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Quando il nemico parla chiaro

-brevi note sugli ultimi arresti No TAV-

Era nell'aria, l'operazione che il 9 dicembre ha portato all'arresto di
tre compagni e una compagna, accusati di aver partecipato, nella notte
tra il 13 e il 14 maggio scorso, all'azione contro il cantiere del Tav
di Chiomonte.
Non si sapeva naturalmente chi sarebbe stato colpito, né precisamente
per cosa. Ma il ritornello ripetuto ossessivamente negli ultimi mesi un
po' su tutti i media nazionali, dai più noti esponenti del trasversale
Partito del Tav, non lasciava spazio a molti dubbi.
Ai più attenti non era poi sfuggito l'annuncio del procuratore capo
Caselli di anticipare di qualche mese la data del proprio pensionamento.
Una notizia che non lasciava certo presagire nulla di buono: difficile
supporre che un simile personaggio abbandoni le scene in silenzio.
Così, dopo aver saggiato un po' il terreno in estate, indagando e
perquisendo diversi no tav per l'art. 280 (“attentato con finalità di
terrorismo”), l'immancabile duo Padalino-Rinaudo ci riprova alcuni
mesi più tardi, porgendo, con gli arresti di Chiara, Claudio, Mattia e
Niccolò, l'ultimo ossequioso saluto al proprio _Padrino,_ e sperando in
questo modo di scalare qualche altra posizione nella corsa alla sua
successione.
Oltre al già citato 280, i reati contestati sono: “atto di terrorismo
con ordigni micidiali o esplosivi, danneggiamento a mezzo di incendio,
violenza contro pubblico ufficiale, detenzione e trasporto di armi da
guerra”.
Reati che precludono la possibilità di ottenere misure cautelari
alternative (arresti domiciliari, obblighi o divieti di dimora ecc.),
consentono tempi di carcerazione preventiva molto lunghi e minacciano,
se il castello accusatorio dovesse rimanere del tutto integro anche dopo
il processo, di trasformarsi in condanne lunghissime che potrebbero
superare i vent'anni di reclusione.
Nello specifico, i quattro compagni arrestati sono accusati tra le altre
cose di aver, in concorso tra loro e con altri “in fase di
identificazione”, attentato alla vita e all'incolumità delle persone
addette alle opere di costruzione del tunnel esplorativo e delle persone
preposte alla tutela del cantiere e dell'ordine pubblico, al fine di
“costringere i poteri pubblici o un'organizzazione internazionale a
compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto” (in questo caso
il finanziamento e la realizzazione della linea ferroviaria ad alta
velocità Torino-Lione), “arrecando così un grave danno all'Italia e
all'unione Europea”, come recita l'art. 270 _sexies_ c.p.
Se è una semplice constatazione rilevare come in quest'azione contro il
cantiere del Tav nessuno, operaio, militare o poliziotto che fosse,
abbia riportato il benché minimo graffio e prodotto il benché minimo
referto medico, vale la pena invece addentrarci un po' tra le pieghe
dell'art. 270 _sexies_.
Contenuto all'interno del cosiddetto “Pacchetto Pisanu” (luglio
2005), quest'articolo doveva servire a riformulare, ampliandola
notevolmente, la definizione di “condotta terroristica”, sfruttando
l’onda emotiva suscitata dalle stragi di Madrid del 2004 e di Londra
del 2005. Le nuove norme, apparentemente approntate contro le bombe di
Madrid (che costrinsero il governo di Zapatero a ritirare le truppe
dal’Iraq), si caratterizzavano per una voluta vaghezza.
Che a farne le spese in futuro avrebbero potuto essere diversi contesti
di lotta era già allora consapevolezza di compagni e avvocati. Che
l’articolo 270 _sexies_ appaia oggi in un’inchiesta contro dei no
tav non è una sorta di anomalia giudiziaria, bensì l’applicazione di
un dispositivo _pensato sin dall’inizio contro il conflitto
sociale_.
Non è certo un caso che questa carta sia stata _calata_ per la prima
volta proprio a difesa del cantiere di Chiomonte, dove ci avevano già
pensato il filo spinato israeliano, i militari ed i tank provenienti
dall'Afghanistan a rendere sempre più labile il confine tra guerra
interna e guerra esterna.
Ad essere incendiati quella notte sono stati un generatore, la cabina di
alimentazione del ventolino di areazione, alcuni cavi elettrici e dei
tubi di prolunga per il ventolino stesso. Tutte attrezzature atte alla
realizzazione del cunicolo esplorativo, il cui danneggiamento ostacola o
rallenta concretamente il proseguimento dei lavori.
Un atto tutt’altro che _indiscriminato_, un gesto che afferma
_direttamente_ il proprio obiettivo.
Un'azione di sabotaggio esemplare, insomma, uno _zoccolo_ lanciato nella
macchina del cantiere per incepparne il funzionamento.
Cosa tra l'altro ben compresa dal movimento no tav, come dimostrano le
dichiarazioni e i comunicati dei giorni successivi. Per la prima volta
in Italia, da almeno trent'anni a questa parte, un movimento di massa
rivendica la validità del sabotaggio. Nella storia reale, che è ben
altra da quella delle carte giudiziarie, la pratica del sabotaggio è
stata assunta pubblicamente dal movimento proprio perché le costanti e
inequivocabili forme del dissenso di massa alla Grande Opera sono state
costantemente e inequivocabilmente ignorate. Prova ne sia il fatto che
un cantiere per un cunicolo esplorativo è diventato “sito di
interesse strategico nazionale” (la cui definizione, nelle carte di
Rinaudo e Padalino, è ripresa non da qualche norma governativa, bensì
da un periodico dello Stato Maggiore della Difesa...). Tutto ciò ha
creato dei bei grattacapi al Partito del TAV, vista l'autorevolezza di
cui gode la lotta in Valsusa. Anche altrove – pensiamo ad esempio alla
lotta no Muos – la parola sabotaggio è tornata di attualità,
rendendo ancora più preoccupante “la madre di tutte le
preoccupazioni”, come disse la signora Cancellieri-Ligresti.
È sotto questa luce che vanno lette le carte dell'inchiesta.
In seguito agli arresti del 9 dicembre molti hanno giustamente
sottolineato come le accuse di terrorismo, starnazzate da tutta la
stampa, servissero a tentare per l'ennesima volta di dividere il
movimento. Dopo il “siamo tutti black bloc” sostenuto a gran voce in
seguito al 3 luglio, anche questa volta il tentativo di dividere il
movimento in buoni e cattivi, in valligiani pacifici ed estremisti di
fuori, cercando di mettere in un angolo i 4 compagni arrestati, è
miseramente fallito.
Ormai ben pochi potevano nutrire dubbi e anche gli stessi inquirenti non
si facevano troppe illusioni a riguardo. Attraverso queste accuse di
terrorismo, dunque, l'obiettivo che le autorità si prefiggono sembra
essere piuttosto un altro.
Nelle carte dell'inchiesta, gli inquirenti, forzando il piano
strettamente giuridico, sostengono una tesi squisitamente politica. Dopo
aver fatto una breve storia degli atti legislativi e dei vertici
internazionali che hanno portato all'installazione del cantiere di
Chiomonte, i magistrati sostengono che si tratta di procedure
democratiche. L'azione contro il cantiere – assieme allo stillicidio
di pratiche di contrasto di cui il faldone giudiziario fornisce un ampio
elenco – viene definita “terroristica” non tanto per le sue
caratteristiche specifiche, ma in quanto si oppone alla democraticità
di una decisione intergovernativa. Seguiamo questa logica. Tutte le
imposizioni dello Stato hanno un involucro legale, cioè sono
formalmente basate sul Diritto. Tutto ciò che mette realmente in
discussione un progetto statale è dunque passibile di “terrorismo”.
Rimane solo il dissenso platonico. Dare concretezza al proprio NO, che
in fondo è la_ _caratteristica essenziale del movimento no tav, risulta
quindi antidemocratico. Benito Mussolini avrebbe detto “nulla fuori
dallo Stato, nulla contro lo Stato”. Il totalitarismo parla oggi un
linguaggio diverso. Non ti stanno bene le nostre imposizioni
democratiche? Sei un terrorista.
La democrazia è una porta blindata ad ogni dissenso (tranne quello,
consentito, della lamentela); il dissenso non si ferma, la porta viene
blindata con filo spinato e militari; il dissenso si fa sabotaggio, e
questo rivela le “finalità terroristiche” della lotta no tav. In
qualche modo, i due magistrati torinesi dicono _esplicitamente_ ciò che
era finora implicito: le decisioni di uno Stato democratico sono
incontestabili. Qualsiasi lotta, foss'anche una vertenza sindacale,
vuole sempre spingere la controparte a “compiere o astenersi dal
compiere un qualsiasi atto” (come recita il 270 _sexies)._ Il
cosiddetto patto sociale, o la dialettica tra le parti sociali, si
fondava formalmente su questo: domani può diventare diritto ciò che
oggi è illegale. Era l'epoca, cominciata nel Dopoguerra, in cui si
volevano integrare contadini e operai nel Grande Compromesso: se mi date
la forza lavoro, vi concedo diritti. Ebbene, quella Storia lì è
finita. Questa è la Democrazia. Fuori e contro di essa, c'è il Male,
il terrorismo. Dire che tutto ciò potrebbe riguardare qualsiasi
movimento di lotta è a questo punto banale. Meno banale è trarne le
debite conseguenze. Nei passaggi epocali, la classe dominante attacca
frontalmente il nemico nei suoi punti di forza, non in quelli più
deboli. L'impiego della categoria di terrorismo contro il movimento no
tav – per ciò che questo esprime e che simboleggia – è, in tal
senso, _un avviso per tutti_.
A seguire fino in fondo la logica di Rinaudo e Padalino, la natura
“terroristica” della lotta contro il TAV non sta in un suo preteso
“salto di qualità”, bensì nelle sue stesse premesse: in quel NO di
cui vent'anni di esperienze, saperi, confronti, azioni non sono che il
_coerente sviluppo_.
Non essersi rassegnati nemmeno di fronte ai manganelli, ai gas, alle
ruspe, ai Lince, agli arresti, al terrorismo mediatico: ecco il crimine
che contiene tutti gli altri.
In tal senso, la difesa dei compagni arrestati e indagati per
“terrorismo” non è solo un atto di doverosa solidarietà, ma è la
rivendicazione testarda della lotta e delle sue ragioni.
Cogliere la posta in gioco di questa operazione repressiva e rilanciare
le resistenze, in Valle come altrove, è faccenda di ciascuno e di
tutti.