No, anche se non sarà Auschwitz a distruggere il mondo bensì Hiroshima, da un punto di vista morale Auschwitz è stato incomparabilmente più orribile di Hiroshima. Lo sottolineo perché, sfogliando i miei appunti, sono sfiorato dal sospetto di essermi accostato ad Auschwitz con il pregiudizio che quella che consideriamo una forma di genocidio valga anche nell’altro caso. Non è vero. Al confronto dei responsabili di Auschwitz – e furono molte migliaia – i piloti che volarono sul Giappone furono degli angeli. Se sia stato un «passo in avanti» è un’altra faccenda.
Nel caso di Hiroshima – e ciò vale per gli odierni «missili nucleari» più ancora che per le bombe del 1945, pur sempre sganciate dall’alto sui luoghi di morte – ci fu per così dire solo il bottone premuto: uomini che rimasero dunque molto distanti dagli effetti del loro gesto (in questo caso, dal mero azionare la leva), distanti come oggigiorno è distante dai risultati finali del suo lavoro il 99 per cento dei lavoratori. Di fatto, con l’invenzione dei missiles il concetto di luogo del crimine ha perso di significato. In origine l’espressione definiva il luogo dell’azione e della sofferenza. Questa syntopia – il cui superamento ha avuto inizio con la scoperta delle armi da fuoco – si realizza ormai molto di rado. Un missile lanciato dall’Oceano Pacifico può produrre i suoi effetti in Siberia. Dov’è dunque il luogo del crimine? Qui o là? Dobbiamo introdurre il concetto di schizotopia come categoria fondamentale della moralità o dell’immoralità di oggi. In ogni caso, i due piloti della Air Force che sganciarono le bombe sulle due sventurate città non solo non umiliarono e non torturarono per anni centinaia di migliaia di vittime, com’era normale ad Auschwitz, ma neppure le videro, anzi neppure le immaginarono. E quando dico che le loro mani rimasero pulite, non intendo pulite come le mani di Eichmann e complici: giacché i piloti non elaborarono mai un programma di sterminio, né tantomeno trascorsero il loro tempo a predisporre in modo scrupoloso e dettagliato i piani per il buon esito quotidiano della produzione di cadaveri. E ancor meno i piloti che presero parte alle missioni possono essere messi sullo stesso piano delle migliaia e migliaia di SS e dei loro «aiutanti», le cui azioni si svolsero direttamente sul luogo del crimine e consistettero di continue brutalità dirette, come torturare, fare le «iniezioni letali» o spingere a forza dentro gli stanzoni delle «docce». E tantomeno si può sostenere che i piloti di Hiroshima avessero partecipato alle missioni perché sadici o perché avessero appreso il piacere di uccidere – non ne avrebbero avuto il tornaconto. Né tantomeno che si fossero trasformati in mostri con le loro azioni (la singola azione di sgancio) o con infamie quotidiane. Ciò che accadde a Hiroshima e a Nagasaki fu un omicidio di massa senza assassini e fu perpetrato senza alcuna malvagità.
Tutto questo non vale però – la linea di demarcazione tra i due metodi di sterminio non può essere tracciata in modo sufficientemente perspicuo – per gli assassini di Auschwitz. Non esiste solo l’innocenza del male (Eatherly¹) e la banalità del male (Eichmann), ma anche – anzi non «anche», ma «soprattutto» – la malvagità del vero male, o di chi è diventato o è stato reso ineluttabilmente malvagio dalla consuetudine con il male. Costoro – e ciò li differenzia radicalmente dagli assassini di massa nel senso di Eatherly – non furono capaci di vedere né il male esercitato giorno dopo giorno come full time job con le umiliazioni continue, con le torture, le «iniezioni letali» ecc., né la loro irrevocabile metamorfosi in esseri malvagi. Ormai non potevano più rendersi conto di come il vivente non fosse per loro null’altro che l’ancora torturabile (questa la segreta definizione di «vita» nel lager) e come questo fosse il loro modo di trattare concretamente gli esseri umani, e come non solo agissero così o potessero agire così, ma dovessero agire così (il che ebbe un unico esito, che Himmler celebrò come «fermezza» eroica di cui essere fieri). E non potevano più rendersene conto perché il male non era più distinguibile dal fondale di un universo quotidiano moralmente indifferente, essendo divenuto esso stesso il mondo («le monde concentrationnaire»), il mondo normale e quotidiano nel quale a essere fuori luogo erano i comportamenti e le parole non infami e non bassamente triviali (così come le intendiamo noi quotidianamente). La frase «buona notte» sulle labbra di una SS sarebbe apparsa una mostruosità nell’inferno di Auschwitz (tra l’altro «inferno» è una parola fin troppo misurata, dal momento che rimanda all’inferno classico come luogo di punizione per i malvagi – definizione che i nazisti avrebbero sottoscritto, in quanto coloro che avevano rinchiuso nei lager «erano stati puniti» per il male innato di essere ebrei, zingari o marxisti).
Che tutto ciò non riguardi gli esecutori coinvolti nel crimine atomico, e che gli Eatherly sovrastino di gran lunga, anzi non siano moralmente paragonabili alle SS, non significa naturalmente che le loro azioni siano state meno orribili. Hiroshima fu, infatti, incomparabilmente peggiore di Auschwitz: quando un uomo è in grado di sterminare nella frazione di un secondo duecentomila suoi simili (oggi milioni), le duemila SS, le quali potevano eliminare solo «peu à peu» milioni di persone, risultano al suo confronto (mi si perdoni il termine) inoffensivi. Il rischio atomico minaccia infatti l’esistenza dell’umanità nel suo insieme – cosa che non si può affermare dei campi di sterminio. Mentre le armi atomiche sono letteralmente «apocalittiche», i lager furono o sono «apocalittici» solo in senso metaforico. In confronto ai moderni metodi di annientamento, ciò che accadde nei lager nei tre anni che precedettero Hiroshima fu (ho delle remore a scrivere la parola) innocuo. La tecnologia e l’output del sistema concentrazionario, in confronto allo standard tecnico e alle prestazioni potenziali delle installazioni missilistiche di oggi, furono ancora grezze e basate sul paradigma del XIX secolo. Ciò che gli impianti concentrazionari «producevano» nel corso di una sequenza di lavoro non erano centinaia di migliaia o milioni di morti ma (esito di nuovo) «solo» centinaia.
Non c’è dubbio: il «futuro» appartiene allo sterminio più moderno (posto che la parola «futuro» si possa applicare ad apparati che generano mancanza di futuro). Peraltro tutto ciò non esclude che nei paesi ancora non completamente industrializzati Auschwitz continui a essere un modello per lungo tempo. I governi che non sono ancora giunti al punto di materializzare Hiroshima si accontenteranno di installare «Auschwitz». Anche il principio-Auscwitz ha dunque ancora un futuro, visto che «il futuro non è iniziato dappertutto». I due sistemi di genocidio, quello moderno e quello non ancora del tutto moderno, continueranno a «sovrapporsi» per lungo tempo, almeno fino a quando ci sarà concesso di sopravvivere.
Günther Anders
[19 marzo 1979]
¹: Claude Eatherly (1918-1978) prese parte alla missione che sganciò la bomba atomica su Hiroshima il 6 agosto 1945.