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Traduzione da Rabble, che sta tenendo la cronologia della resistenza allo sgombero di Calais e delle iniziative di solidarietà in altri luoghi

c1Oggi, 3 marzo, la parte sud della jungle di Calais entra nel terzo giorno di sgombero, in un processo che, a detta delle autorità, richiederà tre settimane di tempo per concludersi.

Qui sotto riportiamo alcune azioni di resistenza organizzate dentro e fuori dal campo. Sembra che questo processo andrà per le lunghe, per cui diamoci una mossa per cercare, preparare e realizzare azioni adesso. Questo post verrà aggiornato non appena ci saranno ulteriori resoconti di ciò che succede.

17 gennaio:

Due veicoli utilizzati per effettuare gli sgomberi sono stati dati alle fiamme durante la notte.

24 gennaio:

Sulle porte dell’ufficio Visti e Immigrazione del Regno Unito a Roma compare la scritta “Al fianco di chi lotta a Calais”.

22 febbraio:

Calais Migrant Solidarity fa un appello per una giornata transnazionale di azioni solidali , nello specifico indirizzate contro le istituzioni francesi e britanniche e le compagnie coinvolte nell’attacco alla jungle. Qui una lista di alcune di queste compagnie.

Stand up to Racism (SWP) organizza una manifestazione a Downing Street.

23 febbraio:

In un’iniziativa organizzata in poche ore, 30-40 persone si riuniscono a Shoreditch, a Londra, per interrompere il lancio della campagna governativa francese “Creative France”, a cui partecipava l’ambasciatore francese. L’edificio è stato evacuato dopo che i solidali hanno lanciato fumogeni e spazzatura nell’atrio.

25 febbraio:

La sfida legale contro lo sgombero è persa: esso andrà avanti con la presunta esclusione degli spazi sociali (edifici religiosi, biblioteca ecc.).

Bernard Cazeneuve, ministro degli interni francese, afferma che non è nelle intenzioni del governo, e mai lo sarà, usare bulldozer per lo sgombero del campo.

A Ventimiglia (a confine tra Italia e Francia) uno striscione viene calato da un ponte in solidarietà con le persone migranti di Calais.

ventimiglia

26 febbraio:

Alcuni dipendenti del Municipio si aggirano attorno al campo sollecitando le persone ad andar via. Arrivano autobus per portare la gente nei vari centri sparsi nel paese, ma sono costretti ad andare via quasi completamente vuoti facendo infuriare le autorità, che accusano i No Borders di scarsa capacità di comprensione.

29 febbraio:

Lo sgombero della jungle inizia. Un’imponente operazione di polizia (circa 55 camionette) è lanciata alle prime luci del mattino. Bulldozer e operai della Sogea (una società della Vinci) distruggono i rifugi delle persone, in una vergognosa e palese contraddizione con l’annuncio di Cazaneuve della settimana precedente.

c3
Gli abitanti lanciano sassi verso la polizia antisommossa, ricevendo in risposta dei lacrimogeni.

Le persone iniziano a occupare i tetti per resistere, e viene usato un idrante per cercare di spostarle da lì. Questo tipo di protesta continuerà a essere utilizzata anche nei giorni seguenti.

c4c5c6c7Una donna si taglia un polso sul tetto, prima che la polizia possa trascinarla via.

Un’altra manifestazione solidale viene organizzata a Downing Street da Stand Up to Racism (SWP).

CMS (Calais Migrant Solidarity) denuncia altre due aziende (Baudelet Environnement, e Groupe SOS Solidarités. dettagli qui ) coinvolte direttamente nello sgombero.

Durante la notte, i migranti occupano l’autostrada per costringere i camion a fermarsi e dar loro un passaggio nel Regno Unito.

1 Marzo:

50 persone manifestano fuori dall’Institut Francais a Londra, partendo poi in corteo a Kensington, cantando, distribuendo volantini e raccontando dal megafono la situazione a Calais.

kensington

Un abitante della jungle muore durante la notte, forse per un attacco di cuore.

Il Ministro degli Interni, Bernard Cazaneuve, fa un discorso denunciando i No Borders di aver interrotto il procedere dello sgombero.

Circa 100 persone, inclusi molti rifugiati, protestano in centro a Parigi contro la repressione a Calais, a dispetto dello stato d’emergenza e dei continui divieti a manifestare.

2 Marzo:

Dodici iraniani che vivono nel campo iniziano uno sciopero della fame, parecchi di loro si cuciono anche le labbra, ricevendo telefonate e messaggi di solidarietà da altri attivisti iraniani in Europa.

iranIl prefetto di Calais, Fabienne Buccio, dichiara -subito ripresa a pappagallo dai media- che “gli anarchici no borders” stanno incitando i “migranti più irriducibili” a reagire. L’idea che le persone potrebbero agire per fermare la distruzione delle loro case senza il bisogno di essere incoraggiate dall’esterno è chiaramente inconcepibile per queste persone.

Dei cinque cosiddetti “attivisti no borders” della jungle, presi in custodia negli ultimi due giorni, due erano iraniani che stavano difendendo i propri rifugi, due erano volontari dell’Auberge des Migrants, e uno era un volontario di Care for Calais. Gli iraniani e un’altra persona sono stati rilasciati nella jungle. Gli altri due sono comparsi davanti al Tribunale con l’accusa di incendio doloso, ma sono stati assolti.

Prossime manifestazioni:

3 Marzo:

Manifestazione di solidarietà con Calais a Bruxelles, ore 20, place de la Bourse.

4 Marzo:

Manifestazione di solidarietà con Calais a Parigi, ore 18 alla Gare du Nord.

5 Marzo:

London2Calais ha chiamato una manifestazione per “aprire le frontiere”, a Londra, in un luogo segreto che sarà annunciato il giorno stesso.

demo

Anche a Bath chiamata altra manifestazione.

6 Marzo:

Manifestazione a Witney, Regno Unito.

Urbain Bizot
La critica generalizzata cui la vita sociale era stata sottoposta prima, durante e dopo il maggio 68, si applicava non solo al dominio della società da parte dello Stato e dell'economia, ma all'insieme del funzionamento derivante da tale dominio, alla parte che ciascuno traeva da questo funzionamento, quindi alla realtà dei ruoli sociali.
I ruoli sociali ricoprono integralmente il campo sociale. Questi modelli di comportamento standardizzati vanno dal padre e madre della famiglia al direttore di fabbrica passando per il poliziotto, il prete, lo psicologo, il professore, il quadro, l'uomo politico, senza tralasciare l'operaio e l'impiegato stesso (giacché all'epoca si parlava dell'auto-superamento del proletariato). E comprendevano anche i ruoli sessuali, dell’uomo o della donna, i quali, per quanto sovrapposti ai ruoli familiari, conservavano nondimeno la loro specificità (si può essere uno spiccato fallocrate senza essere padre di famiglia). I ruoli maschili e femminili erano percepiti come ruoli fra gli altri, tanto è vero che lo stesso individuo può essere simultaneamente donna o uomo, quadro o impiegato, ecc. La realtà concreta di un individuo è incontestabilmente fatta da un insieme di ruoli, col rischio per altro di porre numerosi problemi di attrito o di compatibilità fra gli stessi (ogni settore considera solo i propri interessi, e le donne in particolare, avendo messo in discussione il sincretismo selvaggio della propria realtà concreta, dovendo essere al tempo stesso amante seducente ed elegante, madre amorevole e comprensiva, cuoca raffinata e amministratrice economa, quadro responsabile di un settore commerciale e, se possibile, non troppo ignorante e capace di una discussione presentabile nelle serate mondane). L'abbandono di un ruolo in particolare non implica il superamento degli altri, ovvero si compie, in caso di conflitto fra ruoli, a favore della conservazione degli altri (si può rinunciare ad essere padre di famiglia per meglio assumere una funzione professionale).
La critica dei ruoli approfondiva su un piano soggettivo quella dei rapporti sociali alienati. È difficile assumere una funzione sociale senza identificarsi col tipo di personalità impersonale che la funzione esige. Sul versante soggettivo, la critica mirava a ristabilire un avvio di rapporto umano al di là e a scapito dei rapporti alienati: una volta gettato il dubbio o il discredito su un comportamento «che non è proprio», la meccanica ben oliata dei rapporti alienati si inceppa ed il fermento della loro messa in discussione può intaccare il suo sviluppo. Per quanto inaccettabile che il sistema di sfruttamento della natura e degli umani da parte del valore rientri nei suoi obiettivi e nella sua logica d'insieme, altrettanto lo è nelle sue implicazioni su scala individuale. Per obbedire alle funzioni sociali, chiunque deve trasformarsi in robot disumano. La «banalità del male» è la cosa più diffusa. Se bisogna scegliere fra un «imperativo economico» e la conservazione di un minimo d'umanità, ogni esitazione è bandita; ed è così, tutti i giorni, che inizia la formazione di individui discretamente mostruosi. La «causa» psicologica e comportamentale è totalmente indissociabile dalla «causa» economica, poiché questa ultima esige l'abbandono permanente di ogni dimensione vivente. È questa unità di comportamenti nell'alienazione che la critica dei ruoli aveva cominciato a contrastare.
Ma da allora, man mano che questa contestazione generalizzata sfumava e ricadeva nelle rivendicazioni settoriali, i ruoli sociali in senso stretto (politici e economici) scomparvero dalla scena, perché palesemente non negoziabili dal potere in carica, lasciando posto in maniera esclusiva a ciò che la neo-lingua dominante ha battezzato il «societale». La famiglia e la sessualità, fra altri esempi, beneficiano di un interesse costante e ininterrotto fino ai giorni nostri, ma si sbaglierebbe a ritenere ciò un autentico privilegio; e sarebbe meglio interrogarsi sulle ragioni di una tale sopravvivenza. Alcuni rispondono che sono «lotte» che hanno continuato su questo terreno, e che ne hanno imposto la permanenza. Non che questo sia falso, ma la spiegazione stessa merita di essere spiegata.
La modernizzazione della società capitalista, andando a tappe forzate verso una socializzazione sviluppata dal consumo, e non più solo dal lavoro, deve produrre consumatori in massa, ovvero persone che si ritengono libere. La convinzione della propria libertà ed il desiderio di consumare sono due facce della stessa medaglia. Ogni atto di consumo viene vissuto come una manifestazione della propria libertà personale; all'inverso, qualcuno che non commettesse il medesimo errore di valutazione minaccerebbe di consumare poco, troppo poco. Così (paradosso di cui il mondo mercantile ha il segreto) l'atto più conformista è vissuto, più o meno sotterraneamente, come un atto sovversivo, come un gesto d'emancipazione: il miraggio della merce non ha cessato di esercitare il suo immenso potere. Se il consumatore è l'immagine ufficiale della libertà, non deve avere limiti nel suo consumo (o piuttosto un solo limite, che è insuperabile: quello dei suoi mezzi finanziari). All'interno dei mezzi finanziari esistenti, nessun limite deve essere incontrato o, come direbbe un recente ministro dell'economia, parlando a nome del sistema mercantile: «non devono esserci tabù». Ecco con precisione cosa si pensa e cosa si pratica attualmente. «Nessun tabù», all'occorrenza, vuol dire: «la tua paga deve essere spesa». Ma per mettere in atto un ambiente così «illimitato», agitato da un hybris indispensabile alla rotazione del capitale, bisogna produrre un soggetto individuale capriccioso e sollecitato, al tempo stesso fantasmatico e conformista, pieno di invidie infinite e sempre preoccupato di aver perso qualcosa, non sapendo più distinguere fra piacere e angoscia. Il carattere illimitato del suo desiderio non deve fermarsi, per esempio, davanti ad ostacoli naturali, che la scienza e la tecnologia devono spazzare via. Qualsiasi cosa pur di acquistare.
Se si tiene a mente questa integrazione generale, in quanto condizione di esistenza del nuovo soggetto mercantile, e se si tiene anche conto della perdita altrettanto generale dei «punti di riferimento» tradizionali (poiché la sopravvivenza di vecchi arnesi non convince nessuno), ne derivano logicamente persone alle quali una «nuova identità sessuale» deve apparire come un radicamento desiderabile, come una risposta necessaria e sufficiente alla perdita universale di identità, in relazione all'astrazione mercantile. Questa richiesta di cambiare sesso non è pertanto che un estremo, particolarmente patetico (sia detto qui senza ironia), in un «mondo amoroso» trasformato prima di tutto in «vita sessuale», poi in domande sempre più microscopiche quali lo speed dating, lo speed meeting, il sex chat con o senza webcam, od ogni altra tecnica di incontri effimeri, metodi ereditati dalla ricerca di impiego e miranti ad un CDD (contratto a tempo determinato) non eccedente alcune brevi unità di tempo. Sperando in una identità duratura, l'atto transessuale appare ancora come un residuo d'umanità in questo deplorevole ambiente di frammentazione e di spersonalizzazione.
Non si tratta più allora di sbarazzarsi dei ruoli, come nel 68, ma di scegliere il proprio. Significa rifiutare il «genere» imposto dalla società sulla base di uno zoccolo «naturale», per acquisire quello vicino che non si possedeva. Del resto, non è in realtà una questione di possesso? Ciò che viene vissuto sul modo dell'essere non è rivelatore dell'avere? Simili osservazioni possono essere percepite come offensive dalle persone coinvolte in una pratica transgenere. Queste persone vivono in effetti con sofferenza la loro «condanna» ad un sesso d'origine, e la nostra proposta non è ovviamente quella di imporre sofferenza o di reprimere desideri. Ma l'assunzione di un desiderio, quale che sia, non vieta di porre questioni, e di mantenere una distanza critica in rapporto a quanto si ritiene legittimo per sé.
Il carattere unidirezionale delle trasformazioni sessuali appare in sé eloquente. Si vedono poche donne farsi trasformare in uomini, assai più il contrario. È che (anche se nella sfera della produzione e dello Stato, il modello della società rimane fallocratico) la donna è diventata, nel consumo, un sesso invidiabile, combinante lo status di oggetto del desiderio e di persona emancipata. Nei periodi economicamente (più o meno) fasti in cui il consumo predomina (realmente o simbolicamente), il modello femminile finisce per prevalere, mentre il ruolo maschile diventa obsoleto: la vecchia disuguaglianza dei sessi si inverte allora, temporaneamente. Il nuovo carattere unidirezionale si ritrovava già nell'evoluzione possibile fra eterosessualità e omosessualità: tutti hanno visto un(a) eterosessuale diventare omosessuale, ma mai il contrario. È anche questo che incupisce tanto i difensori dei ruoli sessuali tradizionali: il personaggio dominante del loro immaginario (l'uomo eterosessuale, figura del padre autoritario) non esercita più molta attrazione. Non è una perdita, certo, ma questo non basta a instaurare l'era della felicità. Nei due casi menzionati (transessualismo e cambiamento di orientamento sessuale), il carattere unidirezionale esprime una volontà di aggiornamento davanti a ciò che viene percepito come (post)modernità. Il tedio e la noia legati al modello familiare tradizionale (che sono un dato statistico pesante, senza essere con ciò per forza una legge strutturale inevitabile) costituiscono una forte motivazione per distanziarsene, ma la ridefinizione dell'individuo di fronte al mondo del consumo e dello spettacolo è comunque un bisogno pressante, fonte di cambiamenti.
Davanti a questa evoluzione, la polemica contro il «genere» sessuale non presenta alcun interesse poiché, rifiutando la risposta, questa posizione ottusa rifiuta anche la domanda. Il suo fantasma è il ritorno all'indietro, che è impossibile in ragione stessa degli aspetti più moderni della società che tali persone difendono, ma che rimane probabile se la crisi economica si intensifica, e se per via di questa crisi il lavoro ritroverà una superiorità assoluta sul consumo.
La critica dei ruoli sessuali rimane altrettanto indispensabile di quella di tutti gli altri ruoli, ma è indubbiamente spiacevole che la prima possa separarsi dagli altri. Così come è spiacevole che la critica dei ruoli sessuali sia tornata sul terreno europeo solo come importazione di una teoria americana del genere, pur essendo stata in origine ispirata dalla critica europea del ruolo.
Sarebbe preferibile riallacciarsi alla portata iniziale della critica dei ruoli. I ruoli sessuali, poco importa che si basino su una origine «naturale» oppure «artificiale», essendo comunque una costruzione sociale. Una donna transessuale sarà considerata come un uomo. La differenza è che vuole esserlo al punto da volerlo diventare: diventa quindi un’accettazione del ruolo, non più la sua messa in discussione. Ora il ruolo sessuale, come tutti i ruoli, non si giudica in relazione alla sua origine fisica, ma in base alla sua realtà sociale. L'identità sessuale, com'è analizzata dalla teoria del genere, consiste essenzialmente in stereotipi sociali costruiti in vista di un comportamento normalizzato. Ma questa stessa normalità non ha mancato di evolversi. Ciò che era inaccettabile per la vecchia normalità diventa facilmente un ingrediente utile alla nuova, e la sovversione finisce per diventare adeguamento. Pervenire a un destino così ridicolo si spiega con un solo fattore: la limitazione, nella critica del ruolo (sociale), consistente nel prendere di mira solo il genere (sessuale). Ora, se il genere è un ruolo sociale, esso comunica strettamente con tutti gli altri ruoli sociali, con cui è solidale e di cui è, per così dire, una connotazione permanente. La sua contestazione è nulla se non verte anche sugli altri. Si potrà cambiare sesso tanto spesso quanto si vorrà in una società che vende questo così come vende altro, senza intaccare minimamente il dominio imperante. Da parecchio tempo una maggioranza di omosessuali, dopo aver visto negli anni 70 mettere in discussione l'ordine familiare e sessuale dominante e, andando oltre, il predominio dei ruoli alienanti in genere, ha ribaltato il suo obiettivo, proclamando di voler vivere «come tutti»: è il segno manifesto di chi batte in ritirata. La società ha offerto loro un posto a condizione di non occuparsi di altro.
Al di là dell'indispensabile libertà di viver(si) come si vuole, le posizioni soggettive contemporanee più diffuse appaiono non di meno come semplici frammenti di una emancipazione mercantile.

Da: https://hurriya.noblogs.org/

La guerra lungo le frontiere: inizia lo sgombero della Jungle a Calais; recinzioni abbattute e gas lacrimogeni a Idomeni

 

La guerra lungo le frontiere: inizia lo sgombero della Jungle a Calais; recinzioni abbattute e gas lacrimogeni a Idomeni

ido-broken-fenceQuesta mattina a Idomeni, al confine greco-macedone, alcune delle migliaia di persone bloccate nella parte greca del confine, chiuso e fortificato, hanno cominciato a tirare giù le recinzioni di filo spinato. Dall’altro lato la polizia macedone ha risposto sparando ripetuti colpi di gas lacrimogeno . Il numero delle persone presenti al confine è andato crescendo per giorni perché la Macedonia e gli altri paesi balcanici stanno cercando di arrestare il flusso di persone provenienti dalla Grecia, limitando il passaggio.

calaisresistenzaNel frattempo, sul bordo occidentale della fortezza Europa, è iniziato lo sgombero della giungla di Calais. La polizia antisommossa si è riunita intorno al campo in gran numero: contati oltre 50 furgoni più cannoni ad acqua. Negli ultimi giorni gli agenti hanno fatto il giro della giungla diffondendo avvertimenti a lasciare il campo, dopo che un giudice ha stabilito giovedi che tutte le abitazioni nella zona sud potrebbero essere smantellate, mentre alcuni spazi sociali, tra cui le scuole, il centro delle donne, la biblioteca, la chiesa e moschee dovrebbero essere per ora lasciate intatte. Nel momento in cui scriviamo (11:00), la polizia antisommossa, armata di pistole flashball, sta nella jungle per scortare i lavoratori che stanno tirando giù le baracche con gli attrezzi. Alcune persone sono sedute sui tetti delle baracche rifiutando di muoversi.

Traduzione da: Calais Migrant Solidarity

La demolizione della giungla è iniziata!

tetti1La polizia sta facendo il suo lavoro di merda distruggendo le case della gente poste a sud della giungla di Calais.Circa 55 furgoni della polizia e 200 agenti si spostano nella giungla con ruspe e operai. Alcune persone sono sui tetti per resistere allo sgombero. La polizia ha spostato una persona dal tetto e distrutto la sua casa.

Una persona che stava filmando la polizia è stata arrestata senza motivazioni e poi rilasciata. La polizia è tuttavia riuscita a cancellare alcuni filmati.

L’appello alla solidarietà è più importante che mai. Questo è il momento di mostrare solidarietà attiva a tutti gli abitanti precari della giungla di Calais, costretti lì dentro a causa del violento regime delle frontiere.

NESSUNO SGOMBERO! NESSUN CONFINE!

AGGIORNAMENTI

idomA Idomeni lo sfondamento del cancello al confine e di parte della recinzione sembra  abbia permesso a qualche centinaio di persone di varcare la frontiera. La recinzione danneggiata è stata poi difesa dagli agenti della polizia macedone (ma sul posto sono presenti anche poliziotti sloveni, austriaci e della repubblica Ceca) ricorrendo a barricate improvvisate e automezzi. Un elicottero militare si è levato in volo sulla zona, ed immaginiamo la reazione di chi proviene da posti dove queste armi portano morte. Nel corso della giornata, per alcune ore, è andata avanti anche la protesta di 400/500 persone che hanno occupato e bloccato i binari della ferrovia.

A Calais dura da ore lo sgombero e la resistenza dei migranti, che si difendono metro dopo metro scagliando pietre e salendo sui tetti delle baracche, per scongiurarne la demolizione. Una di queste strutture è andata a fuoco a causa di un lacrimogeno, in seguito i migranti per rallentare l’avanzata dei plotoni antisommossa hanno incendiato le baracche semidistrutte dai lavoratori che accompagnavano gli sbirri, e si sono serviti delle masserizie e delle parti smantellate per erigere barricate. Per allontanare i migranti dai tetti la polizia continua ad usare, oltre a decine e decine di lacrimogeni sparati a bruciapelo e le granate stordenti, anche un veicolo munito di cannone ad acqua. I solidali accorsi sono stati bloccati da un cordone di poliziotti, davanti ai quali hanno protestato.

Sul reato di “devastazione e saccheggio”, cui fanno
sempre più ricorso le procure di tutta Italia per azzittire le manifestazioni di piazza, e a come contrastarne gli effetti, si è sviluppata una discussione da molte parti, soprattutto in relazione ai processi per questo reato costruiti sulle manifestazioni di Roma (15 ottobre 2011), Cremona (24 gennaio 2015) e Milano (1° maggio 2015). Riportiamo di seguito alcuni brani di testi e comunicati circolati.
Per l’incontro-assemblea-discussione prevista per il 20 aprile a Milano l'idea è quella di
una sincera, franca, discussione tra compagni, che parta dagli elementi critici per imma-
ginare insieme delle vie d'uscita. In questo senso non crediamo che ci sia bisogno di
interventi, come dire, "da relatori", parliamo di situazioni che, bene o male, tutti abbia-
mo conosciuto o già ascoltato. Ci sembra più interessante discutere insieme, ognuno a
partire dalle proprie esperienze, le difficoltà incontrate e i punti di forza individuati.
[...] Di assemblee e prese di posizione intorno al reato di devastazione e saccheggio,
applicato a momenti ed eventi che riguardano l'agire dei compagni, ce n'è state tante.
Così come tante sono state le campagne messe in campo contro il reato di devastazio-
ne e saccheggio. Apparentemente, dunque, dovremmo essere molto ferrati e al tempo
stesso averne tratto degli insegnamenti o degli strumenti. Invece, ogni volta che scen-
de in campo il reato di devastazione e saccheggio sembra sempre di ripartire daccapo.
Ci siamo chiesti il perché e ci piacerebbe darci insieme una risposta.
Al tempo stesso salta all'occhio che spesso i processi dove viene imputato questo reato
sono tristemente noti per condotte processuali scomposte e contraddittorie, incentrate
spesso sul "si salvi chi può" a discapito della coerenza che ci dovrebbe contraddistin-
guere. Come mai? Possiamo liquidare la questione pensando che sia solamente dovuto
ad una debolezza della solidarietà esterna, oppure giudicandola esclusivamente come
una responsabilità individuale dell'imputato?
Ci siamo soffermati poi sui momenti di lotta, colpiti poi dalla repressione con il famige-
rato 419. Ci è parso che, reagendo all'arrivo della repressione, si dimentichi la gioia pro-
vata durante quei momenti, la forza che se ne era sentita, per passare ad un non trop-
po ragionato ridimensionamento: l'argomentazione della sproporzione della pena non
deve essere direttamente collegata al ridimensionamento dell'evento. Dire che è esage-
rato applicare il 419 per i fatti del primo maggio non vuol dire, allo stesso tempo, che il
primo maggio è successo "poco o niente".
Il 419 nasce per colpire episodi di massa e di piazza, una resistenza ed un danneggia-
mento di massa che mette in pericolo l'ordine pubblico. E' così folle dire che l'agire di
ogni compagno vive la tensione di arrivare ad episodi di resistenza e di massa che
vogliano mettere in discussione l'ordine delle cose? Se questo è vero, il reato di deva-
stazione e saccheggio, si pone ad ostacolo dei sogni e delle tensioni di ciascuno di noi.
Allora perché quando qualcosa di simile accade, anche se in una dimensione assoluta-
mente minore, di fronte all'intervento repressivo diventa difficile riportare la gioia della
rivolta, la sua forza e si riscontrino tutte le difficoltà individuate?
Di questo, ci piacerebbe parlare con altri compagni e compagne. Da questi nodi, inizia-
li e semplici, ci piacerebbe partire, andando a scovare se, a partire da queste criticità e
difficoltà si possano scovare nuovi e più affilati strumenti per portare avanti la solidarie-
tà, le nostre lotte e il nostro agire quotidiano, senza mai fare un passo indietro, senza
lasciare nessuno indietro.
***
PER UNA GIORNATA DI MUSICA E LOTTA ATTORNO AL CARCERE DI S. VITTORE
La campagna SCATENIAMOLI nasce in seguito agli arresti del 12 novembre per i fatti
della manifestazione NoExpo del primo maggio; il progetto include la creazione di una
cassa di solidarietà, l'organizzazione e il coordinamento di vari benefit in giro per l'Italia
e l'apertura di un blog (all'indirizzo scateniamoli.info). Si vuole inoltre mantenere viva
l'attenzione su tutti i procedimenti ancora in corso in cui il reato di devastazione e sac-
cheggio è stato utilizzato come strumento repressivo di piazza.
La prima udienza del processo è in data ancora da destinarsi, ma urge un incontro fac-
cia a faccia per parlare di proposte concrete su come agire insieme prima e durante il
processo. Sicuramente c'è la necessità di tornare in piazza, soprattutto a Milano dove,
per la seconda volta in 10 anni, le procure tornano a combattere il nostro dissenso uti-
lizzando l'accusa di devastazione e saccheggio.
La proposta di Scateniamoli è un presidio itinerante il 2 aprile attorno alle mura del car-
cere in cui, anche attraverso la musica e l'arte, lotteremo per la liberazione dei nostri
compagni. La data è stata scelta, oltre che in avvicinamento al processo, come tappa
intermedia per iniziare a lavorare su un percorso comune in vista del I maggio 2016 in
cui intendiamo portare in piazza forte e chiara la tematica degli arresti del 2015 e di
devastazione e saccheggio. Sulle modalità di organizzazione dell’evento ne discuteremo
assieme a partire dal primo incontro che si terrà il 25 febbraio in torchiera alle 21.
da autistici.org/mailman/listinfo/scateniamoli
***
DALL’ESPERIENZA DI UN COMPAGNO, COLPITO DAL PROCESSO CONTRO LA MANIFE-
STAZIONE DEL 15 OTTOBRE 2011 A ROMA
Carissimx compagnx, mi chiedete un contributo, anzi un consiglio su come comportarsi
in caso si venga accusati del reato fascista di devastazione e saccheggio ed eccomi subito a rispondervi. Inizio questa lettera dicendovi che sono contento che tra diversi collettivi e compagnx vi siate attivati per affrontare il suddetto reato; spero vivamente che
vengano messe in campo azioni efficaci, oltre che strategie comuni, affinché si arrivi
finalmente ad un fronte unitario che si opponga seriamente a questa deriva repressiva.
Ho letto degli ultimi arresti dei compagni che hanno partecipato alla grande giornata del
1° Maggio di Milano e ho rivissuto un po’ quello che accadde a noi: tanta solidarietà ma
poca lucidità politica.
Penso che come prima cosa dovremmo pianificare tutte le mosse da mettere in campo,
evitando quindi di arrivare come nel nostro caso a condanne pesantissime distribuite nel
silenzio più totale. A Roma all’ultimo grado di giudizio in Cassazione c’erano 4 solidali...
Ma non voglio ora concentrarmi o puntare l’indice contro il movimento, a pensarci bene
le maggiori responsabilità di come è andato a finire tutto, le abbiamo avute proprio noi,
che ci siamo fidati ciecamente dei legali.
L’inesperienza, il provenire da un contesto periferico e appunto la nostra ingenuità hanno
creato le condizioni perfette per i nostri accusatori di farci il culo. Cosa che al contrario
non è avvenuta contro i compas “No Tav” i quali, grazie alla grande mobilitazione e scel-
te professionali azzeccate, sono riusciti a limitare i danni. In culo alla procura di Torino!
Ho fatto questa introduzione per rispondere alle vostre domande: come comportarsi se
si viene accusati di devastazione e saccheggio?
Il mio primo consiglio è di non scegliere mai il rito abbreviato – così come abbiamo fatto
noi. Vi dico ciò perché in pratica ci si quasi autoaccusa. Sì, il processo si baserà sulle
prove che hanno in mano i giudici senza la possibilità di poterne acquisire altre, però,
essendo i processi mediatici, la certezza è che distribuiranno ugualmente pene altissi-
me, anche se le suddette prove sono misere.
Inoltre, tale rito fa in modo che la sentenza arrivi nel giro di poco tempo ed è certo che
l’opinione pubblica condizioni i giudici.
Scegliere il rito ordinario, al contrario, dà la possibilità di far sbollentare il clima e quin-
di giocarsela meglio.
Altra cosa fondamentale è che se scegli l’abbreviato, essendo la custodia cautelare pre-
vista dal reato pari ad un anno, è quasi sicuro arrivare a condanna definitiva senza mai
aver messo piede fuori. E’ successo al filone dei teramani, in 3 anni 3 gradi, e sono stati
sempre reclusi. Se fai il rito ordinario passano anni solo per primo grado, dopo un po’ ti
scarcerano. Quindi non fatevi prendere dall’allettante condizione di avere uno sconto
pari ad 1/3 della pena che il rito abbreviato dà, perché è certo che per dare l’esempio
chiederanno condanne superiori ai 10-12 anni (da scontare poi di 1/3), mentre con l’or-
dinario le richieste saranno massimo di 8-9 anni che poi, magari, il giudice dimezza ren-
dendosi conto dell’assurdità. Il rito abbreviato è un’arma a doppio taglio insomma.
Spero di essermi fatto capire.
Inoltre, e questa cosa la dico a chi ha a cuore i compas di Cremona e Milano, è impor-
tante dare a tutti gli indagati lo stesso pool di avvocati altrimenti accade ciò che ho letto
di recente: fraintendimenti controproducenti. La linea di difesa e di attacco legale deve
essere comune! Noi abbiamo fatto tutto il contrario di ciò che vi ho scritto e l’abbiamo
pagata cara...
Oltre a ciò credo che dobbiamo tutti noi presidiare sempre i processi e fare tanta con-
troinformazione. Questo è il mio pensiero sulla scelta del rito.
A livello di lotte propongo di avviare una campagna nazionale contro tale reato in modo
da sbattere in faccia, a chi si ricorda di essere antifascista solo il 25 aprile, che a distan-
za di 70 anni i metodi repressivi attuali sono gli stessi del ventennio.
Pensate ad una cabina di regia coordinata che blocchi tutte le celebrazioni della libera-
zione con uno striscione uguale per tutti e azioni determinate.
Per i compagni “No Tav” si è riusciti a spostare il peso della bilancia dalla nostra parte.
Ho letto molto attentamente l’opuscolo “Sui processi”, è un ottimo scritto che mi ha
aperto la testa su diversi aspetti e che mi ha anche fatto capire come il nostro proces-
so sia stato affrontato nel peggior dei modi possibili.
Vedo che fuori si iniziano a capire determinate cose, cose su cui io mi sono sgolato, e
spero che finalmente ci si inizi a muovere in modo ordinato e strategico.
Sul processo di rottura non ho mai fatto alcuna mia riflessione. Anzi è la prima volta che
tale pratica “difensiva” ha per me una terminologia.
Senza ombra di dubbio è la più coerente fra le scelte processuali per chi ha un ideale
politico, ma sappiamo che spesso tra i compagni arrestati ci sono tanti “civili”. E come
convincere un “civile” a sposare tale linea? La prima cosa che salta in mente a chi viene
arrestato è di uscire e limitare i danni. Pertanto il ragionamento che state avviando va
diffuso il più possibile. Non può restare tra i detenuti o tra chi è del giro. Dopo anni vedo
qualcosa di serio e sono felice che finalmente le realtà metropolitane tornino a prende-
re in mano la situazione.
Il mio consiglio è di lanciare una campagna nazionale in modo che in tutti i territori si
discuta dei contenuti dell’opuscolo, e quindi creare un “apparato legale” che intervenga
immediatamente dove vengono mosse le accuse di devastazione e saccheggio – associazione sovversiva – concorso morale, ma anche – fogli di via- “sorveglianza speciale” ecc.
Un “soccorso legale” per chi viene accusato dà molta fiducia e ci si sente un po’ più al
sicuro. Ecco perché vi dico di non fermarvi e di non limitarvi a parlarne tra quelli del
“nostro giro”. Alzate il livello e puntate in alto. Sulla solidarietà si può ricostruire il movi-
mento e, ricordatevi che siamo noi a considerare il nostro nemico così forte.
Vi mando un saluto a pugno chiuso. 15 ottobre 2011: in ogni caso nessun rimorso!