Quello che stiamo vivendo in queste settimane è qualcosa che non ha precedenti per la nostra generazione e forse neanche per quella precedente. Ma persino il confronto con i periodi delle guerre mondiali potrebbe portarci fuori strada. Nonostante gli sproloqui nazionalisti, gli inni nazionali, e i militari nelle strade, non siamo in guerra. La minaccia qui non è il bombardamento, la paura durante un’epidemia è qualcosa di più introspettivo, e al contrario della guerra dove l’attesa e l’incubo che il tuo soffitto cada in mille pezzi ci porta a stare vicini e avvinghiati in un caldo abbraccio con le persone a noi care, la risposta emotiva al contagio è una sana e responsabile distanza da chi ci sta accanto. Un aperitivo analcolico di quello che potrebbe essere il collasso della civiltà moderna, servito con tutte le precauzioni del caso: nonostante la scarsità delle bevande gli stuzzichini sono comunque garantiti. Ma lo scenario è davanti ai nostri occhi e ciò che più dovrebbe preoccupare non è tanto la risposta repressiva dello Stato e i suoi dettami, a quello forse dovremmo esserci almeno un po’ abituati, ma alla sconcertante risposta della massa addomesticata, ormai incapace di rispondere per conto proprio ad alcun che se non al proprio smartphone. E come in tutte le epoche passate, quando il panico si diffonde nelle masse queste si apprestano alla caccia: all’untore, alle streghe e ai non allineati ai dettami del “bene comune”.
È ormai evidente cosa lega oggigiorno in maniera quasi totalizzante le masse, l’opinione pubblica, la politica, i mass media. Qualcosa trasversale ad ogni colore politico, dai destri ai sinistri, dagli intellettuali ai cafoni di quartiere, qualcosa che in una società sempre più divisa tiene tutti insieme appassionatamente: la salute, o la non salute, o per essere più precisi la Scienza medica. Chi si è opposto alla recente campagna di obbligatorietà dei vaccini è stato distrutto, deriso, represso, attaccato da ogni punto di vista grazie a un vittimismo becero che ha reso i genitori che hanno fatto resistenza assassini di poveri bambini con gravi patologie usando come veicolo la propria prole a mo’ di untori. E quest’attacco è arrivato persino da alcuni così detti fautori dell’anarchia, come la FAI e riviste affini, mentre anche tutto il resto di un movimento radicale più ampio (resto degli anarchici compresi) non ha preso neanche in considerazione la questione.
Non c’e da sorprendersi quindi che la diffusione del Covid19 abbia travolto e avvolto nel terrore la quasi totalità delle persone civilizzate di quasi tutto il mondo. Ma non tutti ovviamente credono alla favola istituzionale, voci fuori dal coro e pensieri in controtendenza ce ne sono. Nella psicosi del confinamento domestico, nel mondo dentro la rete di internet girano video, testi, messaggi. Teorie cospirazioniste, confutazione dei dati, visioni alternative della salute e quant’altro. Inutile entrare nei dettagli, se state leggendo questo testo avrete letto e visto già molto altro.
Ogni epidemia della storia si diffonde all’interno di società che hanno in diverse maniere degradato il loro modo di vivere, partendo da luoghi spesso sovraffollati, inquinati, dove la maggioranza delle persone vive con distacco e degrado il loro stato di salute generale e abituale. Dove l’approvvigionamento dei bisogni primari, cibo e tecnologie atte alla sopravvivenza, non è più nelle mani di piccole comunità con modalità più o meno diffuse all’interno della popolazione ma sono sempre più accentrate nelle mani dei pochi gruppi elitari dei vari settori. Più ci si allontana dalla produzione diretta del cibo che si mangia o al peggio dalla consapevolezza di sapere almeno da dove questo arrivi, più si perde la capacità di gestire in modo autonomo la propria salute e più quest’ultima diventa precaria. Illuminante da questo punto di vista, ma in generale dal punto di vista dell’alimentazione, è il lavoro di Weston A. Price che negli anni ‘30 del novecento girò il mondo e incontrò numerose popolazioni “primitive” (definite tali perché ancora si producevano o si procacciavano la maggior parte del cibo) con l’intento di scoprire cosa mangiassero e qual’era il loro stato di salute. Era un periodo storico dove molte di queste popolazioni stavano man mano venendo in contatto con il progresso e il cibo industriale. Notò che quando queste popolazioni mangiavano il “loro cibo” il loro stato di salute era ottimale, i denti perfettamente posizionati e senza carie (lui era un dentista) e malattie ed epidemie che dilagavano nel resto delle società che andavano via via globalizzandosi non si presentavano invece fra queste. Quando invece le stesse etnie di persone venivano in contatto con il progresso, la ferrovia o la strada, e iniziavano ad avere a disposizione i cibi moderni come zucchero, farina bianca, marmellate, cioccolata, e cibi in scatola, la loro salute fisica e mentale precipitava. Le malattie che oggi consideriamo “normali” come quelle di origine cardio-vascolare, diabete, cancro, carie, non erano affatto normali tra gli individui di queste popolazioni. Interessante anche il fatto che in queste comunità “primitive” la consapevolezza sulle proprietà dei cibi era molto alta e quelli più nutrienti venivano destinati alle donne durante la gravidanza o ai bambini in fase di sviluppo. Il dottor Price notò come la dieta di questi popoli fosse molto più ricca di vitamine (o attivatori) liposolubili, in particolare la vitamina A, D e K2 che troviamo abbondantemente nel pesce, negli organi interni e nel grasso di animali che sono cresciuti pascolando all’aperto. La lezione che possiamo trarre da questi popoli del passato e da molte altre comunità indigene che ancora popolano angoli di questo pianeta è enorme, in termini di autoproduzione del cibo, di autogestione della salute e di indipendenza dal sistema ipertecnologico globalizzato.
Nel corso di meno di un secolo questo residuo di consapevolezza e di pratiche di vita è quasi del tutto scomparso nel mondo civilizzato e globalizzato e le conseguenze sono sempre più devastanti. Ma persa questa consapevolezza si perde anche la capacità di porsi le giuste domande. Ci si chiede quindi se il virus è mutato e in che cosa piuttosto di capire come noi e lo stato di salute del nostro sistema immunitario siamo mutati. La maggior parte della gente accetta di essere relegata in casa, ad abbuffarsi probabilmente di cibo, collegati tutto il giorno a internet in mezzo alle radiazioni elettromagnetiche sempre più invadenti del WI-FI, senza prendere il sole e stare all’aria aperta, in uno stato sempre maggiore di stress e psicosi, tutte cose che aggravano lo stato del sistema immunitario. La criticità dei contagiati quindi aumenta, ma la colpa viene data al virus che è più cattivo e comincia a prendersela con i più giovani.
Più che metterci una mascherina sul viso dovremo toglierci le bende dagli occhi. Ma forse non è il momento giusto, bisogna prenderne atto. Inutile dire a chi si è tagliato e sta sanguinando che dovrebbe imparare ad usare meglio il coltello.
Non c’è da stupirsi, come già detto prima, che gli epicentri della pandemia siano spesso aree altamente inquinate e con un’alta densità di popolazione. In una parola nelle città. Ed è sempre stato così. La civiltà è la società degli abitanti delle città, sinonimo di progresso e innovazione tecnologica. Nondimeno dovrebbe essere ormai chiaro che è anche il luogo dove lo stato di salute dei suoi abitanti diviene sempre più debilitante. Ma nonostante queste evidenze ormai eloquenti, e questa pandemia è soltanto l’ultimo di una lunghissima serie di eventi che hanno portato alla luce questa innegabile verità, la maggior parte delle persone civilizzate, e la maggior parte anche dei movimenti radicali continua a pensare che è questa la casa dell’uomo moderno e che sia impensabile ripensare un modo di vivere differente. Sarà quindi la tecnologia a salvare dal disastro questo mondo globalizzato al collasso.
E su questo non c’è alcun dubbio. La risposta a tutti i nostri problemi attuali sarà sempre più tecnologia. Lo stiamo vedendo ora durante l’epidemia, nuove tecnologie mediche (farmaci e vaccini), nuove tecnologie per l’educazione scolastica a distanza, nuove tecnologie di controllo (apps, droni, ecc…). E questo è solo l’inizio. Dopo questa esperienza chi non vorrà la diffusione del 5G per migliorare la connettività globale, chi non vorrà obbligare tutte le persone di questo mondo a vaccinarsi con ogni sorta di vaccino per salvaguardare le fasce più deboli della società (fasce in continua espansione visto la degenerazione psico-fisica attuale).
La via per il transumanesimo, la fusione dell’uomo con la macchina, è ormai aperta da molto tempo, e da un certo punto di vista è l’unica via per salvare la società industriale e tecnocentrica moderna e l’essere umano che le dà vita.
L’altra via, l’unica altra rimasta, è rinnegare tutto questo sistema ipertecnologico, la città, la vita moderna, la scienza medica, e prendersene tutte le responsabilità e conseguenze del caso. La civiltà moderna è insostenibile, c’è chi lo dice e lo sostiene ormai da decenni. Ma non ci si può certo aspettare un tale approccio dalle masse addomesticate che non vedono l’ora di tornare ai loro happy hours. Questo appello è rivolto principalmente ai movimenti radicali che nelle loro differenze cercano un cambiamento concreto della vita di tutti i giorni. Per quanto ancora bisognerà credere nella tecnologia, nell’assistenza sanitaria, nella scuola, nella società dei diritti. Il lavoro necessario per intraprendere questo cammino è immenso, faticoso e intergenerazionale. Ma l’alternativa sarà sempre e soltanto più asservimento alla tecnologia e alle élite che la governano. Riprendersi in mano la nostra salute e quindi l’approvvigionamento di cibo salutare è un passo decisivo.
La nostra dipendenza dal sistema di produzione e distribuzione è uno dei nostri più grandi limiti. E sono molti i miti che dovremo sfatare, oltre a quello tecnologico e del progresso, per imbarcarci in questa impresa. E soprattutto disintossicarci dalle politiche identitarie di ogni tipo. Ma questo non è esattamente un appello per creare un nuovo movimento globale anti-civ. È un invito a creare comunità stabili che puntino a riprendersi in mano le proprie capacità, a partire dalla nutrizione e dalla salute, orizzontali ed egualitarie, in grado di generare solidarietà e mutuo aiuto sia all’interno che verso altre comunità con caratteristiche simili. Non è per niente un’idea nuova, è l’idea anarchica nella sua essenza, ciò che molte comunità umane indigene ancora presenti su questo pianeta fanno da millenni.
Avremo un compito molto urgente appena questa emergenza sarà finita e si avrà la possibilità di tornare liberamente nelle strade in gran numero. Fare manifestazioni e azioni dirette di ogni tipo per mettere le mani avanti su tante cose che vorranno imporci da qui a breve: 5G, vaccinazioni obbligatorie e implemento tecnologico securitario. Sarà un primo passo per far comprendere che la nostra salute non dipende dall’OMS e dai nuovi inquisitori del PTS (Patto trasversale per la scienza, quelli che hanno il compito di definire e denunciare come fake news tutto quello che si oppone al sistema sanitario istituzionalizzato). Qualcuno sta cercando di farlo già ora in “clandestinità”, ma sarà dopo che non potremo più permetterci il lusso di stare in silenzio.
La nave dei folli si schianterà contro l’iceberg, per allora dovremo aver imparato a nuotare.
Hirundo, Marzo 2020