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A proposito di Kavarna

...la passione per la libertà è più forte d'ogni autorità...

Fine corsa. La presente organizzazione sociale è giunta ad un punto di non ritorno. L'attuale modo di vivere è in guerra aperta con le risorse naturali, con la crosta terrestre, con la capacità stessa di riproduzione delle specie vegetali, animali e umane. Siamo semplici ingranaggi di una megamacchina di cui non controlliamo né gli strumenti né le conseguenze. Solo attraverso un profondo processo di rottura è possibile oggi reinventare una comunità umana in armonia con la Terra e i suoi cicli. Mettersi di traverso è l'unico gesto sensato.
Fine corsa sono delle note di viaggio per fermare l'Alta Velocità in Trentino, la più rovinosa nocività progettata per le valli e le montagne in cui abitiamo e allo stesso tempo simbolo concreto di un sistema che ci rende sempre più dipendenti, irresponsabili, scialacquatori e spossessati.
A redarle sono alcuni individui che partecipano alla lotta contro il TAV e che da tempo, nel tempo vivo dell'esperienza, hanno smesso di delegare e di lamentarsi.
Nei percorsi e nelle soste di questo viaggio non ci aspettiamo né danari né consensi, ma idee più acuminate, rapporti più appassionanti, azioni più conseguenti.

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da Radiocane

Erano stati annunciati e puntualmente, chiuso il gran baraccone di Expo, arrivano nuovi arresti e perquisizioni per la manifestazione del Primo maggio di Milano, con l’accusa di devastazione e saccheggio. A oggi quattro compagni sono in carcere a Milano, altri sono indagati a piede libero, mentre per cinque greci è stato spiccato un mandato di cattura europeo: un’enormità che si aggiunge allo sproposito delle accuse.

Ma il diritto è una scienza a passo variabile e la solidarietà talvolta è in grado di limitarne l’incedere. In Grecia la solidarietà nei confronti degli inquisiti è immediata e i giudici ellenici ritengono che, “all’evidenza dei dati forniti dalla questura italiana”, la carcerazione sia misura cautelare eccessiva e, in attesa della decisione in merito all’estradizione, appioppano ai compagni greci l’obbligo di firma. Alla singolarità di un mandato di cattura europeo corrisponde una solidarietà che vorrebbe valicare i confini nazionali.

In vista della mobilitazione di sabato 28 novembre 2015, una corrispondenza su questa vicenda con un compagno dell’assemblea popolare di Aghia Paraskevi (Atene).

Ascolta il contributo

«Regola principale: non agire in massa. Conducete un'azione in tre o in quattro al massimo. Il numero dei piccoli gruppi deve essere quanto più grande possibile e ciascuno di loro deve imparare ad attaccare e scomparire velocemente. La polizia cerca di schiacciare una folla di un
migliaio di persone con un solo gruppo di cento cosacchi. È più facile battere un centinaio di uomini che uno solo, specialmente se questi colpisce di sorpresa e scompare misteriosamente. La polizia e l'esercito saranno senza potere se Mosca è coperta di questi piccoli distaccamenti
inafferrabili. [...] Non occupare roccaforti. Le truppe saranno sempre in grado di prenderle o semplicemente di distruggerle grazie alla loro artiglieria. Le nostre fortezze saranno i cortili interni od ogni luogo da cui è agevole colpire e facile partire. Se dovessero prendere questi
luoghi, non vi troverebbero nessuno e avrebbero perso numerosi uomini. È impossibile per loro prenderli tutti poiché dovrebbero, per questo, riempire ogni casa di cosacchi.»
Avviso agli insorti, Mosca, 11 dicembre 1905

 

Che l'annuncio del leader della Lega Nord di voler marciare su Bologna avrebbe incontrato ostilità e resistenza era scontato, che il modo migliore per contrastare la calata razzista fosse quello di disertare gli appuntamenti annunciati per provare a essere ovunque è stata l'intuizione di alcuni e la scelta spontanea di molti.
Così, a fianco degli appuntamenti ufficiali dai copioni prevedibili, "l'8 novembre di Salvini" è stata un'occasione di resistenza diffusa che ha saputo fare dell'imprevedibilità la propria forza.
I cortei (blindati di sbirri e murati di giornalisti) sono stati di fatto principalmente dei diversivi che hanno permesso a tantissimi compagni (ma anche a tanti "semplici individui") di arrivare a contestare la kermesse leghista nei dintorni e, addirittura, dentro piazza Maggiore.
Se gli insulti, gli sputi e i furti di bandiere hanno accompagnato i seguaci del carroccio dall'arrivo in città fino al ritorno ai pullman, possiamo concludere che il messaggio di ostilità è sicuramente giunto.
A seguire, una raccolta di notizie e racconti di alcuni tra gli episodi di resistenza contro il comizio di Salvini. La raccolta non ha la pretesa di essere esaustiva e si basa sulle notizie trovate in rete e i racconti di chi era in piazza. Va per tanto intesa come un elenco che chiunque ha vissuto quei momenti di opposizione può contribuire ad aggiornare.
Svariate scritte, attacchinaggi e murales contro la Lega compaiono sui muri già dalle precedenti settimane. Cortei studenteschi rilanciano gli appuntamenti di contestazione per la domenica, una biciclettata antirazzista colora vari muri di scritte e manifesti contro la Lega.

Sabato 7
-⁠ Merola, il sindaco del Pd, viene contestato a una commemorazione di partigiani.
-⁠ In serata, un corteo si snoda tra le vie del centro.
-⁠ In via Emilia levante, la strada viene chiusa con due cassonetti incendiati e le vetrate della vicina Banca Etruria infrante a martellate. Viene lasciata la scritta: "guerra alle banche non tra poveri".

Domenica 8
-⁠ All'alba viene sabotata la linea ad alta velocità tra Bologna e Milano e tra Bologna e Verona, con una scritta vergata sul luogo: "8-⁠11 sabotare un mondo di razzisti e frontiere."
-⁠ A Milano vengono colpiti due pullman di leghisti diretti a Bologna. Al primo vengono tagliate le gomme, al secondo, in un altro punto della città, viene tirata della vernice sul parabrezza.
-⁠ Nella mattinata si formano quattro concentramenti ufficiali di manifestanti, due dei quali proveranno a muoversi verso il centro.
Saranno bloccati da un ingente schieramento di polizia.
Uno dei due cortei verrà effettivamente circondato dalle forze dell'ordine che procederanno all'identificazione di tutti i presenti
(bloccando per ore, oltre ai manifestanti, anche i viali).
L'altro corteo, dopo svariate cariche d'alleggerimento sul ponte di Stalingrado (durante le quali un agente della digos viene portato via in
ambulanza perchè colpito da un grosso petardo), tornerà indietro verso via del Lavoro per raggiungere poi la zona universitaria e, in serata,
una piazza Maggiore ormai vuota.
-⁠ Mentre il grosso del dispositivo di polizia è impiegato nel contenere i cortei ufficiali, piccoli gruppi (di compagni ma anche di "semplici bolognesi" poco tolleranti verso l'adunata di camicie verdi) iniziano a raggiungere piazza Maggiore e le zone limitrofe.
-⁠ Alle 9 del mattino, volantini colorati che irridono a Salvini vengono lanciati dalla Torre degli Asinelli.
-⁠ Poco dopo alcuni compagni riescono a entrare in piazza Maggiore con volantini contro la Lega che diversi passanti accolgono con favore, mentre i leghisti si infuriano e li lanciano indietro.
-⁠ Un gruppo di contestatori in bici disturba l'afflusso dei militanti della destra che s'accingono a raggiungere piazza Maggiore.
-⁠Nel mentre in zona san Donato 4 compagni, che attaccavano alcuni striscioni tra cui: "Salvini ed i Marò alle tigri del Bengala (A)",
vengono fermati e trattenuti per ore.
-⁠ Il Pratello, che per protesta esponeva molte bandiere rosse con l'immagine di una zecca e ospitava un concentramento di soundsystem, diventa presto uno dei punti principali in cui si concentrano e ripartono vari gruppi di compagni, chi a piedi chi in bici, diretti verso piazza Maggiore. Gruppi che spesso fanno ritorno al Pratello con le bandiere delle più disparate formazioni fascistoidi, ultracattoliche ecc. a mo’ di trofeo.
-⁠ Da una delle vie d'accesso a piazza Maggiore partono dei lanci di bottiglie tra un gruppo di contestatori e dei giovani militanti della destra che facevano il saluto romano. Colta in contropiede, alla fine la polizia si adopererà per disperdere gli antifascisti.
-⁠ Berlusconi viene fischiato mentre parla e diventa bersaglio di alcune uova quando alla fine lascia piazza Maggiore.
-⁠ Buonanno s'infila dentro la chiesa di San Petronio per sfuggire a un gruppetto di contestatori, ma sbaglia a calcolare i tempi d'uscita:
accerchiato viene insultato strattonato e centrato in faccia dagli sputi mentre scappa.
-⁠ Anche il deflusso dei partecipanti al comizio di Salvini è fatto oggetto di contestazioni, insulti e scaramucce a macchia d'olio.
-⁠ Nel pomeriggio al Pratello si sparge la voce dell'arresto di 3 compagni: un gruppetto di solidali raggiunge la questura intonando cori solidali. Le accuse per i 3 sono lesioni e resistenza a pubblico ufficiale. Verranno rilasciati il lunedì, l'udienza è fissata per il 23 novembre.
In serata anche il carro col soundsystem dal Pratello raggiunge piazza Maggiore in corteo.

Crediamo che nel suo piccolo l'opposizione al comizio bolognese di Salvini offra degli spunti teorico-⁠pratici interessanti.
Lontano dai rituali mediatici della contestazione antagonista, un intreccio plurale di pratiche più o meno conflittuali ha contribuito in maniera assai più significativa a guastare la festa di Salvini di qualunque "corteo unitario": perchè intrupparsi tutti dov'è stato previsto che lo si faccia quando anche in pochi, e con idee anche semplici, possiamo riuscire ad essere dove non ci aspettano? Quanto accaduto a Dresda il 19 febbraio 2011, quando in opposizione ad una marcia neonazista la città venne paralizzata da una molteplicità di azioni e iniziative anche diversissime tra loro, e a Francoforte il 18 Marzo scorso per l'inaugurazione della nuova sede della Bce, quando
prima dei cortei principali vennero tra le altre cose attaccati gli sbirri incendiandogli numerose auto, pensiamo possano offrire dei suggerimenti stimolanti.

Negli ambiti di compagni qualcuno chiama questo approccio “asimmetria”, e ci sta facendo una fortuna spacciandola per una propria trovata, qualcun altro invece insiste da anni che si debba sempre e comunque solo essere altrove rispetto ai grandi cortei: dopo una giornata come quella
dell'8 diciamo semplicemente che essere altrove può essere un'opzione e che praticarla è possibile!

Anarchiche e anarchici Bolognesi

PIEGHEVOLE - fronte (75 Kb - pdf)| pagine (114 Kb - pdf)

"Gli oppressori e i soverchiatori sono responsabili non solo del male che infliggono agli oppressi e ai soverchiati, ma anche dell'odio che infondono nei loro cuori".

A. Manzoni, I promessi sposi

Si potrebbe sintetizzare così, con le parole del tutt'altro che rivoluzionario Manzoni, il nostro giudizio sui tragici fatti di Parigi.
Ragazzi nati e cresciuti nelle periferie che forse, fino a qualche anno fa, non avevano mai letto le sure del Corano, sono disposti a darsi e a dare la morte per un nuovo Califfato islamico. La categoria del "fanatismo religioso" da sola non spiega davvero nulla.
La spiegazione di una violenza furiosa e indiscriminata non va cercata nel Cielo delle promesse, ma sulla Terra delle umiliazioni.
Nell'introduzione a Per una critica della filosofia del Diritto di Hegel (1844), il giovane Marx definiva la religione "oppio dei popoli". Si tratta di una formula tanto celebre quanto travisata. Se la si colloca nel suo contesto, quella frase non allude, come generalmente si pensa, all'illusorietà allucinatoria della religione (l'oppio, appunto) cui contrapporre la forza rischiaratrice della Ragione. Scrive Marx: "La miseria religiosa è allo stesso tempo l'espressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale. La religione è il sospiro della creatura stremata, l'anima di un mondo senza cuore, lo spirito di uno stato di cose in cui non v'è traccia di spirito. Essa è l'oppio dei popoli". L'oppio è sì ciò che illude, ma anche ciò che lenisce le ferite. Si tratta di una spiegazione materialistica, che non separa i sentimenti dalle condizioni di vita. Per questo, secondo il giovane Marx, "la critica della religione contiene in germe la critica della valle di lacrime di cui la religione è l'aureola".
Ben difficilmente si può immaginare qualcosa di più opposto e lontano dagli ideali anarchici e libertari del fanatismo religioso (di qualsiasi colore esso sia). Resta il fatto che serve a poco condannare l'aureola religiosa, per quanto ripugnante possa essere, se non si riconosce e si combatte la valle di lacrime da cui s'innalza.
Bastano i brandelli delle biografie degli attentatori di Parigi riportati sui giornali a farci capire dove nasce l'oppio. Cantanti hip-hop, ragazzi di origine algerina, proletari che hanno conosciuto il carcere per spaccio o rapina. Uno di loro, tempo fa, rispondeva ad un giornalista, poco prima di venire ucciso dalla polizia: "Abbiamo un codice d'onore, noi!", scandendo la frase con il tipico accento del banlieuesard. L'Islam radicale riesce oggi ad essere questo: una comunità universale, un'occasione di riscatto, un codice d'onore. Chi fino a ieri diceva nique la police ("fotti gli sbirri"), dice oggi nique les blasphèmes ("fotti i blasfemi"). In chi parte per la Siria, in chi uccide e si uccide nelle strade di Parigi troviamo una tensione morale e una disponibilità al martirio paragonabili a quelle del cristianesimo millenarista ("Che la spada di Cristo si abbatta sui ricchi e sugl'empi"), ma senza gli stessi ideali di emancipazione.
Piuttosto che cadere nelle mani del nemico, questi ragazzi si fanno esplodere. Hanno una determinazione avvicinabile a quella di certi guerriglieri, ma il loro odio non distingue tra sfruttatori e sfruttati, tra gente comune e capi di Stato. Si tratta della parodia assassina della violenza liberatrice. Che simili coscienze siano state prodotte da trent'anni di assenza di un movimento rivoluzionario internazionale non è forse un caso. C'è stata un'epoca lontana in cui persino certi giornali anarchici s'intitolavano "Fede!". C'è stata un'epoca vicina in cui migliaia di giovani si giocavano tutto per la rivoluzione. Epoche in cui essere compagni aveva un senso preciso, non rinviabile. Tanti dannati della Terra potrebbero dirci oggi: "Abbiamo messo sul piatto della bilancia la vostra determinazione a combattere l'ingiustizia, rivoluzionari d'Occidente, e l'abbiamo trovata assai leggera". E per questi dannati della Terra, in diverse zone del mondo, la “guerra all'Occidente” condotta dall'Islam militante è una credibile alternativa ideale e materiale all'orrore quotidiano.
Solo la violenza rivoluzionaria, opposta nei fini, nei metodi, nei sentimenti alla guerra tra i sacerdoti del profitto e i soldati di Allah, può trasmutare in pratiche di rivolta e di libertà quella rabbia e quella disponibilità al rischio che covano e crescono.
Solo un movimento rivoluzionario potrebbe scrivere oggi questa “sura” sui muri del mondo: "Siate virtuosi nella giustizia che non è, ma che deve essere. Discernete, nelle spirali dell'odio, oppressori e oppressi, regnanti e sudditi. Non siate avari di collera, non siate ciechi nel coraggio".

Sempre a proposito di religione, sarà il caso di spendere due parole, infine, sulla dichiarazione di Bergoglio: "Uccidere in nome di Dio è una bestemmia". Il gesuita Bergoglio, che era vescovo di Buenos Aires quando la dittatura cattolica di Vileda uccideva e faceva scomparire migliaia di oppositori del regime argentino, non è certo nella miglior posizione per lanciare anatemi pacifisti. Messo sul trono di Pietro proprio per contrastare, con le chiacchiere in difesa della natura e dei poveri, la concorrenza mondiale esercitata dall'Islam e dalle Chiese evangeliche, rappresenta un'istituzione la cui storia è un'enorme, ininterrotta bestemmia. Senza contare che George Bush padre, prima di bombardare l'Iraq nel 1991, aveva annunciato in televisione che le bombe a stelle e strisce avevano la protezione di Dio.

Non è certo la democrazia a poter distribuire certificati di buona condotta.
Dal 1991 le truppe occidentali - comprese quelle italiane - hanno esportato la loro splendida civiltà del dialogo e della pace a suon di bombe e di massacri. Stragi come quella di Parigi sono state e sono quasi quotidiane in Iraq, Afghanistan, Palestina, Siria, Libano, Mali, Libia, Somalia... Non più di due mesi fa, in una piazza di Ankara, lo stesso numero di persone morte a Parigi è saltato in aria per una bomba messa dal governo turco di Erdogan contro l'opposizione curda. Basta confrontare la diversa reazione di istituzioni, media e opinione pubblica occidentali di fronte alle due stragi per cogliere tutta l'ipocrisia delle lacrime di Stato e del "siamo tutti francesi". Evidentemente, i morti occidentali pesano infinitamente di più di tutti gli altri.
A parte i finanziamenti diretti della Cia ai gruppi islamisti per destituire questo o quel governo, è la guerra permanente scatenata dal capitalismo per accaparrarsi le risorse energetiche e spartirsi le zone di influenza mondiale ad aver apparecchiato le condizioni ideali per l'ISIS. I massacri di Gaza e di Falluja hanno fatto da soli la più potente propaganda anti-occidentale che si possa immaginare. Come diceva qualcuno, è troppo tardi per i discorsi da maestri di scuola impartiti a un'umanità per tre quarti annegata. La violenza indiscriminata non abbiamo voluto vederla, perché era lontana. Abbiamo vissuto come se nulla fosse, e sorprendersi ora è solo ipocrisia.

Siamo in guerra. "Noi vi facciamo qui quello che voi ci fate in Siria": sembrano queste le parole urlate durante la sparatoria al Bataclan.
La logica del "siamo tutti francesi" è proprio quella che nutre la guerra globale (e dunque l'ISIS). Riflettiamoci. Se si considera legittimo bombardare case e ospedali in Iraq, in Afghanistan o in Siria con il pretesto di colpire questo o quel tiranno locale, perché non si dovrebbe considerare legittimo colpire a caso dei francesi per la politica imperialista di Hollande e delle multinazionali di cui serve gli interessi? Se sono terroristi gli attentatori parigini, non sono forse infinitamente più terroristi i militari della NATO? E' poi più vigliacco farsi esplodere in strada oppure sganciare bombe dall'alto di un aereo?

La guerra della civiltà contro la barbarie è una menzogna. Tra l'altro, a combattere l'ISIS senza violenza indiscriminata contro la popolazione civile sono le guerrigliere e i guerriglieri curdi. Ma siccome vogliono anche autorganizzare territorio, risorse e società, le loro basi vengono bombardate da Erdogan con il sostegno di tutti i capitalisti del mondo: meglio il rischio del Califfato a quello della rivoluzione sociale, di cui un popolo in armi rappresenta una pericolosa premessa. Per questo i militanti dell'ISIS hanno continuato a passare indisturbati, con armi e fuoristrada, i confini turchi proprio mentre infuriava la strenua resistenza di Kobane.

Siamo in guerra. Lo stato d'emergenza dichiarato in Francia è lo stesso che è stato decretato durante le sommosse nelle periferie del 2005, lo stesso applicato nell'Algeria coloniale. Si chiudono le frontiere. Spuntano uniformi ovunque. Si vietano le manifestazioni degli immigrati. Mancano solo i campi di internamento. E già militari in passamontagna stanno pattugliando le strade di alcune città italiane.
Non facciamoci illusioni. Non esiste controllo poliziesco e militare che possa metterci al riparo dal gesto più tremendo e più facile: colpire nel mucchio. Chi pensa di potere barattare le sue già magre libertà in cambio della sicurezza promessa dallo Stato, perderà le prime e non otterrà la seconda.
La "risposta agli attacchi di Parigi” invocata dal governo francese e accolta dagli altri Stati non si limita all'immediata intensificazione dei bombardamenti in Siria. In linea con le direttive contenute nel Rapporto della NATO Operazioni urbane nell'anno 2020, essa mira anche e soprattutto al fronte interno, presentando e reprimendo come "quinta colonna dei terroristi" chiunque metta in discussione la guerra della civiltà. Mass-media-polizia-esercito: assuefare e mobilitare gli animi a difesa dell'ordine; controllare, isolare e punire chi non risponde all'appello - a scuola, al lavoro, nei commenti sui “social network”. Basta che un ragazzino si sottragga al minuto di silenzio in classe per essere denunciato assieme ai genitori. Basta che un immigrato scriva su Internet "capisco anche se non giustifico i fatti di Parigi" per venir espulso senza tanti complimenti. E siamo solo agli inizi.
L'onda emotiva suscitata dai morti di Parigi contribuirà a polarizzare la società, agglutinando e rafforzando le tendenze fasciste e reazionarie. Alle sparate di una Marine Le Pen o di un Salvini, corrispondono le azioni squadristiche dei gruppi neofascisti. Solo negli ultimi mesi sono stati circa trecento gli attacchi incendiari contro centri e case di profughi e immigrati avvenuti in Germania. Occorre prepararsi.
Chi vuole compattare popolo e istituzioni ("siamo tutti francesi") dà ragione alla guerra globale, e dunque anche all'ISIS.
Siamo stati silenti e complici per tanto, troppo tempo.
Tempo in cui milioni di cuori si sono gonfiati di odio.
Tempo in cui siamo diventati tutti potenziali obiettivi di guerra.

La strada da imboccare è tutt'altra: dissociarci dalle politiche di rapina e di morte perpetrate in nome nostro; dimostrare praticamente che Renzi, Hollande, Obama, Merkel ecc. non ci rappresentano affatto. Che i primi responsabili di una guerra che ci sta ritornando indietro sono proprio loro. Loro e tutta la classe dominante.
Dai luoghi in cui è già in corso una lotta contro la guerra e le sue basi, ai conflitti che rompono qua e là la pace sociale, che le iniziative e le azioni si moltiplichino e, là dove possibile, convergano.
Dobbiamo scegliere il nostro campo, con convinzione e coraggio.
Né con la loro guerra, né con la loro pace.

Disertiamo il fronte occidentale!
Nessuna guerra fra i popoli, nessuna pace fra le classi!
Fuori le truppe NATO!

Trento, 20 novembre 2015
anarchici e antimilitaristi

E' sempre difficile parlare dopo che avvengono eccidi come quello successo a Parigi venerdì sera, ma il terrore ha molte facce e non si può non pensare le mille forme che assume il potere. Questo articolo cerca di analizzare questo aspetto. Anche a Cremona è nauseante vedere come gli oppressori facciano gli ipocriti sui morti di Parigi. L'unico modo per fermare il terrore statale (cane da guardia della devastazione che genera il capitalismo), che sia europeo o dell'Isis, è l'insurrezione degli oppressi, non guerre e atrocità per fare altri massacri.

«Noi dobbiamo annientare i nemici della Repubblica… e privare della nazionalità
coloro che si fanno beffe dell’anima francese»
Manuel Valls, Primo Ministro, 14 novembre 2015

Se c’è da riconoscere una qualche continuità alla Repubblica francese, è proprio quella degli omicidi di massa. Dal Terrore dello Stato del 1793-94 che ha appunto generato la parola terrorismo fino alla repressione degli insorti del 1848 e di quelli della Comune del 1871; dalla colonizzazione e la deportazione degli ebrei permessa dalle schedature precedenti fino al massacro dei manifestanti algerini nel 1961 nel cuore di Parigi, tutte le Repubbliche francesi hanno massacrato generosamente affinché i potenti continuassero a dominare e a sfruttare. La repubblica francese è una montagna di cadaveri la cui sconcezza che ne costituisce l’apice ha potuto preservarsi schiacciando i suoi veri nemici, i rivoltosi e i rivoluzionari che hanno lottato per un mondo di giustizia e di libertà. L’«anima francese», se mai questa stronzata senza nome esistesse, sarebbe un cartello rigurgitante voci che gridano vendetta contro i borghesi, i politici, gli sbirri, i militari e i preti che le hanno calpestate per affermare il proprio potere.
Ah, ma tutto questo è il passato. O no? Decenni di partecipazione cittadinista, d’integrazione mercantile e di spossessamento generalizzato hanno davvero fatto dimenticare a chi conserva ancora un briciolo di sensibilità che sparare nel mucchio non è esclusività di lontani terroristi? Che da qualche anno lo Stato francese ha fatto il suo grande rientro sulla scena internazionale del terrorismo statale, moltiplicando i suoi attacchi militari in tutto il pianeta (Libia, Mali, Afghanistan, Costa d’Avorio, Somalia, Africa Centrale, Iraq, Siria). Cambia il pretesto di volta in volta, ma le ragioni restano le stesse: mantenere il controllo di risorse strategiche, guadagnare nuovi mercati e zone d’influenza, preservare i propri interessi davanti ai concorrenti, impedire che delle insurrezioni si trasformino in sperimentazioni di libertà. E se ce ne fosse bisogno, alcuni moniti vengono anche lanciati per avvertire gli indolenti che questa logica di guerra non avrà limiti territoriali: la morte di un manifestante lo scorso anno a Sivens o i corpi crivellati di schegge di quelli di Notre-Dame-des-Landes e di Montabot servono a ricordare che non si esiterà, anche qui, a scagliare granate offensive in cachi contro le folle per seminare il terrore.
Perché, cos’è il terrorismo se non colpire nel mucchio in modo indiscriminato per cercare di conservare o conquistare il potere? Un po’ come fanno i ricchi uccidendo e mutilando quotidianamente milioni di esseri umani al lavoro nel nome del danaro che guadagnano con lo sfruttamento. Un po’ come fanno gli industriali e i loro lacché in camice bianco avvelenando permanentemente la vita sulla terra. Un po’ come tutti gli Stati che rinchiudono e torturano a fuoco lento gli esclusi dal loro paradiso mercantile e i ribelli alle loro leggi imprigionandoli per anni fra quattro mura. Un po’ come quei grrrandi democratici che hanno fatto del Mediterraneo un cimitero popolato da migliaia di indesiderabili col solo torto di essere sprovvisti di un valido pezzetto di carta. Ma la pace dello Stato e del capitalismo ha questo prezzo. La pace dei potenti è la guerra contro i dominati, all’interno come all’esterno delle frontiere.
Il 13 novembre a Parigi, le regole del gioco sono state rispettate. Si proclami islamico o repubblicano, califfato o democrazia, lo Stato resta lo Stato, ovvero una potenza autoritaria la cui violenza di massa viene esercitata contro tutti coloro che non si sottomettono al suo ordine sovrano. Uno dei principi di ogni Stato è di riconoscere solo sudditi. Soggetti che devono obbedire a leggi dettate dall’alto, cioè l’opposto di individui liberi che possano autorganizzarsi senza essere diretti né dirigere. Dai bombardamenti di Dresda e Hiroshima fino ai villaggi vietnamiti passati al napalm o a quelli della Siria sotto barili di tritolo, gli Stati non hanno mai esitato nelle loro luride guerre a sacrificare una parte della propria popolazione, o quelle dei propri avversari. Colpendo i passanti parigini a caso per punire il loro Stato, i soldatini del Daech [Isis] non hanno fatto che riprodurre l’implacabile logica dei loro avversari. Una logica terribile, terribile come qualsiasi potere statale.
Lo stato d’emergenza decretato in Francia da ieri, misura di guerra interna di un governo che adegua il paese alla sua politica di terrorismo internazionale, non è che un ulteriore passo nella pratica di base di qualsiasi governo, mirante alla normalizzazione forzata della vita, alla sua codifica istituzionale, alla sua standardizzazione tecnologica. Perché, se lo Stato guarda il futuro, cosa vede? Crac economici, disoccupazione di massa, esaurimento delle risorse, conflitti militari internazionali, guerre civili, catastrofi ecologiche, esodo di popolazioni… Vede cioè un mondo sempre più instabile, in cui i poveri sono sempre più numerosi e concentrati, un mondo fradicio di disperazione, che si trasforma in un’enorme polveriera, in preda a tensioni di ogni genere (sociali, identitarie, religiose). Un mondo in cui l’accensione della minima scintilla, quale essa sia, non può essere tollerata da una democrazia sempre più totalitaria. Allora, proprio come «cittadino» ha il significato di «sbirro», «guerra al terrorismo» significa soprattutto guerra contro tutti coloro che rompono i ranghi del potere. A tutti i non sottomessi alla pacificazione sociale, a tutti i disertori delle guerre tra potenti e autoritari, sabotiamo l’Unità nazionale…

Un cattivo soggetto,
nemico della Repubblica e di tutti gli Stati
Parigi, 14 novembre 2015

fonte: https://nantes.indymedia.org/articles/32401