nell’acqua". L’alienazione e il disprezzo che i giovani provano per questo paese hanno creato l’oceano per la rivoluzione.

Le centinaia, e poi le migliaia di giovani che manifestarono negli anni Sessanta contro la guerra e per i diritti civili sono diventati le centinaia di migliaia che in queste ultime settimane si sono battuti contro l’invasione della Cambogia ordinata da Nixon e il tentativo di genocidio contro i neri. La follia della ‘giustizia’ americana ha aggiunto alla lista delle sue atrocità l’uccisione di sei neri ad Augusta, di altri neri a Jackson e di quattro studenti bianchi della Kent State University, trasformando migliaia di altri giovani in rivoluzionari.

I genitori dei ragazzi ‘privilegiati’ hanno continuato a dire che per noi la rivoluzione era un gioco. Ma la guerra e il razzismo ci mostrano che questa società è definitivamente marcia. Noi non vivremo mai pacificamente sotto questo sistema.

Questo si è dimostrato totalmente vero per i tre che sono morti nell’esplosione di New York. La terza persona che vi è rimasta uccisa era Terry Robbins, che guidò la prima ribellione alla Kent State meno di due anni fa.

I dodici Weathermen incriminati per aver diretto gli scontri dello scorso ottobre a Chicago non hanno mai lasciato il paese. Terry è morto, Linda [Evans] è stata catturata da un informatore dei porci, ma il resto di noi va e viene liberamente in ogni città, dovunque esistono liberi aggregati di giovani in questo paese. Non ci nascondiamo, ma siamo invisibili.

Ci sono parecchie centinaia di Weathermen nella clandestinità, e alcuni di noi rischiano più anni di galera di tutti i cinquantamila disertori e i renitenti alla leva che si trovano in questo momento in Canada. Parecchi di loro stanno già rientrando per unirsi a noi nella clandestinità o per ritornare nell’esercito dell’avversario e unirsi a coloro che vi sono sempre rimasti, e scatenarvi il caos.

Combattiamo in molti modi. L’‘erba’ è una delle nostre armi. Le leggi contro la marijuana fanno di noi dei fuorilegge prima ancora che rompiamo definitivamente con il sistema. Il fucile e l’‘erba’ sono uniti nel movimento giovanile clandestino.

I freaks sono rivoluzionari e i rivoluzionari sono freaks. Se ci volete trovare, ecco dove siamo: in ogni tribù, comune, dormitorio studentesco, fattoria, baracca dell’esercito e appartamento dove i ragazzi fanno l’amore, fumano ‘erba’ e caricano le pistole – in tutti questi posti i fuggiaschi dell’America possono liberamente andare.

Per Diana Oughton, Ted Gold e Terry Robbins una cosa era ormai chiara da tempo, ed è chiara per tutti i rivoluzionari che sono ancora in movimento: non torneremo mai indietro.

Nelle prossime due settimane attaccheremo un simbolo o un’istituzione dell’ingiustizia americana. E’ in questo modo che celebreremo l’esempio di Eldrige Cleaver e di H. Rap Brown e di tutti i rivoluzionari neri che per primi ci ispirarono lottando dietro le linee del nemico per la liberazione del loro popolo.

Essi non combatteranno mai più soli.

21 maggio 1970"

Questo è il primo comunicato dei Weathermen in clandestinità (cioè dei Weather Underground). Il 9 giugno 1970, la centrale della polizia di New York viene fatta saltare in aria. Il gioco è cominciato.

 

Ma da dove provengono i Weathermen?

Nel 1960 nasce l’organizzazione Studenti per una Società Democratica (Students for a Democratic Society, SDS). Si tratta di un’associazione liberal (cioè riformista) di studenti bianchi attivi soprattutto contro la povertà e il razzismo, i due aspetti più visibili (e più ‘emotivi’) del capitalismo americano. Le loro azioni dirette per i diritti civili maturano durante le lotte di autodeterminazione dei neri. La feroce repressione contro questi ultimi e poi, a partire dal 1965, i bombardamenti nel nord del Vietnam mettono sempre più in luce i limiti dell’azione legale, spingendo molti giovani bianchi a radicalizzarsi. La nascita del Black Panther Party e l’entrata nell’SDS del Progressive Labor, un partito "marxista-leninista-maoista", trasformano l’organizzazione studentesca in un vasto movimento rivoluzionario. Soprattutto per il linguaggio usato dalle Pantere nere, molti giovani bianchi pensano che essere rivoluzionari significhi essere marxisti-leninisti, o per lo meno mimarne i concetti. Nel ’69 il Progressive Labor viene espulso, soprattutto per le pressioni delle Pantere Nere che non ne tollerano le posizioni (circa il ruolo centrale della classe operaia e, soprattutto, circa il carattere reazionario di ogni lotta di liberazione nazionale, compresa quella dei neri). E’ contro il PL che si forma, all’interno dell’SDS, la tendenza dei Weathermen, i quali prendono il nome da un verso di una canzone di Bob Dylan: "Non c’è bisogno di un metereologo [weatherman, appunto] per sapere da che parte tira il vento". I Weathermen, che si pongono lo scopo di organizzare la gioventù rivoluzionaria della classe oppressa, si assicurano la direzione dell’SDS. La loro ideologia è un miscuglio assai disinvolto (e inconcepibile per un marxista-leninista europeo). Vediamone i tratti principali. Sulla base delle tesi dell’ultimo Malcom X, i neri vengono considerati una colonia interna dell’imperialismo americano, una nazione oppressa. La loro liberazione nazionale, come quella dei popoli del cosiddetto Terzo Mondo, viene interpretata come antimperialista e anticapitalista allo stesso tempo. Sono questi popoli l’avanguardia del movimento rivoluzionario a cui i bianchi possono fornire unicamente un appoggio. Se la classe operaia americana è sfruttata, essa gode nondimeno dei vantaggi dell’imperialismo USA. Lo sviluppo tecnologico ha trasformato la stessa natura dello sfruttamento, unendo gli operai e gli studenti sul piano della precarietà e dell’alienazione quotidiana. Si aggiungano a ciò il tema della liberazione femminile e le esigenze nate all’interno della controcultura americana (vita comunitaria, sperimentazione sessuale e libero uso delle droghe, fusione del personale e del politico).

La spinta più forte al movimento viene dalle sommosse dei quartieri neri di Watts (1965), Newark e Detroit (1967), nel corso delle quali lo Stato assassina rispettivamente 30, 27 e 40 proletari neri.

Vista l’inconcludenza delle proteste e delle marce contro la guerra, i Weathermen decidono di organizzare, per l’ottobre del 1969, un incontro a Chicago all’insegna del loro slogan "Portiamo la guerra a casa!". Quelli che passeranno alla storia come i "giorni della rabbia" sono una sommossa scatenata contro le proprietà dei ricchi nel centro di Chicago. Nonostante si raduni solo qualche centinaio di giovani – invece delle migliaia attese dai promotori –, gli studenti bianchi, suddivisi su basi regionali e organizzati in piccoli gruppi di affinità, sfasciano tutto e si scontrano con centinaia di poliziotti allibiti.

In seguito ai mandati di cattura spiccati contro alcuni Weathermen, e visto il contesto di repressione crescente che rende difficile conciliare l’attività pubblica con quella nascosta, il gruppo decide di passare alla clandestinità. Prima però un tragico evento ne segna la storia. Nel marzo del ’70, tre di loro – Ted Gold, Diana Oughton e Terry Robbins – saltano in aria mentre preparano una bomba in un appartamento del Greenwich Village, a New York. Il contraccolpo è pesante Ne segue una dolorosa analisi sui metodi e sulle prospettive. I Weathermen decidono di attaccare le strutture del dominio senza colpire le persone (ed è quello che riusciranno a fare nelle decine di azioni dinamitarde che realizzeranno).

I loro comunicati ne riflettono bene la mentalità e lo stesso linguaggio (incomparabilmente più vivace del triste gergo marxista-leninista delle organizzazioni combattenti europee) esprime un movimento assai multiforme, non riducibile all’antimperialismo. I riferimenti alla vita quotidiana (l’‘erba’, le comuni), le espressioni mutuate dalle Pantere Nere ("fratelli e sorelle", "Amerika", i "porci" per indicare i padroni e gli sbirri), da un lato, e i riferimenti a Ho Chi Min e a Fidel Castro, dall’altro, ne indicano rispettivamente le aperture e le rigidità, le esigenze di vita e le illusioni ideologiche, la rivolta totale e l’autoritarismo.

Ora è importante chiarire il contesto di conflittualità diffusa in cui matura la scelta dei Weathermen. Basteranno alcuni dati (resi pubblici dallo stesso governo americano). Fra il ’69 e il ’70, negli Stati Uniti i ROTC (i Riserve Officer Tranig Corps, centri di ricerca militare legati all’università) subiscono circa 5000 attacchi. Nel solo ’69, 86 poliziotti vengono uccisi e le forze dell’ordine sono oggetto di circa 33.000 attentati. A questo vanno aggiunte le grandi sommosse nelle carceri, gli arresti di massa (1800 persone solo a metà maggio del ’69), ed azioni come la totale distruzione dello stabilimento della compagnia petrolifera Standard Oil, l’abbattimento di un elicottero della polizia a Tucson e i numerosi sabotaggi nelle industrie belliche (la classe operaia è molto meno sottomessa di quanto non pensino i Weathermen…); e poi le decine di migliaia di disertori, gli attentati contro gli ufficiali da parte della truppa in Vietnam. Insomma, la "guerra a casa" non è soltanto un auspicio dei "metereologi", ma anche una realtà sociale. E’ un continuo fiorire di gruppi armati dai nomi fantasiosi (come le New Year’s Gang o i Motherfuckers) e di attacchi anonimi. E, contemporaneamente, costanti sono le esecuzioni di rivoluzionari neri, le torture e le brutalità poliziesche pianificate in un disegno di controspionaggio (il famigerato Cointelpro) dell’FBI.

La parabola dei Weathermen segue l’ascesa e il riflusso di questo movimento. A metà degli anni Settanta, l’organizzazione entra in crisi. Nel giro di qualche anno, alcuni si costituiranno (ma, in base alle numerose illegalità commesse dall’FBI per incastrali, usciranno dopo qualche mese dal carcere), altri raggiungeranno nuove organizzazioni rivoluzionarie (Marilyn Buck e Laura Withehorn, ad esempio, entreranno nella Revolutionary Armed Task Force, lo stesso gruppo di cui faceva parte Silvia Baraldini). Qualcuno oggi è professore universitario, qualcun altro, come David Gilbert, è ancora in carcere, condannato all’ergastolo per una sparatoria durante una rapina di autofinanziamento, sempre determinato nel rivendicare il proprio percorso. Una vicenda conclusa, direbbero gli storici.

Perché allora parlare dei Weathermen oggi, perché proiettare il film "The Weather Underground"?

Non certo per il loro modello organizzativo fortemente gerarchico, né per i loro tratti profondamente gauchistes (alla fine di Prateria in fiamme, il loro documento ideologico-politico del ’74, ad esempio, affermano che bisognerebbe… incarcerare Nixon, dopo aver elencato mille ragioni per abbattere il governo degli Stati Uniti!). Quello che ci sembra attuale, dolorosamente attuale, è il loro "Portiamo la guerra a casa". Dopo i 180 milioni di persone scesi in piazza in tutto il mondo contro la guerra in Iraq; dopo le proteste, le marce, le fiaccolate; dopo le petizioni, gli appelli, i digiuni, il genocidio della popolazione irachena continua. Dopo tanta retorica sulla Resistenza, gli arabi insorti contro le truppe del capitale mondiale sono disperatamente soli, sempre più aspirati nel vortice integralista.

Forse non esistono anche in Italia le compagnie petrolifere, le industrie belliche, i finanziatori dell’esercito, i centri di ricerca militare legati alle università? E’ accettabile una "nonviolenza" che trasforma la frase "Stop the war" in un vuoto slogan e noi in semplici spettatori di un massacro? E’ forse troppo vecchia e ingenua, per milioni di dannati della Terra, l’affermazione "I ricchi, ecco i nemici", scritta e urlata durante i giorni della rabbia di Chicago?

"Non abbiamo scuse – hanno scritto di recente alcuni compagni –; qualcuno un giorno di fronte alle guerre, ai genocidi del nostro tempo dirà: come potevamo non sapere? In fondo bastava cliccare". E una volta venuti a conoscenza, cosa facciamo?

Fuori da ogni intento incensatorio o banalmente apologetico, riflettere sull’opposizione pratica alla guerra del Vietnam e sull’esperienza dei Weathermen è un buon modo per capire la distanza che ci separa dalle rivolte di quegli anni; e anche la strada che ci resta da percorrere.

 

Breve cronologia delle azioni dei Weather Underground

27 luglio 1970. Attacco esplosivo contro una filiale della Banca d’America.

15 settembre 1970. I Weather fanno evadere dal carcere Timothy Leary, il ‘padre dell’LSD’.

8 ottobre-fine ottobre 1970. "Offensiva d’autunno". Attacco dinamitardo contro l’edificio del ROTC (centro di ricerca militare) della marina all’università dello Stato di Washington. "La cultura della morte non potrà più usare liberamente le università come basi dell’imperialismo". Firmato: Tribù del quarto della luna. Il gruppo rivendica anche un attacco contro una banca della regione e la distruzione della sede dell’American Legion. Lo stesso giorno un’esplosione devasta l’armeria della Guardia Nazionale di Santa Barbara (California). Firmato: Società del giardinaggio casalingo del Perfect Park. Sempre l’8 ottobre, salta in aria l’aula del tribunale della contea di Marin (California), dove qualche mese prima Jonathan Jackson aveva cercato di liberare dei detenuti neri durante il loro processo. "Dedichiamo questa azione ai prigionieri delle carceri di San Quentin, di Soledad e di New York … e a tutti i prigionieri di guerra neri …". Firmato: Weather Underground. Gli stessi rivendicano la distruzione della sezione penale del tribunale di Long Island, sempre in solidarietà con i prigionieri in rivolta. Il 15 ottobre una bomba esplode contro il Center for International Affairs di Harvard. Firmato: Tribù dell’aquila superba, un gruppo di donne rivoluzionarie. Un’altra bomba esplode nell’istituto di ricerca della Standford University, "addetto alla ricerca e preparazione di defolianti chimici da usarsi non solo in Vietnam ma in tutta l’Asia, in Africa e in America Latina". Firmato: Cospirazione comunista internazionale della contea di Orange. Il 30 ottobre due bombe esplodono contro il centro della riserva miliare a Jamaica e all’armeria della marina a Whitestone in solidarietà con la rivolta in Porto Rico. Firmato: Tribù della volpe sorridente.

4 febbraio 1971. Una bomba scoppia al Campidoglio di Washington, nei locali adiacenti gli uffici senatoriali. "… I B-52 sganciano ogni due giorni sul Laos una quantità di bombe equivalenti all’esplosione di Hiroshima. Abbiamo attaccato il Campidoglio perché esso è in tutto il mondo, con la Casa Bianca e il Pentagono, il simbolo del governo che sta assalendo l’Indocina …". Firmato: Weather Underground.

27 agosto 1971. Attacco dinamitardo dei Weathermen contro gli uffici dell’amministrazione penitenziaria californiana a San Francisco e a Sacramento, in risposta all’assassinio in carcere del rivoluzionario nero George Jackson e in solidarietà con le rivolte dei prigionieri di San Quentin. "… Noi consideriamo le nostre azioni semplicemente come una prima risposta di amore e di rispetto per Gorge Jackson e per i guerrieri di San Quentin …".

9-13 settembre 1971. In appoggio a una furiosa sommossa nella prigione di Attica (New York), i Weathermen fanno esplodere una bomba negli uffici dell’amministrazione carceraria di New York.

19 maggio 1972. I Weathermen attaccano un’ala del Pentagono contro la guerra in Vietnam nell’ottantaduesimo anniversario della nascita di Ho Chi Min.

18 maggio 1973. Attacco dei WU contro una centrale di polizia di New York in risposta all’assassinio di un ragazzino nero di dieci anni.

28 settembre 1973. I Weathermen attaccano la sede centrale dell’ITT dopo il golpe fascista in Cile.

6 marzo 1974. I WU attaccano il dipartimento centrale di Assistenza, Educazione e Sanità di San Francisco contro la sterilizzazione delle donne povere.

31 maggio 1974. I WU attaccano l’ufficio del procuratore generale della California in risposta all’assassinio di 6 membri dell’Esercito Simbionese di Liberazione.

17 giugno 1974. Bomba dei WU contro il quartier generale della Gulf Oil’s Pittsburgh per protesta contro le sue responsabilità in Angola.

28 gennaio 1975. Attacco al dipartimento di Stato contro la recrudescenza dei bombardamenti in Vietnam.

16 giugno 1975. Bomba contro il Banco de Ponce di New York in solidarietà con la lotta dei lavoratori di Porto Rico.

 

In italiano è possibile leggere:

Weathermen, Prateria in fiamme, edito nel 1977 dal Collettivo Librirossi e ristampato da Calusca City Lights, Archivio Moroni e Cox 18, Milano, 2004;

Weathermen. I fuorilegge d’America, a cura di Harold Jacobs (ed. italiana a cura di Sandro Sarti), Feltrinelli, Milano, 1973. In questo libro sono contenuti quasi tutti i comunicati dalla clandestinità.

alcuni anarchici

Fonte: http://guerrasociale.altervista.org/weathermen.htm

Manifestazioni selvagge, banche sfondate, barricate nelle strade, stazioni di polizia attaccate…. nelle ultime settimane né gli enormi dispositivi di polizia — con i loro gas, i loro manganelli e i loro proiettili di gomma — né le organizzazioni politiche di sinistra ed i sindacati con i loro servizi d’ordine, sono riusciti a controllare la rabbia e la gioia di migliaia di ribelli. A Parigi come a Nantes, Rennes, Tolosa e in molte altre città in Francia, abbiamo finalmente assaporato alcuni momenti di libertà. In questa epoca buia di guerre, terrore, miseria economica, nazionalismi e religione, in quest'epoca in cui ci vorrebbero tutti in riga o in ginocchio, solo il fuoco della rivolta può riaccendere nei nostri cuori qualche speranza di rottura radicale con l'esistente.
La «Loi Travail», ennesima misura per intensificare lo sfruttamento, ennesimo attacco dei padroni e del governo contro gli interessi dei lavoratori, è solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Nei discorsi come nelle pratiche, la questione di questa legge è stata di gran lunga superata da tutti coloro che rifiutano di negoziare con il potere la lunghezza delle proprie catene. L'eventuale ritiro di questa legge non rappresenterà nessuna vittoria se avrà come effetto la fine delle ostilità, il ritorno alla normalità.
Perché se c'è qualcosa da combattere è proprio questa «normalità»: la normalità di un padrone che vive sulle tue spalle, che si arricchisce con il tuo sudore, che ti umilia; la normalità di un mondo in cui la stessa possibilità di esistere è determinata dalla quantità di denaro che si ha in tasca, un mondo in cui milioni di esseri umani crepano nella più totale povertà o vivono nella schiavitù; la normalità del controllo e della disciplina delle nostre vite attraverso le scuole, le università, gli orari, le carceri, i manicomi, la burocrazia, le frontiere, le telecamere di sorveglianza...; la normalità degli schemi e dei modelli di vita che ci vengono imposti attraverso lo spettacolo e la televisione, la pubblicità e la merce...
È questa normalità che vogliamo rendere impossibile. Non crediamo alla «grande sera» della rivoluzione, non crediamo che si debba aspettare il giorno in cui il genere umano sarà pronto a vivere in una società perfetta. Noi viviamo qui ed ora, e non abbiamo altra vita che quella che stiamo vivendo. Non si tratta di aspettare che le condizioni siano propizie, di proporre programmi, di attendere che la maggior parte dei «lavoratori», degli «studenti» o dei «senza documenti» diventino rivoluzionari. Rompere con gli schemi di questa normalità significa rompere anche con gli schemi della politica, del consenso, della gestione democratica. Sforzarsi di rendere comprensibili le nostre idee e le nostre azioni non significa relegarsi nell'impotenza, rinunciare ad agire, consultarsi con coloro che vogliono «gestire meglio» questo sistema strutturalmente fondato sull'oppressione e sul dominio. L'attacco al potere non sarà mai consensuale, nemmeno tra gli sfruttati e le vittime del potere. Ma è proprio a partire dall'attacco contro il potere, le sue idee, i suoi modelli, le sue strutture e le sue persone, che noi vogliamo «incontrare le persone», poco importa che siano studenti o lavoratori, disoccupati o precari, con o senza documenti. È a partire da un terreno di ostilità condivisa contro il dominio, contro tutti i domini, che forse potremo un giorno essere in grado di costruire qualcosa di diverso in maniera collettiva. Non siamo una intellighenzia illuminata che vorrebbe sensibilizzare le masse, siamo individui che subiscono la stessa oppressione e che hanno deciso di tradurre la propria rabbia in azione. Se diffondiamo le nostre idee non è per cercare consensi, per guadagnare pedine, ma è perché auspichiamo che gli atti di rivolta e di non-sottomissione si moltiplichino fino a rendere impossibile il normale funzionamento della società.
Purtroppo, anche la rivolta rischia farsi integrare o incanalare dal potere. Nelle ultime settimane ci siamo trovati spesso nelle strade ad affrontare gli sbirri. Siamo sempre là dove ci attendono in forze, a giocare una partita che hanno già scritto per noi, su un terreno che non ci è favorevole. Ne conseguono manifestazioni concertate da sindacati e prefettura, in quartieri borghesi dove la rivolta rischia di essere meno contagiosa. Si accetta la presenza di giornalisti, cameramen e fotografi di tutti i colori, e poi si guardano i video delle sommosse su internet e ci si esalta. Si finisce col parlare la stessa lingua del potere, l'esaltazione virile dello scontro e la spettacolarizzazione della rivolta.Perché non cercare di superare tali limiti? L'intelligenza e l'imprevedibilità possono essere i nostri migliori strumenti. Apparire all'improvviso per attaccare laddove non ci aspettano e poi scomparire rapidamente; bloccare, paralizzare, sabotare le vene dell'economia, le strutture del controllo, i luoghi di lavoro. Uscire dagli schemi classici della protesta, dai suoi luoghi e dai suoi spazi, ecco cosa potrebbe rappresentare un salto di qualità nelle nostre lotte. L'euforia del cosiddetto «movimento sociale» è destinata a morire se quest'ultimo non riesce ad andare fuori dai binari della politica. Ma le conoscenze che si saranno accumulate, le idee che si saranno diffuse, i legami che avremo costruito, sociale», non smetteremo mai di seguire la nostra passione distruttrice, inseguire i nostri sogni di libertà, seminare il caos della rivolta nell'ordine dell'autorità.
[Tout peut basculer,
giornale anarchico pubblicato a Parigi
in occasione del «movimento contro la loi travail», aprile 2016]

15OT (1)

Chi si ribella non è mai solo/a.

Sono passati quasi 5 anni: era il 15 ottobre del 2011, le strade di Roma si erano riempite.

In quel periodo, dopo le forti proteste e rivolte che avevano acceso la “primavera araba”, anche in Europa e negli Stati Uniti, in seguito all’appello lanciato dai movimenti 15M nati a Madrid, si scendeva in piazza ovunque, davanti e contro i palazzi del Potere, nel rifiuto delle politiche di austerità adottate dai governi come ricetta alla crisi economica in atto.

A Roma quel giorno c’erano centinaia di migliaia di persone: non mancavano i carri di partiti, sindacati, organizzazioni di movimento. C’erano, come si suol dire, tutti.

“Tutti insieme”, i discorsi contro la crisi, oppure contro il sistema della crisi, contro il capitalismo e lo stato di diritto.

Il comitato promotore accettò di non manifestare davanti alle sedi governative, così come deciso dalla Questura; ci furono comunque tantissimi gesti di rivolta e diverse ore di scontri con le forze dell’ordine: un susseguirsi di cariche e una continua resistenza a esse.

In tanti e tante, durante quella giornata, non sentirono di reprimere la propria rabbia. Non scapparono, ma reagirono, perché troppo forte l’odio per la miseria economica e culturale cui il sistema capitalista ci costringe ogni giorno.

Perché, oggi come ieri, come il 15 ottobre del 2011, in questo mondo si determina lo sfruttamento da parte di pochi nei confronti di molte\i, la guerra e lo sterminio delle popolazioni oppresse, la distruzione delle risorse naturali e della terra, tutto in nome del profitto, dell’arricchimento, del denaro.
Ed è inevitabile che, per tutto questo, la rabbia possa anche esplodere.

Poi ne seguì il tormentone mediatico, quello dei discorsi contro la violenza e per il rispetto della legalità, a cui si affiancarono le prese di distanza dai rivoltosi, sostenute anche da coloro che avevano partecipato a quella manifestazione, nel tentativo di recuperare ciò che era loro sfuggito di mano.

Oltre a questo, la caccia ai resistenti di Piazza San Giovanni e ai rivoltosi del corteo, attraverso il ricorso a fotografie e video, con il prezioso contributo delatorio di innocenti cittadini o di zelanti tutori dell’ordine interno al corteo.

Dopo i manganelli e i caroselli della celere nelle strade, scattarono i primi arresti seguiti da ampie indagini e infine i processi. Inizia la risposta degli apparati giudiziari al soldo dei Poteri, che avvertirono il campanello d’allarme.

In un primo momento, decine di denunce e diversi arresti nei confronti di chi rimase in piazza San Giovanni. Poi, un filone di indagine specifico per il blindato dei Carabinieri andato in fiamme. Per finire, un ulteriore filone di inchiesta volto a sostenere l’architettura premeditata dell’esplosione di rabbia di quella giornata.

Quindi, processi e condanne anche in direttissima per i primi arrestati, con l’accusa di resistenza pluriaggravata, poi una punizione esemplare attraverso il ricorso al reato di devastazione e
saccheggio per i militanti di Azione Antifascista Teramo imputati dell’assalto al blindato; di nuovo il ricorso al reato di devastazione e saccheggio per le 18 persone rinviate a giudizio nell’ultimo filone di inchiesta.
Nei tribunali un accanimento feroce da parte dei Pubblici Ministeri, il ricorso al reato di devastazione e saccheggio come monito e punizione esemplare: il solito leitmotiv del colpirne alcuni per intimorire tutti e tutte.

È successo per la rivolta di Genova nel 2001, per il corteo antifascista di Milano nel 2006; si sono adottate queste misure anche lo scorso anno riguardo la manifestazione antifascista di Cremona e per il corteo No Expo a Milano.

È un dato di fatto che questo strumento, eredità del codice penale del ventennio fascista, venga adoperato sempre più frequentemente per sanzionare comportamenti di piazza di natura tumultuosa, affermando un chiaro indirizzo politico da parte della magistratura e la sua conseguente attestazione negli ambiti della giurisprudenza.

Detto in maniera più esplicita: manifestanti buoni e manifestanti cattivi. Il recinto di ciò che è consentito e quello che non lo è. Finché si esprime dissenso a parole, va tutto bene (per il momento), siamo in Democrazia. Con la variabile sempre presente che a sostenere questo indirizzo non siano solo gli inquirenti.

Tra tutti coloro che erano in piazza quel giorno, dopo il processo conclusosi in Cassazione con la conferma del reato di devastazione e saccheggio per i militanti di Azione Antifascista Teramo, altre 17 persone, a cui sarebbe stato aggiunto anche Chucky, se non ci avesse lasciato a causa della sua morte, potrebbero andare a sentenza il prossimo 12 Maggio 2016, a seconda che il PM Minisci decida di replicare o meno alle argomentazioni difensive.

L’accusa ha fatto richiesta di 115 anni complessivi per queste 17 persone rimaste ancora imputate. I reati contestati vanno dalla resistenza aggravata a pubblico ufficiale alla devastazione, dalle lesioni all’incendio doloso, ma anche capi d’imputazione ‘minori’ come turbativa dell’ordine pubblico e interruzione di pubblico servizio. La richiesta più alta è di 11 anni di carcere per un manifestante, le altre oscillano dai 3 ai 9 anni di reclusione. A queste si aggiunge la richiesta di risarcimento danni da parte di una banca, comune di Roma, AMA e ATAC, alcuni ministeri e di agenti delle forze dell’ordine che si sono costituiti parte civile.

Un appello alla solidarietà rivolto “generalmente”, oltre a essere un’illusione e una menzogna rivolta a sé stessi, a 5 anni di distanza da quella giornata, cadrebbe nel vuoto.

La consapevolezza di questo avviene dopo anni di udienze svolte qui a Roma, di posizioni dissociatorie assunte anche in sede processuale da parte di alcune difese, di silenzi perpetrati anche da parte delle stesse realtà che il giorno prima inneggiavano alla rivolta, quello dopo si nascondevano intimorite.

Eppure, pur considerando tutto questo, si preferisce guardare ad altro.

Chi si è ribellato quel giorno, come in altri momenti, non resta solo, perché la solidarietà non è una parola vuota di senso, ma pratica di vicinanza e compartecipazione tanto ideale quanto concreta.

Se intorno la giornata del 15 Ottobre e la rivolta che l’ha animata è in atto un’operazione di rimozione, noi invece non vogliamo dimenticare.

Se intorno le persone che sono imputate si vuole creare isolamento, non è nostra intenzione lasciarle sole.

Se rispetto l’espressione del dissenso c’è l’intenzione, da più parti, di tracciare il selciato del consentito, il sentiero della rivolta non conosce percorsi definiti da nessuno.

Perché un giorno, alcune volte, o tutti i giorni, ci si può trovare anche “tutti insieme” sotto lo stesso cielo, ma è l’orizzonte verso cui ci si muove che fa la differenza.
A chi ha vissuto la rivolta del 15 Ottobre 2011.

A chi non dimentica.

A chi pensa che coprirsi il volto durante una manifestazione non voglia dire essere infiltrati.

A chi si copre il volto quando gli pare.

A chi vive di rivolta.


Giovedì 12 maggio 2016, Roma

h 9 – Presidio davanti il Tribunale a Piazzale Clodio

h 18 – Assemblea sul reato di devastazione e saccheggio presso L38 Squat, in via Domenico Giuliotti 8x, con contributi sui processi relativi ai cortei del 1 maggio 2015 a Milano e del 24 gennaio 2015 a Cremona.

Rete Evasioni

Da finimondo.org:

Fatti non foste a viver come bruti…

… trascinando giorno dopo giorno la propria esistenza «nel mondo sanza gente» — quello di Dante Alighieri come quello odierno. No, fatti non fummo a vivere così, scodinzolanti al cospetto del potere, a capo chino davanti alle forze dell’ordine, ammutoliti accanto ai megafoni della propaganda, paralizzati sotto l’onnipresente occhio arcigno della sorveglianza.
Due notti fa alla periferia di Firenze, la città dove i fascisti ammazzano gli ambulanti dalla pelle nera, la città dove i carabinieri ammazzano i passanti troppo “agitati”, l’ennesimo controllo «anti-degrado» delle forze dell’ordine non si è concluso con l’ennesima rassegnazione. Il «venite con noi!» ordinato da una pattuglia a chi faceva i fatti suoi per strada si è trasformato in un «andate via voi!» urlato da molti presenti ad un concerto (ribattezzato «rave party» dai soliti pronisti ghiotti di sensazioni forti). E la pattuglia in effetti si è allontanata, il tempo di chiamare rinforzi e prepararsi a sfoggiare un muscoloso monito su chi è qui che comanda. Ecco quindi tornare alla carica oltre una decina di volanti fra carabinieri, polizia (che ha preso in pugno la situazione) e vigili urbani, i quali hanno subito iniziato a sfogare la rabbia per la propria lesa autorità ammanettando e pestando, ma trovando anche pane per i loro denti. Ne è nato un tafferuglio generale il cui bilancio finale è di alcuni contusi e, purtroppo, di tre arrestati. Portati in questura, sono stati incriminati e trasferiti in carcere in attesa dell'udienza di convalida (che si svolgerà la mattina di sabato 23 aprile presso il carcere di Sollicciano). Il presidio che nel frattempo si era formato davanti alla questura, tenuto a bada da un cordone di agenti, si è quindi sciolto.
Ma la movimentata notte è continuata — per non smentire il detto — portando consiglio. Poche ore dopo, infatti, qualcuno ha tratto ispirazione dall'insegnamento del sommo poeta: ha considerato la propria semenza, si è accorto di non essere fatto a viver come bruto, ha deciso di seguire «vertute e conoscenza» (non legge e ordine). Ed ha preso di mira la stazione dei carabinieri più vicina al luogo in cui sono avvenuti i fatti col lancio di alcune bottiglie molotov.
L’indomani, man mano che si diffondeva la notizia, nella bolgia infernale dove sguazzano adulatori, ipocriti, barattieri, consiglieri fraudolenti, seminatori di discordie, falsari, hanno iniziato a diffondersi lo stupore, l'incredulità, l'indignazione. Il coro dei vari rappresentanti locali e nazionali del partito dell’ordine si è alzato potente di fronte a cotanto scandalo.
«Le molotov contro la caserma di Rovezzano sono un atto gravissimo, che colpisce non solo l'Arma dei carabinieri ma reca un'offesa anche a tutta la società toscana e a coloro che lavorano per la coesione sociale, la sicurezza dei cittadini e la diffusione di una cultura della legalità. Questo gesto si pone fuori dalla civile e democratica convivenza su cui si fonda la società toscana» ha sentenziato Enrico Rossi, presidente della Regione.
«Totale, piena, sentita solidarietà all’Arma dei Carabinieri, che ha vissuto questa assurda aggressione. Tutta la popolazione, la cittadinanza e le istituzioni devono essere vicine al lavoro serio e professionale portato avanti dall’Arma a garanzia e tutela di tutti» ha dichiarato Eugenio Giani, presidente del Consiglio regionale.
«Massima solidarietà e vicinanza alle forze dell'ordine per l'episodio di violenza subita a seguito degli arresti di questa notte. Sembra incredibile che in una città come Firenze sia possibile il lancio di quattro molotov contro una caserma dei Carabinieri o che uomini delle forze dell'ordine mentre fanno un controllo siano circondati e minacciati da trenta persone, ma questo è quanto è successo oggi. Spero che arrivi la solidarietà e la vicinanza da tutta la città. Nessuno escluso» ha ammonito Gabriele Toccafondi, sottosegretario di Stato al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.
«Il gravissimo gesto di questa notte contro la Caserma dei Carabinieri di Firenze rafforzerà l'impegno quotidiano e la straordinaria determinazione dei nostri Carabinieri, baluardo a difesa dei cittadini e della legalità. Si tratta di un episodio inqualificabile che non verrà sottovalutato perché lo Stato è molto attento a ogni segnale che proviene dal territorio» ha chiosato Angelino Alfano, ministro degli interni.
Per altro, nelle stesse ore in cui venivano rilasciate simili dichiarazioni, i responsabili della devastazione ad alta velocità del Mugello venivano assolti definitivamente dalla Cassazione. Un atto normale, legale, civile e democratico (tanto quanto la recente assoluzione dei carnefici in uniforme di Giovanni Uva) che chiarisce bene quale sia la sola libertà concessa dallo Stato, da qualsiasi Stato, quella di obbedire e genuflettersi davanti all’autorità. Non è ciò che facciamo da cittadini, da lavoratori, da clienti, da utenti, inchiodati all’adempimento dei nostri obblighi sociali, tutti i santi giorni?
Ma la notte è canaglia, bella come una stazione di carabinieri che brucia…
[22/4/16]