Una lettera di Carla dal carcere di Fresnes (Parigi) ricevuta da alcuni compagni prima che fosse estrada in Italia.
Fresnes, 19 agosto 2020
Ciao,
dopo 536 giorni di latitanza sono stata arrestata il 26 luglio scorso vicino St. Etienne. Ho vissuto il mio arresto come la prima messa in scena di una rappresentazione ripetuta mille volte nella mia testa, o meglio 536 volte… Mi è sembrato che tutto andasse al rallentatore: gli sbirri col passamontagna che mi puntano contro i loro fucili, mi sbattono a terra e mi chiedono il nome che così spesso ho taciuto in questi ultimi tempi e che mi ha fatto strano pronunciare. In seguito la SDAT (reparto antiterrorista della polizia francese, ndt) mi ha portato a Parigi: quattro ore di viaggio con le manette dietro la schiena in compagnia dei loro passamontagna. Pochi chilometri prima di arrivare nella loro sede a Levallois-Perret mi hanno bendato gli occhi. Sempre loro, due giorni dopo il mio arresto, mi hanno condotto prima in tribunale e poi nella prigione di Fresnes.
Durante l’udienza che ha convalidato il mio arresto, ho accettato senza esitare la mia estradizione. Avevo seguito con attenzione ciò che era capitato a Vincenzo Vecchi (che approfitto per salutare) che invece aveva preferito rifiutare l’estradizione dandosi una possibilità di rimanere libero in Francia. Per quanto mi riguarda questo avrebbe significato attendere il processo in Francia invece che in Italia dove si trovano gli altri accusati nell’operazione Scintilla, al momento tutti liberi ad eccezione di Silvia, sottoposta tuttora a divieto di dimora dal comune di Torino.
Sembra che negli ultimi tempi l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo e l’estradizione che ne consegue, costituiscano per la giustizia europea delle semplici formalità burocratiche da espletare. Lo abbiamo visto recentemente in Italia in diverse riprese, ma anche in occasione della repressione seguita alle rivolte di Amburgo o in Grecia e in Spagna. Le polizie europee affinano le proprie armi e le loro collaborazioni sembrano essere sempre più strette, con scambi di soffiate e favori. Alla luce di questi ultimi avvenimenti penso che stia a noi interessarci alla questione e studiarne i meccanismi.
Scopro la prigione al tempo del coronavirus: la quarantena regolamentare ai nuovi giunti, la mascherina per ogni spostamento e per tutta la durata dell’aria, la sospensione di ogni attività e cella chiusa 22 ore su 24. Al termine della mia quarantena e alla vigilia della data prevista per la mia estradizione, io e tutte le altre detenute presenti nella sezione delle nuove giunte siamo state messe per la seconda volta in isolamento sanitario con la scusa che avevamo condiviso l’ora d’aria con una nuova giunta risultata positiva al covid.
I test ai quali siamo state sottoposte dopo questo conclamato caso, e che all’inizio ci era stato detto non fossero possibili per tutte le detenute, ora sono prassi per tutte le nuove giunte. Non sorprende vedere come l’amministrazione penitenziaria arrivi perennemente in ritardo.
Durante la primavera scorsa le misure adottate dall’amministrazione penitenziaria in risposta al diffondersi del Covid19 hanno causato delle rivolte e una forte solidarietà nelle prigioni. Sfortunatamente, almeno qui, sembra che convivere con il virus sia diventato la norma, e al timore che una nuova giunta sia positiva e possa contagiare le altre si aggiunge la paura di vedersi sospendere i colloqui, come è successo a noi quest’ultima settimana. I magri palliativi concessi in primavera dall’amministrazione penitenziaria sotto forma di crediti telefonici fanno ormai parte del passato e un piccolo gruppo di nuove giunte non può essere all’altezza delle grosse mobilitazioni dello scorso marzo. Aspetto l’estradizione da un momento all’altro e so che molto probabilmente quando arriverò in Italia mi aspetterà un terzo periodo di isolamento sanitario.
Per il momento mi godo tutte le dimostrazioni di solidarietà dopo tanto silenzio. Malgrado le pubblicazioni sul tema, sicuramente preziose, la latitanza viene considerata ancora troppo spesso come un’avventura romantica e si pensa di solito ai/alle compagni/e come liberi/e. In quest’anno e mezzo non mi sono mai mancati né la solidarietà né un sostegno caloroso, non mi è mai mancato nulla, ma non si è liberi quando si è privati della propria vita.
Avrei voluto essere in strada assieme ai/lle miei compagni/e durante le manifestazioni in risposta allo sgombero dell’Asilo, ho accompagnato con il pensiero lo sciopero della fame lanciato da Silvia, Anna e Natascia, ho pensato ogni giorno ai/lle compagni/e arrestati/e nelle ondate successive. Avrei voluto essere al fianco dei miei familiari quando hanno conosciuto dei momenti difficili e avere loro notizie durante il lock-down.
Oggi sono pronta e determinata ad affrontare i prossimi mesi, ma il mio pensiero va a coloro che sono ancora in giro, spesso lontani dalle persone care. Spero possano rimanere in giro fin tanto che lo vorranno e che gli incontri che faranno diano loro il calore e la forza per continuare a lottare.
Carla
Per scriverle:
Carla Tubeuf
Casa Circondariale di Vigevano
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27029 Vigevano (PV)