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A proposito di Kavarna

...la passione per la libertà è più forte d'ogni autorità...

Ricordare il passato può dare origine ad intuizioni pericolose, e la società stabilita sembra temere i contenuti sovversivi della memoria

Herbert Marcuse

Se per caso una bomba cade vicino alla fabbrica dove voi lavorate così da scuotere tutta la costruzione, approfittate subito per rompere le macchine. Queste macchine sono così sensibili!

Gli operai hanno almeno le stesse possibilità di ridurre la produzione. La lentezza è l'ingrediente numero uno.

Non c'è una sola macchina che non abbia qualche difetto inerente alla costruzione.

Non c'è un campo dove si possa sabotar meglio lo sforzo di guerra tedesco che quello ferroviario.

Uno dei mezzi migliori per frenare lo sforzo di guerra tedesco consiste nell'applicare alle lettera i regolamenti, specialmente durante la formazione dei treni merci. Il regolamento ordina notoriamente ai macchinisti di non correre rischi in ogni caso... di non correre, per farla breve. Quindi, al passo, con calma, compagno, al passo.

I trasporti hanno acquistato una tale importanza nella guerra moderna che non si può mai fare abbastanza per ostacolare la circolazione normale delle autocolonne tedesche.

Innanzitutto la strada. Rovinare una strada è presso a poco alla portata di tutti. Niente di più facile che fare dei buchi nella strada.

Sulle strade di campagna sarà molto efficace deviare i ruscelli con leggeri lavori si scavo: la prima grande pioggia farà frenare il fondo stradale.

I due punti più sensibili al sabotaggio di un automezzo, sono il carburatore e l'accensione.

Bisogna sforzarsi di sabotare tutte le industrie che lavorano con il nemico.

Alcuni stralci tratti da:

Alternativa. Detto semplicemente: di fronte ad un virus o a qualsiasi disastro, non esiste gestione di massa che possa essere anti-autoritaria. Quali che siano le buone intenzioni di chiunque intenda occuparsi di tutti e di ciascuno, resterà un pastore che trasforma gli altri volenti o nolenti in greggi. In un rapporto anarchico in cui prevalgano la libertà, la reciprocità e l'unicità, l'auto-organizzazione generalizzata degli individui non sopporta nessuna uniformità, nessuna gestione, nessuna separazione delegata a specialisti, nessuna soluzione (ancor meno tecnica o medica) valida per tutti, e diciamolo un po' crudelmente: nessuna efficacia quantitativa. Ciò che conta non è la certezza o la sicurezza, non è la data di una morte inevitabile da quando siamo nati, ma la qualità individuale, piena ed intera, della vita così come ognuno intende esplorarla. Di fronte al Covid-19 come ad ogni cosa, la prospettiva anarchica è quella di auto-organizzarsi in completa autonomia dalle istituzioni per prendersi cura gli uni degli altri a livello individuale e di coordinamento, e di continuare a minare le fondamenta del dominio. Reclamare di fatto un confinamento (e domani un deconfinamento) diverso — quando non addirittura lo stesso dello Stato —, reclamare uno sfruttamento e un'istruzione po' più o un po' meno a distanza, ovvero sbirri più disarmati e prigioni più vuote, non significa battersi per la libertà. Significa promuovere un'autorità alternativa, una mera riconfigurazione dello stesso anziché la sua spietata distruzione. Non è altro che un miserabile realismo senza mezzi che non spinge fino in fondo il suo spaventoso ragionamento. In alto i cuori! Elencate in maniera un po' dettagliata le aziende non essenziali che lo Stato dovrebbe ancora chiudere, secondo voi. Per parte nostra, è l'intera economia che vogliamo rovinare. Continuate a stabilire chi deve uscire immediatamente dal carcere, e di conseguenza chi deve rimanerci. Per parte nostra, lo vogliamo raso al suolo con tutti fuori. Spiegateci infine quali misure di polizia militante sarebbero previste contro tutti i refrattari a un confinamento alternativo o ad un tracciamento bio (nessuna gestione di massa senza monitoraggio, giusto?, altrimenti è l'anarchia). Quando non ci si limita a parlare, essere favorevoli a misure di confinamento di massa, a queste o ad altre più indolori, cioè a misure di reclusione collettiva, non può che significare disciplina, controllo e amministrazione degli individui, oppressione delle loro varie possibilità di auto-organizzazione autonoma, e repressione dei refrattari. Il tutto nel nome dell'emergenza e del bene comune, ovviamente.  

Altrove. Pandemia globale e accettazione sociale. Nessun Gran Confinamento nei Paesi Bassi, in Svezia e in Germania. Autodisciplina? Scienziati lunatici? Chiari interessi economici di fronte alla Cina o agli Stati Uniti che non si sono affatto fermati? Tanto meno un Gran Confinamento prolungato in altri continenti, dove la sopravvivenza nell'economia informale non è sufficientemente garantita dalle briciole statali. Là c'è il coprifuoco di notte o dal pomeriggio ma si lascia sopravvivere di giorno, là si cerca di confinare alternando, una settimana su due, uomini o donne, prima una zona poi un'altra... Là come dappertutto lo Stato improvvisa senza dirlo, militarizza per mantenere il potere, scientifizza come gli viene, propaganda per indorare la pillola. Spettri di moti per fame. Spettri di guerre civili. Gestione autoritaria pragmatica che si adatta in base alla resistenza che pensa di trovarsi davanti. Là come qui, d'altronde.

Attaccare. In un periodo come questo, in cui lo Stato e il capitalismo si ristrutturano piuttosto rapidamente, ma non sono pertanto garantiti della stessa stabilità per affrontare le nuove turbolenze sociali che potrebbero sorgere, non restare confinati e attaccare è più che mai importante. Oltre ai loro dispositivi di controllo e sorveglianza, gli snodi di circolazione di energia e di dati rimangono un obiettivo fondamentale in un momento in cui la pandemia tecnologica è parte integrante di tale ristrutturazione.

Detenzione. Tutte e tutti reclusi nella grande prigione sociale. Il tipo, la dimensione e il colore delle gabbie possono variare ed accavallarsi come tante bamboline russe. Ospedali psichiatrici, campi di lavoro, centri per stranieri, caserme di addomesticamento, campi profughi, templi della sottomissione, laboratori del consenso, celle familiari o galere. È da queste ultime, dove le condizioni sono più drammatiche, che continuano a partire segnali di fumo in tutto il mondo. Contro il confinamento dapprima per la fine dei colloqui, poi per il timore di venire contaminati e quindi di morire tra quattro mura sovraffollate, infine per esigere la libertà, come campeggiava su uno striscione degli ammutinati della prigione di San Juan de Pasto (Colombia). E noi, qui fuori, che pensiamo che la libertà consista nell'auto-recluderci e nell'obbedire agli ordini del potere, noi che non abbiamo né sbarre che offuscano l'orizzonte, né filo spinato che lacera la nostra carne, né garitte di sentinelle che ci sparano a vista, non abbiamo proprio nessuna struttura da devastare, nessuna gabbia da incendiare?  

Domani. Il deconfinamento sarà sicuramente solo un altro momento del confinamento e durerà per molti lunghi mesi. Sarà forse un po' meno duro per i cittadini più lavoratori e più esemplari, ma certamente più duro per tutti gli altri, tracciando nuove linee di demarcazione tra i due. Permessi di circolazione interna differenziati, esami obbligatori del sangue o della temperatura, tracciamento digitale incrociato, quarantene obbligatorie, controlli di identità abbinati a una schedatura sanitaria, limitazione degli assembramenti, mascherine nei trasporti, lavoro forzato per rilanciare l'economia, incremento della caccia ai potenziali ri-contaminatori. E frontiere sempre sbarrate al di là dei soli indesiderabili, come con la Spagna che intende farlo per tutta l'estate allo scopo di prevenire una seconda ondata di epidemia in autunno.  

Gregge. In fin dei conti, alcuni ritengono che la maggioranza degli individui saranno colpiti da questo nuovo virus. I giochi di confinamento e di deconfinamento non servono quindi ad evitare una contaminazione generale (ci vorrebbe una gestione alla cinese per questo, come minimo) ma sono piuttosto misure di massa destinate a rallentarne la progressione, stabilizzando i picchi ospedalieri pur mantenendo l'economia a galla. Più ci sono persone che restano a casa, meglio lo Stato può gestire la disorganizzazione temporanea nell'industria e i servizi che ritiene importanti grazie ai suoi indispensabili scagnozzi armati. Il confinamento/deconfinamento è anzitutto una questione di continuità e di mantenimento dell'ordine, non di protezione di una popolazione da cui si prepara a difendersi in caso di crisi sociale derivante da una crisi sanitaria. Quanto al virus, gestisce il gregge sperando che una parte sufficiente della popolazione (60%) finisca, certo il più lentamente possibile, per essere definitivamente immunizzata in modo che cessi di diffondersi non trovando più ospiti (il che è una ipotesi molto relativa, dato che la durata di vita degli anticorpi contro il Covid-19 pare sia breve, portando piuttosto a prevedere una serie di ondate infettive). E qualora ciò non accada, lo Stato intende gestire il suo gregge con lo stesso genere di misure drastiche fino all'arrivo promesso per il 2021 di un futuro eventuale vaccino (il che, tra l'altro, significa inoculare artificialmente parte del virus, senza alcuna garanzia che gli anticorpi perdurino abbastanza a lungo o che l'originale non muti). Dal primo confinamento iniziale per la paura e la servitù volontaria fino ai deconfinamenti mediante algoritmi in camice bianco, con svariate spole di andata-e-ritorno, siamo molto lontani dall'uscire dal rifugio. Per sfuggire alla statistica dei grandi numeri, forse bisognerebbe cominciare a ribaltare il tavolo senza attendere nulla dal potere, e non comportarsi più come un gregge che si considera vivo solo perché non è morto.  

Guanti. Per proteggersi dalla porta che si spacca. Dalla rete metallica che si trancia. Dalla merce che cambia rapidamente di mano. Dalla vetrina che si sfonda. Dall'obiettivo che si incendia. Guanti e mascherine per proteggersi dalle impronte digitali e dal DNA, per mantenere una distanza vitale dai laboratori scientifici del virus poliziesco.  

Pompieri. Qua una parte della testa del corteo parigino distribuisce mascherine protettive ai vigili, in Cile una parte della Primera Linea pulisce la metropolitana. Supermercati da espropriare? Metropolitane da incendiare? Dopo, sì dopo, i domani canteranno. Forse. O per niente. Quando il governo concederà più permessi di uscita. Nell'attesa si autogestisce il confinamento. Si umanizzano le carenze dello Stato. Auto-organizzarsi per attaccare gli sbirri, saccheggiare i magazzini alimentari o sabotare le arterie tecnologiche della prigione sociale sarebbe troppo rischioso. La rivolta potrebbe essere più contagiosa del virus, chi lo sa? Pianificatori del male minore. Contro-potere tutto contro il potere.

Primavera. Il meteorologo che ti insulta tutti i giorni prevedendo un tempo radioso prima di intimarti a restare in casa. Le nuvole al cesio della foresta di Chernobyl, in fiamme da una settimana, sarebbero forse più convincenti. Ma, come è noto, si fermano alle frontiere.  

Responsabilità. Non si può essere responsabili del passato che esisteva prima di noi, né di tutti gli esseri umani che popolano la terra, il continente, il paese, la regione, la città, il villaggio, il quartiere, il vicinato. Per contro, nonostante l'oceano di dominio in cui ci bagniamo — un oceano imposto dalla servitù di molti e la repressione degli altri — si può essere responsabili delle proprie azioni per combatterlo. Laddove ogni vita è sacrificata sull'altare del profitto e dell'autorità, la sola responsabilità individuale possibile in rapporto a ciò che ci circonda è la coerenza tra l'idea anarchica che ci muove e i nostri atti che la rendono viva. Nessun piccolo gesto salverà il pianeta, nessun auto-confinamento impedirà la propagazione del virus. Identificare il nemico nel progresso industriale, la tecnoscienza o lo Stato colpendo le loro strutture senza riprodurre i loro meccanismi di dominio, sarebbe viceversa già più salutare. Sempre che si intenda salvare qualcosa, ovviamente.  

Ritorno alla normalità. Non ci sarà questo genere di ritorno all'indietro. Perché noi non lo vogliamo (la normalità che c'era prima era già il problema). Perché neanche loro lo vogliono (ah, era ancora pieno di rigidità troppo umane e di piccoli formalismi, questo prima). Perché la normalità è il gigantesco laboratorio del presente, con i suoi droni e la sua sopravvivenza digitale, con i suoi militari e il suo forsennato produttivismo. Perché come è stato detto che il XX secolo in realtà è iniziato nel 1914 con la Prima grande macelleria industriale mondiale, il XXI secolo ha appena realizzato una svolta definitiva nell'attuale anno 2020, con conseguenze ancora incerte per tutti. Sta a noi fare in modo che tutti i loro calcoli e previsioni del nuovo ordine tecnologico deraglino per sempre.  

Stato. Ad eccezione di noti imbecilli i quali ritengono che incoraggiare a spezzare il confinamento equivalga a negare la contagiosità del Covid-19 o ad assumere un gesto infantile di sfida, è ovvio che nessuna azione o auto-organizzazione (in diversi ambiti) possa realizzarsi virtualmente. Per di più, il confinamento di massa è strutturalmente una misura resa possibile da una gigantesca concentrazione autoritaria di forza e mezzi che rimanda direttamente allo Stato. Di fronte a una minaccia così generalizzata contro cui si atteggia a sovrano protettore dei piccoli come dei grandi, si può persino immaginare che risulterà quello che ha fatto, malgrado gli errori, il minimo necessario, o ancor peggio, l'inevitabile, preservando e organizzando la sopravvivenza della maggior parte delle persone pur sospendendo alcuni diritti di base. Quest'ultimo terreno non è certo quello dei nemici dell'autorità, da tempo avvezzi a questi giochi d'equilibrio sospesi tra emergenze decretate dall'alto e intensità della guerra sociale. Se si desidera ardentemente distruggere lo Stato, attaccare la sua onnipotenza confinante che esacerba e rafforza i rapporti di servitù come di cittadinismo, una prospettiva anarchica non può che lottare per una libertà smisurata.  

Vivere. Tutto c'era già e tutto accelera. Il che significa respirare in un mondo costruito su fiumi di sangue, di sofferenza, di miseria, di guerre e di avvelenamento generalizzato del vivente. Morte lenta o morte rapida. Vita sospesa e insulsa sopravvivenza dappertutto. «Non potete ucciderci, perché siamo già morti». Rivolta cabila, davanti ai militari, 2001, all'inizio del millennio. «Ci hanno tolto così tanto che ci hanno rubato persino la paura». Sollevamento cileno, davanti ai militari, 2019, venti anni dopo. Era prima. Quando eravamo di fronte a qualcosa di visibile, di palpabile e di attaccabile. Non una dose radioattiva o un microrganismo. Eppure, i rapporti sociali sarebbero magicamente scomparsi con questo Covid-19 che non è una catastrofe naturale? Si muore globalmente di questo nuovo virus oppure del mondo che lo genera consentendo la sua rapida proliferazione in tutto il pianeta: massiccia deforestazione, metropolizzazione e concentrazione urbana, cibo industriale standardizzato, ingestione ad alte dosi di chimica farmaceutica, avvelenamento senza precedenti della terra, dell'acqua e dell'aria, ipermobilità, ecc.? Uscire per fermare tutto piuttosto che contemplare il disastro dietro uno schermo è allora proprio il minimo se si desidera un mondo totalmente diverso. Meglio vivere in libertà che morire confinati. La rivolta è la vita.  

Avis de tempêtes, n.28, 15 aprile 2020. Traduzione Finimondo

In c.so Giulio Cesare è solo l’inizio

Il potere ormai a briglia sciolta della polizia si è manifestato oggi in maniera esemplificativa in un fermo che aveva il sapore di un’aggressione. Poco dopo pranzo, sotto all’occupazione di c.so Giulio Cesare 45 una decina di poliziotti hanno fermato due uomini con un esercizio di forza esagerato e senza badare alle misure precauzionali anti-contagio. La violenza dell’azione è stata tale da aver destato l’attenzione delle persone della zona che, seppur rinchiuse in casa, non sono rimaste zitte e molte sono scese in strada. Tra loro anche alcuni compagni che hanno iniziato a inveire contro quella brutalità aggravata dalla totale e sprezzante noncuranza del possibile contagio. Proprio coloro che impongono fattualmente il lockdown e hanno la gestione completa di ciò che avviene nelle strade delle città rappresentano un ulteriore pericolo alla salute, oltre quello che il loro ruolo gli concede normalmente. Numerosi mezzi della polizia e dell’esercito sono arrivati di rinforzo e, di fronte a un quartiere a loro palesemente ostile, hanno iniziato a far pressione sui compagni che sono stati buttati a terra, trascinati e portati via.

Decine e decine di individui sono rimasti in strada e insieme a qualche solidale arrivato dopo e a centinaia di residenti alle finestre hanno inscenato una vera e propria protesta .

Con incredibile velocità sono arrivate le prime dichiarazioni dei politici cittadini che da destra e sinistra si contendono in maniera scomposta il titolo di chi avesse invocato la repressione degli anarchici più tenacemente negli anni. Sembra palese che siano spaventati da scenari che non riescono neanche a immaginare perché in Aurora la misura pare essere colma e dopo settimane di domiciliamento forzato in angusti appartamenti, una vita ridotta ormai letteralmente alla fame, verso lo Stato e i suoi rappresentanti in divisa si iniziano a vedere inequivocabili segni d’insopportazione.

Nei quartieri popolari delle città potrebbe essere solo l’inizio. Si ha infatti notizia di un gruppo di compagni che a Milano, nel tardo pomeriggio, sono andati di cortile in cortile, in zona ticinese, a raccontare degli avvenimenti di Torino col megafono e che la risposta dalle case sia stata di accorata e rumorosa solidarietà ai compagni arrestati.

Di loro ancora non si hanno notizie certe, riporteremo presto aggiornamenti. Intanto i giornali dicono che sarebbero in arresto e che quaranta persone sarebbero state denunciate per violazione delle norme della pandemia.

Quello che è avvenuto oggi, come dicavamo, sembrerebbe essere solo l’inizio e non è un caso che sia avvenuto tra le vie più povere della città.

Giordana, Marifra, Samu e Daniele liberi!

Tutti liberi, tutte libere!

Fonte: Macerie

I compagni e le compagne fermate sono stati tutti portati al carcere delle Vallette. In attesa di ulteriori aggiornamenti nella giornata di domani, l'invito per il momento è quello di far arrivare loro un po' di calore anche solo con un telegramma.

Daniele Altoè
Giordana Laera
Maria Francesca Giordano
Samuele Cattini

Via Maria Adelaide Aglietta 35
10151 Torino

TUTTE LIBERE TUTTI LIBERI

Anestesia. Qualcosa che rende inermi. Non pensare. Te lo dicono loro. Non uscire. Ti proteggono loro. Tu sei l'untore. Sei il rischio. Il rischio non fa parte di un mondo programmato. Il programma sta nella realizzazione del dominio. E buonanotte ai suonatori.

Balconi. Se ti dicessero buttati giù. Tu lo faresti? Ormai loro detengono il verbo. Tutto è neutrale. Il virus colpisce tutti. Il tutto diviene il totalitarismo. C'è chi lotta dai balconi. E chi un balcone non ce l'ha? Ecco la perdita dell'immaginario. La morte della creatività. Se il balcone diviene la prigionia. Non sarebbe meglio evaderlo? Buttandosi. Non per morire. Ma per provare a vivere.

Carcere. Morti nelle carceri. Omicidi di Stato. Lo stesso panegirico senza morfina. Rivolta nelle gabbie. Chi sta peggio. Punta al meglio. La libertà. Un momento di sprigionamento. Con i suoi ribelli. Al di fuori. Avere la fierezza di affermare se stessi. Per andare contro se stessi. Il ruolo imposto. Fuori dalle scuole. Fuori dalle parrocchie. Che ciascuno cammini per il proprio piacere. Non abbiamo il tempo di stare al chiuso. Nella gabbia. La vita è breve.

Delatore. Droni nei cieli. Telecamere accese. Sbirri nelle strade. Sempre di più. Sempre più violenti. Spie dalle finestre. Il controllo è il cittadinismo. Oggi con in mano il telefono. Alla ricerca dell'applicazione giusta. Domani con un fucile. Alla ricerca dell'infame bossolo.

Effrazione. Scassare. Scassinare. Sabotaggi. Il virus non ferma chi si vuole riprendere quello che gli è stato tolto. Il silenzio dell'informazione. Non ne sappiamo un granché. Il tasto del giornalista. Come il manganello della guardia. Il coronadigos dilaga. Immunizzare questo morbo. Difficile ma possibile. Con la fine della sicurezza. La dimora dell'identico. Dell'ordinario. E l'inizio della libertà. La casa senza porte dell'imprevisto. Dello straordinario. La fine della merce.

Filo. Ricamare oppressione. Richiede sfruttamento. Tagliare i fili. I collegamenti. Non ricucire. Ormai c'è chi si vede solo in pixel. Se non lo si potrebbe fare. Usciremmo. Relazioni robotiche nell'era della tecnica. Relazioni faccia a faccia nell'era della passione. Si andrà a faccia a faccia con il nemico. Per trovare chi siamo. Intanto. Stacchiamo la spina.

Guanti. Socialmente senza contatto. Forte odore di artificialità. Non sappiamo più toccare le questioni. Un guanto è per sempre. Ma i guanti possono servire anche a proteggersi. Non da un'epidemia. Ma da un mondo di indizi. Buoni per i soliti repressori. Repressione e civiltà. Con i guanti.

Ho. Avere. Possedere. Detenere. E il divenire? Meglio essere. Esserci. Nel tempo. Contarsi. E via di Martin Heidegger senza rendersene conto. Quanti siamo. Si può fare. Siamo pochi. Non si può agire. Essere in pochi. Un altro modo di interpretare la vita. Essere in tanti. Accomodamento. Sentirsi un io perché si è noi. Ed ecco la disciplina. Le secchiate in faccia di realismo. La bruttura del bisogno. Dove il sacrilegio? E l'inimmaginabile? La dissonanza? Andare fuori ritmo. Per non stare al passo del potere. Preferendo l'inesprimibile. Meglio le vertigini. Grazie Arthur Rimbaud.

Invisibile. Qualcosa che non si può vedere. Impercettibile. Ti prende. Ne sei adulato. Certe volte ti spaventa. Mette in quarantena. Il corpo. Diventi un oggetto intoccabile. Come un soggetto. Sotto l'oggetto. Il ruolo. L'untore. La fandonia. Prima e ancora le radiazioni. Il mostro dell'annichilimento. Per fare la guerra al mondo. In una pace fra chi sfrutta. E chi è sfruttato. La sedizione. Oltrepassamento. Non se ne può più del genocidio. Ci avevano detto invisibilità. Ci hanno dato mitopoiesi. Contro tutti i nemici della libertà. Inimicizia cospiratrice. Che pugnali la politica. La sovversione è visibile.

Latente. Rimane nel circostante. Non riesce ad andarsene. Lo strumento. Per non trasformare. Qualcosa che dura da troppo tempo. Ci hanno provato. Dei ribelli. Le sovversive. Hanno attaccato. Altro che difesa. Altro che resistere. Ogni limite è da distruggere. La forza del potere è l'esistenza della sottomissione. Volontaria. Partecipata. Come un valore. In mezzo ad un mondo rinnovabile. Verde come il progresso. Rosso come il sangue delle sue conseguenze. Spazzare via Il virus. Che fa rima con servitù. Non sentite?

Morsa. Da una parte lo Stato ci schiaccia. Dall'altra il virus ci immobilizza. E allora ritorna Bazarov. Un pensiero. Il nulla. Crea. E allora Max Stirner. Partiamo dall'io. Per poi attraversare. Un viaggio. Nelle nostre passioni sfrenate. La catastrofe procede a balzi. Come la storia.

Nascosto. Alla ricerca dell'oro del tempo. Una vita in lotta per fare a cazzotti con le nostre certezze. Una congiura. Anche verso quello che lasciamo di noi. Al Dominio. Inesorabile. Come questo mondo. Omologante. Similare. Dove tutto. Convive con tutto. Altro. Per andare. Dove nessuno è mai passato. Per evocare. Quello che nessuno osa pronunciare.

Onniscienza. Hanno ragione. Il periodo dei Lumi. Con la scienza. Come con la religione. Gli individui sono polvere. E torneranno alla polvere. Basta ragioni. Incatenati all'empirismo. Alle provette. Il mondo. Il laboratorio di sperimentazione del controllo scientifico. Sterile. Come il più insensibile. Darsi all'irragionevolezza della rivolta. Esistenziale. Il salto. Si trova l'onestà. Di guardarsi allo specchio al mattino. Per non vedere il falso. Ma chi nel dolore. Provoca le sue ragioni. Perse nell'ignoto dei sensi. Che ancora si sentono.

Punire. Il sogno di vivere liberi. Minaccia chi? Il potere. L'autorità. Chi è guardia della legge. Qualcosa che sembra immutabile. Scolpita nel tempo. A loro il dovere di reprimere. Il loro vaccino. Sempre quello. Agli amanti della libertà. Il piacere di portare il caos. Scombussolare i piani del nemico. Portare il disordine fra le sue fila. Una scommessa. Niente certezze. Che queste le si lascino ai preti.

Qualità. Dati. Modalità d'uso. Istruzioni. Una sopravvivenza all'insegna dei tecnicismi. Dove la poesia diviene incomprensibile. Facilitazione nel già dato. Fidatevi. Ormai è tutta tecnica. Abbiamo tanti mezzi. Solo mezzi. Ricerchiamo mezzi. E per quale fine? C'è ancora un fine? Questione sconosciuta. Meglio essere replicanti. Funzioni su funzioni. La vita che assomiglia ad una cosa. Profonda materialità. Devastazione dei sensi. Apoteosi dell'oggettivazione. Incubando la fine. Senza un fine. Il gregge. Anche se il lupo inizia a belare. Sempre il gregge. Rinchiuso in confini. Le manette dentro le menti.

Respirare. Gas tossici. Devastazione rinnovabile. Effetti da contagio. I chiavistelli imposti. Le serrature. L'incubo dentro una stanza. Le porte chiuse. I confini si ergono. Fuori è buio pesto. Affannati nell'incredulità. La peste avanza. Eppure la catastrofe è già qui. Le possibilità? O Il possibilismo? Differenza. Abissale. I riverberi. Il ticchettio degli orologi. Da naufraghi ad ammutinati. Per sentire a pieno i polmoni. Per assaporare la vendetta della carne umana. Contro la macchina. E chi la fa funzionare.

SS. Un richiamo. Rimando storico. Nel contemporaneo. Niente di cui preoccuparsi. Ci sarà un ritorno. Alla normalità. All'abitudine. Il ritorno al lager. Il ritorno all'eugenetica. Il ritorno alla difesa dei privilegi. Il ritorno al manganello. Il ritorno al presente che non se n'è mai andato con i suoi lager della democrazia. Con i suoi privilegi dei ricchi. Con la sua eugenetica del dominio tecno-scientifico. Non preoccupatevi. Ieri Schutzstaffel. Oggi Sorveglianza Sanitaria.

Tecnologia. Legati agli schermi. Impantanati alle informazioni. Imbambolati a colpi di touch. O di click. Streaming. La festa della separazione. Il contatto è stato escluso. L'emozione elusa. Senza corpi. Senza pensieri. Pensare? Macché. Ripetere. Meccanicismo. Lo scientismo come unica ancora di salvezza. Sommersi dagli avanzi tecnologici quotidiani. Banalità che si susseguono. Dove c'è banalità si nasconde l'orrore. Il problema non è la tecnica. Ma il suo cattivo uso. Ecco la menzogna contemporanea. La tecnica ingloba l'esistenza. La fa avanzare. Inesorabile. Fetore di carogna. Senza un barlume di critica. Collegati e connessi. Vivi, mai!

Utopia. L'amore dell'imprevidibilità. Le avventure. Qualcosa di inaudito. Ostile a questo mondo. Gli orizzonti illimitati. Nessun risultato previsto. Eresia. Non approva. Non aderisce. Non reclama il consenso. Vive di critica. Non vuole mantenere. Meglio aprire nuovi sentieri. Lontano da strade già battute. Dove finisce la certezza. Si allunga l'ombra del dubbio. Biglietti dall'inferno per poter cogliere le stelle. Come evocò Charles Baudelaire. L'azione è sorella del sogno.

Vaccino. Si nutre di menzogne. Adattarsi alla norma. Contro l'obbedienza. La singolarità. Purtroppo schedati. Marchiati. Limitare i movimenti. Dissuadere l'autonomia. Rendersi sopportabili. La democratica tolleranza. Prima ci volevano spezzare. Oggi ci vogliono curare. Fra controllo e cura. Dove sta la differenza? Come disse Ivan Illich. L'aumento della cura aumenta il numero delle medicine. Sarà contento Big Pharma. Prima e ancora il mondo in uno sputo. Attraverso l'ispezione del DNA. Adesso. Dopo aver incatenato i corpi. Colonizzato le menti. Lo Stato vorrebbe scorrerci nelle vene.

Zattera. Complesso passionale l'individuo. Regresso tumorale il cittadino. Un mondo senza Dominio è impossibile da prevedere. Ogni volta che si riduce a programmare. Un rito. Per esorcizzare la paura dell'ignoto. La gioia è l'avventura del viaggio. Cantare il piacere della rivolta. Contro i pastori della felice novella. Ricercatrici dell'oltre. Sobillatori di idee. L'irriverenza che lancia sfide. Piuttosto che ristagnare. Dove le rovine stanno per seppellirci. Apprestarsi alla demolizione dell'edificio sociale. Evadere dalla realtà. Per aprirsi. Alla deriva.

È ovvio, le centrali atomiche sono del tutto affidabili. È ovvio, i missili ammassati, i sottomarini e i razzi, le bombe al neutrone e quelle all'idrogeno, i prodotti tossici al di fuori della guerra, i fusti e i contenitori di scorie radioattive e diossina, i cumuli di piombo e mercurio, lo strato sempre più spesso di anidride carbonica, tutto ciò non è pericoloso. Non più, ci verrà detto, di quanto lo fossero i gas dell'illuminazione nel 1850 o le prime ferrovie.  

Poveri imbecilli traditori del progresso che non siamo altro, non abbiamo capito nulla. Mai qualcuno farà l'ultima delle ultime guerre.

Mai affonderanno le petroliere da 500.000 tonnellate, né perforeranno in modo irreparabile a tremila metri le sonde offshore.

Mai l'ingegneria genetica devierà per produrre mostri o esseri perfettamente conformi al modello fissato.

Mai i tranquillanti, gli eccitanti, gli ansiolitici saranno una camicia di forza chimica generalizzata.

Mai cibi artificiali prodotti da agili batteri in azione andranno in putrefazione.

Mai l'informatica sarà strumento di una polizia universale.

Mai le telecamere poste sui viali saranno l'occhio che non si trova più nella tomba e che non è più di Dio.

Mai lo Stato diventerà totalitario.

Mai il gulag si espanderà.  

Fidatevi.

Fidatevi quindi degli scienziati, dei laboratori, degli uomini di Stato, dei tecnici, degli amministratori, degli urbanisti, che vogliono tutti solo il bene dell'umanità, che tengono bene in pugno il dispositivo e conoscono la giusta direzione.

Fidatevi degli analisti, degli informatici, degli igienisti, degli economisti, dei guardiani della Città (oh Platone, adesso li abbiamo!).

Fidatevi, perché la vostra fiducia è indispensabile a questa stregoneria.

Jacques Ellul (1980)