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Fra proteste dei prigionieri, condanne agli anarchici torinesi e trasferimento di Lucio (da Macerie)

D’ogni dove chiusi si sta male

Vi ricordate che vi avevamo parlato di una battitura in corso nel carcere Lorusso e Cutugno, a Torino? Mercoledì, durante un saluto ai detenuti, tra le urla “libertà, libertà” - da fuori e da dentro - e qualche petardo, si è riusciti, pur con le ovvie difficoltà, a capirci qualcosa di più.

La protesta c’è stata, ma ora è stata interrotta. I ragazzi del blocco C hanno spiegato che i motivi che li hanno spinti a fare la battitura giornaliera sono principalmente legati alle condizioni in cui sono costretti, peggiorate dal gran caldo delle ultime settimane: chiusi tutto il giorno in cella, senza possibilità di passeggiare per i corridoi, neanche durante la socialità. Non tutti i carcerati si trovano in questa situazione, solo un paio di sezioni per ogni blocco - a quanto siamo riusciti a capire, tra un grido e l’altro. Presumibilmente, questa protesta, che ha coinvolto gran parte del carcere, ha alla base una serie di motivi anche diversi tra loro (vi avevamo parlato dell’esclusione dal beneficio della “liberazione anticipata speciale”), ma tutti legati al fatto che il carcere fa schifo, e che quindi motivi per unirsi a una protesta se ne trovano, sempre.

Anche in Corso Brunelleschi il caldo peggiora la situazione dei reclusi, che attualmente sono circa 90, divisi su quasi tutte le aree. A quanto pare, le aree bianca, rossa, gialla e blu funzionano a pieno regime, mentre la verde e la viola sono parzialmente o del tutto non in funzione. Nell’area bianca è in corso uno sciopero della fame, per protestare contro le condizioni di vita all’interno del Centro e il fatto che alcuni malati vengano lasciati senza cure adeguate.

In questi ultimi tempi, i reclusi hanno a che fare soprattutto con le guardie, e meno con i lavoratori della Gepsa, che non sono molti e pare si vedano solo la mattina. Sia che debbano accompagnare fuori dal Centro qualcuno per visite ospedaliere, sia che portino in Prefettura i richiedenti asilo, i militari si muovono sempre in grandi numeri. Forse che, oltre alla consueta arroganza che non mancano mai di sfoggiare, abbiano qualche timore che ricominci il ciclo di proteste e fughe nel Cie appena ristrutturato?

Stagioni violente

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È andata come era prevedibile - e come infatti prevedevamo - l’udienza che, ieri mattina, ha segnato la fine del primo grado del processo contro la vecchia “Assemblea antirazzista”. È difficile di questi tempi, infatti, trovare a Torino giudici che abbian voglia di smentire le tesi dei Pubblici ministeri, e questi giudici non eran tra quelli in aula ieri. Sfrondata già al tempo da reati associativi, la costruzione dell’accusa è stata accolta senza batter ciglio dalla Corte, che si è limitata a limare le richieste esosissime di Padalino e compagnia.

Le richieste da cinque anni son diventate condanne da tre anni e mezzo, le richieste da tre anni, invece, un anno e nove - e così via a far proporzioni. Condanne inferiori alle richieste, ma comunque molto pesanti visto il tenore tutto sommato blandissimo degli episodi contestati. La tesi complessiva dell’accusa, fatta propria dalla Corte, è quella che ha tanto ben sintetizzato l’anonimo titolista di “Repubblica Torino” questa mattina: parlando del processo e dei fatti dai quali prende le mosse, riesce a parlare di «stagione violenta degli anarchici». Il che significa: un morto di indifferenza nel Cie; un altro ammazzato dal padrone che non lo voleva pagare; lacrimogeni sparati contro gente già tenuta in gabbia in condizioni disumane - tutte queste cose non sono violenze, son fenomeni o episodi dei quali si può al limite parlar male (giacché anche su Repubblica, negli anni successivi, si è parlato male dei Cie). È violenza invece ciò che vi si oppone fattivamente, ciò che queste violenze (che non sono altro, poi, che il manifestarsi puntuale di una violenza strutturale più vasta e profonda) cerca di impedirle: da qui gli anni di galera. Chissà che razza di titoli verrebbero fuori ai coraggiosi impiegati di “Repubblica” se dovessero parlare non degli anarchici torinesi - che alla fine han fatto ben poco e con scarsi risultati - ma, mettiamo il caso, di John Brown! Titoli sicuramente in linea con le condanne alla forca di allora. Ma lasciamo stare la razza vigliacca dei giornalisti: per il resto, l’aula era piena di pubblico, arrivato un po’ per dare un segnale d’attenzione rispetto al processo, un po’ per salutare Paolo. E Paolo era in splendida forma. E quelle lotte di allora, soprattutto, sono ancora vive.

Ascolta l’intervista realizzata da Radio Onda Rossa ad un imputato:

Lucio trasferito

A neanche dieci giorni dal suo rientro in carcere a causa di una violazione degli arresti domiciliari, Lucio è stato oggi trasferito da San Vittore al carcere di Busto Arsizio da dove era uscito lo scorso maggio.

Per scrivergli, ecco l’indirizzo:

Lucio Alberti C.C. Via Cassano Magnago, 102 - 21052 Busto Arsizio (Varese);