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Berna (Svizzera) - Ritorno su una settimana agitata

Traduzione da renverse.co

Un vento di rivolta soffia sulla capitale.
Uno stabile occupato è stato sgomberato nella giornata di mercoledi 22 febbraio e un altro ha ricevuto un avviso di sgombero per il giovedi seguente a mezzogiorno.
Motivi che hanno spinto delle persone ad uscire la sera del giorno dello sgombero per lanciarsi in piccoli scontri.
Ci sono stati altri cortei venerdì e sabato sera.

Aggiornamento del 26.02

Sabato sera una nuova manifestazione è stata annunciata per le 20 davanti al centro autonomo della Reitschule. La decisione  che è stata presa era di tentare una manifestazione colorata e non-offensiva, nella speranza che la polizia lasciasse la possibilità al corteo di avere luogo. Al concentramento erano presenti tra le 400 e 500 persone ma quando il corteo ha tentato di uscire dal perimetro della Reitschule, la polizia l'ha bloccato accerchiando i/le manifestantx con dei camion dotati di griglie, idranti, ecc. Rendendo impossibile l'uscita e il corteo.

Un centinaio di persone hanno allora costruito delle barricate tutto attorno del centro autonomo e affrontato la polizia per molte ore.  Due manifestanti sono stati feriti e sei persone sono state controllate più tardi durante la notte vicino alla stazione e portate in centrale di polizia. La polizia ha annunciato di avere dieci feritx tra le sue fila,
principalmente a causa dei laser.
Fatto interessante: durante la serata alcuni camion di proprietà delle ferrovie svizzere sono stati incendiati. Potrebbe essere che troviamo qui di seguito qualche ragione sul perchè questo agire:

Perché attaccare la CFF [Testo in francese sulle responsabilità dell'azienda ferroviaria rispetto ad apparato detentivo, deportazione di migranti e controllo sociale]

Aggiornamento del 24.02 - 23.30

Un centinaio di persone si sone radunate verso le 20 davanti al centro autonomo della Reitschule per provare di camminare fino alla prigione situata in faccia al posto, quando un'armata di sbirri con 2 idranti e veicoli con barriere metalliche hanno accerchiato lo stabile della Reitschule impedendo alla gente di uscire. Gli sbirri sono stati allora attaccati a più riprese ed gli scontri sono tuttora in corso.

Aggiornamento del 22.02

Questo mercoledi mattina una casa occupata da dicembre 2016 in Effingerstrasse e minacciata di sgombero da varie settimane è stata sgomberata.
Lo sgombero è durato 7 ore, 19 persone sono state arrestate dentro la casa (parzialmente rilasciate il mercoledì sera), un centinaio d'agenti di polizia accompagnati da un idrante sono stati mobilitati e mezzo quartiere isolato. Le persone all'interno si sono difese con fuochi d'artificio e diverse barricate. Intorno alla casa, una cinquantina di
persone si sono radunate per sostenere le persone resistenti all'interno, portando cibo e musica.
Poi intorno alle 15 un primo piccolo corteo spontaneo ha attraversato la città.
La sera stessa verso le 21 un corteo di circa 400 persone in collera si è lanciato nelle strade del quartiere studentesco di Berna, dopo un'ora circa di rivolta il corteo è terminato davanti alle porte della Reitschule.

Foto di alcuni momenti:

Stamane al mercato è stato volantinato questo scritto. Buona lettura!

ORTI ABUSIVI? ABUSIVO E' IL POTERE SULLE VITE

I degenerati sono il sale della terra

Otto Gross

L'amministrazione comunale di Cremona ha dichiarato che intende dare un giro di vite agli orti abusivi sparsi per la città.

Questo non è altro che un ennesimo attacco alla libertà individuale.

Questa società ci mette nella condizione di essere schiavi del consumismo e della mercificazione anziché poterci liberamente autoprodurre ed autogestire ciò di cui necessitiamo, a partire, anche, dal cibo e dall'alimentazione.

Troviamo molto interessante che in città ci siano degli individui che abbiano scelto di riappropriarsi degli spazi urbani e sosteniamo questa decisione fermamente.

Rifiutiamo ogni forma di autorizzazione/pagamento per poter usufruire di un bene primario come il terreno per coltivare i propri ortaggi. Pagare il pizzo comunale alla mafia della burocrazia è qualcosa che lede la libertà di ognuno.

Riteniamo importante iniziare a riappropriarci di ciò che sentiamo necessario, partendo dalle basi primarie come l'autosostentamento al fine di creare un processo più grande di delegittimazione dello stato, delle sue istituzioni, delle sue autorizzazioni e delle sue burocrazie.

Tiriamo i sassi e non la cinghia, contro chi ci vuole silenziosi servi di un presente indegno.

Coltivare la terra, recuperare il cibo invenduto e riappropriarsi di materiale necessario sono azioni di una parte degli sfruttati, di quella voce fuori dal coro, scritta da qualche visionario anni fa: bisogna saper sperimentare la libertà per essere liberi. Bisogna liberarsi per poter sperimentare la libertà. All’interno del presente ordine sociale il  tempo e lo spazio impediscono di sperimentare la libertà perché soffocano la libertà di sperimentare.

Che l'autogestione individuale e collettiva sia forza contro la repressione della libertà individuale.

alcune/i amanti della terra

Verso metà gennaio, undici donne di origine marocchina, arrivate dalla Libia e sbarcate sulle coste italiane, sono state prelevate e portate in una struttura per migranti in Calabria, descritta come un centro di grandi dimensioni simile a una prigione, da cui non potevano uscire e dove la polizia le scortava anche in bagno. Si tratta con ogni probabilità del CPA/CARA di Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto, in provincia di Crotone.
Dopo una breve permanenza sono state trasferite, a inizio febbraio, nel CIE (ora CPR) di Ponte Galeria, dove sono state avviate tutte le procedure per la richiesta di asilo politico.
A seguito di questa richiesta, è stato comunicato loro che verranno ugualmente trattenute lì per due mesi, senza fornire altre spiegazioni. Sappiamo che i tempi di permanenza all’interno del CIE, che riguardino processi di identificazione o di elaborazione delle domande d’asilo, sono spesso arbitrari e possono variare dai 30 ai 90 giorni.
Dopo essere state accolte solo da gabbie e polizia, le donne si son viste quindi negata anche la possibilità di conoscere il motivo della loro detenzione.
Per questo hanno deciso di ribellarsi e lottare contro questa privazione della libertà, inziando tutte insieme uno sciopero della fame.
Obiettivi di questa lotta sono inoltre quelli di  denunciare le precarie condizioni di vita all’interno del CIE e il bisogno di conoscere il destino a cui le autorità le hanno condannate.
Diffusasi la notizia all’interno del lager, anche altre recluse hanno appoggiato questa scelta unendosi allo sciopero.
La loro lotta per la libertà riesce a superare e abbattere le differenze con cui gli stati ci dividono e obbligano a essere servx silenti.
La nostra solidarietà alla loro scelta di scioperare rende più instabile il muro che ci separa.
Sempre a fianco di chi si ribella contro vecchie e nuove carceri.

nemiche e nemici delle frontiere

Da: hurriya.noblogs.org

Retate nelle strade, stupri, soprusi e continue violenze nei centri di detenzione: questa è la quotidianità che lo stato offre alle donne migranti. Uno stato fascista e razzista fondato su machismo e cultura dello stupro; al di là dei propagandati progetti della polizia in difesa delle donne contro la violenza di genere, questo è uno stato che dice di proteggerti e nella realtà, al contrario, si trasforma in un ulteriore pericolo per la tua libertà e la tua vita.
Questo è ciò che è successo a Olga (nome di fantasia), una delle tante donne che spesso trovano il coraggio di liberarsi dalle loro relazioni violente. Olga è una donna ucraina che, nel momento in cui si è rivolta alle forze dell’ordine per denunciare le violenze agite da quello che era il suo compagno, è stata rinchiusa nel Centro di Identificazione ed Espulsione di Ponte Galeria, da dove la deporteranno a breve, perché la sua condizione di “irregolare” ha prevalso sulla sua richiesta di aiuto. Non si tratta di un caso isolato: ogni giorno le migranti devono vivere sulla propria pelle gli effetti di questo stato che le umilia, le sfrutta, le criminalizza e imprigiona per perpetuare poi le stesse violenze all’interno delle mura infami di un CIE.
Ogni giorno le donne migranti portano avanti le loro resistenze a questo sistema razzista fatto di confini e galere.
Non chiediamo allo stato di difenderci dalla violenza che esso stesso produce e di cui si nutre.
Quello che vogliamo è continuare a sostenere le lotte di chi a tutta questa brutalità si ribella, di chi resiste nei CIE, di chi si oppone alle deportazioni.
Quello che vogliamo è la libertà per tutte le donne recluse.

nemiche e nemici delle frontiere

Tratto da hurriya.noblogs.org

Deportazioni e violenza di genere: un aggiornamento dal Cie di Roma

Dal Cie di Ponte Galeria, una delle tante storie di donne inghiottite dalla macchina delle deportazioni, dietro le quali spesso troviamo tutta la gamma delle violenze di genere. Ci siamo fatti raccontare questa vicenda da una compagna di Roma, che ci aggiorna anche sulla situazione dell’unico Cie femmile d’Italia.