Conoscevo la Maddalena e la Val Clarea prima che ci venisse impiantato
il cantiere dell'alta velocità. In quei boschi ho camminato, ho dormito,
ho mangiato, ho cantato, ho ballato. In quei luoghi ho vissuto frammenti
di vita preziosa insieme ad amici che ora non ci sono più e che porto
nel cuore.
In quei luoghi sono tornato più volte negli anni.
Di giorno, di notte, di mattino, di sera; d'estate, d'inverno, in
autunno e in primavera. Ho visto quei luoghi cambiare nel tempo, gli
alberi cadere abbattuti a decine per fare spazio a siepi di acciaio
spinato. Ho visto il cantiere crescere e un pezzo di bosco sparire, le
torri-faro spuntare numerose e l'esercito arrivare a sorvegliare un
desolato sterrato lunare con gli stessi mezzi blindati che pattugliano i
monti afgani.
Così in Val Clarea son tornato una volta ancora in quella ormai celebre
notte di maggio.
Molto, troppo, è stato detto e scritto su quella notte e non sta a me,
né mi interessa, dire come si trascriva quel gesto nella grammatica del
codice penale.
Quello che posso dire è che quella notte c'ero anch'io.
Che non fossi lì con l'intento di perseguire il terrore altrui o anche
peggio, lo può capire qualsiasi persona dotata di buonsenso che abbia
anche solo una lontana idea di quale sia la natura della lotta no-tav e
quale il quadro di coordinate etiche all'interno del quale questa lotta
esprime la sua ventennale resistenza.
Che fossi lì per manifestare una volta di più la mia radicale inimicizia
verso quel cantiere e, se possibile, sabotarne il funzionamento, ve lo
dico io stesso.
E se abbiamo deciso di prendere la parola oggi prima che questo processo
si addentrasse nella selva delle perizie e delle controperizie vocali è
proprio per affermare una semplice verità: quelle voci sono le nostre.
Su questo la procura ha costruito una storia.
Una storia in cui i cellulari diventano prove dell'esistenza di una
catena di comando, addirittura di una pianificazione paramilitare, ma la
verità -come spesso accade- è molto più semplice e meno roboante.
Esiste un motto in Val Susa che da anni è entrato nel bagaglio comune
della lotta no tav e ne orienta nella pratica le azioni di disturbo al
cantiere.
Questo motto è: “si parte e si torna insieme”. A significare che in
questa lotta ci si muove insieme. Insieme si parte e insieme si torna.
Nessuno va lasciato indietro. A questo servivano i telefoni quella
notte, a questo si sono prestate le nostre voci.
Parlare invece di capi, di organigrammi, di commando, di strateghi,
significa voler proiettare su quell'evento l'ombra di un mondo che non
ci appartiene e stravolgere il nostro stesso modo d'essere e di
concepire l'agire comune.
Per quanto mi riguarda lascio agli entusiasti speculatori ad alta
velocità il triste privilegio di non avere scrupolo della vita altrui, e
a loro lascio anche il culto della guerra, del comando e del profitto ad
ogni costo.
Noi ci teniamo stretti i valori della resistenza, della libertà,
dell'amicizia e della condivisione e da questi cercheremo di trarre
forza ovunque le conseguenze delle nostre scelte ci porteranno.
Mattia.
La notte fra il 13 e il 14 maggio ho preso parte al sabotaggio avvenuto
al cantiere della Maddalena a Chiomonte. Ecco svelato l'arcano.
Non mi stupisce che gli inquirenti nel tentativo di ricostruire i fatti
usino parole come “assalto, attentato terroristico, gruppi paramilitari,
armi micidiali”. Per chi è solito vivere e difendere una società
fortemente gerarchizzata non può comprendere quello che è avvenuto negli
ultimi anni in Val di Susa. Per descriverlo attingerà dalla propria
cultura intrisa di termini bellici. Non è mia intenzione annoiarvi sui
motivi per cui ho deciso di impegnarmi nella lotta contro il tav o su
cosa significhi la difesa di quella valle, voglio solo sottolineare che
qualsiasi cosa che abbia a che fare con guerra o eserciti mi fa
ribrezzo.
Capisco lo sgomento dell'opinione pubblica e dei suoi affabulatori per
la ricomparsa di questo illustre sconosciuto, il sabotaggio, dopo che si
erano tanto spesi nel seppellirlo sotto quintali di menzogne.
Alla lotta contro il treno veloce il merito di aver rispolverato tale
pratica, di aver saputo scegliere quando e come impiegarla e di essere
riuscita a distinguere il giusto dal legale.
Alla lotta contro il treno veloce la grossa responsabilità di mantenere
fede alle speranze che molti sfruttati ripongono in lei e di far
assaporare ancora il gusto sapido del riscatto.
Mi permetto di rispedire alcune accuse al mittente. Siamo accusati di
avere agito per colpire delle persone o quantomeno incuranti della loro
presenza, come se provassimo profondo disprezzo per la vita altrui. Se
c'è qualcuno che dimostra tale disprezzo è da ricercare nei militi che
esportano pace e democrazia in giro per il mondo, gli stessi che
presidiano con devozione e professionalità il cantiere della Maddalena.
Per quanto concerne l'accusa di terrorismo non ho intenzione di
difendermi. La solidarietà che abbiamo ricevuto dal giorno del nostro
arresto ad oggi ha smontato a sufficienza un'incriminazione così ardita.
Se dietro quest'operazione c'era il tentativo, non troppo velato, di
chiudere i conti con la lotta no tav una volta per tutte, direi che è
fallito miseramente.
Claudio
I motivi che mi hanno spinto in Val di Susa a prendere parte a questa
lotta sono tanti; i motivi che mi hanno spinto a restare e continuare su
questa strada sono ben di più.
In mezzo c'è un percorso di maturazione collettiva, di assemblee
pubbliche e private, di campeggi e presidi, di confronto e scontro. In
mezzo c'è la vita, quella di tutti i giorni, quella delle alzatacce e
delle nottate insonni, della gola secca sui pendii rocciosi e dei pasti
frugali, dei piccoli impegni e delle grandi emozioni.
In questo percorso chi lotta ha imparato la precisione del linguaggio, a
chiamare le cose per quello che sono e non per l'involucro formale con
cui si pubblicizzano, come un cantiere che prima era un fortino ed ora
sta diventando una fortezza. Parole in grado di restituire il portato
emotivo e l'impatto sulle proprie vite di determinate scelte della
controparte, di chi ha deciso di invischiarsi in questa grande opera.
Parole rispolverate da un lessico che sembrava antico e invece si
riscoprono in tutta la loro potenza e semplicità nel descrivere le
proprie azioni.
Un'accortezza di linguaggio che mi accorgo non essere così diffusa nel
mondo circostante, quando leggo di improbabili ”commando” che secondo
una certa ricostruzione propinata anche dai giornali avrebbero assaltato
il cantiere nella notte del 13 maggio. Una parola quanto mai infelice
non solo per il suo richiamo all'atto del comandare ma anche per una
certa allusione mercenaria, inaccettabile, di chi sarebbe disposto a
qualsiasi mezzo pur di raggiungere il proprio fine.
Di contro chi lotta ha imparato a convogliare con intelligenza persino
le passioni forti e irruente che nascevano dai tanti colpi subiti quando
un amico perdeva un occhio per via di un lacrimogeno o un altro era in
fin di vita.
Per quanto mi riguarda la Val Clarea mi è amica fin da quando nel 2011
rilanciavamo la terra a mani nude nei buchi scavati dalle ruspe durante
gli allargamenti del cantiere.
Ricordo che tra le tende di quel campeggio eccheggiava una canzone, tra
le tante inventate per divertirsi e darsi forza, sulle note di un
vecchio canto partigiano. Il primo verso recitava ”dai boschi di
Giaglione uniti scenderemo....”. In questi anni molte volte è stato dato
seguito e rilanciato quelle parole e qualcuno in quella notte di maggio
ha deciso di farlo con altrettanta convinzione e io ero tra loro. Una
delle voci dietro a quel telefono è la mia. Ma soffermarsi su una
responsabilità personale per tesserne o meno le lodi non è in grado di
restituire quel sentimento collettivo maturato nelle case di tante
famiglie, di valle e di città, o tra una chiacchierata e una bevuta in
un bar, nelle piazze e nelle strade, nei momenti conviviali come quelli
più critici. Un sentimento che ha saputo esprimersi in uno degli slogan
più gridati dopo i nostri arresti e che descrive bene la vera
appartenenza di quel gesto: “dietro a quelle reti c'eravamo tutti...”.
Uno slogan che ci riporta direttamente ad un assemblea popolare tenutasi
a Bussoleno nel maggio 2013 con cui l'intero movimento salutava e
accoglieva quel gesto chiamandolo sabotaggio.
E se dietro quelle reti c'eravamo tutti, dietro queste sbarre un
pezzetto di ognuno ha saputo sostenerci e darci forza. Per questo, anche
qui, qualunque siano le conseguenze delle nostre azioni, ad affrontarle
non saremo soli.
Niccolò.
In quest'aula non troverete le parole per raccontare quella notte di
maggio.
Usate il linguaggio di una società abituata agli eserciti, alle
conquiste, alla sopraffazione.
Gli attacchi militari e paramilitari, la violenza indiscriminata, le
armi da guerra appartengono agli Stati e ai loro emulatori.
Noi abbiamo lanciato il cuore oltre la rassegnazione.
Abbiamo gettato un granello di sabbia nell'ingranaggio di un progresso
il cui unico effetto è l'incessante distruzione del pianeta in cui
viviamo.
C'ero quella notte ed è mia la voce femminile che è stata intercettata.
Ho attraversato un pezzo della mia vita insieme a tutti quegli uomini e
a tutte quelle donne che da più di vent'anni oppongono un no
inappellabile ad un'idea devastante di mondo. Ne sono fiera e felice.
Chiara.