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"Gli oppressori e i soverchiatori sono responsabili non solo del male che infliggono agli oppressi e ai soverchiati, ma anche dell'odio che infondono nei loro cuori".

A. Manzoni, I promessi sposi

Si potrebbe sintetizzare così, con le parole del tutt'altro che rivoluzionario Manzoni, il nostro giudizio sui tragici fatti di Parigi.
Ragazzi nati e cresciuti nelle periferie che forse, fino a qualche anno fa, non avevano mai letto le sure del Corano, sono disposti a darsi e a dare la morte per un nuovo Califfato islamico. La categoria del "fanatismo religioso" da sola non spiega davvero nulla.
La spiegazione di una violenza furiosa e indiscriminata non va cercata nel Cielo delle promesse, ma sulla Terra delle umiliazioni.
Nell'introduzione a Per una critica della filosofia del Diritto di Hegel (1844), il giovane Marx definiva la religione "oppio dei popoli". Si tratta di una formula tanto celebre quanto travisata. Se la si colloca nel suo contesto, quella frase non allude, come generalmente si pensa, all'illusorietà allucinatoria della religione (l'oppio, appunto) cui contrapporre la forza rischiaratrice della Ragione. Scrive Marx: "La miseria religiosa è allo stesso tempo l'espressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale. La religione è il sospiro della creatura stremata, l'anima di un mondo senza cuore, lo spirito di uno stato di cose in cui non v'è traccia di spirito. Essa è l'oppio dei popoli". L'oppio è sì ciò che illude, ma anche ciò che lenisce le ferite. Si tratta di una spiegazione materialistica, che non separa i sentimenti dalle condizioni di vita. Per questo, secondo il giovane Marx, "la critica della religione contiene in germe la critica della valle di lacrime di cui la religione è l'aureola".
Ben difficilmente si può immaginare qualcosa di più opposto e lontano dagli ideali anarchici e libertari del fanatismo religioso (di qualsiasi colore esso sia). Resta il fatto che serve a poco condannare l'aureola religiosa, per quanto ripugnante possa essere, se non si riconosce e si combatte la valle di lacrime da cui s'innalza.
Bastano i brandelli delle biografie degli attentatori di Parigi riportati sui giornali a farci capire dove nasce l'oppio. Cantanti hip-hop, ragazzi di origine algerina, proletari che hanno conosciuto il carcere per spaccio o rapina. Uno di loro, tempo fa, rispondeva ad un giornalista, poco prima di venire ucciso dalla polizia: "Abbiamo un codice d'onore, noi!", scandendo la frase con il tipico accento del banlieuesard. L'Islam radicale riesce oggi ad essere questo: una comunità universale, un'occasione di riscatto, un codice d'onore. Chi fino a ieri diceva nique la police ("fotti gli sbirri"), dice oggi nique les blasphèmes ("fotti i blasfemi"). In chi parte per la Siria, in chi uccide e si uccide nelle strade di Parigi troviamo una tensione morale e una disponibilità al martirio paragonabili a quelle del cristianesimo millenarista ("Che la spada di Cristo si abbatta sui ricchi e sugl'empi"), ma senza gli stessi ideali di emancipazione.
Piuttosto che cadere nelle mani del nemico, questi ragazzi si fanno esplodere. Hanno una determinazione avvicinabile a quella di certi guerriglieri, ma il loro odio non distingue tra sfruttatori e sfruttati, tra gente comune e capi di Stato. Si tratta della parodia assassina della violenza liberatrice. Che simili coscienze siano state prodotte da trent'anni di assenza di un movimento rivoluzionario internazionale non è forse un caso. C'è stata un'epoca lontana in cui persino certi giornali anarchici s'intitolavano "Fede!". C'è stata un'epoca vicina in cui migliaia di giovani si giocavano tutto per la rivoluzione. Epoche in cui essere compagni aveva un senso preciso, non rinviabile. Tanti dannati della Terra potrebbero dirci oggi: "Abbiamo messo sul piatto della bilancia la vostra determinazione a combattere l'ingiustizia, rivoluzionari d'Occidente, e l'abbiamo trovata assai leggera". E per questi dannati della Terra, in diverse zone del mondo, la “guerra all'Occidente” condotta dall'Islam militante è una credibile alternativa ideale e materiale all'orrore quotidiano.
Solo la violenza rivoluzionaria, opposta nei fini, nei metodi, nei sentimenti alla guerra tra i sacerdoti del profitto e i soldati di Allah, può trasmutare in pratiche di rivolta e di libertà quella rabbia e quella disponibilità al rischio che covano e crescono.
Solo un movimento rivoluzionario potrebbe scrivere oggi questa “sura” sui muri del mondo: "Siate virtuosi nella giustizia che non è, ma che deve essere. Discernete, nelle spirali dell'odio, oppressori e oppressi, regnanti e sudditi. Non siate avari di collera, non siate ciechi nel coraggio".

Sempre a proposito di religione, sarà il caso di spendere due parole, infine, sulla dichiarazione di Bergoglio: "Uccidere in nome di Dio è una bestemmia". Il gesuita Bergoglio, che era vescovo di Buenos Aires quando la dittatura cattolica di Vileda uccideva e faceva scomparire migliaia di oppositori del regime argentino, non è certo nella miglior posizione per lanciare anatemi pacifisti. Messo sul trono di Pietro proprio per contrastare, con le chiacchiere in difesa della natura e dei poveri, la concorrenza mondiale esercitata dall'Islam e dalle Chiese evangeliche, rappresenta un'istituzione la cui storia è un'enorme, ininterrotta bestemmia. Senza contare che George Bush padre, prima di bombardare l'Iraq nel 1991, aveva annunciato in televisione che le bombe a stelle e strisce avevano la protezione di Dio.

Non è certo la democrazia a poter distribuire certificati di buona condotta.
Dal 1991 le truppe occidentali - comprese quelle italiane - hanno esportato la loro splendida civiltà del dialogo e della pace a suon di bombe e di massacri. Stragi come quella di Parigi sono state e sono quasi quotidiane in Iraq, Afghanistan, Palestina, Siria, Libano, Mali, Libia, Somalia... Non più di due mesi fa, in una piazza di Ankara, lo stesso numero di persone morte a Parigi è saltato in aria per una bomba messa dal governo turco di Erdogan contro l'opposizione curda. Basta confrontare la diversa reazione di istituzioni, media e opinione pubblica occidentali di fronte alle due stragi per cogliere tutta l'ipocrisia delle lacrime di Stato e del "siamo tutti francesi". Evidentemente, i morti occidentali pesano infinitamente di più di tutti gli altri.
A parte i finanziamenti diretti della Cia ai gruppi islamisti per destituire questo o quel governo, è la guerra permanente scatenata dal capitalismo per accaparrarsi le risorse energetiche e spartirsi le zone di influenza mondiale ad aver apparecchiato le condizioni ideali per l'ISIS. I massacri di Gaza e di Falluja hanno fatto da soli la più potente propaganda anti-occidentale che si possa immaginare. Come diceva qualcuno, è troppo tardi per i discorsi da maestri di scuola impartiti a un'umanità per tre quarti annegata. La violenza indiscriminata non abbiamo voluto vederla, perché era lontana. Abbiamo vissuto come se nulla fosse, e sorprendersi ora è solo ipocrisia.

Siamo in guerra. "Noi vi facciamo qui quello che voi ci fate in Siria": sembrano queste le parole urlate durante la sparatoria al Bataclan.
La logica del "siamo tutti francesi" è proprio quella che nutre la guerra globale (e dunque l'ISIS). Riflettiamoci. Se si considera legittimo bombardare case e ospedali in Iraq, in Afghanistan o in Siria con il pretesto di colpire questo o quel tiranno locale, perché non si dovrebbe considerare legittimo colpire a caso dei francesi per la politica imperialista di Hollande e delle multinazionali di cui serve gli interessi? Se sono terroristi gli attentatori parigini, non sono forse infinitamente più terroristi i militari della NATO? E' poi più vigliacco farsi esplodere in strada oppure sganciare bombe dall'alto di un aereo?

La guerra della civiltà contro la barbarie è una menzogna. Tra l'altro, a combattere l'ISIS senza violenza indiscriminata contro la popolazione civile sono le guerrigliere e i guerriglieri curdi. Ma siccome vogliono anche autorganizzare territorio, risorse e società, le loro basi vengono bombardate da Erdogan con il sostegno di tutti i capitalisti del mondo: meglio il rischio del Califfato a quello della rivoluzione sociale, di cui un popolo in armi rappresenta una pericolosa premessa. Per questo i militanti dell'ISIS hanno continuato a passare indisturbati, con armi e fuoristrada, i confini turchi proprio mentre infuriava la strenua resistenza di Kobane.

Siamo in guerra. Lo stato d'emergenza dichiarato in Francia è lo stesso che è stato decretato durante le sommosse nelle periferie del 2005, lo stesso applicato nell'Algeria coloniale. Si chiudono le frontiere. Spuntano uniformi ovunque. Si vietano le manifestazioni degli immigrati. Mancano solo i campi di internamento. E già militari in passamontagna stanno pattugliando le strade di alcune città italiane.
Non facciamoci illusioni. Non esiste controllo poliziesco e militare che possa metterci al riparo dal gesto più tremendo e più facile: colpire nel mucchio. Chi pensa di potere barattare le sue già magre libertà in cambio della sicurezza promessa dallo Stato, perderà le prime e non otterrà la seconda.
La "risposta agli attacchi di Parigi” invocata dal governo francese e accolta dagli altri Stati non si limita all'immediata intensificazione dei bombardamenti in Siria. In linea con le direttive contenute nel Rapporto della NATO Operazioni urbane nell'anno 2020, essa mira anche e soprattutto al fronte interno, presentando e reprimendo come "quinta colonna dei terroristi" chiunque metta in discussione la guerra della civiltà. Mass-media-polizia-esercito: assuefare e mobilitare gli animi a difesa dell'ordine; controllare, isolare e punire chi non risponde all'appello - a scuola, al lavoro, nei commenti sui “social network”. Basta che un ragazzino si sottragga al minuto di silenzio in classe per essere denunciato assieme ai genitori. Basta che un immigrato scriva su Internet "capisco anche se non giustifico i fatti di Parigi" per venir espulso senza tanti complimenti. E siamo solo agli inizi.
L'onda emotiva suscitata dai morti di Parigi contribuirà a polarizzare la società, agglutinando e rafforzando le tendenze fasciste e reazionarie. Alle sparate di una Marine Le Pen o di un Salvini, corrispondono le azioni squadristiche dei gruppi neofascisti. Solo negli ultimi mesi sono stati circa trecento gli attacchi incendiari contro centri e case di profughi e immigrati avvenuti in Germania. Occorre prepararsi.
Chi vuole compattare popolo e istituzioni ("siamo tutti francesi") dà ragione alla guerra globale, e dunque anche all'ISIS.
Siamo stati silenti e complici per tanto, troppo tempo.
Tempo in cui milioni di cuori si sono gonfiati di odio.
Tempo in cui siamo diventati tutti potenziali obiettivi di guerra.

La strada da imboccare è tutt'altra: dissociarci dalle politiche di rapina e di morte perpetrate in nome nostro; dimostrare praticamente che Renzi, Hollande, Obama, Merkel ecc. non ci rappresentano affatto. Che i primi responsabili di una guerra che ci sta ritornando indietro sono proprio loro. Loro e tutta la classe dominante.
Dai luoghi in cui è già in corso una lotta contro la guerra e le sue basi, ai conflitti che rompono qua e là la pace sociale, che le iniziative e le azioni si moltiplichino e, là dove possibile, convergano.
Dobbiamo scegliere il nostro campo, con convinzione e coraggio.
Né con la loro guerra, né con la loro pace.

Disertiamo il fronte occidentale!
Nessuna guerra fra i popoli, nessuna pace fra le classi!
Fuori le truppe NATO!

Trento, 20 novembre 2015
anarchici e antimilitaristi

E' sempre difficile parlare dopo che avvengono eccidi come quello successo a Parigi venerdì sera, ma il terrore ha molte facce e non si può non pensare le mille forme che assume il potere. Questo articolo cerca di analizzare questo aspetto. Anche a Cremona è nauseante vedere come gli oppressori facciano gli ipocriti sui morti di Parigi. L'unico modo per fermare il terrore statale (cane da guardia della devastazione che genera il capitalismo), che sia europeo o dell'Isis, è l'insurrezione degli oppressi, non guerre e atrocità per fare altri massacri.

«Noi dobbiamo annientare i nemici della Repubblica… e privare della nazionalità
coloro che si fanno beffe dell’anima francese»
Manuel Valls, Primo Ministro, 14 novembre 2015

Se c’è da riconoscere una qualche continuità alla Repubblica francese, è proprio quella degli omicidi di massa. Dal Terrore dello Stato del 1793-94 che ha appunto generato la parola terrorismo fino alla repressione degli insorti del 1848 e di quelli della Comune del 1871; dalla colonizzazione e la deportazione degli ebrei permessa dalle schedature precedenti fino al massacro dei manifestanti algerini nel 1961 nel cuore di Parigi, tutte le Repubbliche francesi hanno massacrato generosamente affinché i potenti continuassero a dominare e a sfruttare. La repubblica francese è una montagna di cadaveri la cui sconcezza che ne costituisce l’apice ha potuto preservarsi schiacciando i suoi veri nemici, i rivoltosi e i rivoluzionari che hanno lottato per un mondo di giustizia e di libertà. L’«anima francese», se mai questa stronzata senza nome esistesse, sarebbe un cartello rigurgitante voci che gridano vendetta contro i borghesi, i politici, gli sbirri, i militari e i preti che le hanno calpestate per affermare il proprio potere.
Ah, ma tutto questo è il passato. O no? Decenni di partecipazione cittadinista, d’integrazione mercantile e di spossessamento generalizzato hanno davvero fatto dimenticare a chi conserva ancora un briciolo di sensibilità che sparare nel mucchio non è esclusività di lontani terroristi? Che da qualche anno lo Stato francese ha fatto il suo grande rientro sulla scena internazionale del terrorismo statale, moltiplicando i suoi attacchi militari in tutto il pianeta (Libia, Mali, Afghanistan, Costa d’Avorio, Somalia, Africa Centrale, Iraq, Siria). Cambia il pretesto di volta in volta, ma le ragioni restano le stesse: mantenere il controllo di risorse strategiche, guadagnare nuovi mercati e zone d’influenza, preservare i propri interessi davanti ai concorrenti, impedire che delle insurrezioni si trasformino in sperimentazioni di libertà. E se ce ne fosse bisogno, alcuni moniti vengono anche lanciati per avvertire gli indolenti che questa logica di guerra non avrà limiti territoriali: la morte di un manifestante lo scorso anno a Sivens o i corpi crivellati di schegge di quelli di Notre-Dame-des-Landes e di Montabot servono a ricordare che non si esiterà, anche qui, a scagliare granate offensive in cachi contro le folle per seminare il terrore.
Perché, cos’è il terrorismo se non colpire nel mucchio in modo indiscriminato per cercare di conservare o conquistare il potere? Un po’ come fanno i ricchi uccidendo e mutilando quotidianamente milioni di esseri umani al lavoro nel nome del danaro che guadagnano con lo sfruttamento. Un po’ come fanno gli industriali e i loro lacché in camice bianco avvelenando permanentemente la vita sulla terra. Un po’ come tutti gli Stati che rinchiudono e torturano a fuoco lento gli esclusi dal loro paradiso mercantile e i ribelli alle loro leggi imprigionandoli per anni fra quattro mura. Un po’ come quei grrrandi democratici che hanno fatto del Mediterraneo un cimitero popolato da migliaia di indesiderabili col solo torto di essere sprovvisti di un valido pezzetto di carta. Ma la pace dello Stato e del capitalismo ha questo prezzo. La pace dei potenti è la guerra contro i dominati, all’interno come all’esterno delle frontiere.
Il 13 novembre a Parigi, le regole del gioco sono state rispettate. Si proclami islamico o repubblicano, califfato o democrazia, lo Stato resta lo Stato, ovvero una potenza autoritaria la cui violenza di massa viene esercitata contro tutti coloro che non si sottomettono al suo ordine sovrano. Uno dei principi di ogni Stato è di riconoscere solo sudditi. Soggetti che devono obbedire a leggi dettate dall’alto, cioè l’opposto di individui liberi che possano autorganizzarsi senza essere diretti né dirigere. Dai bombardamenti di Dresda e Hiroshima fino ai villaggi vietnamiti passati al napalm o a quelli della Siria sotto barili di tritolo, gli Stati non hanno mai esitato nelle loro luride guerre a sacrificare una parte della propria popolazione, o quelle dei propri avversari. Colpendo i passanti parigini a caso per punire il loro Stato, i soldatini del Daech [Isis] non hanno fatto che riprodurre l’implacabile logica dei loro avversari. Una logica terribile, terribile come qualsiasi potere statale.
Lo stato d’emergenza decretato in Francia da ieri, misura di guerra interna di un governo che adegua il paese alla sua politica di terrorismo internazionale, non è che un ulteriore passo nella pratica di base di qualsiasi governo, mirante alla normalizzazione forzata della vita, alla sua codifica istituzionale, alla sua standardizzazione tecnologica. Perché, se lo Stato guarda il futuro, cosa vede? Crac economici, disoccupazione di massa, esaurimento delle risorse, conflitti militari internazionali, guerre civili, catastrofi ecologiche, esodo di popolazioni… Vede cioè un mondo sempre più instabile, in cui i poveri sono sempre più numerosi e concentrati, un mondo fradicio di disperazione, che si trasforma in un’enorme polveriera, in preda a tensioni di ogni genere (sociali, identitarie, religiose). Un mondo in cui l’accensione della minima scintilla, quale essa sia, non può essere tollerata da una democrazia sempre più totalitaria. Allora, proprio come «cittadino» ha il significato di «sbirro», «guerra al terrorismo» significa soprattutto guerra contro tutti coloro che rompono i ranghi del potere. A tutti i non sottomessi alla pacificazione sociale, a tutti i disertori delle guerre tra potenti e autoritari, sabotiamo l’Unità nazionale…

Un cattivo soggetto,
nemico della Repubblica e di tutti gli Stati
Parigi, 14 novembre 2015

fonte: https://nantes.indymedia.org/articles/32401

L'articolo che segue fu scritto in occasione dell'attacco al mondo occidentale, quella volta extra-europeo, del 2001; l'importanza dello scritto, a fronte del nuovo frammento di guerra globale che ha scelto Parigi per rendersi visibile, risulta quanto mai attuale.

Fino a quel giorno, potevamo godere in tutta tranquillità — chi più, chi meno — dei privilegi insiti nell'essere nati e vissuti nella parte giusta del pianeta, vale a dire in occidente, dove un tetto sulla testa e un pasto caldo non è negato "quasi" a nessuno. Sì, avevamo più volte sentito dire che il nostro benessere aveva come contropartita la miseria di miliardi di altre persone. Ma queste persone — peraltro tanto diverse da noi — erano altrove, a migliaia di chilometri di distanza e, come vuole il detto, lontano dagli occhi...
Quando qualcuno di loro, affrontando terribili traversie, osava spingersi fino a noi ed allungare le mani per elemosinare (o per rubare), non dovevamo fare altro che chiudere gli occhi (o chiamare la polizia). Poi tutto tornava come prima. È vero che all'ora di pranzo, tra un boccone di carne ed un bicchiere di vino, la televisione ci metteva sotto gli occhi immagini di guerre, carestie, fame e distruzione. Ma perché rovinarsi un buon pasto, quando è così facile togliere l'audio o cambiare canale? Quanto ai giornali, bastava limitarsi a leggere le pagine dello sport e degli spettacoli. Naturalmente, non tutti hanno mostrato tanta indifferenza verso i mali del mondo.
C'è anche chi, confondendo il cuore col portafoglio, ha mostrato la propria generosità facendo versamenti su conti correnti intestati ad associazioni umanitarie. Se non si può nutrire lo stomaco del povero, che si nutra almeno la coscienza del ricco.
Comunque, in questi ultimi anni, malgrado una certa reticenza eravamo tutti a conoscenza dei feroci conflitti che stavano insanguinando la Palestina, il Ruanda, la Somalia, la Bosnia, l'Algeria, il Kosovo... ma a noi, per far regnare la pace almeno in noi stessi, bastava eliminare questi luoghi dalla lista delle possibili località dove trascorrere le prossime vacanze. La guerra — coi suoi bombardamenti, le sue vittime, le sue macerie, i suoi posti di blocco, la sua crudeltà — non era cosa che ci toccasse, non era cosa capace di mettere in dubbio la tranquilla replica quotidiana della nostra esistenza. 
Fino allo scorso 11 settembre, appunto. Fino ad allora pensavamo che la "globalizzazione" comportasse solamente la crescita e l'espansione degli scambi commerciali, la penetrazione delle multinazionali nel mondo intero. Ci era stato assicurato che vivere in un "villaggio globale" prevede solo benefici, come quello di poter andare a fare la spesa tutti nello stesso ipermercato, dove è possibile trovare proprio di tutto. Pagato lo scontrino, ognuno poi se ne doveva tornare a casa propria (chi nella villa e chi nel tugurio), alla vita di sempre (chi nell'agio e chi nella sofferenza). Ma qualcuno non è stato d'accordo ed ha ritenuto che, se in oriente si deve consumare lo stile di vita occidentale, allora anche l'occidente doveva assaporare lo stile di vita orientale.
Come stupirsene? Del resto, se si fa di tutto per consentire che la Coca-Cola si possa bere a New York come a Gerusalemme, non si può certo impedire che gli attentati possano fare strage a Gerusalemme come a New York. Così lo scorso 11 settembre tutti abbiamo capito che ad essere onnipresente sull'intero pianeta non sono solo le merci, è anche il terrore con cui vengono imposte. Quel giorno tutto il mondo occidentale ha vissuto ciò che da molti anni si vive quotidianamente, nella parte sbagliata del pianeta: si contano i morti, si scava tra le macerie, si grida vendetta. È la guerra. Ma questa volta non si svolge lontano da noi, bensì fuori dalla nostra porta di casa.
[Hapax, febbraio 2002]

Dalla mattina del 12 novembre sono in atto delle azioni repressive mai viste prima nel paese.

Nelle prime ore della mattinata, nel giorno dello sciopero generale, le forze di polizia greche hanno invaso le case di cinque studenti universitari. I cittadini, tutti abitanti in Agia Paraskevi, un sobborgo di Atene, sono stati arrestati a seguito dell'emissione di un mandato di cattura delle autorità italiane che richiedono la loro estradizione.

L'evento è incredibile prendendo in considerazione il fatto che l'unico fatto a sostegno delle accuse è il loro fermo casuale in un bar a Milano il 2 maggio, un giorno dopo le manifestazioni del primo maggio! Questa procedura penale contro studenti universitari di un altro paese UE, usando il mandato di arresto europeo, a casua della loro partecipazione alle proteste del primo maggio, è un evento senza precedenti.

Denunciare questi metodi repressivi estremi riguarda la difesa del diritto di ogni persona a partecipare a proteste e manifestazioni politiche internazionali. Questa mattina noi, cittadini attivi politicamente di questa città e quartiere, amici e parenti degli arrestati, ci siamo incontrati nei locali del comune di Agia Paraskevi domandando la fine di ogni processo e carcerazione come anche, in ogni caso, che non vengano estradati in Italia.

Assemblea aperta di Agia Paraskevi; vicini, parenti e amici degli arrestati.

 

Il 1/5/2015, durante un viaggio in Italia, abbiamo partecipato al corteo del 1 maggio a Milano e alla contestazione della Fiera Internazionale Expo 2015, che avrebbe avuto luogo nella città, e che creava un clima economico e sociale asfissiante per gli strati sociali più bassi di Milano.

Il 2/5/2015, il giorno dopo la manifestazione, siamo stati fermati dalla polizia italiana nell’ambito di un’operazione di fermi di massa, solo perché stavamo uscendo da un centro sociale occupato. Dopo essere stati fermati per molte ore e senza la presenza di un interprete, siamo stati rimessi in libertà senza alcuna accusa.

Giovedì 12/11/2015 le autorità greche hanno fatto irruzione nelle nostre case e ci hanno arrestato con un mandato di cattura europeo, rilasciato dalla Procura di Milano, con cui veniva richiesto il nostro arresto e la nostra estradizione in Italia per aver partecipato alla manifestazione. Secondo quanto riportato nel mandato «siamo stati visti» partecipare agli scontri.

La solidarietà concreta del movimento è riuscita ad evitare la nostra carcerazione, ma è ancora in pendenza la decisione del Consiglio Giudiziario che dovrà stabilire se autorizzare la nostra estradizione in Italia, dove non dovremo nemmeno scontare un periodo minimo di carcerazione fino allo svolgimento del processo. Da quando è stato istituito il Mandato di Cattura Europeo, è la prima volta che viene richiesta l’estradizione di cittadini da uno stato membro ad un altro per motivi attinenti alla loro attività politica.

Come studenti che partecipano al movimento studentesco e alle sue lotte, alle assemblee di quartiere, alle rivendicazioni dei lavoratori, rivolgiamo un appello a tutto il movimento antagonista affinché si opponga alla nostra estradizione in Italia, che è un rischio concreto. Quando i movimenti “dal basso” scelgono di unirsi contro le politiche internazionali di austerità, allora gli stati scelgono di collaborare contro di loro per reprimere le lotte, perseguendo l’attività politica. Il risultato è questa situazione inaudita, che oltrepassa i confini nazionali e crea un precedente pericoloso per ogni militante.

BLOCCHIAMO CON TUTTE LE NOSTRE FORZE L’ESTRADIZIONE IN ITALIA

I cinque studenti ricercati dalle autorità italiane

Atene, 14/11/2015

http://www.infoaut.org/images/stories/imgTO/logo_little_LIBERI_TUTTI.jpg

Stamane in tarda mattinata è arrivata l'assoluzione per Diego, Azzo e Andre per i fatti del febbraio 2014 per gli scontri con gli sbirri, durante la tentata interruzione della commemorazione delle foibe da parte delle merde fasciste di casa pound.

Un infinito grazie alle compagne e ai compagni che non hanno mai fatto mancare la loro complicità e solidarietà a Cremona e oltre.

Purtroppo, alle 6.30 del mattino di oggi è scattata un'operazione repressiva per i fatti del 1° maggio No Expo. Attualmente è difficile effettuare un bilancio completo, vista la presenza di filoni di indagine differenti e l'estensione dell'operazione anche all'estero. Si registrano diverse abitazioni perquisite, 5 misure cautelari in carcere di cui quattro effettuate a Milano e una non riuscita vista l'irreperibilità dell'accusato, 5 arresti in Grecia e 3 indagati a piede libero.
L'operazione, condotta dalla digos, s iè concentrata nella fase di indagine sull'utilizzo di filmati e campioni di DNA, che stanno cercando di prelevare ai fermati di questa mattina, mentre è ipotizzabile la collaborazione dell'agenzia repressiva europea Eurojust per gli arresti oltre confine.

Per oggi pomeriggio alle 14.30 è stata indetta un'assemblea al Brancaleone. (Notizia presa da siti di movimento)

Liberi tutti!

Sappiamo bene che chi devasta e saccheggia le vite è l'esistente in tutte le sue forme.

 

AGGIORNAMENTO

Tutti gli arrestati sono stati portati a San Vittore, per scrivergli:

Alessio Dell'Acqua

Niccolò Ripani

Edoardo Algardi

Casieri Andrea

C.C. San Vittore - Piazza Filangieri 2 - 20123 Milano

I compagni arrestati in Grecia sono stati rilasciati con l'obbligo di firma 3 volte alla settimana.