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A proposito di Kavarna

...la passione per la libertà è più forte d'ogni autorità...

Per affrontare l'argomento complesso quanto sconsolante che viene spesso definito «perdita del linguaggio», forse potremmo partire da qualche esempio. Sebbene molto utilizzato, non sempre è il modo più onesto di procedere. Nello scegliere gli esempi, infatti, si può facilmente falsare il ragionamento o magari portare il lettore o l'interlocutore a conclusioni già preesistenti nella mente di chi scrive o parla. Partire dall'esempio, da ciò che comunemente viene chiamato «un fatto», sottolinea il più delle volte una deduzione logica che cammina su un solo piede: si sceglie il «fatto» per arrivare più facilmente ad una conclusione. Ma il ragionamento diventerebbe monco se un altro «fatto» venisse preso come punto di partenza. Da notare che le discussioni o i dialoghi girano spesso a vuoto proprio a causa di tali procedimenti: viene sollevato un fatto per «provare» una tesi, un altro viene sollevato per contestarla, e così via… Alla fine, la discussione ristagna perché non riesce ad andare oltre, verso un dialogo reciproco sulle idee, cosa ben diversa da un duello di fatti, sempre interpretabili e re-interpretabili a volontà, con l’ausilio delle acrobazie del linguaggio.
Ciò detto, procediamo con brio. Poniamo che alcuni anarchici si ritrovino in una piazza a distribuire volantini contenenti un testo con un linguaggio conciso, che parlano di qualcosa che è accaduto (una rivolta, una bella azione diretta, l'annuncio di un progetto del potere, una repressione particolare, poco importa), che bene o male analizzano il contesto in cui la cosa ha avuto luogo e che arrivano, talvolta a colpi di slogan un po’ scontati ma non sempre, a proporre in quella piazza un ragionamento o un'evocazione delle loro idee generali contro questo mondo e sulla vita. Siamo veramente sicuri che un tale volantino possa ancora essere compreso? Perché per arrivare ad una «comprensione» (a titolo contro-informativo, per sollevare i cuori e le braccia, per cercare complicità, per identificare il nemico, poco importa), sono comunque necessari alcuni elementi di base. Ciò che per l’uno è un «fatto che è successo» non lo è necessariamente per l'altro, perché non può collegare l'evocazione di quel fatto con nulla di quanto abbia visto su youtube e seguito sulla sua bacheca facebook. Per quanto riguarda l'analisi di quel fatto, alcuni strumenti della ragione sono altresì indispensabili — è difficile cogliere un'analisi unicamente col sentimento — come i procedimenti logici o una certa capacità di concettualizzare, al fine di poter passare da un fatto ad un contesto o di poter mettere in relazione due fatti singolari. Una tale lettura finalizzata alla comprensione di un semplice volantino, pur essendo ovviamente diversa a seconda di ogni individuo, richiede inoltre un minimo di tempo e una certa concentrazione. Infine, per effettuare il salto dall'analisi all’ambito delle idee, si impongono all’individuo altre esigenze ancor più stravaganti: immaginazione, astrazione, creatività, capacità di ragionamento... Insomma, siamo davvero sicuri che il nostro volantino possa ancora essere compreso?
In passato, nonostante il loro numero sovente limitato, gli anarchici hanno prodotto incredibili quantità di carta. Volantini, giornali, riviste, opuscoli, libri. Accanto all'agitazione orale, venivano usati tutti i mezzi scritti per far vacillare le certezze, nutrire le menti, scuotere il pensiero, spezzare le catene della superstizione e del pregiudizio, diffondere l'idea. Al confronto, malgrado il loro numero spesso ben più superiore, socialisti e comunisti non si sono impegnati in maniera così insistente e stupefacente quanto gli anti-autoritari.
Certo, la lotta contro l'analfabetismo non è stata condotta solo dagli anarchici. Socialisti, progressisti, filantropi ed a partire da un certo momento anche religiosi se ne sono occupati. Infine, con la crescente necessità del capitalismo di disporre di una manodopera leggermente più istruita, con la tendenza dello Stato a rafforzare sempre più il suo controllo sugli individui al fine di trasformarli in «cittadini», specialmente attraverso l’educazione scolastica e, perché no — non siamo pii credenti del solo determinismo economico — con una certa volontà liberale di emancipare i «poveri di spirito», l'analfabetismo non è più stato considerato dal dominio una virtù, ma una piaga. Ovviamente, saper leggere e scrivere non è una capacità «neutra». È intrinsecamente legata al linguaggio, che a sua volta è «creatore di mondi». Le campagne di alfabetizzazione e scolarizzazione di quasi tutte le popolazioni europee non hanno quindi dato il risultato tanto atteso dagli anarchici del secolo scorso: piuttosto che menti libere ed emancipate, con idee proprie e dotate di facoltà di ragionamento e d’immaginazione, ciò che è venuto fuori dalle scuole e dalle loro caserme sono stati generalmente esseri obbedienti e indottrinati.
Se ciò non ha impedito l’esplosione di grandi sollevamenti contro l'esistente — la voce del ventre, della miseria e dell'oppressione ha le proprie ragioni — la mancanza di spiriti liberi e di individualità ha tuttavia costituito un limite enorme nel momento dell’arrivo di nuovi poteri: l’adesione popolare ai fascismi, l'accettazione dello spossessamento dei soviet da parte dei bolscevichi o della partecipazione della CNT al governo per trasformare la rivoluzione in guerra, non si spiegano solo con i rapporti di forza o con basse considerazioni tattiche. Di fronte alle logiche del quantitativo e dell'efficienza, la libertà di spirito individuale è ciò che consente sia di mantenere una visione critica, anche su ciò che ci è vicino al di là di ogni ideologia, e sia di aprire le porte verso altri mondi, verso altre possibilità diverse da quelle dettate dai bisogni materiali, tecnici o militari. Una piccola qualità indispensabile per approfondire qui e ora l'agire contro questo mondo, così come per evitare i tranelli ​​della facilità e della riproduzione del potere, una volta messo con le spalle al muro dai grandi sconvolgimenti sociali.
E se questo problema era già presente nel secolo scorso, cosa possiamo aspettarci oggi, nel mondo attuale, in cui la voce e l'immaginario del potere non sono più dotati solo di scuole, ma anche di televisori in ogni casa, di telefoni intelligenti in ogni tasca, di un incessante bombardamento di flussi di «fatti» e «informazioni»? Di incontrare spiriti liberi ed emancipati?
Il fatto che la capacità di leggere e scrivere non dica in fondo granché, è dimostrato da ciò che ormai è definito «analfabetismo funzionale», ovvero la capacità di leggere e scrivere accompagnata da una incapacità di comprenderne il significato. Se vogliamo per un istante dimenticare il nostro orrore delle statistiche — per quanto sembrino confermare il nostro vissuto quotidiano —, questo fenomeno starebbe sommergendo il mondo assumendo proporzioni di pandemia. In Francia, oltre il 60% degli adulti ne sarebbe interessato, mentre in Italia e in Spagna i tassi sfiorerebbero l'80%. Stupore, perché ciò vorrebbe dire che meno di una persona su due sarebbe ancora in grado non di leggere, ma di cogliere il significato di un discorso, di un'analisi, di un'idea. È davvero così? Difficile da dire. Ma quando constatiamo quotidianamente che le idee anarchiche hanno, ancor più che nel passato, pochi immaginari collettivi a cui ricorrere per facilitarne la comprensione, la «perdita del linguaggio», la perdita del «linguaggio della ribellione», diventano innegabili. Come dialogare, scambiare, discutere, approfondire, nutrire la mente, esacerbare l’immaginazione quando la persona che ci sta davanti non coglie il significato generale di ciò che diciamo, ma ne afferra al massimo un dettaglio particolare (il che, detto per inciso, è una sindrome che si manifesta sempre più spesso nelle assemblee anti-autoritarie)? Quando non esiste un mondo interiore a cui collegare ciò di cui vogliamo parlare? Quando il linguaggio è a volte privo di vocabolario, o quando questo diventa essenzialmente funzionale? Quando in aggiunta a tutto ciò, in materia di idee anche vaghe e generali, si mescolano i grandi trafficanti di senso come i predicatori religiosi, i confusionisti youtuber, o gli abbreviatori di tale o tal’altra applicazione (del tipo snapchat o whatsapp, per essere chiari)? Quando il luogo del detto e della parola viene respinto ad esclusivo beneficio dell'immagine?
Quando un fenomeno assume una tale portata, la nostra mente scettica non può accontentarsi di liquidarlo nel lungo elenco della stupidità umana. È la differenza tra una rissa fra due persone che si picchiano per una ragione che può sfuggirci, e milioni di persone che si uccidono a vicenda durante una guerra. La prima situazione può provocare un'alzata di spalle, è un incidente che capita sul cammino della vita, né più né meno. La seconda situazione ci incita necessariamente a voler sondare le ragioni di quella guerra, gli interessi, i meccanismi che sono in gioco. Allora, in un mondo in cui prevale il valore dell’«informazione», come è possibile che l'oscurantismo nella sua versione «analfabetismo funzionale» sembra essere diventato la nuova norma? Così come l'introduzione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione è comparsa negli anni 80, ed è stata effettivamente pensata come un superamento dell'antagonismo di classe derivante da un certo modello di capitalismo industriale (le grandi fabbriche, le grandi concentrazioni di proletari che vivono in condizioni simili, facilitando la possibilità dell’emergere di comunità di lotta che si oppongono alla classe ben circoscritta dei padroni), ed era quindi un progetto del dominio, la distruzione del linguaggio diverso da quello funzionale allo Stato e al capitale a nostro avviso deriva anch’esso da un progetto. Se è impossibile prevenire — cioè impedire che si manifestino — le febbri di rabbia contro il vuoto assoluto di questo mondo o contro la sua sanguinosa ferocia, rimane di certo possibile prevenire l’emergere, la diffusione, la contaminazione di idee rivoluzionarie ed emancipatrici.
In passato, gli anarchici venivano inviati alla Guyana solo per aver distribuito un volantino (grazie alle leggi scellerate). I giornali venivano sequestrati, i loro redattori o amministratori gettati in prigione. Lo Stato imperversava censurando, ostacolando la diffusione, rinchiudendo i propagatori e gli agitatori dell'idea. Oggi, non solo può continuare a far ciò in base ai suoi bisogni (anche in Europa; è una costante della repressione prendere di mira coloro che animano locali, pubblicazioni, iniziative), ma dispone inoltre anche di strumenti formidabili per tagliare, dall'altra parte, la potenziale ricezione del messaggio. Distruggendo la capacità umana di comprendere il significato, il senso di un'espressione, il dominio mina anche la potenzialità che la sua rabbia, la sua rivolta si faccia idea, visione, sogno. Creatore di mondi, il linguaggio — orale o scritto — è uno dei veicoli, ci piaccia o no, attraverso cui passa «l’elevazione individuale della mente». E per distruggere il dominio, non abbiamo bisogno solo della dinamite e della rivolta, ma anche di questa «elevazione».
Per tornare al nostro esempio iniziale, è sempre meno certo che la nostra agitazione scritta possa ancora venire compresa, in ogni caso non da sola (e ancor meno quando idea e azione non si alimentano più come vasi comunicanti). Dobbiamo allora rinunciarvi, dobbiamo rassegnarci al progetto del dominio di abbrutimento dello spirito umano? Sicuro, potremmo farlo. Ma finché ci siamo, andiamo fino in fondo. Basta libri (ad ogni modo ce ne sono già tanti, bastano al pugno di anarchici che tentano ancora di appropriarsi del loro contenuto), basta riviste e bollettini (a che serve la teoria?), basta occasioni per scambiare e dibattere (solo gli sbirri se ne interessano), limitiamoci ai fatti e al concreto. E il clamore della nostra agitazione si muterà in sussurri, ed i sussurri in silenzio, e il silenzio alla fine concluderà l'idea. Storia finita. È una china fatale.
Oppure, preferendo l’esagitato che cerca tenacemente di abbattere i mulini a vento al piccolo ragioniere che ci vede poca efficacia e soprattutto solo illusioni, non possiamo non tener conto della progressiva distruzione del linguaggio. Se rifiutiamo le soluzioni, sempre più sostenute persino da alcuni anarchici (i militanti di sinistra non avevano esitato un secondo), che consistono grosso modo nell'adattarsi al «livello» di questo mondo — trasformando l'idea in immagine, riducendo l'analisi ad alcuni slogan premasticati, ripetendo banalità pensando di usare un linguaggio «chiaro e conciso» — quale avvenire è riservato all'agitazione anarchica?
Nel rileggere le pubblicazioni del passato, vi troviamo non solo l’amore per l'idea e un linguaggio che è per l’appunto «creatore di un mondo», ma il più delle volte anche un linguaggio «chiaro e conciso» che non ha il gusto amaro della banalità. La confusione era ovviamente diffusa anche tra gli anarchici, ma si cercava instancabilmente di superarla piuttosto che di mantenerla. Ci si dirà che ciò corrispondeva a un mondo che oggi non c’è più, un mondo in cui si lottava accanitamente, dove il nostro sangue scorreva spesso, così come quello dei nostri nemici, dove degli immaginari collettivi accompagnavano gli accessi di febbre. Questo è vero, e non si può resuscitare un passato che in ogni caso non può ritornare.
Ma perché ciò dovrebbe impedire alla nostra agitazione di continuare ad accarezzare gli stessi slanci di vita: combattere i luoghi comuni e i pregiudizi del tempo, rafforzare le capacità di ragionamento e la sensibilità degli individui, identificare il nemico e abbozzare dei suggerimenti su come colpirlo, infrangere le porte del realismo per incitare ad avventurarsi nelle vaste pianure, negli oceani tempestosi e sulle maestose montagne dell'idea, dell'utopia? Non foss’altro perché rinunciarvi non farebbe che portare acqua al mulino del progetto di abbrutimento del dominio.

Un camion di una catena di supermercati fermo a pochi centimetri dal baratro — la voragine provocata dal crollo del ponte Morandi di Genova — col motore ancora acceso e i tergicristalli in funzione. Tutt'attorno, il panico, le urla, la morte, la desolazione.
Non è solo l’immagine simbolo della tragedia appena avvenuta nel capoluogo ligure, in un certo senso è l’immagine simbolo di questa civiltà. Una civiltà fondata sul denaro e sulla sua circolazione. Tutt'attorno, il panico, le urla, la morte, la desolazione.
Tutto è collegato. Esseri umani che devono correre su e giù per procurarsi quel denaro necessario a procurarsi merci che devono essere trasportate su e giù. Esseri umani che non sono più nulla oltre un nome, ogni grandezza d’animo è bandita in loro e vengono sollecitati soltanto a possedere carte di credito e ad acquistare beni di consumo. Dall’altra parte, merci che non valgono nulla oltre un prezzo, ogni qualità è bandita in esse e vengono prodotte soltanto per ricavare un profitto e soddisfare bisogni spesso indotti.
Tutto è collegato. Questi esseri umani scadenti, queste merci scadenti, percorrono strade di cemento su macchine d'acciaio sempre più veloci. Strade che, per arrivare dappertutto, devono essere costruite dappertutto, devastando la natura dappertutto. Macchine la cui costruzione e il funzionamento non solo provocano un inquinamento letale con innumerevoli vittime, ma la cui alimentazione richiede quel petrolio che è da sempre sinonimo di guerre, massacri, esodi. C'è forse da stupirsi se spesso anche queste strade, anche queste macchine, si rivelano scadenti?
Tutto è collegato. Quando i conti correnti sulle grandi infrastrutture finiscono davanti a un baratro, c'è sempre qualcuno che vorrebbe macchine ancora più potenti, strade ancora più numerose. Lo stesso, ma di più, sempre di più. E c'è sempre qualcuno che vorrebbe macchine un po' meno grosse, strade un po' meno trascurate. Lo stesso, ma un po' meno, sempre un po' meno. Che il baratro vada sorvolato o aggirato, in fondo è lo stesso – purché l'economia continui a girare, purché il denaro continui a circolare.
Ma se tutto è collegato, se su quel ponte di Genova è l'intera civiltà ad essere rimasta bloccata col motore acceso, allora non c'è affatto bisogno dello Stesso – c'è bisogno di Tutt'Altro. Ecco perché i titani del Progresso ci sono estranei e nemici quanto i pigmei della Decrescita. Non è di certo la loro amata politica ad essere in grado di metter fine al potere del Denaro, alla ragion di Stato, al culto del Lavoro – bensì una totale diserzione dalle istituzioni accompagnata da una completa disfatta industriale. Premessa minima per reinventare la vita. Non è una fatalità da attendere in dono con l'ultima definitiva catastrofe, solo evento reputato capace di risvegliare una coscienza assopita dallo smartphone. È una possibilità da vivere adesso, da strappare alla rassegnazione e da giocare nella rivolta. Con le idee e con i fatti.
[17/8/18]
Tratto da: Finimondo

Questa è la parte finale di un piccolo saggio scritto da Fredy Perlman. In questi giorni di "spari e legnate" al diverso, e annunci sui treni contro chi ha la pelle un po' più olivastra, cercare la radice dell'oblio di questa società non può che far riflettere. Il pensiero è dinamite.

Il vincolo razziale generatore d'identità

Queste revisioni furono compiute tramite l'arricchimento del pensiero iniziale attingendo a Mussolini, a Hitler a allo Stato sionista di Israele. La teoria mussoliniana dello sbocciare della nazione all'interno dello Stato era un dogma centrale. Ogni gruppo di persone, piccolo o grande, che lavorasse o meno nell'industria, concentrato o disperso, era considerato nazione, non in funzione di un passato, ma in rapporto alla sua “aria”, alle sue potenzialità, queste ultime ancorate al fronte di liberazione nazionale. La maniera che ebbe Hitler (e i sionisti) di considerare la nazione come un'entità razziale era un altro dogma fondamentale. I quadri erano reclutati fra la gente spoliata da legami con i propri antenati e i propri costumi. Di conseguenza, non si distinguevano i liberatori dagli oppressi in funzione della lingua, delle credenze, delle tradizioni e delle armi. Ciò che li legava era lo stesso legame che univa i servitori bianchi ai padroni bianchi in America. Il “legame razziale” dava un'identità a coloro che non ne avevano, un legame di parentela a coloro che erano senza famiglia, una comunità a coloro che avevano perso la loro. Era l'ultimo legame per chi non aveva più cultura.

Il pensiero revisionista poteva essere allo stesso modo applicato agli africani, ai navajos, agli apaches, allo stesso modo che ai palestinesi. I riferimenti a Mussolini, a Hitler, ai sionisti vengono giudiziosamente mascherati poiché Mussolini e Hitler non erano riusciti a restare al potere e i sionisti, che vi erano riusciti, avevano fatto del loro Stato il gendarme del mondo contro tutti gli altri fronti di liberazione nazionale. Bisogna riconoscere che l'influenza di Lenin, Mao e Stalin si è estesa ben al di là del loro merito.

I modelli revisionisti e universali funzionano più o meno come gli originali ma con meno urti. La liberazione nazionale è divenuta una scienza applicata. L'apparato è stato frequentemente messo alla prova, i numerosi punti deboli dei modelli originali sono stati rettificati. Le sole cose necessarie per farli funzionare oggi sono: un conduttore, una cinghia di trasmissione e del combustibile.

Il conduttore, ovviamente, è il teorico stesso o il suo più vicino discepolo. La cinghia di trasmissione è lo stato maggiore, l'organizzazione, lo si chiami anche partito o Partito comunista. Il Partito comunista, con la “c” piccola, corrisponde esattamente all'idea che se ne è fatta la coscienza popolare. È il nucleo dell'organizzazione poliziesca che effettua le purghe e che sarà a sua volta purgato una volta che un capo sarà diventato leader nazionale e sentirà il bisogno di revisionare il Pensiero invariante fin quando questo si adatterà alla famiglia delle nazioni o almeno ai fornitori di munizioni, ai banchieri e ai finanziatori di questa famiglia. Infine, un combustibile: la nazione oppressa, le masse che soffrono, il popolo da liberare, sono e continueranno ad essere il combustibile.

Il capo e il suo stato maggiore non sono spinti dall'esterno. Essi non sono agitatori stranieri. Sono i prodotti integrali del modo di produzione capitalista. Questo modo di produzione è stato sempre accompagnato dal razzismo. Il Razzismo non è una componente necessaria alla produzione , ma (in certe manifestazioni) è stato una componente necessaria al processo di accumulazione primitiva del capitale ed ha quasi sempre avuto la sua parte in seno al processo di produzione. Le nazioni industrializzate si sono procurate il loro capitale primitivo con l'espropriazione, la deportazione, la persecuzione e la segregazione, senza parlare dello sterminio di gente designata come preda legittima. I legami di parentela spezzati, la zona distrutta, i costumi e le tendenze culturali estirpati.

I discendenti dei sopravvissuti a tali assalti hanno fortuna se riescono a conservare la minima reliquia, la più piccola ombra evanescente della cultura dei loro antenati. Un buon numero di discendenti non ne detengono nemmeno l'ombra. Essi sono completamente spossessati. Vanno al lavoro, rinforzano l'apparato che ha distrutto la cultura dei loro antenati. E nel mondo del lavoro sono relegati ai margini, negli impieghi più sgradevoli e mal pagati. Questo li rende folli. Un imballatore, per esempio, può saperne sui depositi e sulle commissioni più del direttore, e può sapere che il razzismo è la ragione per cui egli non è direttore e il direttore non è imballatore. Un agente di polizia può sapere che a causa del razzismo egli non è capo di polizia. I fronti di liberazione nazionale affondano le loro radici fra persone che hanno perduto le loro, che sognano di essere direttori di grandi magazzini e capi di polizia. È così che si formano i capi e gli stati maggiori.

Il nazionalismo continua ad attirare gli sprovveduti perché le altre prospettive sembrano loro chiuse. La cultura degli antenati è stata distrutta, quindi, a livello pragmatico, essa è fallita. I soli antenati sopravvissuti sono quelli che si sono adattati al sistema dell'invasore, e le numerose “mitologie del proletariato” sono anch'esse fallite, non si sono rivelate giuste nella pratica, erano solo stupidaggini, sogni andati in fumo, castelli in aria. Il vero proletariato è stato tanto razzista quanto i padroni e la polizia.

L'imballatore e l'agente di polizia hanno perduto ogni contatto con l'antica cultura. I castelli in aria e le utopie non li interessano, essi li ritengono con lo spirito meschino degli uomini d'affari che disprezzano i poeti, i sogni e la gente creativa. Il nazionalismo offre loro qualcosa di concreto, qualcosa che è stato provato e che funziona. Per i discendenti delle popolazioni perseguitate, non esiste ragione al mondo per restare perseguitati quando il nazionalismo offre prospettive per diventare persecutori. I parenti vicini e lontani delle vittime possono formare uno Stato-nazione razzista, possono raggruppare quanta gente vogliono, perpetrare una guerra genocida, estorcere il capitale primitivo. E se i “parenti di razza” delle vittime di Hitler possono fare questo, lo possono fare anche i parenti vicini e lontani delle vittime di Washington, Jackson, Reagan e Begin.

La persistente attrattiva del nazionalismo

Ogni popolazione oppressa può diventare una nazione, il negativo fotografico della nazione che opprime, un luogo dove l'ex imballatore diventa direttore di supermercato e l'ex agente diventa capo della polizia.

Applicando la corretta strategia, ogni agente di polizia può seguire l'esempio della guardia pretoriana dell'antica Roma. Gli agenti di sicurezza di un trust minerario straniero possono proclamare la repubblica, liberare il popolo e continuare a liberarlo fino a quando a questo ultimo non resti altro da fare che pregare perché questa liberazione abbia fine. Anche prima della presa del potere una gang può chiamarsi Fronte e offrire ai poveri, subissati di tasse e costantemente controllati dalla polizia, qualcosa che ancora manca loro: un'organizzazione che raccolga il bottino e una truppa d'assalto, cioè più esattori e poliziotti, ma “propri” questa volta. In tal modo, la gente può essere liberata dalle ultime tracce dei loro antenati perseguitati. Tutte le reliquie che ancora sopravvivono, risultato dell'epoca pre-industriale e delle culture non capitaliste, possono infine essere completamente estirpate.

L'idea che la conoscenza dei genocidi, che il ricordo degli olocausti conduca necessariamente la gente a voler smantellare il sistema, è erronea. L'attrattiva persistente del nazionalismo suggerisce che è l'inverso, cioè che la conoscenza dei genocidi ha condotto la gente a mobilitare eserciti, generando altri genocidi.

Mi sembra che almeno una delle osservazioni di Marx sia vera: ogni istante dato a favore della produzione capitalista, ogni pensiero che contribuisce a fare andare avanti il sistema industriale, rafforza sempre di più un potere che è nemico della natura, della cultura, della vita. La scienza applicata non è estranea a tutto ciò. Essa fa parte integrante del processo di produzione capitalista. Il nazionalismo non viene da altro, esso è il prodotto del processo di produzione capitalista, come gli agenti chimici che inquinano i laghi, l'atmosfera, gli animali e la gente; come le centrali nucleari che contaminano i micro-ambienti prima di contaminare i macro-ambienti.

Per ultimo, mi piacerebbe rispondere ad una domanda prima che mi venga posta:

Non credi che il discendente di un popolo oppresso possa dire di avere ottenuto di più se diventa direttore di un grande magazzino o commissario di polizia?

A guisa di risposta, porrò un altra domanda:

Qual è il direttore di campo di concentramento, boia o torturatore che non discenda da un popolo oppresso?

Fredy Perlman

[da Anarchismo, anno III, n. 58, ottobre 1987]

Lo scorso 17 luglio, a Roma, una bambina rom di un anno è stata colpita alla schiena da un proiettile di carabina ad aria compressa, mentre si trovava in braccio alla madre. Probabilmente rimarrà paralizzata. Ma è una zingara, e tanto basta. Lo scorso 26 luglio, nei pressi di Palermo, un senegalese è stato aggredito, insultato e picchiato dai clienti del ristorante dove lavora come cameriere. Ma è un negro, e tanto basta. Più o meno nelle stesse ore, nei pressi di Vicenza, un operaio capoverdiano è stato colpito da un proiettile di carabina ad aria compressa mentre si trovava al lavoro. Ma anche lui è un negro, e tanto basta.
Infastidito dalle insistenti domande dei giornalisti a proposito di simili episodi, due giorni fa il ministro dell'Interno Matteo Salvini ha dichiarato che «l'allarme razzismo è un'invenzione della sinistra». Fatta questa precisazione, ha potuto tornare ad occuparsi di allarmi reali, quali le violenze subite dalle forze dell'ordine da parte dei "giovani dei centri sociali". E il clima si è subito disteso.
Infatti la scorsa notte, ad Aprilia, un marocchino sospettato di essere un ladro è stato inseguito, raggiunto e pestato a morte da tre tizi. Ma era un quasi negro, e tanto basta. Nel corso della stessa notte, nei pressi di Torino, una ragazza nata in Italia da genitori nigeriani è stata colpita all'occhio da un uovo lanciato da qualcuno su una macchina in corsa. È una negra, e tanto dovrebbe bastare… se non fosse che è un'atleta della Nazionale Azzurra di atletica leggera. Ops, l'uovo ha fatto la frittata? Pazienza, andrà meglio la prossima spedizione punitiva.
Chissà perché, ma per evitare di pensare a tutte queste cose ci viene in mente Alessandro Profumo. Dopo essere stato presidente del Monte dei Paschi di Siena (la banca del crack da 50 miliardi di euro) è oggi a capo della Leonardo, erede di Finmeccanica, una delle maggiori industrie belliche del mondo. È un super top-manager italiano, e tanto basta.

Domani sarà il 29 luglio. Una data da ricordare per l'incessante rivolta dell'individuo contro il potere. Noi ricordiamo quello che è successo a Monza 118 anni fa, consigliandovi un libro, presente nella nostra libreria "La Leggera".

Giuseppe Ciancabilla

VIVA  BRESCI !

 

Gaetano Bresci e Giuseppe Ciancabilla. Su di loro è sempre aleggiato il sospetto di essere stati complici in uno dei più celebri assassini della storia, avvenuto la sera del 29 luglio 1900 a Monza — quello di Umberto I, freddato con tre colpi di rivoltella dall’anarchico venuto dall’America.

Subito dopo la morte del re, in tutta Italia si scatenò la caccia all’anarchico. I giornali evocarono complotti, ipotizzando perfino un’estrazione a sorte fatta fra gli anarchici italiani emigrati a Paterson, per stabilire chi dovesse ammazzare il monarca. Tutte sciocchezze. Gli anarchici non sono soldatini usi ad obbedir tacendo. E un simile atto lo si compie non su mandato del caso, bensì sulla spinta di una decisione irrevocabile presa in piena coscienza. Ma gli inquirenti non avevano dubbi: Bresci non era stato che il braccio dell’azione omicida. Quanto alla mente, i loro sospetti si concentrarono soprattutto su Ciancabilla, che proprio a Paterson dirigeva il giornale anarchico L’Aurora.

Abbiamo qui raccolto gli articoli che l’anarchico di Roma dedicò al suo compagno di Prato, di cui seguirà con commozione tutto il calvario fino all’epilogo, fino alla macabra messinscena in carcere del suo “suicidio”.  Mentre i socialisti, parlamentari e  alcuni anarchici, si affrettarono a condannare il regicidio, Ciancabilla non esitò ad esaltare il gesto di Bresci, ad insultarne i detrattori, a difenderne la memoria, ad invocarne la vendetta. Per primo lanciò a voce alta quel grido — Viva Bresci!  — che dopo quel 29 luglio si diffuse nell’intero paese in ogni ambito sociale. Sono due parole, sono dieci lettere che da oltre un secolo esprimono la rivolta dell’individuo contro il potere.

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