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In ventiquattro ore

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Beh, che ci fosse in questi giorni più marcio del solito nell’aria lo avevamo annusato. Quando la polizia ha fatto incursione ieri mattina in alcune case di Aurora a distribuire custodie e misure cautelari, all’occupazione di corso Giulio 45 alcuni compagni erano già sul tetto, altri occupanti erano sotto al portone per una colazione condivisa. Negli ultimi tempi infatti le ronde della polizia in borghese e dei carabinieri attorno all’isolato, qualche voce riguardo a un imminente sgombero e la consapevolezza delle trasformazioni del quartiere hanno messo all’erta gli abitanti. Ma di questo tanfo parleremo con più calma nei prossimi giorni.

La polizia è entrata anche all’Asilo occupato e in alcune case private, facendo perquisizioni e portando in questura tredici compagni e compagne: Silvia, Stefano, Daniele e Antonio sono stati arrestati e poi condotti Le Vallette; mentre nei confronti degli altri nove è stato spiccato il divieto di dimora dal comune di Torino. Durante il blitz le forze dell’ordine hanno portato via anche un compagno senza i documenti in regola che è stato rilasciato qualche ora più tardi con un invito a lasciare di sua volontà il territorio italiano in quindici giorni.

Il fatto contestato ai tredici risale al 2 maggio scorso e riguarda la resistenza a uno sfratto in Barriera di Milano. L’accusa portata avanti dal PM Andrea Padalino e poi ratificata dal Gip Loretta Bianco è di violenza a pubblico ufficiale con l’aggravante del concorso in più di dieci persone. Sull’infamia del pubblico ministero s’è detto tanto ma anche quella della giudice - e della sua firma - è ormai nota, perché già nel maggio del 2015 aveva emanato per la resistenza a una retata dei mandati di arresto nei confronti di cinque compagni e la cacciata da Torino per altri quattro. Si potrebbe dire che continua a fare delle “scelte cautelari” coerenti, soprattutto agganciandole a un impianto accusatorio che detto fuor dei denti provoca ancor più rabbia per quanto è fumoso. Andando a piè pari sulle carte tribunalizie attraverso il reato ravvisato, passe-partout di parecchie inchieste compreso l’ingente procedimento del 3 giugno 2014, a essere messo al banco è proprio uno strumento base di parecchie lotte: il picchetto, ovvero, nel caso specifico, l’aver portato l’ufficiale giudiziario D’Angella a non sbattere fuori di casa delle persone che avevano deciso di resistere. E sebbene ci piacerebbe immensamente raccontare che questo è avvenuto con gesta riottose, è bastata la presenza ostinata a resistere a decretare la situazione criminosa. Del resto il suddetto ufficiale, un mentecatto che s’aggira con un cappellino della NASA, non sembrava in quella situazione trovarsi sotto minaccia, anzi rideva fragorosamente della scenetta che l’avvocatessa della proprietà stava tirando su. Funzionamento intellettivo a parte, mentecatto per mentecatto, è quest’uomo a essersi prestato a mandare in primis quattro compagni in galera, non ce lo dimenticheremo di certo.

La giornata di ieri è poi proseguita concitatamente nel confrontarsi, nel capire le iniziative per i prossimi giorni e con un saluto caloroso e molto partecipato al carcere de Le Vallette dove sono stati imprigionati Daniele, Silvia, Stefano e Antonio.

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I nove banditi (di cui due ancora senza notifica della misura) invece non sembrano intenzionati ad andarsene dalla città quanto piuttosto continuare nelle lotte con ancora più bile; già qualcuno proprio stamane è per le vie di Aurora a picchettare contro uno sfratto con tanti complici e solidali.

Nei prossimi giorni le occasioni non mancheranno per rilanciare e ve le proporremo. Se ci vogliono incarcere e cacciare  per le pratiche di lotta, per la resistenza in strada o per la solita descrizione cartacea sulla pericolosità sociale, ancora non hanno visto niente.

Per scrivere ai compagni arrestati:

ALTOÈ DANIELE - MANGIONE STEFANO - PITTALIS ANTONIO - RUGGERI SILVIA

c/o CASA CIRCONDARIALE - Via Maria Adelaide Aglietta, 35 - 10151 Torino

macerie @ Novembre 30, 2016

 
Allora, vi siete decisi? Vi siete chiariti le idee? Dopo aver seguito per bene tutte le discussioni e le diatribe, dopo aver ascoltato il vostro leader(ino) preferito — quello che parla bene, quello che sa cosa dire, quello che è proprio una brava persona — avete fatto la vostra scelta in vista del prossimo referendum? Avete infine stabilito a chi andrà il vostro voto, se preferite crepare di peste reazionaria o di colera progressista?
Lo speriamo davvero, perché noi non sapremmo proprio come aiutarvi. Figuratevi che più veniamo sommersi dal chiacchiericcio referendario, e più ci viene in mente il dottor Goebbels. Personaggio ripugnante, già, ma non certo un cretino. Altrimenti non sarebbe mai riuscito a far fare il passo dell’oca e a far lanciare rutti di battaglia a milioni di persone, per altro abitanti di una nazione celebre per la filosofia e la poesia. Motivo per cui le sue considerazioni sulla propaganda, anziché liquidarle con una smorfia di disgusto, sarebbe bene conoscerle e tenerle sempre presente giacché non sono affatto morte e sepolte nel maggio del 1945.
Nel suo discorso tenuto a Norimberga nel 1934, ad esempio, egli sottolineava come «oggi in tutto il mondo la gente sta iniziando a vedere che uno Stato moderno, sia esso democratico o autoritario, non può resistere alle forze sotterranee dell’anarchia e del caos senza la propaganda», la quale era definita «un mezzo verso un fine. Il suo scopo è di condurre il popolo a una comprensione che gli permetterà di dedicarsi volentieri e senza resistenza interiore ai compiti e agli obiettivi di una dirigenza superiore». È quindi questa élite dirigente, quale che sia il suo colore, a decidere quali sono i compiti che tutti devono assolvere, gli obiettivi che tutti devono perseguire (ovvero la vita che tutti devono fare). Ma come è possibile che i molti si mettano al servizio dei pochi? L’ingegnere di anime nazista — laureato in filosofia e grande affabulatore — lo spiegava in maniera impeccabile: «Il popolo deve condividere le preoccupazioni e i successi del suo governo. Queste preoccupazioni e questi successi devono quindi venire presentati e martellati nel popolo di continuo in modo che esso consideri le preoccupazioni e i successi del suo governo come se fossero i propri. Solo un governo autoritario, legato fermamente al popolo, può farlo nel lungo periodo. La propaganda politica, l’arte di ancorare le cose dello Stato alle larghe masse in modo che l’intera nazione si sentirà parte di esse, non può quindi rimanere solo un mezzo per la conquista del potere. Deve diventare un mezzo per costruire e mantenere il potere».
Ecco, quando voi milioni di sfruttati, umiliati, bastonati, delusi, schedati, derubati, truffati, sfrattati, inquinati, avvelenati, sorvegliati, affamati, imprigionati, ammazzati dalle istituzioni venite invitati a decidere se approvare «il testo della legge costituzionale concernente disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione»; quando, anziché dire ai vostri (e nostri) padroni dove possono infilarsi i loro inviti, vi date tanto da fare per vagliare le ragioni del sì e quelle del no; quando, anziché darvi alle passioni più singolari, vi mettete in fila davanti alle urne tutti impettiti ed orgogliosi di adempiere al vostro dovere civile — non state forse confermando le parole di herr Goebbels? «Volentieri e senza resistenza interiore», vi siete lasciati ancorare alle cose dello Stato. Vi preoccupate del successo dello Stato, ne condividete i problemi, vi affannate a risolverli per farlo funzionare. Avete introiettato lo Stato a tal punto da reputarlo parte di voi stessi, come se fosse un fatto del tutto naturale. In questa maniera vi siete così abituati al dolore e alla morte da aver scordato cosa siano il piacere e la vita.
E allora, cittadini democratici di un popolo sovrano, avete deciso cosa volete che il futuro vi riservi? Bubbone o diarrea?
FONTE: https://finimondo.org/