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L’officiante fuori luogo. Considerazioni sulla performance non-violenta di un’attivista cremonese.

Il pericolo inerente al passaggio dell'inevitabile insicurezza del pensiero filosofico alla spiegazione totale di un'ideologia e della sua Weltanschauung non consiste tanto nel lasciarsi irretire da un'ipotesi spesso volgare, quanto nell'abbandonare la libertà implicita nella capacità di pensare per la camicia di forza della logica, mediante la quale l'uomo può farsi violenza quasi con la stessa brutalità usata da una forza esterna”

Hannah Arendt

Domenica 25 febbraio, Simone Di Stefano, presidente del movimento neofascista CasaPound, viene ospitato in una sala pubblica del comune di Cremona per offrire delucidazioni sul programma elettorale del suddetto movimento. La sala concessa per l'evento non è una lugubre stanza d'albergo alla periferia della città; no, è un palazzo medievale nel cuore del centro storico, quasi a simboleggiare una carezza istituzionale di benvenuto. La Questura mette in scena un dispositivo di sicurezza in grande stile: camionette e polizia in antisommossa circondano e proteggono la zona dei fascisti. Un gruppetto di antifascisti, urlando slogan e lanciando invettive, circumnaviga il fortino dall'esterno; mentre all'interno della sala succede qualcosa di inaspettato: tra i tanti camerati presenti si nasconde una ragazza che, ad un certo punto del convegno, si reca verso la divinità dei fascisti omaggiandola con un sacrificio letterario, La banalità del male della Arendt. Ora, al di là del piacere di riconoscersi come avversari al fascismo proprio a partire da un posizionamento geografico, da un dentro e da un fuori senza i quali nessuna lotta potrebbe avviarsi, sorge inevitabile una domanda: ma l'ardimentosa officiante lo avrà mai letto questo libro?

L’atto in sé non voleva essere una mera provocazione: un messaggio di contenuto, senza urla in piazza, senza insulti, senza livore, tutte cose che invece hanno accompagnato l’uscita [della ragazza] dalla sala”. Basterebbero queste parole per capire la confusione da cui il gesto prende vita, la sterilità culturale da cui ha origine e l'orizzonte normativo verso il quale tende; ma proviamo a spingerci oltre, proviamo a svelare i pochi ma significativi cortocircuiti di cui siamo a conoscenza.

1 – Se c'è un insegnamento che la Arendt ci ha consegnato con amore e risolutezza è proprio quello di prestare attenzione a chi sono e dove si annidano i primi delatori: questi, ai tempi del nazismo, non si nascondevano solo tra le file del nemico, ma all'interno dell'élite ebraica, speranzosi fino all'ultimo di ottenere un salvacondotto dai nazisti in virtù del loro prestigio sociale e della loro ricchezza.

2 – Ne La banalità del male viene messa a nudo la facilità con la quale un individuo possa deresponsabilizzarsi di fronte ad azioni deprecabili quando lo spazio etico tra soggetto e Stato viene schiacciato dal peso opprimente della Legge. Il processo di Norimberga viene analizzato dalla Arendt per scavare dentro di , il sé collettivo della cultura occidentale, civile e progressista, quella da cui sono nati i campi di sterminio; non certo per mettere in forma un manuale pedagogico contro dei nostalgici.

3Il 24 gennaio 2015 un grosso serpentone antifascista si muove per le strade di Cremona dando vita ad una guerriglia molto vivace. Il giorno seguente, il circolo culturale “Arcipelago”, la cui presidente è proprio la protagonista del nostro racconto!, si dissocia dai rivoltosi contribuendo al tentativo di egemonizzare una condotta antifascista totalmente pacificata attraverso la criminalizzazione di chi sceglie l'azione diretta come pratica d'intervento. Per quella giornata vennero arrestati otto ragazzi.

Al lettore il gioco di trovare analogie e suggestioni. Questo è solo un piccolo esercizio di critica abbozzato in fretta a partire da semplici ricordi. Qualcuno si potrà chiedere perché tanta attenzione ed amarezza verso un gesto tutto sommato insignificante: il problema non sono i fascisti? Beh, nella misura in cui la performance di qualcuno diventa l'occasione per sedimentare una retorica criminalizzante verso la protesta di altri, fare chiarezza diventa una priorità non rinviabile; perché se quel giorno qualcuno avesse provato a infastidire i fascisti per davvero, scontrandosi inevitabilmente con la polizia o la legge, allora è bene ricordarsi che i primi a condannare gli antifascisti sarebbero proprio coloro che fanno dell'accondiscendenza alla legge, alla polizia, al comune, la loro armatura politica e culturale - come il terzo punto vuole evidenziare.

Cremona, 27/02/2018