Se l’ala della tecnologia procede nel suo andare avanti fino a derealizzare la totalità di tutto ciò che esiste, bisogna porsi delle domande riguardo il sottinteso dispiegarsi della nostra intenzione poi non tanto recondita, cioè l’attacco.
Se non ci si era capiti bisogna farlo subito. La nostra intenzione, da cui queste analisi, è sempre quella antica quanto la nostra consapevolezza del mondo che ci circonda, di trasformarlo radicalmente, e la migliore e più efficace forma per trasformarlo è la sua distruzione. Però, c’è qualcosa di cambiato in quello che ci fronteggia, se prima si ergeva massicciamente di fronte ai nostri occhi, e potevamo non vederlo come nemico solo accettandolo e sostenendolo, oggi la realtà nel suo insieme ha la delicatezza fantasmatica di un battito d’ali, pure continuando nei massacri e nelle disumanizzazioni. Lo scatenarsi brutale delle tecniche guidate dai singoli capitali è coperto da un velo di insolita e dolorosa disperazione. Loro sono armati uno contro l’altro e il venire meno delle classiche garanzie istituzionali del passato, democrazia politica, sindacalizzazione del lavoro, protezione sanitaria, scolarizzazione adeguata, livello culturale accettabile, porta all’isolamento dell’uomo. Non c’è un vero e proprio progetto di depauperizzazione collettiva, diretto dai capitali, loro non possono e non saprebbero farlo, potrebbe provocarlo la tecnologia, ma con altri procedimenti e ad altri livelli.
Di fatto questo isolamento esiste ed è visibile dappertutto nel mondo economicamente più avanzato, dove appunto si svolge la pantomima del dilaniamento reciproco dei singoli capitali. L’intera produzione è secondarizzata e al primo posto è messa, o è in corso di collocazione, la tecnica dello spostamento veloce col doppio risultato di spezzare ogni residua solidarizzazione (di classe non è più possibile parlare), e sfruttare al massimo popolazioni lontane tramite intermediarizzazioni corsare, anche queste prima sconosciute.
Le derealizzazioni tecnologiche che man mano renderanno profondamente diversi questi assetti attuali non è possibile conoscerle prima del tempo perché esse saranno il frutto non di singole decisioni, prevedibili e preconoscibili, ma dall’assemblaggio spontaneo di processi in grado settorialmente di causare effetti talmente sconvolgenti da azzerare ogni possibile assetto produttivo in atto. Per questo motivo il selvaggio accanimento basato sulla rincorsa al guadagno dei singoli capitali è un po’ frenato dall’eventuale inanità di decisioni fatte fuori luogo e principalmente fuori tempo che, se all’occhio miope del singolo capitale possono sembrare un vantaggioso investimento potrebbero rivelarsi una catastrofe senza limiti a breve termine.
Ecco una possibile indicazione. Ogni passo falso della singola tecnica può essere indicazione di una debolezza e qualsiasi teoria dell’attacco insegna a colpire prima i punti più deboli del nemico. La tecnologia infatti non può fare nulla di fronte a questi passi falsi se non accelerare il processo progressivo di derealizzazione, ma questa medesima accelerazione è, essa stessa, un segno a vantaggio dell’attacco.
Potremmo essere noi quelli non in grado di vedere, noi stessi talmente derelizzati da correre dietro a fanfaluche come è giusto che sia per degli zombi, ma se non siamo ancora morti e putrefatti, forse potremo trovare la forza e l’indicazione per agire.
Come?
Nel solito modo. Organizziamoci in base all’affinità. Piccoli attacchi determinati su obiettivi sia pure modesti ma chiaramente ancora visibili, il che nel caso nostro significa non ancora fatti scomparire. La lettura dell’insieme di quanto scritto in queste pagine dovrebbe essere una piccola indicazione, una sorta di manuale di controderealizzazione. Non possiamo salire sui nostri grandi cavalli per attaccare giusto ora che tutto il mondo sta per ammantarsi di una eterea leggerezza per ingannarci. Non possiamo nemmeno giustificarci con le antiche contraddizioni e i complessi tormenti di chi le ha viste tutte e non fa altro che aspettare la prossima demenza della carne per dichiararsi definitivamente sconfitto. Attaccare significa colpire, distruggere, bruciare, esplodere, uccidere, sradicare, cancellare dalla faccia della terra sia pure quella piccola realtà, dico realtà, che riusciamo a cogliere davanti ai nostri occhi. Questa esiste e non ha bisogno, per farsi vedere, che di un piccolo acuirsi del nostro sguardo. Ecco. Se è finito il tempo della facilità dell’attacco non è finito il tempo dell’attacco, anzi questo tempo qui, questo tempo dell’intelligenza, dell’acutizzarsi della vista, del mettere il cuore nelle cose che facciamo, dell’illimitatezza dei nostri sogni e delle nostre passioni, questo tempo qui è proprio alle porte.
Quando?
In qualsiasi momento. Occorre inventarsi i mezzi, non stare a cercare la grande disponibilità di rumorosi strumenti che se mai c’è stata adesso proprio non c’è più. Mi ricordo dei piccoli oggetti tascabili autoincendiari che misero al tappeto la Standa di Berlusconi portandola al fallimento. Poi tutto tacque. Perché fermarsi? Forse aspettiamo qualche nuova invenzione pirotecnica? Forse ci sembra troppo inadeguato questo strumento per le grandi aspettative dell’attacco dei pericolosissimi anarchici distruttori del mondo? È la volontà che indica lo slancio aperto alle seduzioni dell’esistenza, a tutto ciò che siamo capaci di progettare noi, senza indugiare troppo sull’insolita miseria che in questo momento ci colpisce, afferriamo il senso del pittoresco che c’è nell’azione, quello che la qualità può improvvisamente darci, quello che mille riflessioni quantitative antinomiche non possono mai portare nel nostro cuore. Oltrepassiamo la realtà, il momento è sempre quello buono, quello presente, prima che questi processi ci costringano ad accettare catene che nessuna forza umana potrà poi rompere.
Perché?
Guardiamoci attorno. Vogliamo finire i nostri giorni raggomitolati davanti alla televisione? Vogliamo accettare un impiego al catasto di qualche piccolo comune? Vogliamo insegnare l’abc a bambini rincoglioniti prima del tempo? Vogliamo adeguarci ai mille mestieri della sopravvivenza? Vogliamo continuare a leggere Bakunin e Kropotkin? Vogliamo dissertare con altri compagni come noi disintegrati dall’inebetudine del non sapere che fare, tra una canna e l’altra? Vogliamo continuare a confrontarci con il ritratto dei nostri nonni?
Andiamo, spazziamo via tutta questa merda. E, se è il caso, anche noi con essa.
AMB
aprile 2017
Tratto da: “Negazine” n. 1