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Guerra tecnica

Vi proponiamo un articolo uscito su Frangenti, precisamente il n. 23 del 20 aprile 2018. Cambiate i massacratori, ribaltate gli attori del genocidio e trafugate la commistione fra tecnologia e guerra. Che fossimo in guerra, nessuna novità. Ciò che sta accadendo alla luce del conflitto Usa-Iran riguarda il quotidiano di ognuno di noi.

La contemporaneità ha prodotto un’altra idea di guerra: quella vissuta come minaccia, fatta a grappoli e usata, come inizio, per intimidire. Una guerra del tutto tecnologica. Senza l’elemento tecnico non si potrebbe pensarla e attuarla nei termini del mordi e fuggi, come abbiamo visto pochi giorni fa in Siria. Una guerra di precisione: dal giardino guerrafondaio di Washington, di Parigi e di Londra si possono sterminare migliaia di vite e devastare luoghi. La forza monolitica di informatizzare gli strumenti di guerra, attraverso la proliferazione dell’informatica e dell’elettronica, è un passo che ormai dalla guerra in Iraq e in Afghanistan non detta più i tempi degli eserciti, ma l’azionamento di un pulsante. A pulsante, si risponde morte.

Da Hiroshima e Nagasaki, da Baghdad a Kabul, per arrivare a Homs, quel pulsante fomenta massacri. La guerra fatta con tecnologie avanzatissime devasta la nozione di tempo e di spazio. Essere cacciati nell’astorico, in quello che viene definito presente eterno di morte, sopisce la sensibilità e il pensiero. E il pensiero dimezzato, il pensiero che si forma attraverso opinioni da social network, perde l’immensa capacità di immaginare: quel sogno necessario che ha sempre ispirato individui e gruppi di ribelli nel cercare di spezzare le proprie catene. Dalla guerra del Vietnam in poi, le guerre non vengono più dichiarate, si fanno. Punto.
Questo imperativo pone una serie di problematiche. Possiamo dire di esistere in una guerra permanente? O è solo l’esagerazione di certe paranoie? E se la guerra non dichiarata e attuata facesse da base per una guerra civile, non solo in Oriente, ma anche in Occidente? In Siria, le rivolte contro il regime di Assad, ai loro inizi, erano incentrate in rivendicazioni come libertà e dignità. Nate come movimento di opposizione al regime, si sono poco a poco disarcionate in guerra fratricida tra gli assassini di Assad e un miscuglio di integralismo religioso e di rivendicazioni territoriali. Dalla parola libertà si è passati a sostenere interessi privati fra varie bande che vorrebbero conquistare le città e non distruggere il regime che soffoca la vita. E su questo, tutti gli individui che fanno della lotta a qualsiasi guerra una dimensione decisiva del proprio vissuto cosa potrebbero pensare? Come reagire allo sbandamento che ha provocato la delicatissima questione siriana in questi anni?

Oggi, con una guerra civile globale alle porte, è lo sguardo attento e desiderante che può ribaltare la miopia assassina della tecnologia. E se portare il caos nel robot tecnologico fosse un buon modo di affermare di essere contro qualsiasi guerra?

Samsara