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LIBERTA' PER VINCENZO!
Nè PRIGIONE Nè ESTRADIZIONE

Vincenzo è stato arrestato l'8 agosto 2019 a Rochefort en Terre dove viveva da anni dopo essersi sottratto ad una condanna spropositata, più di dodici anni di carcere, per aver partecipato al controvertice del g8 a Genova nel 2001. Attualmente è rinchiuso presso il carcere di Vezin le Coquet, vicino a Rennes.

In seguito al suo arresto, in Francia sono nati quasi 30 comitati di sostegno che si pongono l'obiettivo della sua liberazione. Sono state già organizzate diverse mobilitazioni in occasione delle udienze del 14 e del 23 agosto presso la corte d'appello di Rennes. Grazie anche al sostegno e alla solidarietà è stato ottenuto un supplemento d'inchiesta al fine di ottenere dall'Italia tutti i documenti ufficiali del processo di Genova e del relativo mandato di cattura internazionale in quanto al momento ciò che è stato fornito dallo stato italiano risulta lacunoso ed impreciso. Ciò ha permesso di dilatare i tempi della procedura di estradizione che diversamente sarebbe già in corso. La giustizia italiana ha tempo fino al 10 ottobre per fornire quanto richiesto.

Il tempo guadagnato apre un varco che va sfruttato fino in fondo. Per questo come parenti, amici e compagni di Vincenzo ci siamo recati a Rochefort en Terre, dove abbiamo conosciuto le tante persone che lì sostengono Vincenzo con forza e determinazione e a maggior ragione qui in Italia raccogliamo la proposta francese di mobilitazione internazionale per il 14 e il 25 settembre, vigilia dell'udienza che darà risposta alla richiesta di libertà provvisoria per Vincenzo.

Invitiamo tutte e tutti a mobilitarsi il 14 e il 25 settembre, nelle proprie città, per la libertà di Vincenzo e in solidarietà a tutti i ribelli di Genova, con ogni mezzo che la fantasia mette a disposizione.

Amici, familiari e compagn* di Vincenzo

Ciao a tutti/e! 
Sono Robert e dal 6 luglio mi trovo rinchiuso nel carcere di Sassari. Sono accusato assieme a una compagna e a un compagno dell'invio di "buste esplosive" a due pubblici ministeri, Sparagna e Rinaudo, e al direttore del DAP*. All'alba del 21 maggio siamo stati perquisiti e portati in carcere. Io e Beppe siamo stati rinchiusi a Opera, dove abbiamo trascorso un mese nella sezione di "osservazione". Si tratta dell'area in cui vengono collocati i detenuti che devono scontare i 15 giorni di isolamento punitivo o quelli considerati ad alto rischio autolesivo. Nel nostro caso ci siamo ritrovati in quella sezione visto che a Opera non è presente un'AS2 ma "solo" l'AS1, l'AS3 e l'immancabile 41bis. Avendo il divieto di comunicare con gli altri detenuti abbiamo trascorso un mese  in celle singole con il blindo perennemente chiuso e un'ora d'aria al mattino in uno squallido cortiletto angusto. In quella sezione era inoltre proibito l'uso dei fornelletti, per cui ci siamo adeguati al vitto del carcere, quasi sempre immangiabile. Non che avessi mai nutrito qualche aspettativa nei confronti di questi luoghi di annientamento psicologico e fisico. Dopo un mese è arrivato il trasferimento, e mi hanno portato in AS2 a Terni in cui sono rimasto 2 settimane. Non soddisfatti degli spostamenti, il 6 luglio mi hanno trasferito a Sassari dove è presente un AS2 finora utilizzata per rinchiudere i detenuti islamici accusati di terrorismo; evidentemente il 2019 è l'anno in cui sperimentare l'accostamento anarchici/islamici. Questo luogo viene definito dai prigionieri stessi "La Guantanamo d'Italia" per la durezza e per le restrizioni del regime in sè e per la sua lontananza da tutto che, oltre a rendere difficili i colloqui, spiana totalmente la strada all'amministrazione del carcere nel prendere decisioni e provvedimenti in maniera ancora più arbitraria.
In merito all'operazione Prometeo farò un paio di brevi considerazioni. L'inchiesta, condotta dai ROS di Torino coordinati dalla procura di Milano, si rivela l'ennesimo becero tentativo di colpire gli anarchici in quanto tali.
A certi atti i tutori dell'ordine devono per forza fornire una giustificazione, costruire moventi e attribuire responsabilità. I solerti investigatori hanno rivelato anche questa volta le loro doti creative e la loro frustrazione pescando nel mucchio, strumentalizzando miseramente intercettazioni e dialoghi della quotidianità, e aggrappandosi a qualsiasi appiglio pur di dare sostanza ad un nulla di fatto. Corrispondenze con i prigionieri e iniziative di solidarietà diventano i punti chiave su cui far leva per inquisire, e rappresentano il pretesto per inventarsi collegamenti e forzature. Nulla di nuovo che non si sia già visto nelle inchieste che negli scorsi mesi e anni hanno colpito varie realtà.
In questi tempi di isterismo e caccia alle streghe lo stato non perde l'occasione per fomentare la guerra fra poveri istituendo soggetti indesiderati (gli anarchici, gli stranieri, i vandali, etc...) per distogliere l'attenzione dalle nefandezze che quotidianamente attua. E servendosi di provvedimenti vigliacchi e liberticidi tenta in ogni modo di levarsi di torno chi è considerato di troppo e chi ostacola gli interessi dei padroni.
Con parecchio ritardo a causa della censura ho appreso degli scioperi della fame delle compagne e dei compagni, e della mobilitazione che si è creata per rompere l'isolamento e dare eco alla voce e alle lotte di chi è rinchiuso. Trovo interessante che si stia provando a sviluppare un discorso che oltrepassi l'emergenzialità, con l'auspicio di non farsi trovare impreparati in occasioni simili. Mando perciò un forte abbraccio a tutte/i coloro che hanno intrapreso lo sciopero della fame e a chi lotta dentro e fuori queste mura assassine. 
Stragista e terrorista è lo Stato.
Con amore e rabbia, col cuore oltre le sbarre. Daje forte!

Robert

data del timbro della censura: 5/8/2019
data della lettera a cui era allegato lo scritto: 17/7/2019

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Note di trascrizione:
* ex direttore del DAP Santi Consolo, in quanto le accuse si riferiscono al 2017. L'attuale direttore del DAP è invece Francesco Basentini

Se proviamo a leggere la realtà che ci circonda ci accorgiamo che stiamo assistendo allo sviluppo di profonde trasformazioni dal punto di vista della gestione del potere politico ed economico. Tali cambiamenti si riflettono anche a livello sociale. È necessario confrontarsi con le trasformazioni in atto e tenerne conto in quelle che sono le nostre analisi e prospettive di attacco. Il capitale non è in crisi, ma più "semplicemente" le scelte finanziarie degli Stati hanno creato delle difficoltà nella tradizionale gestione del mercato e hanno prodotto, in generale, un peggioramento delle condizioni di vita dei consumatori-cittadini. Le contraddizioni che il capitale ha sviluppato hanno contribuito a determinare in alcune zone delle occasioni di scontro, più o meno cruente e di lunga durata, fra i guardiani del potere e le sue strutture e quelle sacche di popolazione stanche di essere escluse dagli agi che il fasullo benessere delle società del consumo promettono. Di fronte a ciò è naturale chiedersi che fare. Essere «qui ed ora» è infatti alla base del nostro desiderio di rottura violenta con ogni sistema di valori, con il capitale e le sue sfumature. Nell’ambito di tali riflessioni e nella definizione di prospettive che possano orientarci nelle strade incerte ed inesplorate della rivolta crediamo sia necessario evitare di confrontarsi con la realtà con gli occhi insabbiati da quei facili entusiasmi che rischiano di far vedere insurrezioni ad ogni angolo, complici in ogni indignato, soggetti rivoluzionari in ogni sfruttato. Al tempo stesso crediamo sia altrettanto pericoloso rimanere ancorati ad una sorta di pessimismo realista che rischia di renderci immobili di fronte allo scorrere del tempo, di trasformarci in attendisti imprigionati in una logica di tipo determinista. Ciò che riteniamo fondamentale è porsi in un’ottica di lucida osservazione che può consentirci di cogliere le trasformazioni in atto, individuare gli aspetti vulnerabili del nemico, per poter meglio valutare cosa e come attaccare. In una condizione mentale e materiale in cui domina l’urgenza di esserci (e non di essere), cioè di definizione di un proprio ruolo all’interno di una possibile conflittualità diffusa, si rischia di perdere di vista la centralità della questione: la necessità di partire da sé, dalle proprie idee e prospettive anarchiche. Ecco dunque che in occasione di una rivolta spontanea il problema degli anarchici non è quello di cercare un ruolo tra altri ruoli, di trovare il modo per farsi accettare dagli altri, di risultare gradevoli o nascondere i propri veri desideri per catturare alleanze. Sarebbe semmai utile scegliere delle condizioni di attacco che impediscano un ritorno alla normalità, sperimentare l'agire che ci appartiene, trovare degli obiettivi che la spontaneità da sola può non essere in grado di trovare. Qualsiasi ipotesi insurrezionale è imprevedibile e indipendente da noi, ma come anarchici, in un’ottica di conflittualità permanente e di definizione di progetti insurrezionali possiamo certo dare un contributo fondamentale a quando accade.  Il problema che bisognerebbe porsi, secondo noi, non è tanto come relazionarsi alle possibilità di rivolta per strada, di lotte territoriali e/o specifiche che potrebbero radicalizzarsi e diffondersi, quanto come continuare ad agire e ad attaccare, in una dimensione pratica e teorica, alla luce delle trasformazioni in atto all’interno della società e dei meccanismi di dominio. Analizzare le pratiche e i percorsi di lotta in relazione agli obiettivi è tappa fondamentale di un discorso volto ad individuare i limiti e le prospettive nella teoria e nella pratica della sovversione sociale. Per poter meglio toccare i diversi quesiti e proposte che intendiamo portare avanti in questa sede individuiamo in alcuni punti alcune delle argomentazioni che vorremmo portare all’attenzione dei compagni. Crediamo sia urgente affrontare la questione delle modalità di comunicazione fra compagni. Il problema può essere affrontato distinguendo due aspetti, quello delle modalità con cui decidiamo di comunicare e quello del valore che riconosciamo agli strumenti che di volta in volta scegliamo di utilizzare. Nello specifico ci riferiamo all'uso della rete telematica e il modo con cui ci relazioniamo alla stessa. L'utilizzo da parte nostra degli strumenti, seppur in piccola parte, è un dato di fatto, ma questo non è di certo un elemento per il quale possiamo considerarli utili in caso di insurrezioni o strumento fondamentale nella definizione delle nostre prospettive o, addirittura, qualcosa di cui possiamo liberamente disporre. I sistemi di comunicazione di tipo virtuale hanno avuto uno sviluppo incredibile all'interno delle società in cui viviamo negli ultimi vent'anni e permeano ogni giorno di più la realtà e il sistema di relazioni fra le persone. Non possiamo ignorare che tali sistemi siano lentamente entrati nelle nostre vite, condizionando inevitabilmente anche il nostro modo di rapportarci con gli altri, con ciò che ci circonda e con gli strumenti telematici stessi. Tutto ciò è accaduto nonostante ognuno di noi sia consapevole che l'irrealtà virtuale è funzionale al potere e ne è la forza. Nell'ultimo decennio i metodi tradizionali con cui facevamo circolare le idee, come ad esempio giornali, volantini, manifesti, libri, si sono ridotti sensibilmente e la diffusione delle idee stesse è stata quasi totalmente delegata all'universo virtuale. È più che mai indispensabile tornare a rispolverare le vecchie forme di incontro e comunicazione fra compagni e sperimentarne di nuove, ma che siano soltanto nostre e non del nemico. Tornare ad incontrarsi e prendersi il tempo per farlo, cosa resa sempre più difficile dai ritmi imposti dalla vita moderna, ritmi che più o meno consapevolmente abbiamo fatto nostri. Capita spesso di sentire qualcuno fare considerazioni sulla possibilità di sfruttare gli strumenti telematici in situazioni specifiche, ma trovarsi faccia a faccia con un uso pressoché quotidiano di internet, in particolare per lo scambio di informazioni e idee, ci ha mostrato quanto la realtà virtuale giunge a condizionare in modo negativo il modo di relazionarsi stesso. L'idea di un {\em buon uso} della realtà virtuale in una prospettiva rivoluzionaria non ci convince, crediamo infatti che prendere in considerazione una tale possibilità comporterebbe scegliere delle vie che non danno alcuna garanzia perché funzionali al capitale e gestite dal potere. La telematica e lo sviluppo tecnologico devono semmai essere potenziali obiettivi d'attacco.  

Sabotare la produzione

La macchina del capitale si alimenta grazie alle strutture di potere (burocrazie e istituzioni), meccanismi di repressione e di controllo (carceri, tribunali, forze militari e di polizia, sistemi di sorveglianza), al lavoro, al consenso, alla produzione. La critica radicale e le prospettive di attacco devono quindi svilupparsi su più livelli, da un punto di vista sia teorico che pratico. Nello specifico il sistema di produzione e consumo è ciò che lega ed incatena direttamente gli individui al capitale e alle sue sfumature. La creazione di falsi bisogni determina la sottomissione, più o meno consapevole, allo sfruttamento nel lavoro, alle logiche di colonialismo economico. La produzione di energia, i complessi industriali e di fabbrica più o meno delocalizzati, la diffusione della merce sono alla base del funzionamento di questo mondo. Ed è proprio in questa direzione che bisogna agire, senza aspettare che quel muro di mercificazione, che si sta infiltrando in ogni aspetto dell'esistenza, ci crolli inesorabilmente addosso, mentre proviamo a scalfirlo mirando alla superficie e non alle fondamenta, seppellendo ogni possibilità di tentativo futuro di attacco. Acquisire, scambiare e diffondere informazioni, pratiche e teoriche, in merito al reperimento e all'utilizzo di strumenti e conoscenze è uno degli aspetti che crediamo sia indispensabile discutere e sviluppare. Possiamo porci degli interrogativi su come agire e come attaccare, ma è altrettanto importante chiedersi contro cosa agire e quali gli obiettivi da individuare, puntando sull'iniziativa piuttosto che rinchiudersi in una logica di risposta. Ciò che ci circonda pullula di luoghi attraverso i quali il capitale prolifera. Luoghi che sono nati o mutati radicalmente negli ultimi decenni. Facciamo, brevemente, un esempio, col quale mettere facilmente in evidenza alcuni dei cambiamenti ai quali facciamo riferimento. Si pensi alla differenza che c'è fra degli archivi cartacei e i database. In passato il rogo di documentazione all'interno di un ufficio anagrafe, del lavoro, di un grosso complesso industriale poteva essere un'azione distruttiva concreta. Oggi no, le informazioni, i dati d'archivio vengono conservate nei database, in piccoli strumenti elettronici, scorrono lungo chilometri di cavi. Non è forse necessario tenerne conto? E non è forse palese che i cambiamenti che il nemico sono stati radicali e non si posso ignorare, ma è necessario approfondirli e conoscerli? Non vogliamo in questa sede fare un elenco di quelli che possono essere possibili obiettivi di attacco, preferiamo lasciare ad ognuno la fantasia nella ricerca e la creatività nel definire le proprie prospettive di rivolta. Un altro punto sul quale ci interessa puntare brevemente l'attenzione è la dimensione internazionale che credo debba assumere o tornare ad avere la prospettiva insurrezionale. Occasioni come questa consentono di vedersi, di discutere, di confrontarsi fra compagni provenienti da diversi posti, e devono costituire un punto di partenza per l'approfondimento di relazioni future, laddove nascano e si desideri approfondirle. Ma la possibilità di stringere rapporti individuali o fra diverse realtà non è l'obiettivo finale, ma un presupposto e un aspetto della dimensione internazionalista alla quale aspiriamo. Avere dei rapporti con i compagni che vivono all'estero o scambiarsi materiale e conoscenze da solo non basta, occorre anche che ognuno di noi sappia proiettarsi in un ottica di osservazione ed azione che superi i confini territoriali. Per spiegarci meglio. Pensiamo a ciò che è accaduto in Grecia negli ultimi anni, l'insurrezione di dicembre, mille attacchi disseminati su tutto il territorio, conflittualità ripetuta con le forze dell'ordine e vari simboli e luoghi di potere, saccheggi nei supermercati e tante altre azioni che ci hanno scaldato il cuore e infuocato gli animi. Fuochi che però raramente sono traboccati dai nostri animi e hanno assunto una dimensione di concretezza. Le ragioni sono diverse e differenti l'una dall'altra. Mancanza di contatti? Una realtà troppo lontana dalla nostra? Condizioni interne difficilmente decifrabili? Notizie sporadiche e spesso esclusivamente legate alle fonti di regime? Di certo sì, sono ragioni che probabilmente hanno pesato. Ma prima fra tutte, ad essere determinante, è stato il fatto che non eravamo, e non siamo, preparati e quindi incapaci di cogliere delle occasioni. Riuscire a portare fuori dai confini greci una conflittualità permanente e degli attacchi mirati, essere capaci di comprendere le contraddizioni che il capitale sta sviluppando un po' ovunque, essere in grado di contrattaccare avendo a disposizione informazioni e strumenti sviluppati in precedenza, avrebbe potuto fare la differenza. È anche riflettendo su questa occasione mancata, ma se ne potrebbero citare molte altre, che si può comprendere quanto sia necessario avere la capacità di volgere lo sguardo al di là delle cose che stanno nel breve raggio attorno ad ognuno di noi ed essere pronti, essere preparati. Nell'urgenza di voler «esserci», nella smania di partecipare alla possibilità del dilagare dell'indignazione si rischia di smarrirsi fra le provocazioni del capitale e le traiettorie di strade che non ci appartengono. Non abbiamo un mondo da salvare, né coscienze da conquistare, né verbi da diffondere. Seppur sia fondamentale una creatività che determini anche l'imprevedibilità, le prospettive e gli obiettivi non devono essere tirate fuori da un qualche magico cilindro, non ci si può svilire in una ossessiva ricerca di ruoli, numeri e presenze. È tuttavia importante l'esplorazione di nuovi sentieri di attacco, l'esplorazione di nuovi mezzi, strumenti e tecniche in relazione non solo agli obiettivi, ma ai contesti e alle forze disponibili. Esistono infinite possibilità di intervento in senso critico e distruttivo rispetto alla realtà che ci circonda, e in tal senso riteniamo importante estendere e diversificare le pratiche di conflitto tentando di renderle, di volta in volta, riproducibili.  

Palermo, 31 ottobre  

[un contributo dell'Incontro anarchico internazionale a Zurigo, 10/13 novembre 2012, su Avis de tempêtes n.19-20 del 15/8/19]

Lasciarsi trasportare dalla corrente, senza opporre resistenza. È la via più semplice. Si procede in modo spedito, senza grandi sforzi. Nei tratti più agevoli poi, ci si rilassa quasi. Si risparmiano le forze in vista dei punti più cruciali, quelli in cui è necessaria la massima attenzione per non annegare. Lasciarsi trasportare dalla corrente è fluire col fiume. Come può essere difficile? Per fluire con il fiume non c’è nemmeno bisogno di saper nuotare, basta galleggiare. Se poi si è in preda a qualche urgenza, se si vuole fare in fretta, è semplice: basta liberarsi di un po' di peso. Più si è leggeri, più si fila via. Non serve altro. Sarà la corrente stessa a portare a destinazione, perché il fiume sta già andando verso l’oceano. Andare contro-corrente, invece, è una perdita di tempo. È uno sforzo immane destinato al fallimento. È un'impresa impossibile. È un tentativo puerile, che denota al tempo stesso in chi lo compie ingenuità e arroganza. È il modo migliore per rimanere soli e deboli, sempre più soli e sempre più deboli, in attesa di venir travolti. Scelta suicida, il più delle volte, anche perché non si potrà fare affidamento su nessuno. Chi può voler essere sommerso?  No, no, meglio lasciarsi trasportare dalla corrente. Leggeri, sempre più leggeri. Sbarazzandosi di ogni zavorra, etica o teorica che sia. Privi di valori e di idee troppo gravosi, si acquista velocità. Non si sta sempre immobili in se stessi, in continua tensione, vacillando un po' in avanti e un po' indietro, in attesa di spiccare un balzo come fanno i salmoni. Si sta in perenne movimento con altri. Ieri si stava con Lenin o con Mao o con Castro, oggi si sta con le Pussy Riots o con Greta o con Carola.

Certo, meglio non domandarsi quale sia la nostra vera aspirazione in relazione al fiume: scendere per arrivare alle affollate spiagge sugli estuari e immergersi nell’acqua inquinata o risalire fino alle sue solitarie sorgenti per esplorare i boschi circostanti? Non è la stessa cosa. L’acqua pura ed incontaminata, così indispensabile alla vita, sgorga a monte o a valle? Ecco perché, detto tra noi, abbiamo riso fino alle lacrime nello scoprire che certi fini teorici di sinistra solo ora cominciano ad avere qualche dubbio circa la flebile evanescenza dei fuscelli cui di volta in volta si aggrappano con alto senso della strategia. Ma poiché non li sfiora minimamente l'idea di mettere in discussione la necessità di seguire la corrente (lo strepitoso determinismo che accomuna santoni come Osho e santini come Marx), la loro conclusione è ovvia: così come in passato pensavano di combattere il potere borghese con il contro-potere proletario, oggi ritengono che il solo modo per contrastare la narrazione reazionaria sia quello di diffondere la narrazione sovversiva. Come se le frottole sulle foibe anti-italiani possano essere neutralizzate solo dalle frottole sui liberi soviet. Come se la premessa a qualsiasi narrazione non sia proprio l'eclissi del pensiero critico. Cos'è, dopo aver fatto prendere un po' d'aria e di ormoni ai propri militonti, portandoli ad alternare i seminari nelle sedi politiche e le risse sugli spalti delle curve, ora inorridiscono accorgendosi che costoro sanno intonare solo cori da stadio? Chissà quanto altro dovranno ancora rinnegare & tradire & ingurgitare prima di accorgersi che — se non si vuole finire dritti in un oceano di merda — è necessario opporsi a quella corrente, non accompagnarla. Perché non c'è alcun lieto fine che ci consolerà al termine di una esistenza quotidiana miserabile.  In fondo è questo l’errore centrale che ci ha condotti dai totalitarismi dittatoriali del passato a quelli democratici del presente: negare la necessità dell'individuo di sviluppare la propria coscienza, esortandolo ad abdicare e a consegnarla nelle mani dello Stato. Agli antipodi di ogni politica che pone qualsiasi soluzione al di fuori dell’essere umano, mai al suo interno, la rivoluzione contro lo Stato deve porre in primo piano il libero sviluppo dell’individuo. Anziché tendere sempre più a «formattare» gli individui per meglio adattarli alla loro funzione sociale, ruolo della propaganda, sarebbe meglio cercare di esortare ogni individuo a possedere uno spirito ed un corpo, un pensiero e delle mani, che siano del tutto autonomi. Trasformare le masse in individui, non tenere gli individui intrappolati all’interno delle masse.    

Finimondo, 8/8/19