Autore: Kavarna
Collegamenti – Sulla tragedia di Genova
Il richiamo costante del nazionalismo
Questa è la parte finale di un piccolo saggio scritto da Fredy Perlman. In questi giorni di "spari e legnate" al diverso, e annunci sui treni contro chi ha la pelle un po' più olivastra, cercare la radice dell'oblio di questa società non può che far riflettere. Il pensiero è dinamite.
Il vincolo razziale generatore d'identità
Queste revisioni furono compiute tramite l'arricchimento del pensiero iniziale attingendo a Mussolini, a Hitler a allo Stato sionista di Israele. La teoria mussoliniana dello sbocciare della nazione all'interno dello Stato era un dogma centrale. Ogni gruppo di persone, piccolo o grande, che lavorasse o meno nell'industria, concentrato o disperso, era considerato nazione, non in funzione di un passato, ma in rapporto alla sua “aria”, alle sue potenzialità, queste ultime ancorate al fronte di liberazione nazionale. La maniera che ebbe Hitler (e i sionisti) di considerare la nazione come un'entità razziale era un altro dogma fondamentale. I quadri erano reclutati fra la gente spoliata da legami con i propri antenati e i propri costumi. Di conseguenza, non si distinguevano i liberatori dagli oppressi in funzione della lingua, delle credenze, delle tradizioni e delle armi. Ciò che li legava era lo stesso legame che univa i servitori bianchi ai padroni bianchi in America. Il “legame razziale” dava un'identità a coloro che non ne avevano, un legame di parentela a coloro che erano senza famiglia, una comunità a coloro che avevano perso la loro. Era l'ultimo legame per chi non aveva più cultura.
Il pensiero revisionista poteva essere allo stesso modo applicato agli africani, ai navajos, agli apaches, allo stesso modo che ai palestinesi. I riferimenti a Mussolini, a Hitler, ai sionisti vengono giudiziosamente mascherati poiché Mussolini e Hitler non erano riusciti a restare al potere e i sionisti, che vi erano riusciti, avevano fatto del loro Stato il gendarme del mondo contro tutti gli altri fronti di liberazione nazionale. Bisogna riconoscere che l'influenza di Lenin, Mao e Stalin si è estesa ben al di là del loro merito.
I modelli revisionisti e universali funzionano più o meno come gli originali ma con meno urti. La liberazione nazionale è divenuta una scienza applicata. L'apparato è stato frequentemente messo alla prova, i numerosi punti deboli dei modelli originali sono stati rettificati. Le sole cose necessarie per farli funzionare oggi sono: un conduttore, una cinghia di trasmissione e del combustibile.
Il conduttore, ovviamente, è il teorico stesso o il suo più vicino discepolo. La cinghia di trasmissione è lo stato maggiore, l'organizzazione, lo si chiami anche partito o Partito comunista. Il Partito comunista, con la “c” piccola, corrisponde esattamente all'idea che se ne è fatta la coscienza popolare. È il nucleo dell'organizzazione poliziesca che effettua le purghe e che sarà a sua volta purgato una volta che un capo sarà diventato leader nazionale e sentirà il bisogno di revisionare il Pensiero invariante fin quando questo si adatterà alla famiglia delle nazioni o almeno ai fornitori di munizioni, ai banchieri e ai finanziatori di questa famiglia. Infine, un combustibile: la nazione oppressa, le masse che soffrono, il popolo da liberare, sono e continueranno ad essere il combustibile.
Il capo e il suo stato maggiore non sono spinti dall'esterno. Essi non sono agitatori stranieri. Sono i prodotti integrali del modo di produzione capitalista. Questo modo di produzione è stato sempre accompagnato dal razzismo. Il Razzismo non è una componente necessaria alla produzione , ma (in certe manifestazioni) è stato una componente necessaria al processo di accumulazione primitiva del capitale ed ha quasi sempre avuto la sua parte in seno al processo di produzione. Le nazioni industrializzate si sono procurate il loro capitale primitivo con l'espropriazione, la deportazione, la persecuzione e la segregazione, senza parlare dello sterminio di gente designata come preda legittima. I legami di parentela spezzati, la zona distrutta, i costumi e le tendenze culturali estirpati.
I discendenti dei sopravvissuti a tali assalti hanno fortuna se riescono a conservare la minima reliquia, la più piccola ombra evanescente della cultura dei loro antenati. Un buon numero di discendenti non ne detengono nemmeno l'ombra. Essi sono completamente spossessati. Vanno al lavoro, rinforzano l'apparato che ha distrutto la cultura dei loro antenati. E nel mondo del lavoro sono relegati ai margini, negli impieghi più sgradevoli e mal pagati. Questo li rende folli. Un imballatore, per esempio, può saperne sui depositi e sulle commissioni più del direttore, e può sapere che il razzismo è la ragione per cui egli non è direttore e il direttore non è imballatore. Un agente di polizia può sapere che a causa del razzismo egli non è capo di polizia. I fronti di liberazione nazionale affondano le loro radici fra persone che hanno perduto le loro, che sognano di essere direttori di grandi magazzini e capi di polizia. È così che si formano i capi e gli stati maggiori.
Il nazionalismo continua ad attirare gli sprovveduti perché le altre prospettive sembrano loro chiuse. La cultura degli antenati è stata distrutta, quindi, a livello pragmatico, essa è fallita. I soli antenati sopravvissuti sono quelli che si sono adattati al sistema dell'invasore, e le numerose “mitologie del proletariato” sono anch'esse fallite, non si sono rivelate giuste nella pratica, erano solo stupidaggini, sogni andati in fumo, castelli in aria. Il vero proletariato è stato tanto razzista quanto i padroni e la polizia.
L'imballatore e l'agente di polizia hanno perduto ogni contatto con l'antica cultura. I castelli in aria e le utopie non li interessano, essi li ritengono con lo spirito meschino degli uomini d'affari che disprezzano i poeti, i sogni e la gente creativa. Il nazionalismo offre loro qualcosa di concreto, qualcosa che è stato provato e che funziona. Per i discendenti delle popolazioni perseguitate, non esiste ragione al mondo per restare perseguitati quando il nazionalismo offre prospettive per diventare persecutori. I parenti vicini e lontani delle vittime possono formare uno Stato-nazione razzista, possono raggruppare quanta gente vogliono, perpetrare una guerra genocida, estorcere il capitale primitivo. E se i “parenti di razza” delle vittime di Hitler possono fare questo, lo possono fare anche i parenti vicini e lontani delle vittime di Washington, Jackson, Reagan e Begin.
La persistente attrattiva del nazionalismo
Ogni popolazione oppressa può diventare una nazione, il negativo fotografico della nazione che opprime, un luogo dove l'ex imballatore diventa direttore di supermercato e l'ex agente diventa capo della polizia.
Applicando la corretta strategia, ogni agente di polizia può seguire l'esempio della guardia pretoriana dell'antica Roma. Gli agenti di sicurezza di un trust minerario straniero possono proclamare la repubblica, liberare il popolo e continuare a liberarlo fino a quando a questo ultimo non resti altro da fare che pregare perché questa liberazione abbia fine. Anche prima della presa del potere una gang può chiamarsi Fronte e offrire ai poveri, subissati di tasse e costantemente controllati dalla polizia, qualcosa che ancora manca loro: un'organizzazione che raccolga il bottino e una truppa d'assalto, cioè più esattori e poliziotti, ma “propri” questa volta. In tal modo, la gente può essere liberata dalle ultime tracce dei loro antenati perseguitati. Tutte le reliquie che ancora sopravvivono, risultato dell'epoca pre-industriale e delle culture non capitaliste, possono infine essere completamente estirpate.
L'idea che la conoscenza dei genocidi, che il ricordo degli olocausti conduca necessariamente la gente a voler smantellare il sistema, è erronea. L'attrattiva persistente del nazionalismo suggerisce che è l'inverso, cioè che la conoscenza dei genocidi ha condotto la gente a mobilitare eserciti, generando altri genocidi.
Mi sembra che almeno una delle osservazioni di Marx sia vera: ogni istante dato a favore della produzione capitalista, ogni pensiero che contribuisce a fare andare avanti il sistema industriale, rafforza sempre di più un potere che è nemico della natura, della cultura, della vita. La scienza applicata non è estranea a tutto ciò. Essa fa parte integrante del processo di produzione capitalista. Il nazionalismo non viene da altro, esso è il prodotto del processo di produzione capitalista, come gli agenti chimici che inquinano i laghi, l'atmosfera, gli animali e la gente; come le centrali nucleari che contaminano i micro-ambienti prima di contaminare i macro-ambienti.
Per ultimo, mi piacerebbe rispondere ad una domanda prima che mi venga posta:
Non credi che il discendente di un popolo oppresso possa dire di avere ottenuto di più se diventa direttore di un grande magazzino o commissario di polizia?
A guisa di risposta, porrò un altra domanda:
Qual è il direttore di campo di concentramento, boia o torturatore che non discenda da un popolo oppresso?
Fredy Perlman
[da Anarchismo, anno III, n. 58, ottobre 1987]
E tanto basta
Viva Bresci! Contro il piombo sugli oppressi di Bava Beccaris!
Domani sarà il 29 luglio. Una data da ricordare per l'incessante rivolta dell'individuo contro il potere. Noi ricordiamo quello che è successo a Monza 118 anni fa, consigliandovi un libro, presente nella nostra libreria "La Leggera".
Giuseppe Ciancabilla
VIVA BRESCI !
Gaetano Bresci e Giuseppe Ciancabilla. Su di loro è sempre aleggiato il sospetto di essere stati complici in uno dei più celebri assassini della storia, avvenuto la sera del 29 luglio 1900 a Monza — quello di Umberto I, freddato con tre colpi di rivoltella dall’anarchico venuto dall’America.
Subito dopo la morte del re, in tutta Italia si scatenò la caccia all’anarchico. I giornali evocarono complotti, ipotizzando perfino un’estrazione a sorte fatta fra gli anarchici italiani emigrati a Paterson, per stabilire chi dovesse ammazzare il monarca. Tutte sciocchezze. Gli anarchici non sono soldatini usi ad obbedir tacendo. E un simile atto lo si compie non su mandato del caso, bensì sulla spinta di una decisione irrevocabile presa in piena coscienza. Ma gli inquirenti non avevano dubbi: Bresci non era stato che il braccio dell’azione omicida. Quanto alla mente, i loro sospetti si concentrarono soprattutto su Ciancabilla, che proprio a Paterson dirigeva il giornale anarchico L’Aurora.
Abbiamo qui raccolto gli articoli che l’anarchico di Roma dedicò al suo compagno di Prato, di cui seguirà con commozione tutto il calvario fino all’epilogo, fino alla macabra messinscena in carcere del suo “suicidio”. Mentre i socialisti, parlamentari e alcuni anarchici, si affrettarono a condannare il regicidio, Ciancabilla non esitò ad esaltare il gesto di Bresci, ad insultarne i detrattori, a difenderne la memoria, ad invocarne la vendetta. Per primo lanciò a voce alta quel grido — Viva Bresci! — che dopo quel 29 luglio si diffuse nell’intero paese in ogni ambito sociale. Sono due parole, sono dieci lettere che da oltre un secolo esprimono la rivolta dell’individuo contro il potere.