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Dall’altra parte dello specchio

Il tizio sorride ai fotografi, con gli occhiali da sole pigiati sul naso e le cime innevate sullo sfondo. Giunto la sera di giovedì in una località sciistica degli Alti Pirenei, ha previsto di trascorrervi il fine settimana. Quest’uomo è il Presidente della Repubblica. È venuto a festeggiare in tutta tranquillità la fine del Gran dibattito, il cui obiettivo era quello di incanalare sui binari istituzionali un movimento di rivolta che ormai dura da quattro mesi. Sabato 16 marzo, a metà pomeriggio, questo stesso uomo, ora col volto contratto, è costretto ad interrompere la sua vacanza in tutta fretta. Poco prima, la sindaca del distretto più ricco della capitale, ebbra di rabbia, ha chiesto di decretare lo stato di assedio per affidare all'esercito funzioni di polizia. Poche ore dopo, un Primo Ministro quasi livido sbraiterà a più non posso, lanciando strali a casaccio contro gli atti dei «teppisti, saccheggiatori, incendiari, criminali». E pure «assassini», ci tiene ad aggiungere senza batter ciglio il suo specialista in terrorismo di Stato. È il 18° sabato consecutivo, e il potere è stato ancora una volta colto di sorpresa: impegnato a iperproteggere il suo piccolo triangolo composto da ministeri, ambasciate e Palazzo Presidenziale, ha dovuto cedere terreno al cospetto di una rabbia e di una determinazione che hanno devastato la più grande vetrina del paese. E questa volta senza alcun riguardo. Sabato 16 marzo, a fine mattinata, ce n’era per tutti i gusti sugli Champs-Elysees. Le lussuose gioiellerie di Bulgari, Mauboussin e Swarovski saccheggiate dopo che le pesanti protezioni erano state divelte, così come la boutique Celio i cui abiti sono stati condivisi al volo, o i negozi di cosmetici Yves Rocher, la gastronomia di Macaron Ladurée, i grandi magazzini di Tara Jarmon, Zara, H&M e Lacoste, i negozi di elettronica Samsung, di smartphone Xiaomi, di calzature Weston, del PSG, di pelletteria Tumi e Longchamp, o ancora nel disordine i negozi di Hugo Boss, Eric Bompard, Nespresso, Etam, Al Jazeera Perfumes, Nike, SFR, Foot Locker, Leon de Bruxelles, Disney, Gaumont e persino il cioccolataio Jeff de Bruges. Almeno 80 imprese attaccate, venti delle quali saccheggiate, devastate o incendiate, senza contare tutte quelle che si trovavano sul percorso di manifestazioni selvagge. Ben poche sono state risparmiate durante questa giornata di apertura al pubblico sugli Champs, malgrado i 200 manifestanti arrestati e i feriti una giornata di sole che è riuscita a combinare altre discipline olimpiche non ufficiali, come il lancio di pavé disselciato o l’incendio volontario (in particolare quello del ristorante Le Fouquet's, del mezzo di un cantiere e di altri veicoli, compreso uno della polizia di fronte al commissariato des Halles). Quando abiti e gioielli di lusso cominciano a svolazzare gioiosamente in aria al grido di «rivoluzione! rivoluzione!» ed altri beni finiscono in fiamme o in svariati pezzi, non si può che riflettere sul tempo strappato allo sfruttamento, sul lavoro che schiaccia carne e neuroni giorno dopo giorno in cambio di poche briciole. Ma il conseguente saccheggio di tutti questi beni che ci imprigionano tocca anche un'altra dimensione, quella della sua ultima ratio, come è stato detto a proposito delle rivolte dei Watts: colpisce la funzione stessa della polizia, una delle cui ragioni d’essere è appunto quella di ottenere che il prodotto del lavoro umano rimanga una merce la cui magica volontà è di essere pagata. Sospinto da una folla eterogenea, questo Sabato parigino ha così espresso in modo eclatante una buona vecchia pratica di rivolta che non si può dire che manchi in molte altre città (come Tolosa, Bordeaux o Montpellier) fin dal mese di dicembre: spaccare le vetrine che quotidianamente si fanno beffe di noi, ma soprattutto cercare di passare dietro cogliendo l’occasione di prendere o distruggere ciò che proteggono. Con le dovute cautele, fracassare lo specchio della normalità e ritrovarsi dall'altra parte potrebbe persino rivelarsi ancora più sorprendente. Poiché, oltre al temporaneo rovesciamento dello spazio e del tempo del dominio, è la stessa prospettiva che potrebbe essere ribaltata. Una volta infranto il fascino della vetrina, una volta che lo sguardo è capace di proiettarsi oltre la sua facciata, perché dovrebbe fermarsi in effetti un così positivo cammino? La libertà e la rabbia non sono altrettanto contagiose della passività e della sottomissione? L'immaginazione e la perspicacia non sono qualità per coloro che vogliono andare ancora più oltre? E in tal caso, perché lo sguardo non può continuare a vagare a piacimento, non solo dietro le vetrine ma anche in tutte le altre direzioni, in basso o in alto, dove proliferano i flussi che le alimentano? Sotto i nostri piedi o magari sopra le nostre teste. Come un modo per continuare a eliminare il problema, e direttamente alla fonte. In diecimila un sabato sugli Champs-Elysees, in pochi durante la settimana ovunque si desideri. (Traduzione: Finimondo)

Fonte: Avis de Tempetes

Avis de Tempêtes Numero 15 PDF