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A proposito di Kavarna

...la passione per la libertà è più forte d'ogni autorità...

L’intento del bollettino è quello di stimolare analisi e portare spunti di riflessione sull’attuale instaurazione dello stato d’emergenza. All’interno c’è una sezione dedicata alle rivolte e resistenze che si stanno diffondendo all’interno di carceri e centri di detenzione per persone migranti di tutto il mondo, contro l’ulteriore repressione imposta dalla situazione d’emergenza legata al coronavirus. Solidali con le persone recluse rivoltose, questa rubrica cerca di dare un minimo di voce a tutto ciò che sta succedendo, con la possibilità anche di creare contatti tra l’interno e l’esterno delle mura.

Il bollettino è stato realizzato in versione cartacea, distribuita per strada e nelle bucalettere, cosi come in versione digitale. È possibile richiedere delle copie presso l’indirizzo e-mail: ruggiti@riseup.net e trovarlo in versione digitale sul blog https://frecciaspezzata.noblogs.org/

Qui il link al pdf

Stiamo vivendo una difficile situazione data dalla diffusione di un virus nominato Covid-19. Rispetto alla sua genesi non crediamo a nessuna “ipotesi di complotto”: semplicistica soluzione, per non leggere la situazione per quel che è. A conferma, il fatto che nessuno ne sta giovando, anzi. A causare l’epidemia è una tipica condizione di ultra-sviluppo industriale e mercantile. Milioni di contadini deportati in Cina per affollare le nuove metropoli, con stili di vita ancora agresti (animali selvatici, animali da allevamento e avicoli smembrati vivi in mercati malsani affollati di persone) e condizioni di sovraffollamento urbano sono state il detonatore di questa pandemia. La globalizzazione degli spostamenti umani (basta un passeggero su un aereo a portare un virus in 6 ore dall’altra parte del mondo) ha fatto il resto, contaminando l’intero pianeta. Gli imprenditori e i loro viaggi d’affari sono stati appunto i primi untori in giro per il mondo. L’ipotesi complottista è per certi aspetti un’ipotesi consolatoria. In fin dei conti è più facile credere che ci siano delle persone massimamente cattive, in grado di fare una simile perfidia. Più difficile è accettare che sia l’intera società a essere massimamente cattiva. Il vero lato oscuro, che il complottismo cerca di oscurare ancora di più.

Ci preme dire che governi, politici, capitalisti, le annesse mafie, imprenditori e tirapiedi, sfruttano tutte le situazioni ed eventi per il loro tornaconto. Poco o niente interessa loro di sfruttati e poveri, se non il fatto che rimangano tali: sfruttabili e “forza lavoro”.
Tanti esempi si possono citare, come le “ricostruzioni” dopo i terremoti e altri eventi naturali, quando i costruttori si sfregano le mani per gli appalti mentre sta finendo di tremare la terra; o durante e dopo le Guerre ecc.
Purtroppo abbiamo la memoria corta. Lo stato d’emergenza concentra ancora di più il pensare agli affari propri, a fregarsene di tutto e di tutti, a rimbecillirsi davanti alla TV e ai “social”, e a mandare giù tutto quello che ci imboccano. La peggiore abitudine a cui ci ha costretti il sistema è l’ignoranza, l’abbandono all’informazione di massa e alla disinformazione “social”. Così un virus più che annidarsi nei nostri corpi è sicuramente entrato nelle nostre teste. Certo una pandemia, tra le tante nella storia umana, si è sviluppata, ha fatto e continua a fare morti tragiche, lasciando conseguenze per chi si ammala e non solo. Si accompagna a questo un bombardamento mediatico di regime, più che chiarificatore, confusionario e di convenienza.

Memoria corta dicevamo. Sui politici soprattutto, quegli stessi che si sono sempre arricchiti sulle spalle altrui, che speculano attraverso le banche, nel riproporsi di scandali finanziari, potere e privilegi. Ora si fanno passare per “salvatori della patria”, tra corali appelli all’unità conditi da una retorica di “guerra”. Non è però la vera guerra militare e le tante altre guerre che finanziano o fanno direttamente questi sinceri democratici al potere. Quelle migliaia di morti civili sono numeri?
Ci viene detto che “siamo tutti sulla stessa barca”, ma sappiamo bene chi è impegnato a mantenere i propri profitti e i propri interessi, quindi sarebbe il momento di buttare a mare parecchia gente: politici, banchieri, capitalisti, e i loro sbirri, padroni, prelati e tanti altri.

La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità, organo indiscusso di quel potere politico della Scienza, sembra essere l’unica salvezza. La stessa che tra i suoi vertici ha dirigenti legati agli interessi delle lobby per la produzione di vaccini o forniture mediche diventano i buoni samaritani della situazione. Come quelli che in piena emergenza (febbraio 2020) hanno trovato il tempo per dare il via libera al 5G in Italia e in Europa, e all’aumento dell’utilizzo delle tecnologie di intelligenza artificiale e delle reti di controllo sociale, facendo passare come “innocui” per la salute gli incrementi esponenziali di campi elettromagnetici su vasta scala. Ma come, non era nocivo un singolo telefonino?
Che dire poi degli industriali, dei ricchi padroni, che si mostrano filantropi quando conviene, pur di continuare a produrre profitto. Un esempio sono alcuni colossi automobilistici, anche di lusso, che hanno “convertito” temporaneamente la produzione per assemblare parti di apparecchiature sanitarie e mascherine. Questo sia chiaro più come propaganda che come effettiva produzione sistemica. I numeri sono comunque irrisori. Un “gesto simbolico” di stampo nazional-imprenditoriale, comodo a gettare altro fumo negli occhi. A proposito di fumo, queste industrie, appena torna la “normalità”, torneranno a sfornare automobili che inquinano sia per le emissioni di idrocarburi che per la produzione dell’energia necessaria alle auto elettriche (già, l’energia non piove dal cielo ma viene prodotta nelle centrali), e continueranno a mantenere il livello di insalubrità della terra nella quale potenzialmente prolificherà qualche altra epidemia. Allora ci vorranno le mascherine per l’aria inquinata.

La filantropia dei ricchi non ci imbroglia. Torneranno loro, come i padroni, la Chiesa e i politici, a imporre quella “normalità” dell’economia globale capitalista, fatta di tasse, produzione-consumo, guerre, sfruttamento e speculazioni.
Il sistema capitalista e lo Stato non hanno mai reso “tutti uguali”. Mai lo faranno. Padroni e sfruttati si combattono da sempre, e il servilismo volontario di qualcuno non significa che sia giusto o normale piegarsi a chi comanda. E’ importante non delegare alle istituzioni la propria esistenza, già schiacciata in una vita di regole, leggi, paure indotte, “emergenze” e doveri. L’unità e la solidarietà deve esserci tra sfruttati e oppressi di tutto il mondo, per la realizzazione dell’ autogestione delle proprie vite in una prospettiva di autonomia e liberazione.
Alla pandemia lo Stato ha risposto con la polizia. Imprenditori e gli industriali si sono fatti minacciosi con gli organi predisposti a proteggerli: polizia, militari e Ministero dell’Interno. Alla ribellione dei tanti lavoratori che minacciano lo sciopero (e lo fanno) per le condizioni di lavoro, gettati al macello nelle fabbriche, nei campi e nelle imprese in piena pandemia, lo Stato democratico è ricorso alla possibile precettazione, alle denunce/multe per chi sciopera. La repressione la sentiamo anche per le strade, è viva nelle carceri che hanno ammazzato 12 detenuti. La sentono i migranti che nelle campagne del centro-sud Italia lavorano come schiavi nei campi per la raccolta agricola, e vivono in baraccopoli in condizioni disumane anche in tempi di pandemia, per garantire il nostro pasto. Certo, i migranti “fanno comodo” finché si fanno sfruttare e finché si trovano i prodotti sul bancone del supermercato. Altrimenti si invoca l’esclusione e il razzismo, e voti per chi grida all’”invasione”…
Sindaci, politici e pennivendoli della stampa, a turno reclamano in coro la polizia e l’esercito; repressione e controllo tecnologico individuale e di massa, arresti e denunce. E poi appelli alla delazione per chi avvista assembramenti e chissà cos’altro, inviti a diventare cittadini-poliziotti, cioè spie. A chi si adegua ubbidiente a queste infami pratiche delatorie va tutto il nostro sincero disprezzo e i più sinceri auguri di ripercussioni vendicative.

Intorno a quest’odierna microsituazione c’è la macro economia, o meglio la grande Finanza, che si avvia verso una crisi globale. La pandemia del Covid-19 è un evento casuale che ha accelerato una tendenza già avviata da tempo: la crisi della globalizzazione.
“Un nuovo modello industriale e sociale basato sul futuro delle nuove tecnologie è già in atto e lo stiamo vivendo…”, citano gli esperti. Gli stati-nazione tendono a tornare protagonisti, e sarà peggio. Alcuni governi ricorrono a primi ministri onnipotenti più di prima, e si riaffacciano dittature e nazionalismi qua e là. La recessione è dietro l’angolo, la crisi della moneta ancor di più. Sapranno, come sempre, dove e chi spremere: gli sfruttati. Il velo del “migliore dei mondi possibile” comincia a perdere i pezzi.
La retorica unitaria di salvezza nazionale è una strategia che tenta di mantenere la pace sociale al fine di frenare il conflitto sociale. Se c’è conflitto sociale non c’è crescita economica dicono gli “esperti” nella speranza che la disuguaglianza sociale venga sempre fatta digerire con fasulli ideali identitari aggreganti. A tal proposito urliamo: “Io non canto l’Inno!!!”

Tanta gente è morta e muore, questo purtroppo è vero. Ma non piangeremo per il manager della Porsche o il Principe d’Inghilterra, il ricco industriale o un Primo Ministro, lo sbirro che ci reprime, ci multa, ci manganella durante gli scioperi o spara alle manifestazioni e nelle proteste, che pratica pestaggi nelle caserme e nelle carceri.
I nove anni di guerra in Siria hanno fatto 390.000 morti; 11 milioni di persone hanno dovuto lasciare le proprie case; 4 milioni di profughi in fuga. Gli stessi migranti e profughi vengono usati come ricatto economico-sociale dalla Turchia e duramente repressi alle frontiere con la Grecia. Ce li siamo dimenticati? E le migliaia di morti nella guerra in Yemen, sostenuta dalle forniture di armi dell’Italia e della Francia?
Non ci salveranno le preghiere del Papa e di quei ladri e truffatori morali dei preti. Non cantiamo l’inno, nessun tricolore, ombra dei nazionalismi più beceri che hanno sempre mandato alla rovina guerrafondaia la popolazione e arricchito la borghesia.
Necessario più che mai è una presa di coscienza degli sfruttati. La Storia è sempre raccontata dai vincitori dominanti, dal potere governativo, per tutelarsi e dividere gli sfruttati, usata come strumento per scatenare la guerra tra poveri. Sarà invece la lotta degli sfruttati agli sfruttatori che potrà garantirci l’emancipazione, in totale libertà, e a suggerirci e mostrarci la strada da intraprendere, i momenti da cogliere per rovesciare e distruggere un sistema corrotto e marcio, ribellandoci.

“Le macerie non ci fanno paura. Sappiamo che non erediteremo che rovine, perché la borghesia cercherà di buttare giù il mondo nell’ultima fase della sua storia. Ma, le ripeto, a noi non fanno paura le macerie, perché portiamo un mondo nuovo nei nostri cuori…Questo mondo sta crescendo in questo istante”

Buenaventura Durruti, rivoluzionario anarchico.

L’Ideale anarchico porta in seno il rispetto fraterno fra chi non vuole più servi ne padroni, sfruttati e sfruttatori. La pace fra gli oppressi, la guerra sociale agli oppressori che vogliono mantenere privilegi politici, economici e sociali.
Anarchia come cambiamento rivoluzionario della qualità della vita. Liberi dalla divisione in classi, dai pregiudizi sessuali, dal razzismo, dalla religione, tutti strumenti per dividere e dominare il più debole. Liberi dal ricatto del lavoro salariale, dalle istituzioni repressive (carceri, tribunali, militari) non necessarie dove non ci sono ne potere ne proprietà privata. E’ necessario emanciparsi per liberarsi dallo Stato, autorganizzandosi. Questo attraverso la lotta, senza mediazioni politiche e pacificatrici di sindacati istituzionalizzati e asserviti, senza politicanti di turno.

“Noi invochiamo l’anarchia, questa manifestazione della vita e delle aspirazioni, l’eguaglianza vera di tutte e tutti.
Come noi abbiamo piena fiducia negli istinti delle masse popolari, il nostro mezzo di rivoluzione è nello scatenamento organizzato di ciò che chiamasi cattive passioni, e nella distruzione di ciò che, nel medesimo linguaggio borghese, chiamasi ordine pubblico”.

Michail Bakunin

Alcuni “Anormali”

Testo diffuso in diversi modi a Genova

Quello che stiamo vivendo in queste settimane è qualcosa che non ha precedenti per la nostra generazione e forse neanche per quella precedente. Ma persino il confronto con i periodi delle guerre mondiali potrebbe portarci fuori strada. Nonostante gli sproloqui nazionalisti, gli inni nazionali, e i militari nelle strade, non siamo in guerra. La minaccia qui non è il bombardamento, la paura durante un’epidemia è qualcosa di più introspettivo, e al contrario della guerra dove l’attesa e l’incubo che il tuo soffitto cada in mille pezzi ci porta a stare vicini e avvinghiati in un caldo abbraccio con le persone a noi care, la risposta emotiva al contagio è una sana e responsabile distanza da chi ci sta accanto. Un aperitivo analcolico di quello che potrebbe essere il collasso della civiltà moderna, servito con tutte le precauzioni del caso: nonostante la scarsità delle bevande gli stuzzichini sono comunque garantiti. Ma lo scenario è davanti ai nostri occhi e ciò che più dovrebbe preoccupare non è tanto la risposta repressiva dello Stato e i suoi dettami, a quello forse dovremmo esserci almeno un po’ abituati, ma alla sconcertante risposta della massa addomesticata, ormai incapace di rispondere per conto proprio ad alcun che se non al proprio smartphone. E come in tutte le epoche passate, quando il panico si diffonde nelle masse queste si apprestano alla caccia: all’untore, alle streghe e ai non allineati ai dettami del “bene comune”.

È ormai evidente cosa lega oggigiorno in maniera quasi totalizzante le masse, l’opinione pubblica, la politica, i mass media. Qualcosa trasversale ad ogni colore politico, dai destri ai sinistri, dagli intellettuali ai cafoni di quartiere, qualcosa che in una società sempre più divisa tiene tutti insieme appassionatamente: la salute, o la non salute, o per essere più precisi la Scienza medica. Chi si è opposto alla recente campagna di obbligatorietà dei vaccini è stato distrutto, deriso, represso, attaccato da ogni punto di vista grazie a un vittimismo becero che ha reso i genitori che hanno fatto resistenza assassini di poveri bambini con gravi patologie usando come veicolo la propria prole a mo’ di untori. E quest’attacco è arrivato persino da alcuni così detti fautori dell’anarchia, come la FAI e riviste affini, mentre anche tutto il resto di un movimento radicale più ampio (resto degli anarchici compresi) non ha preso neanche in considerazione la questione.

Non c’e da sorprendersi quindi che la diffusione del Covid19 abbia travolto e avvolto nel terrore la quasi totalità delle persone civilizzate di quasi tutto il mondo. Ma non tutti ovviamente credono alla favola istituzionale, voci fuori dal coro e pensieri in controtendenza ce ne sono. Nella psicosi del confinamento domestico, nel mondo dentro la rete di internet girano video, testi, messaggi. Teorie cospirazioniste, confutazione dei dati, visioni alternative della salute e quant’altro. Inutile entrare nei dettagli, se state leggendo questo testo avrete letto e visto già molto altro.

Ogni epidemia della storia si diffonde all’interno di società che hanno in diverse maniere degradato il loro modo di vivere, partendo da luoghi spesso sovraffollati, inquinati, dove la maggioranza delle persone vive con distacco e degrado il loro stato di salute generale e abituale. Dove l’approvvigionamento dei bisogni primari, cibo e tecnologie atte alla sopravvivenza, non è più nelle mani di piccole comunità con modalità più o meno diffuse all’interno della popolazione ma sono sempre più accentrate nelle mani dei pochi gruppi elitari dei vari settori. Più ci si allontana dalla produzione diretta del cibo che si mangia o al peggio dalla consapevolezza di sapere almeno da dove questo arrivi, più si perde la capacità di gestire in modo autonomo la propria salute e più quest’ultima diventa precaria. Illuminante da questo punto di vista, ma in generale dal punto di vista dell’alimentazione, è il lavoro di Weston A. Price che negli anni ‘30 del novecento girò il mondo e incontrò numerose popolazioni “primitive” (definite tali perché ancora si producevano o si procacciavano la maggior parte del cibo) con l’intento di scoprire cosa mangiassero e qual’era il loro stato di salute. Era un periodo storico dove molte di queste popolazioni stavano man mano venendo in contatto con il progresso e il cibo industriale. Notò che quando queste popolazioni mangiavano il “loro cibo” il loro stato di salute era ottimale, i denti perfettamente posizionati e senza carie (lui era un dentista) e malattie ed epidemie che dilagavano nel resto delle società che andavano via via globalizzandosi non si presentavano invece fra queste. Quando invece le stesse etnie di persone venivano in contatto con il progresso, la ferrovia o la strada, e iniziavano ad avere a disposizione i cibi moderni come zucchero, farina bianca, marmellate, cioccolata, e cibi in scatola, la loro salute fisica e mentale precipitava. Le malattie che oggi consideriamo “normali” come quelle di origine cardio-vascolare, diabete, cancro, carie, non erano affatto normali tra gli individui di queste popolazioni. Interessante anche il fatto che in queste comunità “primitive” la consapevolezza sulle proprietà dei cibi era molto alta e quelli più nutrienti venivano destinati alle donne durante la gravidanza o ai bambini in fase di sviluppo. Il dottor Price notò come la dieta di questi popoli fosse molto più ricca di vitamine (o attivatori) liposolubili, in particolare la vitamina A, D e K2 che troviamo abbondantemente nel pesce, negli organi interni e nel grasso di animali che sono cresciuti pascolando all’aperto. La lezione che possiamo trarre da questi popoli del passato e da molte altre comunità indigene che ancora popolano angoli di questo pianeta è enorme, in termini di autoproduzione del cibo, di autogestione della salute e di indipendenza dal sistema ipertecnologico globalizzato.

Nel corso di meno di un secolo questo residuo di consapevolezza e di pratiche di vita è quasi del tutto scomparso nel mondo civilizzato e globalizzato e le conseguenze sono sempre più devastanti. Ma persa questa consapevolezza si perde anche la capacità di porsi le giuste domande. Ci si chiede quindi se il virus è mutato e in che cosa piuttosto di capire come noi e lo stato di salute del nostro sistema immunitario siamo mutati. La maggior parte della gente accetta di essere relegata in casa, ad abbuffarsi probabilmente di cibo, collegati tutto il giorno a internet in mezzo alle radiazioni elettromagnetiche sempre più invadenti del WI-FI, senza prendere il sole e stare all’aria aperta, in uno stato sempre maggiore di stress e psicosi, tutte cose che aggravano lo stato del sistema immunitario. La criticità dei contagiati quindi aumenta, ma la colpa viene data al virus che è più cattivo e comincia a prendersela con i più giovani.

Più che metterci una mascherina sul viso dovremo toglierci le bende dagli occhi. Ma forse non è il momento giusto, bisogna prenderne atto. Inutile dire a chi si è tagliato e sta sanguinando che dovrebbe imparare ad usare meglio il coltello.

Non c’è da stupirsi, come già detto prima, che gli epicentri della pandemia siano spesso aree altamente inquinate e con un’alta densità di popolazione. In una parola nelle città. Ed è sempre stato così. La civiltà è la società degli abitanti delle città, sinonimo di progresso e innovazione tecnologica. Nondimeno dovrebbe essere ormai chiaro che è anche il luogo dove lo stato di salute dei suoi abitanti diviene sempre più debilitante. Ma nonostante queste evidenze ormai eloquenti, e questa pandemia è soltanto l’ultimo di una lunghissima serie di eventi che hanno portato alla luce questa innegabile verità, la maggior parte delle persone civilizzate, e la maggior parte anche dei movimenti radicali continua a pensare che è questa la casa dell’uomo moderno e che sia impensabile ripensare un modo di vivere differente. Sarà quindi la tecnologia a salvare dal disastro questo mondo globalizzato al collasso.

E su questo non c’è alcun dubbio. La risposta a tutti i nostri problemi attuali sarà sempre più tecnologia. Lo stiamo vedendo ora durante l’epidemia, nuove tecnologie mediche (farmaci e vaccini), nuove tecnologie per l’educazione scolastica a distanza, nuove tecnologie di controllo (apps, droni, ecc…). E questo è solo l’inizio. Dopo questa esperienza chi non vorrà la diffusione del 5G per migliorare la connettività globale, chi non vorrà obbligare tutte le persone di questo mondo a vaccinarsi con ogni sorta di vaccino per salvaguardare le fasce più deboli della società (fasce in continua espansione visto la degenerazione psico-fisica attuale).

La via per il transumanesimo, la fusione dell’uomo con la macchina, è ormai aperta da molto tempo, e da un certo punto di vista è l’unica via per salvare la società industriale e tecnocentrica moderna e l’essere umano che le dà vita.

L’altra via, l’unica altra rimasta, è rinnegare tutto questo sistema ipertecnologico, la città, la vita moderna, la scienza medica, e prendersene tutte le responsabilità e conseguenze del caso. La civiltà moderna è insostenibile, c’è chi lo dice e lo sostiene ormai da decenni. Ma non ci si può certo aspettare un tale approccio dalle masse addomesticate che non vedono l’ora di tornare ai loro happy hours. Questo appello è rivolto principalmente ai movimenti radicali che nelle loro differenze cercano un cambiamento concreto della vita di tutti i giorni. Per quanto ancora bisognerà credere nella tecnologia, nell’assistenza sanitaria, nella scuola, nella società dei diritti. Il lavoro necessario per intraprendere questo cammino è immenso, faticoso e intergenerazionale. Ma l’alternativa sarà sempre e soltanto più asservimento alla tecnologia e alle élite che la governano. Riprendersi in mano la nostra salute e quindi l’approvvigionamento di cibo salutare è un passo decisivo.

La nostra dipendenza dal sistema di produzione e distribuzione è uno dei nostri più grandi limiti. E sono molti i miti che dovremo sfatare, oltre a quello tecnologico e del progresso, per imbarcarci in questa impresa. E soprattutto disintossicarci dalle politiche identitarie di ogni tipo. Ma questo non è esattamente un appello per creare un nuovo movimento globale anti-civ. È un invito a creare comunità stabili che puntino a riprendersi in mano le proprie capacità, a partire dalla nutrizione e dalla salute, orizzontali ed egualitarie, in grado di generare solidarietà e mutuo aiuto sia all’interno che verso altre comunità con caratteristiche simili. Non è per niente un’idea nuova, è l’idea anarchica nella sua essenza, ciò che molte comunità umane indigene ancora presenti su questo pianeta fanno da millenni.

Avremo un compito molto urgente appena questa emergenza sarà finita e si avrà la possibilità di tornare liberamente nelle strade in gran numero. Fare manifestazioni e azioni dirette di ogni tipo per mettere le mani avanti su tante cose che vorranno imporci da qui a breve: 5G, vaccinazioni obbligatorie e implemento tecnologico securitario. Sarà un primo passo per far comprendere che la nostra salute non dipende dall’OMS e dai nuovi inquisitori del PTS (Patto trasversale per la scienza, quelli che hanno il compito di definire e denunciare come fake news tutto quello che si oppone al sistema sanitario istituzionalizzato). Qualcuno sta cercando di farlo già ora in “clandestinità”, ma sarà dopo che non potremo più permetterci il lusso di stare in silenzio.

La nave dei folli si schianterà contro l’iceberg, per allora dovremo aver imparato a nuotare.

Hirundo, Marzo 2020

È assolutamente necessario chiarire il termine vaccinazione in rapporto a quello di immunizzazione. I media e il mondo farmaceutico hanno influenzato il pubblico facendogli credere che vaccinazione sia equivalente ad immunizzazione. Per quanto mi riguarda, sono favorevole all’immunizzazione. Vaccinare significa iniettare sostanze nel corpo. Questa pratica nonimmunizza. Sono due cose completamente diverse. La creazione dell’immunizzazione è un processo naturale. Il corpo utilizza diversi mezzi di difesa. La prima linea di difesa è la pelle, a cui spetta il compito di fermare tutto ciò che potrebbe essere nocivo al corpo. Con un vaccino, questa legge di natura viene completamente ignorata e raggirata, dato che si iniettano prodotti a cui la pelle impedirebbe di penetrare nel corpo. Abbiamo anche un sistema respiratorio che è parte integrante delle difese del corpo. Si tossisce, si starnutisce, ci si soffia il naso per poter espellere il potenziale “invasore”. La tosse e gli starnuti sono il risultato di un sistema immunitario che funziona. Non si tratta di reprimere queste reazioni con degli antipiretici, degli antistaminici, ecc. Se utilizzate questi mezzi rischiate di facilitare il ruolo degli “invasori”. Disponiamo anche di un sistema linfatico che, in associazione con il lavoro degli intestini, potrà lottare contro gli “invasori” più temibili. Se il vostro sistema immunitario è indebolito al punto da permettere agli “invasori” di superare queste barriere, questi — vivi o morti — potranno penetrare nel flusso sanguigno. Una volta nel sangue, questi “invasori” possono raggiungere qualsiasi parte del corpo. Cosa per niente buona! Un vaccino vìola tutte le leggi di difesa immunitaria naturali. Il vaccino fa penetrare un potenziale patogeno contenente ogni genere di ingredienti tossici (alluminio, formaldeide, ecc.) direttamente nel flusso sanguigno. Questo non potrebbe mai accadere con una immunizzazione naturale ben costruita. Quest’ultima frase è di per sé una specie di contraddizione. L'immunizzazione è una cosa naturale. I vaccini sono cose artificiali.

Kurt Perkins

Allineati di paura ringraziamo

la paura che ci salva dalla follia.

Decisione e coraggio è merce rara

e la vita senza vita è più sicura.

Avventurieri ormai senza avventura

combattiamo, allineati di paura,

ironici fantasmi, alla ricerca

di ciò che fummo, di ciò che non saremo.

Allineati di paura, con voce fioca,

col cuore fra i denti, siamo

i fantasmi di noi stessi.

Gregge che la paura insegue,

viviamo così vicini e così soli

che della vita abbiamo perso il senso.   (Alexandre O'Neill, 1962)  

Si dice che nel corso della riunione annuale del famigerato Club Bilderberger — il gotha mondiale della politica, dell'economia e della finanza — tenutasi nel maggio 1992 ad Evian, in Francia, l'ex-segretario di Stato statunitense Henry Kissinger abbia dichiarato a proposito della grande rivolta che poche settimane prima aveva infiammato Los Angeles: «Se delle truppe delle Nazioni Unite entrassero a Los Angeles per restaurare l'ordine, gli americani oggi si sentirebbero oltraggiati domani ne sarebbero riconoscenti. Ciò avverrebbe soprattutto se li si informasse che un attacco proveniente dall'aldilà minaccia la loro esistenza. In tal caso i popoli della terra pregherebbero i propri leader di liberarli da quei malvagi. Ciò che tutti gli uomini temono è l'ignoto. Quando verrà presentato loro questo scenario, saranno pronti ad abbandonare i loro diritti individuali in favore del proprio benessere, garantito dal loro governo mondiale». Autentica o apocrifa che sia questa citazione, esprime perfettamente un caposaldo della ragione di Stato. Per ottenere obbedienza, nulla è più efficace dell'arma della paura. Il terrore paralizza i movimenti, ottunde la mente, rende deboli e indifesi. Ammutolisce la critica e spinge tutti ad invocare aiuto, senza guardare in faccia i soccorritori e senza metterne in dubbio intenzioni e mezzi. Questo terrore così funzionale deve quindi essere creato ed alimentato in permanenza. A differenza dei regimi dittatoriali, che storicamente si contraddistinguono proprio perché è lo stesso governo ad esercitare il terrore sui propri cittadini-sudditi, nelle democrazie il panico viene creato attraverso l'evocazione di una minaccia esterna. Agitandone lo spauracchio, lo Stato può ritagliarsi e recitare il ruolo di eroe salvatore — da ripagare con gratitudine, e a cui essere riconoscenti per la vita. Ciò spiega il motivo per cui, all'interno della grande rappresentazione mediatica della paura, il palcoscenico non rimane mai vuoto. Personaggi terrificanti si susseguono uno dopo l'altro, si incrociano, si accoppiano, prolificano pure, accalcandosi talvolta nello stesso momento e nello stesso spazio. Ma il canovaccio resta sempre lo stesso. Un grave pericolo incombe su tutti noi, onnipresente, invisibile, pronto a colpirci all'improvviso. Bisogna stare attenti, e quindi bisogna innanzitutto mettersi sull'attenti. Ogni angolo buio che attraversiamo potrebbe diventare la scena di un delitto — ben vengano i controlli che ci difendono da assassini e stupratori. Ogni straniero in cui ci imbattiamo (soprattutto se povero) potrebbe essere un terrorista — ben vengano i centri di identificazione, le deportazioni e la chiusura delle frontiere che ci proteggono dai kamikaze. Persino ogni abbraccio e ogni bacio che ci scambiamo potrebbe essere fatale — ben vengano le vaccinazioni di massa (come stanno cercando di fare in quest'ultimo periodo in Toscana per debellare una meningite che dicono abbia causato una decina di morti in quindici mesi, compreso chi è morto subito dopo essersi fatto vaccinare!) per prevenire le malattie. Per riacquistare pace & serenità basta mettersi nelle mani degli esperti, dei professionisti, di chi ha le conoscenze e le competenze in materia. In una parola, nelle mani dello Stato. Quello Stato da cui siamo sempre più dipendenti e che, sebbene mostri ogni giorno di più la propria infamia, costituisce il punto di riferimento costante e ineludibile. Biasimiamo i suoi pretoriani quando torturano e ammazzano i malcapitati che finiscono nelle loro grinfie, ma poi li acclamiamo quando temiamo che qualcuno possa disturbare il nostro sonno. Insultiamo i suoi funzionari quando veniamo a conoscenza delle quotidiane malefatte che commettono, ma poi li votiamo quando loro stessi ci convocano alle urne.  Lo Stato prima inocula il veleno che causa la morte sociale, poi offre l'antidoto che promette uno straccio di sopravvivenza. Pensiamo ad esempio alla «minaccia» odierna che sarebbe costituita dagli stranieri, da quelle masse di profughi che premono ai confini europei così come da quei pochi terroristi che si fanno saltare in aria nelle strade europee (non sono affatto da equiparare, lo sanno tutti, ma è molto più facile presentare i primi come infiltrati dai secondi per suscitare una comune esecrazione). Prima i loro paesi vengono invasi, colonizzati, sfruttati, affamati, bombardati — e da chi? —, poi quando chi vi abita scappa qui disperato a portarci la miseria in casa, quando chi vi combatte viene qui furioso a portarci la guerra in casa... ci stringiamo attorno allo Stato in attesa di misure razziste e poliziesche che dovrebbero salvarci. È quanto accade in tutti gli ambiti, nessuno escluso. Chi ha costruito armi e centrali nucleari è lo stesso che si invoca in caso di fuga di radiazioni. Chi ha autorizzato il commercio e l'uso di sostanze tossiche è lo stesso da cui si pretende la bonifica dei territori che ha contaminato. Chi ha creato in laboratorio virus letali è lo stesso a cui ci si affida per debellarli con cure miracolose. Il mondo della politica, dell'economia, della finanza, della scienza... ha rovinato la nostra vita, privandola di ogni bellezza e passione, riducendola a un quotidiano trascinare di catene per elemosinare una briciola e un sorriso. Ed è a questo stesso mondo composto da tanti carnefici non lordati di sangue, ben presentabili nei loro doppiopetto e nei loro camici bianchi, che ci rivolgiamo per avere protezione dai pericoli che loro stessi hanno provocato.  Nemmeno il flusso continuo di informazioni contrastanti sull'effettiva natura delle minacce che graverebbero su di noi pare consigliare una sana diffidenza nei confronti delle dichiarazioni delle autorità, tanto meno induce a mettere in discussione queste campagne del terrore che vengono periodicamente scatenate. Al contrario, non fa che alimentare l'ansia, quell'apprensione o spiacevole tensione provocata dall'intimo presagio di un pericolo imminente e di origine sconosciuta. E l'ansia è sempre sproporzionata allo stimolo noto, alla minaccia e al pericolo che ci sovrastano realmente. E si finisce per ritrovarsi in un paesello di campagna a scrutarsi continuamente attorno per timore del «Salah» di turno. A detta degli stessi esperti, esistono due forme di paura. La cosiddetta «paura primaria» è quella che stimola e fa reagire l'individuo, che in questo modo riesce a controllare e a superare la minaccia. La cosiddetta «paura secondaria» invece è quella che paralizza l'individuo e lo rende inerme, passivo di fronte a quanto lo turba. Non c'è reazione, c'è solo annichilimento. Ed è quest'ultima paura ad essere oggi alimentata in tutte le maniere, con l'evocazione di scenari da incubo e di complicazioni giudicate insormontabili. In realtà, il pericolo più terribile che incombe è quello che si riassume nel concetto di fatalità. L'alta tecnologizzazione dell'esistente, la sua apparente invincibilità, la sensazione che nulla sia possibile, l'inutilità delle parole e l'inefficacia delle azioni, l'atomizzazione e le sue conseguenze, ed infine la potenza assoluta della polizia, del denaro e dello Stato, costringono la rabbia, il rifiuto e i loro sviluppi critici a rimanere sul terreno della passività. È questa la minaccia che dovremmo scongiurare. Perché, o ci arrendiamo alla paura o la combattiamo. Non possiamo andarle incontro a metà strada.

Finimondo, 12/4/16