Ancora un'aula di tribunale. Non più il bunker, questa volta, ma un'aula qualsiasi del tribunale di Torino.
Ancora dei compagni davanti a una corte, che si apprestano a essere giudicati per quella
splendida notte di maggio del 2013 quando la triste area militarizzata del cantiere di Chiomonte venne illuminata non dai fari della polizia, ma dai fuochi di un attacco vòlto a sabotarne il funzionamento.
La vittima più illustre fu, in quell'occasione, l'ormai celebre compressore.
Lucio, Francesco e Graziano sono stati arrestati l’11 luglio 2014
con l’accusa di aver partecipato a quell'attacco. A chi ha ribadito a chiare lettere che “quella notte c'eravamo tutti” non interessa in alcun modo se i tre compagni fossero o non fossero presenti quella notte a Chiomonte. Perché in quell'occasione, come in tante altre, c'erano tutti coloro che si oppongono al Tav in Val di Susa, tutti coloro che vogliono concretamente opporsi alla devastazione dei territori, all'arroganza dei potenti, alle
menzogne e alla prepotenza militare con cui sostengono e difendono i loro
interessi. In quell'occasione, come in tante altre. In quel luogo, come in tanti altri. In questo come in altri casi la solidarietà non è una semplice attestazione formale di vici
nanza del cuore: è una dichiarazione di complicità, con gli imputati
e con le pratiche di cui vengono accusati.
Per i fatti di quel maggio si è già consumato un primo processo, ai danni di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò. Derubricata allo stato attuale dell'iter processuale l'assurda accusa di terrorismo, alla sbarra resta oggi il sabotaggio.
Il sabotaggio, vecchio compagno di chi lotta contro le varie forme di occupazione militare, contro lo sfruttamento delle persone e dei territori, contro l'arroganza militarizzata del potere e dei suoi portavoce.
Un compagno prezioso, tra gli altri, perché capace di colpire inaspettatamente e con efficacia, perché mobile e potenzialmente ubiquo, perché diretto e anonimo, cioè potenzialmente di tutti e ciascuno.
Importante fu pertanto il momento in cui il movimento No Tav, subito dopo quella notte di maggio, lo adottò deliberatamente tra le sue molteplici e variegate forme di lotta, dando ulteriore prova della sua determinazione e credibilità nell'intento di perseguir
e concretamente il suo NO.
Anche perché, potendo intervenire come, dove e quando crede,
il sabotaggio rappresenta un utile suggerimento pratico non solo a tutti
i potenziali Giacu di Valle (giacché la logistica del cantiere si
articola in luoghi concreti non tutti militarizzati come la val Clarea), ma anche ai No Tav di ogni dove (giacché è noto: il sistema del Tav è ovunque) e a chiunque sul proprio territorio deve vedersela con gli scellerati progetti del Capitale (giacché devastazione, arroganza e prepotenza non sono certo un'esclusiva della Val di Susa da cui non pochi traggono esempio).
Resta pertanto fondamentale ribadirne, oggi come ieri, la legittimità etica e la rilevanza pratica.
Distinguo o ipotesi dietrologiche non possono che generare confusione e indebolimento delle possibilità di lotta.
Il teorema messo in atto dalla procura di Torino con l’arresto di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò, avvenuto il 9 dicembre 2013, non si è concluso; ha certo avuto un duro colpo con la sentenza del 17 dicembre 2014, quando i quattro compagni sono stati assolti dalle deliranti accuse di attentato e condotta con finalità di terrorismo, ma intende proseguire nel suo farneticante discorso, tanto che un’udienza di cassazione, prevista per questa estate, dovrà esprimersi circa le stesse accuse di terrorismo anche nei
confronti di Lucio, Francesco e Graziano, per i quali per ora il tribunale del riesame di Torino ha respinto tali accuse.
Occorre stare in campana.
Francesco Lucio Graziano liberi!
Liberi tutti, libere tutte!
Complici e solidali