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Lo scempio degli assassini in divisa con i bambini

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Le immagini dei bambini di una scuola di Cremona in tenuta antisommossa sono lo specchio dell'educazione. Non c'è tanto da sbigottirsi, ma c'è da lottare contro un società fatta di istituzioni totalitarie, proprio come la scuola. Alla madre di uno dei bambini che ha detto: "Non ci vedo nulla di male. Quanto alla tenuta antisommossa, ci sarebbe semmai da chiedersi come mai talvolta le forze dell’ordine la devono indossare”, si potrebbe rispondere che la guerra è agli antipodi di quel desiderio libero chiamato gioco dei bambini. Se questa società devasta ogni avventura, allora l'unico modo di essere solidali con i giocosi bambini è quello di avventurarsi nella distruzione di questa società oppressiva e imbonitrice dei (s)valori del massacro.

"All’inizio del secolo XVII cominciò ad affermarsi un nuovo consenso, intorno all’idea che l’uomo nascesse inidoneo alla società e tale rimanesse se non gli si forniva una “educazione”. L’educazione venne così a indicare l’opposto dell’attitudine vitale. Venne a indicare un processo, anziché la semplice conoscenza dei fatti e la capacità di adoperare gli strumenti che danno forma alla vita concreta dell’individuo. L’educazione si identificò con una merce, immateriale che andava prodotta a beneficio di tutti, e a tutti dispensata nella stessa maniera in cui prima la Chiesa visibile dispensava la grazia invisibile. La giustificazione al cospetto della società divenne la prima esigenza dell’uomo, che viene al mondo in una condizione di stupidità analoga al peccato originale.

L’interesse ad educare la propria prole è antico ma si è dovuto attendere l’età moderna per vedere un sistema razionale di repressione, controllo e ridimensione del Sapere. L’idea di fondo della scolarizzazione istituzionale è che gli uomini non nascono uguali, ma lo diventano grazie ad un periodo di gestazione nel ventre della scuola, che guida a staccarsi dal proprio ambiente naturale, per approdare nella società civile come idonei cittadini-consumatori."

Tratto da "Descolarizzare la società" di Ivan Illich