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A proposito di Kavarna

...la passione per la libertà è più forte d'ogni autorità...

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Pubblichiamo qui due testi su deportazioni e seconda accoglienza (qui la versione stampabile dei testi, qui quella del manifesto)

DEPORTAZIONI

Dalle frontiere ai CIE, i vari Stati europei mettono in campo nuove forme di spostamento e controllo delle persone che vogliono ridurre a merce-migrante.

Da un lato le espulsioni e i rimpatri, frutto di oculati accordi politici ed economici tra Stati, dall’altro il continuo e ripetuto spostamento dai territori di frontiera, verso i vari centri hotspot del sud Italia, ulteriore luogo di differenziazione e smistamento di chi viaggia senza passaporto.

Possiamo quindi osservare lo stabilizzarsi di un sistema che agisce sul controllo dei flussi migratori, trattando questi individui come oggetti che vengono ammassati in luoghi di confine, catalogati e filtrati a seconda della domanda e dell’offerta del Capitale: migrante economico o semplice profugo, funzionale o non funzionale, possibile schiavo di riserva o semplice merce avariata da rispedire al mittente. Avvenuta questa prima classificazione, i selezionati vengono quindi ridistribuiti chi nel circuito dell’accoglienza, chi in quello dell’espulsione.

Di questa seconda categoria una parte consistente viene rilasciata sul territorio statale con decreto d’espulsione alla mano, in attesa di un nuovo possibile utilizzo che sarà senz’altro agevolato dall’estrema ricattabilità che queste persone subiscono all’interno di questo loop di respingimento (in frontiera) e internamento (negli hotspot).

È necessario leggere questo fenomeno come un’applicazione su scala umana dei rimodellamenti strategici del sistema capitalista, al fine di distruggerlo.

Molte sono le analogie riscontrate tra lo spostamento delle merci e quello della gente.

Aziende come Frontex (ora Guardia Costiera e di Frontiera Europea), con la complicità di Polizia e CRI, seguono e monitorano il flusso delle persone migranti sin dal loro arrivo dalle coste del nord Africa o dal medio Oriente: dal loro accompagnamento forzato nei centri, alla loro identificazione, al prelievo delle impronte digitali, al tracciamento di chi emigra nell’UE tramite la subdola pratica della relocation, al rimpatrio di rifugiati politici in stati terzi non sicuri.

Ogni impronta digitale estorta in questo processo di oggettificazione dei corpi è inserita in Eurodac, database europeo con base in Lussemburgo, dove vengono stoccate tutte le impronte delle persone migranti identificate all’interno o lungo le frontiere degli stati appartenenti all’UE. Il tutto viene presentato come norma di prevenzione al pericolo: la libertà di movimento di chi vive la clandestinità è pericolosa, il fatto che possa richiedere asilo in più paesi è pericoloso.

Nei progetti gestionali di questo nuovo capitale umane, nella sempre più serrata applicazione di questa logistica dei corpi, rientra anche la tecnologia RFID, cioè l’assegnazione ad ogni persona migrante di un badge con microchip che faciliti la localizzazione, e quindi il monitoraggio degli spostamenti e l’identificazione rapida.

Questo sistema gestionale rimanda, neanche troppo lontanamente, a quello usato per la classificazione degli internati nei campi di concentramento della Germania nazista, sistema che a suo tempo fu sviluppato da IBM.

Questo tipo di tecnologia, sviluppato inizialmente in ambito militare durante la seconda guerra mondiale, oggi lo si ritrova applicato ad ogni forma di logistica commerciale, dallo stoccaggio allo spostamento dei prodotti, agli antitaccheggio, ai sistemi di pagamento, fino ad arrivare ad utilizzi civili tra i quali sistemi bibliotecari, registri nelle scuole, tessere sanitarie etc.

L’analogia fra uomini e merci, sempre più evidente, si riflette quindi su vari aspetti, da quelli più propriamente materiali e logistici, ad altri che potremmo definire linguistici o immaginifici.

La collaborazione tra Stato ed enti privati offre un immaginario più tollerabile ed edulcorato di quella che altrimenti sarebbe una pratica militare, attraverso la quale emergerebbe agli occhi di tutti la natura disumanizzante e coercitiva dell’apparato statale. Quale sarebbe il clima percepito nel vedere queste persone caricate e trasportate su mezzi dell’Esercito, piuttosto che a bordo di anonimi pullman (Rampinini) di aziende ben integrate nella cosiddetta società civile?

Di più. Offrire appalti ad agenzie private muove capitali e crea lavoro, rinsalda la connivenza tra Stato e padroni, che inseriti in questa dinamica di sfruttamento, si rafforzano e legittimano reciprocamente.

Grazie a questo approccio si costruisce ed utilizza un linguaggio che parla di spostamento invece che di deportazione. Distorce la percezione del reale, avvalora la rappresentazione di uno Stato capace di risolvere delle emergenze, distogliendo l’attenzione dal processo di frammentazione sociale che mette in atto.

Non ci sembra così lontano dal meccanismo per il quale termini come flessibilità sostituiscono parole come sfruttamento.

Altri attori di questa strategia di ricostruzione linguistica e immaginifica, sono tanto i classici media, quanto associazioni come Caritas e CRI.

Viene così costruita una narrazione dove i migranti risultano essere individui privilegiati, anteposti ai cittadini italiani. Tutta questa propaganda razzista, atta a fomentare la guerra tra poveri, è spinta dai media e dalla stampa ma con l’appoggio diretto e complice delle sopracitate associazioni. Dietro alla loro maschera bonaria e caritatevole si nasconde l’ennesimo tentativo di controllo e gestione. Divulgando strumentalmente i dati sulla quantità dei soggetti accolti e ospitati nei vari centri, dei pasti serviti, e l’aumento di cittadini italiani che richiedono aiuto rispetto a chi non lo è, aiutano a creare quel clima d’emergenza che porta odio e tensioni, distogliendo l’attenzione da chi di odio e tensioni si serve per meglio controllare lo stato attuale delle cose.

A fronte di queste riflessioni, sicuramente parziali, vogliamo interrogarci sulla possibilità di inceppare questi meccanismi e rendere evidenti la miseria della mercificazione dell’essere umano quanto la brutalità del suo controllo.

SECONDA ACCOGLIENZA

Nei mesi scorsi ci siamo trovati ad affrontare discorsi ed esperienze che riguardano il sistema della seconda accoglienza e il rapporto instaurabile con le persone inserite in queste strutture. Sono nati interrogativi molto ampi e spesso scivolosi, considerando la visione nostra del mondo che ci circonda.

Il primo luogo che un migrante conosce, appena arriva in Italia, è l’hotspot. Attualmente ne sono attivi 5 : Trapani, Pozzallo, Lampedusa, Porto Empedocle e Taranto.

La loro funzione è quella di raccolta dati quantitativa e qualitativa sulle persone migranti ed il loro smistamento nei centri sparsi per il territorio.

L’hotspot, tappa forzata e necessaria al controllo del flusso migratorio, assume una funzione analoga a quella di un centro logistico.

L’intero sistema è basato su requisiti specifici, paese di provenienza e accordi internazionali, che le persone devono avere per accedere all’iter che dovrebbe concedere la permanenza sul suolo italiano. L’attesa, in condizione semi-detentiva, può durare anche anni e le persone attendono una decisione arbitraria che viene presa sulla base di convenienze economiche e politiche.

La carta è solo carta? Certo. Ma è possibile per chiunque prescindere dall’avere un documento in un simile sistema?

Ci siamo chiesti se sia possibile fare in modo che nei nostri territori ci siano le condizioni per permettere alle persone di sfuggire al sistema dell’accoglienza, e decidere di fare a meno di un pezzo di carta.

Nei centri di seconda accoglienza (CAS, SPRAR e CARA), quasi sempre situati in luoghi isolati e controllati da telecamere, gli “ospiti” sono obbligati a rispettare degli orari di uscita e di rientro; non hanno possibilità di svolgere alcuna attività se non ricreativa all’interno del centro; l’insegnamento della lingua, quando previsto, è approssimativo e privato di ogni interazione con l’esterno, volto quindi al mantenimento dell’isolamento. La fornitura di cibo è spesso scadente e vissuta in maniera passiva; viene trascurato l’aspetto igienico delle strutture, all’interno delle quali non vengono comunicate nemmeno informazioni di carattere generale (per esempio come fare in caso di bisogno di cure mediche).

In sostanza le persone si trovano come pesci in un acquario, succubi di un processo di infantilizzazione: vengono trattate come incapaci di prendere decisioni e autodeterminarsi.

Di conseguenza le proteste messe in atto riguardano rivendicazioni più o meno parziali, come la qualità del cibo o l’accelerazione della burocrazia per l’ottenimento del permesso di soggiorno.

Ci chiediamo se e come è utile sostenerle. Ci troviamo di fronte ad un bivio che presuppone visioni differenti.

Quali sono i limiti nel sostenere delle proteste parziali? Considerando anche la possibilità (e il rischio) di doversi relazionare con le istituzioni.

Possono essere un punto di partenza utile per instaurare delle relazioni, oppure solo un approccio scivoloso che rischia di presentarci per quello che non siamo, legittimando l’esistenza di questi spazi. Non crediamo nell’istanza della “buona accoglienza”, ma ci rendiamo conto dell’empatia che si può provare nei confronti di persone che vivono in simili condizioni.

Se l’obiettivo è la distruzione del sistema accoglienza, come si possono fare i conti con le condizioni effettive in cui vivono i migranti nei centri?

C’è da considerare inoltre il ricatto interno ed esterno. Da parte dei gestori è la minaccia di esclusione dal sistema sulla base di comportamenti non graditi. Da fuori, complici i media, la costruzione di una narrazione per cui i migranti diventano individui privilegiati in una guerra tra poveri e devono sentirsi grati e fortunati, delegittimando così a priori una qualsiasi possibilità di protesta.

Per fare un’analogia consideriamo il carcere: un luogo da distruggere, all’interno del quale i detenuti mettono in atto proteste per migliorare le loro condizioni, ma noi ci sentiamo ugualmente di sostenerle da fuori. Il discorso è equiparabile?

Visto il paragone e i nodi da sciogliere, ci siamo interrogati sulla possibilità che la centralità delle pratiche fosse il nodo cruciale della questione.

Ma è sufficiente non perdere di vista l’obiettivo?

Oggi, 13-12, l’inizio del secondo grado di giudizio per i fatti riguardanti la stupenda rivolta del 24 gennaio a Cremona, è (già) finito confermando l’accusa di devastazione e saccheggio per tre dei quattro imputati.

Per tre imputati (tra cui il delatore Aioub Babassi) è stata confermata la devastazione e saccheggio, con una pena di 3 anni e 8 mesi. Inoltre, è stato confermato il risarcimento per il Comune di Cremona per un totale di 200mila euro. Invece per l’ultimo imputato dei quattro è caduta l’accusa più pesante con la condanna a 2 anni e un mese per resistenza aggravata.

Inoltre, al tribunale di Cremona, si è chiuso il primo grado con la sentenza di 9 mesi per oltraggio per l’ultimo imputato, purtroppo infamato dal delatore.

Il primo dato da constatare a caldo è che tra fine primo grado e chiusura di metà del secondo, per cinque imputati su otto viene a cadere l’accusa di devastazione e saccheggio, per la giornata del 24 gennaio a Cremona.

Sicuramente queste sentenze non possono spegnere lo spirito di ribellione e di solidarietà espresso durante il 24 gennaio, perché non può esistere solidarietà senza rivolta.

Dato che in alcuni casi il comportamento degli imputati è stato del tutto deplorevole (prese di distanza con la rivolta in solidarietà ad Emilio e l’inaccettabile infamia), il nostro pensiero e la nostra complicità va alle compagne e ai compagni di Torino arrestati oggi per aver disertato l’ordine di lasciare la città piemontese, assumendosi il fatto di non rispettare i divieti di dimora.

Questi gesti ci scaldano il cuore e ci fanno capire come la generosità e la risolutezza di lottare contro un mondo iniquo e oppressivo possano essere parte fondamentale per aprirsi a percorsi di libertà.

Alcune/i antifascisti/e di Cremona

Sull'inizio del secondo grado del processo per devastazione e saccheggio sui fatti del 24 gennaio 2015 a Cremona:

1312 E I FRAMMENTI DI RIVOLTA DEL 24 GENNAIO

Martedì 13 dicembre al tribunale di Brescia, ore 11,30, si svolgerà il secondo grado del primo filone del processo riguardante i fatti del 24 gennaio scorso avvenuti a Cremona. L’agghiacciante accusa di devastazione e saccheggio è stata la risposta repressiva dello Stato, nei confronti di chi si è ribellato quel giorno per esprimere solidarietà ad Emilio, sprangato dai fascisti qualche giorno prima.

In primo grado tre persone subirono la sentenza di quattro anni ciascuno, più il risarcimento di 200mila euro per il Comune di Cremona, che si costituì come parte civile; oltre a questi, nel primo filone, ricordiamo che fu processato anche il delatore Aioub Babassi.

Nello stesso giorno al tribunale di Cremona, Kuljit, il ragazzo infamato dal delatore, verrà processato in primo grado anche lui con l’accusa di devastazione e saccheggio. Il 13-12 dovrebbe finire l’intero primo grado e parte del secondo, dopo che Sam e Gianmarco furono condannati a 10 mesi per resistenza e danneggiamento (insieme all’unica assoluzione di Filippo) nel secondo filone di questo processo, lo scorso luglio.

Lorsignori corrono veloci e vogliono fare in fretta per mettere una pietra tombale sulla stupenda giornata del 24 gennaio, di cui gli echi risuonano ancora a Cremona e altrove.

Il 13-12 saremo al tribunale di Brescia per portare avanti lo spirito di quella giornata.

Contro sbirri, fascisti, istituzioni e infami niente è finito, perché i frammenti di rivolta di quella giornata possano continuare a scaldare i cuori di chi sente che la libertà è un sentiero del tutto impervio ma imprescindibile per tentare di vivere una vita senza oppressione.

Alcune/i antifascisti/e di Cremona

 

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DEMOCRAZIA O LIBERTA'!

Molto spesso si sente dire in giro: “Questa non è Democrazia!”. Eppure, dalle guerre allo sfruttamento dei territori, fino allo spossessamento di milioni di individui nel mondo, sembra che tutto venga realizzato grazie anche alle regole democratiche che si adattano o si conformano alle necessità di cui l’Economia, di volta in volta ha bisogno. Prendiamo l’esempio dei diritti umani. Senza fare digressioni storiche o filosofiche che ci porterebbero a parlare, inevitabilmente, di inclusione ed esclusione, e prendendo per buona la loro essenza, essi – si dice a ragione – vengono calpestati in Paesi come Turchia o Israele che rappresentano delle perfette  democrazie. Funge da esempio la più grande democrazia del mondo, gli USA dove, periodicamente, i neri vengono assassinati in strada dalla polizia. Fino ad arrivare all’elenco lunghissimo dei morti ammazzati nel Bel Paese per mano, anche qui, delle forze dell’ordine.  Certo, sono argomenti facili se vogliamo, ma il problema è che questi episodi non sono affatto  errori o eccezioni opera di mele marce, sono parte intrinseca di un sistema di diritto in cui coloro che hanno il potere hanno il monopolio della violenza e governano sul resto dei sudditi, imponendo loro qualsiasi decisione: economica, ambientale, militare, sociale ecc.  La farsa della partecipazione serve solo a consolidare il sistema. Altre volte capita di sentire: “Questa non è Democrazia, ma Fascismo”. In effetti un controllo sempre più asfissiante, un azzeramento delle conoscenze e delle esperienze e una rappresentazione che sempre più si sostituisce alla realtà, sembra paventare un totalitarismo altrettanto insidioso e invadente. Eppure il Fascismo, almeno in Italia, lo si è conosciuto per quello che era: un regime autoritario, gerarchico e monopolizzante che non consentiva alcuno spazio al di fuori di esso e reprimeva il dissenso con la censura, la tortura e la morte. Le similitudini possono anche farsi, ma è bene considerare anche le differenze e grazie a ciò riconoscere coloro che, come i gruppi neo fascisti, vorrebbero ritornare a quell’epoca. Ad un certo punto, molti anni fa in Italia, alcuni decisero che quel monopolio della violenza doveva cessare e impugnarono le armi contro il regime fascista. E ciò avvenne da subito e oltre la fine di quell’esperienza. Proclamata la Repubblica, molti partigiani rimasero in carcere anche alcuni decenni oltre la fine della guerra, mentre tutti i fascisti  vennero liberati e tornarono a riprendere il posto che avevano occupato prima. La Costituzione che si dice nata dalla Resistenza, non ha difeso allora coloro che si erano battuti per eliminare la sopraffazione fascista; non è servita poi quando lo Stato ha messo le bombe sui treni e nelle  piazze, non ha funzionato quando l’Italia è andata in giro per il mondo a esportare guerra e democrazia con torture e massacri come in Libia, non serve oggi, quando il Mediterraneo si riempie di morti. Il Si al Referendum vorrebbe accentrare il potere in mano al governo e rendere più difficile la partecipazione di altri poteri, il No vorrebbe difendere o aumentare la Democrazia.
Ma per aumentare la libertà non servono né l’uno né l’altro. Serve l’autodeterminazione a spazzare via questo modello da sempre iniquo e totalizzante.
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CERTI GESTI PARLANO DA SOLI!

Pensare che il Fascismo sia ormai il passato può essere un errore grossolano se si guarda invece all’espandersi di gruppi neofascisti e neo xenofobi che alimentano e soffiano sulla paura nei confronti del diverso e dello straniero.  Sostenuti in questo dai media che, quotidianamente, colonizzano le menti, associando ai problemi di casa e lavoro le questioni riguardanti l’immigrazione e facendo passare l’idea che la causa di tutto siano proprio gli stranieri. Omettono naturalmente di dire che il problema sono coloro che innalzano muri e frontiere e sfruttano e devastano in giro per il mondo. E per far ciò non si fanno problemi di razza o di lingua, poiché l’unica che riconoscono è quella del denaro e del profitto.
Utili pedine a fomentare la guerra tra poveri, i neofascisti appartenenti a gruppi vari, Casapound o Forza Nuova, continuano a parlare di cadaveri: patria, identità, razza, suolo, proponendo modelli autoritari e gerarchici. Niente di più insopportabile e vetusto, se non fosse che tali concetti servono appunto all’Economia e alla politica che l’amministra per alimentare paura e terrore. A quanto pare alcuni di questi neofascisti, locali e non, se ne andavano in giro, quest’estate, per le strade di Lecce, molestando ragazze, sentendosi in branco maschi e virili, terrorizzando chi portava una maglietta di sinistra o chi, straniero, dormiva su una panchina e cercando in giro, i nemici dei fascisti. E a quanto pare i nemici dei fascisti si sono presentati!  Come sempre accade, subito dopo è intervenuta la repressione e ha avuto la meglio, riuscendo  a trasformare in docili agnellini quei neofascisti che tentavano di incutere paura e terrore in strada. La repressione ha toccato anche gli antifascisti con misure cautelari che vietano la permanenza in città.  Poiché il nostro assillo è la libertà, non possiamo che dirci ancora una volta contro il fascismo ed esprimere la nostra solidarietà a chi resiste e si batte contro esso e per questo subisce la repressione;  ma poiché il nostro assillo è anche l’etica, il nostro disprezzo va a chi infama gli altri, a qualsiasi colore appartenga.
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