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Ricordare, vomitare e distruggere

Come ogni volta, anche quest’anno si festeggia la giornata della memoria. Le istituzioni si danno un bel da fare nell’istituire i viaggi nei luoghi dell’orrore: i lager nazisti. Un giorno santo per ritrovare un po’ di quella vomitevole purezza del dimenticato, la quale viaggia parallelamente con le atrocità contemporanee. Visitare dei luoghi di tortura e di sterminio può impressionare: questo lo si può intuire. Far riaffiorare un passato funesto, dice qualcuno, è il miglior modo per non scordare. A patto di chiudere gli occhi sui genocidi e le torture di oggi. Tutto lo squallore democratico riesce a reinventarsi le menzogne più cruente. Sopravviviamo in una crudeltà continua, con un viaggio della memoria a portata di mano.  La manfrina ideologica di questa giornata è la seguente: dobbiamo ricordare questo passato perché è stato una parentesi atroce della storia. Ecco che la menzogna si completa, il senso di vomito fa il resto. Bisognerebbe essere sinceri ma non è possibile: difendere i privilegi del dominio è qualcosa di ecumenico. Il sacrilegio è capire che il periodo dei lager nazisti non è una parentesi oscura della storia dell’umanità, ma una parte fondamentale della continuazione della storia dell’oppressione. I lager nazisti vengono dopo i genocidi perpetrati dagli occidentali ai danni delle comunità indigene dell’America Latina. Vogliamo parlare degli indiani d’America? E dei buoni cristiani nelle Crociate e nelle Inquisizioni? Cosa pensiamo della prima rivoluzione industriale dove il lager ha iniziato a chiamarsi fabbrica? Ma non solo il passato terrorizza, anche il presente è la continuazione della civiltà del genocidio. Cosa sono i CPR se non lager? E i laboratori di sperimentazione fatti sugli animali, insieme agli allevamenti intensivi?  La storia è la storia di continue guerre. Come disse Simone Weil: «Il grande errore in cui cadono quasi tutte le analisi riguardanti la guerra è di considerare la guerra come un episodio di politica estera, mentre è prima di tutto un fatto di politica interna, e il più atroce di tutti.» La memoria è viva se riesce anche a vendicare le atrocità del passato dando respiro ad una possibilità che esse cessino definitivamente. E allora come non ricordare le distruzioni delle carceri nelle rivolte di Londra di fine 800, l’abbattimento della Bastiglia nella rivoluzione francese o le sommosse che portarono tante carceri spagnole nel 1936, durante l’insurrezione contro il fascista Franco, ad essere, finalmente, un cumulo di macerie? E come non sentire i battiti del cuore a mille quando qualche CPT/CIE/CPR viene distrutto dai prigionieri o quando gli animali vengono liberati dalle gabbie di qualche laboratorio scientifico messo a ferro e a fuoco? Forse bisognerebbe porgere la propria sensibilità verso questi fatti, per distruggere i lager di oggi, come quelli di ieri. La memoria, così, diventerebbe un profondo e continuo esercizio di gratitudine.

tratto da Frangenti, n. 17, 28 gennaio 2018