Note a margine di una propaganda mortifera in sala Puerari.
Venerdì 14 giugno, mascherati dal lugubre teatrino di un'iniziativa storica quanto imbarazzante, la banda di razzisti in camicia verde, capitanati dall'illegittimo presidente della Lombardia Roberto Maroni, hanno impregnato attraverso la loro aura di valori marci e nauseabondi, uno dei pochi luoghi cremonesi che per la sua caratterizzazione culturale nulla ha da spartire con questi lerci individui, millantatori di guerre nostalgiche, deumanizzazione del diverso, distruzione del territorio, distorsione identitaria, inasprimento della repressione come del controllo sociale. Impossibile chiudere gli occhi nei confronti dei loro arbitri: la legge bossi/fini, le ronde, i centri di tortura per migranti, l'auspicio a telecamerizzare ogni angolo della città come ad invadere le strade di arroganza poliziesca, gli incoraggiamenti a massacrare gli studenti nei cortei come gli appelli a lasciare morire in mare gli sfollati libici e chiunque tenti di riscattarsi dalla miseria. Questi scempi sono indimenticabili, ed ogni volta che tali nefandezze troveranno lo spazio per diffondersi, si può affermare essere per lo meno scontato, che alcuni liberi individui accorrano a brandire il proprio dissenso; a maggior ragione, quando tali luoghi sono pubblici e per di più quotidianamente vissuti per l'esatto opposto degli obiettivi leghisti: ovvero l'acutizzarsi della critica attraverso l'esplorazione letteraria, filosofica e cognitiva.
Così è accaduto che durante quel funerale della cultura chiamato presentazione di un libro, una quindicina tra studentesse e anarchici, decidono di sbollirsi il sangue nelle vene contestando gli attori dell'attuale banalizzazione esistenziale. Al nostro arrivo ci troviamo davanti il triste scenario di una via Ugolani Dati violentata da camionette, pistole e manganelli; proviamo comunque ad avvicinarsi alla sala, quando improvvisamente veniamo bloccati e invitati ad allontanarci. Incontro aperto al pubblico? A quanto pare non per tutti. Ci accontentiamo allora di leggere un volantino e aprire uno striscione, ma pure questo sembra essere troppo; il megafono ci viene ripetutamente strappato e buttato a terra, mentre digos, carabinieri e vigili urbani ci strattonano fuori dal cortile. Evidentemente, la facciata sobria e pulita di un Maroni accolto a braccia aperte dalla città, doveva essere garantita al costo di epurare con calci e intimidazione tutte le voci fuori dal coro. Beh, sappiate che non ci dispiace affatto di avervi rovinato quella tragica commedia, e che ogni qual volta capteremo l'arrivo in città di codesti sicofanti, non esiteremo a ripresentarci, continuando a pretendere la libertà di dire la nostra. Ci teniamo anche a ribadire quanto un luogo di sapere e di cultura quale è la biblioteca comunale, non potrà mai convivere pacificamente con blindati e polizia, e che se un incontro all'insegna del marciume volete fare, fatelo nelle vostre caserme.
Giù le mani dal Kavarna