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Questa è una tre giorni pensata per supportare alcune pratiche di
opposizione all'esistente.
Pratiche che evocano fin da subito un sogno: sconvolgere quello che
abbiamo intorno a noi.
Ad Aro, Vivi, Tommy, Andre, Pippo e a tutte/⁠i quelli che non si
piegano e non si dissociano da loro stessi, va la nostra
incondizionata solidarietà, la nostra vicinanza e la testardaggine di
continuare sui sentieri scoscesi che ci potrebbero portare
all'incommensurabile deriva: la fine di questo mondo.
Incontrandoci per discutere come sostenere chi viene accusato del
reato di ''devastazione e saccheggio'', per pensare e condividere
l'unica campagna di mobilitazione possibile contro il Leviatano:
pensare ed agire per sovvertire quello che c'è, per entrare e perdersi
nelle smisurate possibilità che danno senso alla creazione di un mondo
senza galere, senza frontiere, senza autorità e senza denaro.
Da Genova a Roma, da Cremona a Milano alcune e alcuni ammutinati hanno
lanciato un messaggio inequivocabile: i comportamenti rivoltosi sono
contagiosi per chi ama la libertà.
Convinti che lo spirito di queste rivolte e dell'insurrezioni
partigiane contro il fascismo debba continuare, non facciamo nessuna
promessa, ma ci diamo infiniti appuntamenti segreti...

ultimo red a3

Abbattere le frontiere, al Brennero e ovunque.

Lo Stato austriaco ha annunciato che, con i primi di aprile, verrà ricostruita la frontiera del Brennero.
Questo significa: barriere di acciaio, filo spinato sui sentieri, controlli sull'autostrada, sulla statale, sulla ferrovia e sulle ciclabili, pattuglie di militari e di milizie, container per i profughi.
Esercito e filo spinato sono presentati ancora una volta quale "soluzione tecnica" per contenere e rinchiudere i poveri, il cui esodo è il risultato di guerre, devastazione ambientale, miseria.

Al di là delle rimostranze formali, le autorità italiane si adeguano, intensificando i controlli a sud del Brennero.
Siamo di fronte a un passaggio storico.
Credere che muri e soldati siano riservati sempre e comunque a qualcun altro è una tragica illusione: a venire recintata, bandita e schiacciata è la libertà di tutti.
Dalla Palestina al Messico, dalla Turchia alla Francia, e ormai a due passi da noi, le barriere sono l'emblema del nostro presente.

Accettarle rende disumani e complici.
Cercare di abbatterle è l'inizio di una libertà possibile.
Bisogna scegliere da che parte stare.

SABATO 7 MAGGIO 2016

GIORNATA DI LOTTA

MANIFESTAZIONE AL BRENNERO

ore 14,30

(davanti alla stazione dei treni)

Per informazioni, iniziative, testi di riflessione: abbatterelefrontiere.blogspot.it

Riceviamo e diffondiamo il testo di uno scritto diffuso dopo gli attentati di Bruxelles:
«La guerra è uno dei tanti fenomeni, il più grave di questi,
che scaturiscono dal presente ordinamento sociale.
E a noi questo fenomeno non deve riuscire inaspettato
poiché sappiamo che esso non è che il corollario inevitabile di questa civiltà.
Perciò noi non possiamo combattere isolatamente il fenomeno,
senza distruggerne le cause prime che lo hanno provocato»
Bruno Filippi

L’esistente non può ammettere intrusi, dove in uno stato di perenne prigionia sociale ci fa masticare le miserie che produce. Incubati e controllati essa tiene la nostra fantasia in vitreo, puntandoci perennemente delle armi in nome del tutto deve restare così com’è.
Dettando legge, cerca di dirigerci lontano da noi stessi, alza muri per difendere il terrificante diritto di mercificarsi, tenta di correggere ogni nostro desiderio sovversivo e cerca di guidarci come pecore nel gregge.
Il potere è il fine e tutti i difensori del mondo di oggi sono pronti ad usare ogni mezzo per difendere i propri privilegi. Il dominio attraverso la paura fortifica la dipendenza verso di esso e si prende in cambio assoluta obbedienza dai suoi sudditi.
Schiavi del tempo, sembra non esserci rimedio ai continui genocidi perpetrati da questa civiltà. Sangue chiama sangue, ora il sangue è ovunque, recita una canzone ed è quello, sostanzialmente, che la guerra porta con sé.
La guerra non ha confini. L’eterno ritorno della guerra fa sfumare, oggi più che mai, la distinzione fra un fuori e un dentro.
L’era contemporanea dell’idra tecnologica ha oltremodo allargato la guerra a funzione di cosa. L’attacco bellico colpisce la coltre dei luoghi in cui viviamo; ormai l’essere tutti in guerra non è più condizione lontana, ma è la situazione stessa in cui ci si trova.
I fatti di Beirut, Parigi, Raqqa, Ankara e Bruxelles ci dicono che la violenza ritorna, in modo sempre più frequente, al mittente.
Purtroppo non stiamo parlando di violenza che tenta di darsi a qualcosa di totalmente altro, rispondendo alla violenza continua della società.
Oggi siamo davanti a quella forma di violenza gregaria, dove il martirio è l’uscita timorata di qualsiasi invasato religioso, fautore della continuazione di questa società: la presenza dello Stato, che esso sia islamico, democratico o totalitario poco importa, con tutto il suo carico di morte. Ed è per questo fine che chi compie atti come quello di Bruxelles vuole proporre una propria egemonia, vuole unire oppressi e oppressori sotto la bandiera di un forza trascendente, con lo Stato come mezzo organizzatore di questo progetto.
Di conseguenza, questi timorati di Dio non sono nemici degli stati guerrafondai, ma sono nemici mortali di chi vuole sovvertire questa intera società poliziesca.
Esistono delle molteplici differenze per chi aspira alla realizzazione delle propria libertà con quello che sta succedendo. Al lato opposto, non esiste nessuna diversità da chi si fa esplodere in mezzo alla gente per lo stato islamico e chi fa esplodere bombe belliche in nome dello stato democratico, con l’impiego di eserciti e droni. Nessuna differenza con chi crea dei controlli alle frontiere e giganteschi campi di concentramento, chiamati inverosimilmente hot spot, con chi sgombera dei luoghi dove si ammassa quella eccedenza umana indesiderabile come a Calais o attacca militarmente come a Idomeni, con chi installa filo spinato ai confini fra diversi paesi europei e chi pratica espulsioni collettive.
Quando qualsiasi tipo di istituzione piange i massacri da loro stessi creati, la conseguenza è vomito e rabbia per tanta ipocrisia.
È il quotidiano di guerra che si concretizza nei paesi che hanno gonfiato di odio tantissimi individui, attraverso i bombardamenti democratici e l’obbligo alla fuga di milioni persone che scappano da guerre mortali e commercio che sarà sempre predatorio: Bruxelles diventa Gaza, Parigi diventa Kabul, Ankara diventa Baghdad.
Il potere è decentrato, ma il fine è sempre lo stesso: l’economia che si finanzia con la guerra, la guerra che elargisce materialmente e idealmente gli strumenti per sostenere l’economia.
Se il fine, cioè il dominio, è lo stesso fra integralismo religioso e oppressione democratica, la differenza sostanziale sta nell’uso e nell’immagine della morte.
La morte, che da un lato si manifesta palesemente e diviene reale con le immagini delle devastazioni provocate dai padrini del potere oscuro; dall’altra viaggia nelle esistenze dei consumatori omologati alla merce, di chi crepa con o senza lavoro e di chi viene controllato passo dopo passo da qualsiasi sistema di sorveglianza.
Oggi non esiste più un posto neutrale dalla guerra di chi bombarda e massacra in Oriente e di chi aspira al ruolo di dominatore creando terrore nel cuore delle necropoli occidentali.
E i sovversivi, in tutto questo, dove stanno? Come degli appunti in una discussione che non c’è, tutto questo rimanda al pensare per agire.
Chi aspira a farla finita con la guerra e i massacri indiscriminati potrebbe percorrere il sentiero che può spezzare il deja vu continuo del capitalismo: portare il disordine e la sedizione nei luoghi dove la guerra è in atto, cioè in ogni luogo. Per non trovarsi schiacciati fra guerra planetaria e guerra civile, pensare e praticare la diserzione per sabotare qualunque tipo di guerra.
Rovesciare la società tutta, cioè spingersi verso la rivolta per evadere il muro di cinta e trovare la libertà, mettendo in contraddizione le basi dell’edificio sociale e del suo totalitarismo.
Infondo, la vita non può essere qualcosa a cui aggrapparsi ma può divenire l’incendio dei propri desideri.

stampato in proprio: Cremona, fine marzo 2016

Riceviamo e diffondiamo:

dalla parte di chi ruba nei supermercati”
Brevi considerazioni su esproprio, etica del farlo e terrorismo mediatico.

Questo nostro bieco mondo occidentale ha certamente un dogma imperante su tutti gli altri: se non hai denaro sei escluso.
Escluso dagli agi e dai confort consumistici (che nulla hanno a che vedere con la gioia) ma anche dai servizi essenziali per la sopravvivenza nel mondo urbano (ospedale, mobilità, luce-acqua-gas in casa etc).
Senza denaro sei inutile, sei dannoso e sei eliminabile, anzi, è auspicabile che tu venga eliminato il prima possibile.
Senza denaro non mangi. In un mondo in cui la filiera produttiva e distributiva degli alimenti passa  (quasi) esclusivamente dalle catene di grande produzione-distribuzione, se non puoi pagare il “prodotto” non avrai di che riempirti lo stomaco.
Il nostro mondo occidentale è un corollario di vetrine, negozi, magazzini straripanti di merce, tra cui il cibo.
I supermercati, gli ipermercati, i grandi magazzini, i “mall” alla yankee sono le grandi cattedrali del consumo: lì trovi di tutto, dai vestiti alla pizza surgelata, passando per i prodotti di cosmesi per animali domestici. Va da se che anche in queste cattedrali del consumismo senza denaro sei un ospite indesiderato.
Sono numerosi oramai (molti più di quanti non passino nei giornali) gli esempi in cui alcuni avventori entrano in un supermercato, prendono ciò che vogliono ed escono senza pagarlo.
Furto. Esproprio. Taccheggio.
Il concetto è tanto elementare quanto criminoso cercano di farlo apparire i tutori della legge: ho voglia/bisogno di qualcosa, non ho il denaro che mi dite che mi necessita per averlo, lo prendo lo stesso. Lineare come un filo a piombo.
C'è stato un tempo in Italia in cui gli espropri dei supermercati e dei negozi di lusso era una pratica collettiva rivendicata: quei benedetti anni '70 in cui l'orda d'oro dava il suo assalto al cielo. Ma senza scomodare i nonni, basta andare nella grecia del 2010 (e anche di oggi a dire il vero) e queste azioni, rivendicate come atti politici contro il denaro, sono cosa comune.
Prendere la merce, in tanti, non pagarla, distribuirla fuori nelle strade, goderne in collettività.

Oggi i fatti di cui parlano i giornali (“beccata mentre rubava la bistecca alla Conad”) sono essenzialmente espressione individuale di un bisogno: cibo o vestiti che il singolo o al massimo una coppia attuano di nascosto.
Di nascosto, sempre, per non finire al gabbio per aver fregato una bottiglia di vino da un maledetto scaffale che ne vomita centinaia ogni mese; di nascosto dalle videocamere di sorveglianza, dai guardioni, dagli infami “finti clienti” pronti a fare la spia e di nascosto dai clienti veri, più sbirri degli sbirri, che ti denunciano alle cassiere in nome del rispetto della legalità. I servi più odiosi sono quelli che si sostituiscono al padrone nell'imporre il suo ordine.
Quando poi succede che becchino qualcuno c'è sempre l'attenuante o l'aggravante riguardo al tipo di bene che è stato rubato e all'identità del reo : se di prima necessità, ovvero cibo, allora la legge è più incline alla magnanimità, come a sottolineare il fatto che se sei un morto di fame un po' di compassione la posso avere.
Se sei la vecchietta italiana con la pensione minima c'è che è perfino disposto a pagarti la spesa ma se sei la rumena clandestina sei fortunata se non ti linciano sul posto.
La legge prende in considerazioni che ci sono sempre più “morti di fame” e quindi la soglia di tolleranza per non esacerbare le condizioni di crisi socio-economica può tendere al rialzo.
Ma i casi in cui vengono sorpresi ladri “di lusso”, che magari taccheggiano una bottiglia di spumante o un profumo costoso allora apriti cielo. Il furto questa volta è inaccettabile perchè non più espressione di una necessità impellente, ma di un piacere e soprattutto non è recuperabile. Chi ruba la bistecca per disperazione, nel momento in cui la caritas o un ennesimo servizio assistenziale para-statale si proporrà di aiutarlo, molto probabilmente accetterà, ma chi ruba col gusto di farlo, per il piacere di sottrarre al proprio censore un bene di cui godere, difficilmente si farà convincere a smettere con la promessa del minimo garantito.
Sì ho rubato per il gusto di un prodotto non necessario alla mia sopravvivenza, ma per godere di qualcosa di piacevole che la società fondata sulla ricchezza mi proibisce di avere!
Il furto con gioia è un attentato troppo potente alla civiltà della merce, alla santità della proprietà privata, all'idolatria del denaro: questo tipo di furto non deve passare liscio mai.
Non crediamo sia un caso che abbiano da poco cambiato le leggi su furto e rapina, aumentando le pene per entrambi i reati.

Da anarchici ci sembra fondamentale ribadire che l'esproprio è sempre giustificato, giustificabile (e soprattutto godereccio!) quando mosso da un principio di classe: rubare ai ricchi.
La catena di “furti in appartamento” o “truffe agli anziani” di cui si legge sui giornali locali da anni a questa parte è l'ennesimo tassello di quella guerra tra poveri che distrugge il senso di solidarietà tra sfruttati.
L'esproprio ai danni di un nemico, se mosso da consapevolezza, è qualcosa di più del riprendersi ciò che la società di classe mi toglie per semplice condizione di povertà, è un gesto di insubordinazione contro la logica del privilegio.
Io povero, io sfruttato, io escluso (o io che per scelta decido di non farne parte) dal ciclo di benessere del capitalismo mi riprendo da te che sei parte attiva della mia sottomissione, un po' di quello che desidero.
Ma il furto acritico, mosso dai poveri contro altri poveri (vedi i furti d'oro o della pensione sotto il materasso al vecchietto di turno) non ha nulla di tutto questo.
La necessità porta a non farsi troppi scrupoli, questa è una realtà vecchia come il mondo, ma è proprio l'assenza di questa sensibilità che concorre al mantenimento di questo mondo sempre più razzista, sempre più insensibile, sempre meno solidale in cui gli sfruttati si scannano tra loro lasciando tranquilli gli sfruttatori.

Senza nessun generico richiamo a una mitica appartenenza dei “poveri” tutti in una grande famiglia, basterebbe la semplice consapevolezza che ci sono dei responsabili della nostra condizione di disagio, di oppressione, di repressione tanto economica quanto sociale: questi responsabili sono coloro che mantengono le redini del dominio e della proprietà.
Attaccare la loro proprietà, invece che rifarsi più facilmente delle briciole di un altro dominato, ci pare un minimo gesto di consapevolezza e il potenziale inizio di una critica più profonda alla proprietà privata nel suo insieme.

Dopo Claudio, Mattia e Niccolò anche Chiara è finalmente libera. La sua liberazione è stata un po’ più complicata di quella dei suoi tre compagni: la revoca degli arresti domiciliari ad opera dei giudici del Tribunale di Torino è stata infatti preceduta di qualche giorno da quella dei giudici della Corte d’Appello dell’Aquila che le hanno tolto la Sorveglianza speciale appioppatale lo scorso settembre. I giudici abruzzesi hanno ravvisato un’incompetenza territoriale del questore di Teramo a richiedere la misura di prevenzione, dato che la maggior parte dei “comportamenti disdicevoli” alla base della Sorveglianza speciale di Chiara erano stati messi in atto a Torino.

E già che siamo in tema di comunicazioni tribunalizie ci sono state novità anche rispetto alle beghe giudiziarie per la resistenza alla retata del febbraio 2015. In primis c’è stata la sentenza per Erika, Paolo, Luigi, Marco e Toshi: Erika è stata assolta mentre i quattro compagni sono stati condannati a sette mesi, pena che hanno già interamente scontato in custodia cautelare.

Agli altri quattro compagni che per la medesima resistenza erano stati allontanati da Torino sono stati invece revocati i divieti di dimora e potranno quindi tornare in città, in attesa del processo che per loro inizierà il 14 giugno.

macerie @ Marzo 20, 2016