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A proposito di Kavarna

...la passione per la libertà è più forte d'ogni autorità...

Sabato 5 aprile 2014, carcere di Piacenza, primo giorno di mobilitazione: dalle celle e da un prato prigionieri molto arrabbiati e manifestanti solidali si vedono, si parlano, unendosi immediatamente nella protesta. E’ andata così, con lo striscione “Solidarietà ai prigionieri in lotta” nel campo lavorato a frumento in un punto dove con i prigionieri di 36 celle (insomma, circa 100 persone) ci si vede e sente, perché è questo che si vuole da entrambe le parti, senza altro mezzo che le corde vocali. Ci dividono, oltre alle sbarre delle finestre delle celle, il muro di cinta percorso da guardie armate di mitra, telecamere... e un’ulteriore inferriata. Nelle oltre 2 ore di comunicazione, tutto ciò è stato messo in ridicolo dalla sintonia crescente fra manifestanti e prigionieri.
Siamo andati a Piacenza per far sentire a chi è dentro che fuori c’è chi sostiene, solidarizza con chi in carcere tiene la testa alta, si unisce nella protesta, nella lotta; con chi il 21 marzo ha distrutto la sezione di isolamento di quel carcere. Si è riusciti a comunicare, a sentire quel che è realmente accaduto: nell’ora d’aria di quel pomeriggio fra alcuni prigionieri parte una lite, intervengono le guardie e li portano alle celle di isolamento, dove ci sono altri prigionieri fra i quali Valerio (Crivello, coimputato di Maurizio Alfieri). Le guardie saltano addosso ai prigionieri raccolti all’aria, per fermare
il pestaggio i prigionieri dell’intera sezione passano in breve dalla battitura alla distruzione completa delle celle. Tutti vengono pestati e trasferiti lontano, persino in Sicilia (Valerio a Viterbo, il cui indirizzo è: Strada S. Salvatore 14/b - 01100 Viterbo).
E siamo lì, lo urliamo, per dare sostegno alla mobilitazione di proteste e lotte (dal 5 al 20 aprile) annunciate dal “Coordinamento dei detenuti” nei mesi scorsi. Una mobilitazione che mira a far uscire dalla clandestinità quel che realmente accade dentro: dalle morti-uccisioni all’uso massiccio della dipendenza dai farmaci, dall’aumento delle condanne anche attraverso il circolo chiuso guardie-giudice di sorveglianza - da cui l’impiego dell’isolamento prorogabile chiamato “14bis”- unito alla censura o all’ancor più vigliacco cestinamento della posta, dalla riduzione dei salari per chi riesce a lavorare a cifre offensive, per esempio 50 euro al mese al raddoppiamento e oltre dei prezzi dei
prodotti venduti dallo spaccio interno, dalle condizioni igieniche paurose data la forte riduzione delle forniture di detersivi-disinfettanti all’impoverimento e abbruttimento del vitto...
Tutto questo e purtroppo altro ancora anche nel carcere di Piacenza è ben presente: il cambio delle lenzuola avviene una volta al mese, le docce non funzionano, i pacchi postali contenti cibo non entrano, il vitto è schifoso, il giudice di sorveglianza (di Reggio Emilia) è come non esistesse, l’uso dei farmaci è diffuso e puntuale al punto che esiste una sezione per chi è divenuto particolarmente dipendente. Come esiste la sezione femminile composta da 25 persone; le donne ci sentivano e si è riusciti ad afferrare
l’urlo: “tentano di stuprarci”.
Assieme abbiamo urlato per tutto il tempo “Libertà... Hurria...Guardie fasciste, razziste, assassine”..., abbiamo cantato “Bella ciao”... ci hanno detto di tornare, abbiamo risposto che lo faremo. (In quel carcere ci sono 600-700 prigionieri chiusi in due sezioni; in quella la vecchia ci sono il femminile, l’isolamento e quella “psichiatrica”).
Nel pomeriggio ci siamo diretti verso il carcere di Cremona. Anche qui la comunicazione fra solidali e prigionieri è continuata per due ore. Lo scambio di informazioni è avvenuto attraverso il nuovo padiglione del carcere di Ca' del Ferro. Qui abbiamo scoperto che due sezioni della parte vecchia sono rese inagibili per infiltrazioni. Tutti i detenuti di quelle sezioni sono stati ammassati nel nuovo padiglione dove... manca già l'acqua calda ma non i psicofarmaci. Anche qui lo striscione di solidarietà ai prigionieri in lotta era ben visibile.
Abbiamo salutato tutti i prigionieri con botti ed effetti pirotecnici molto vicini alle celle, con la promessa di tornare al più presto. In ultima analisi, rivolgiamo un appello a tutti/i i solidali/e; presto torneremo sotto le mura di queste due galere, e sarà importante avere una presenza più numerosa:
perché ce l’hanno chiesto i prigionieri e perché mai come in questi due presidi abbiamo trovato detenuti così arrabbiati, chiaro sintomo di un grave disagio che si protrae da ormai troppo tempo.
Spesso sotto le mura delle galere, abbiamo invitato i prigionieri a ribellarsi, a distruggere quell’infame istituzione totalitaria... A Piacenza una rivolta spontanea, a seguito delle ennesime violenze delle guardie, ha procurato la devastazione dell’intera sezione di isolamento. Quindi, da par nostro, non fermiamoci alle chiacchiere, sosteniamo in maniera attiva chi mette in atto pratiche di ribellione, perché non possiamo lasciare soli chi si ribella agli aguzzini!

Compagne e compagni contro il carcere

Nel pomeriggio di lunedì 31 marzo è stata emessa dal tribunale di Bologna la sentenza di assoluzione per i 21 compagni e compagne sotto processo dal 2011 per associazione a delinquere con finalità eversiva. Siamo stati dunque tutti assolti.
Nell'aprile del 2011, all'interno dell'operazione repressiva denominata “Outlaw”, in via san Vitale 80 lo spazio di documentazione Fuoriluogo era stato messo sotto sequestro e quindi chiuso, 5 compagni arrestati e 7 allontanati dalla città con divieto di dimora. A ciò sono seguiti 3 anni di accanimento sbirresco, con l'evidente e dichiarato tentativo di toglierci ogni spazio di agibilità in questa città.
Oggi dopo la sentenza, attesa in piazza da un grosso presidio, ci siamo ripresi uno spazio, strappato anch'esso ai compagni 15 anni fa. Si tratta della sede di un circolo anarchico intitolato a Carlo Cafiero che ospitava la Libreria Circolante. A metà degli anni '60 fu preso in affitto da Libero Fantazzini con alcuni compagni anarchici. Il comune di Bologna lo concesse a un costo simbolico per sostituire la sede storica di Porta Galliera chiusa durante il ventennio fascista. Questo posto, nel corso degli anni meglio conosciuto come Laboratorio Anarchico Paglietta, nel giugno del 1999 fu messo sotto sequestro e poi chiuso con mattoni e cemento a seguito di un'inchiesta che aveva condotto in carcere una compagne e un compagno. Per più di trent'anni era stato utilizzato da gruppi e individualità anarchiche, riempito di attività, assemblee, incontri e condivisione di vita. Come spesso accade il procedimento penale non ebbe alcun seguito, ma il locale restò murato e inaccessibile, chiudendo con sé un pezzo di storia della città.
Nella giornata della sentenza ci siamo ripresi uno spazio sottratto al piacere e all'esigenza di utilizzarlo. Uno spazio per confrontarci, discutere e trovare il modo di opporci con efficacia a un sistema che opprime, affama, devasta e avvilisce la vita. Uno spazio per continuare a lottare per un mondo del tutto altro da questo.

Bologna, 31 marzo 2013

Anarchiche e anarchici felicemente delinquenti

Nella notte tra il 16 e 17 marzo 2003, a Milano, zona Navigli, tre ragazzi
escono da un pub; ad aspettarli un gruppetto di neofascisti, padre e due figli,
armati di coltelli: Federico, Mattia e Giorgio Morbi (28,17,54 anni all’epoca
dei fatti). L’aggressione fu violenta, veloce ma soprattutto premeditata, nel
tipico stile mafioso con cui sono soliti rispondere a quelle che ritengono
"offese all'onore".
Davide Cesare, “Dax”, riceve dieci coltellate: alla gola, alla schiena e in
altri punti vitali. Anche a terra, continuano ad infierire su di lui. Vicino a
Dax, c’è Alex, accoltellato otto volte alla schiena. Un altro ragazzo, Fabio, è
ferito. Tutto si svolge in pochi secondi e dopo aver colpito vigliaccamente, i
tre aggressori si dileguano.
Partono le chiamate e dopo poco arrivano anche polizia e carabinieri, che
bloccano le strette stradine con le auto di pattuglia, contribuendo così al
ritardo delle ambulanze, già rallentate dal traffico, mentre i ragazzi feriti
restano a terra. Segue la corsa all’ospedale San Paolo.
Una ventina di compagni si raduna all’interno del pronto soccorso aspettando
notizie. Poi l’annuncio: Dax non ce l’ha fatta, morì dissanguato prima di
arrivare in ospedale. La rabbia, il dolore, l’amarezza per quanto accaduto si fa
palpabile. Nel frattempo si moltiplica, dentro e fuori al pronto soccorso, la
presenza delle forze dell'ordine. La tensione è altissima.
Le forze dell’ordine, che fino ad allora avevano presidiato l’ospedale, fanno
partire una violenta carica. Come riportano le testimonianze dei presenti “sono
lunghi minuti di pura violenza poliziesca, durante i quali gli agenti, con
manganelli, calci, pugni e mazze da baseball, si accaniscono sui ragazzi,
spaccando teste, nasi, denti, braccia. Pestaggi, ragazzi immobilizzati a terra,
ammanettati, sanguinanti“ trascinati nelle auto dei carabinieri.
I medici e gli infermieri si mobilitano per soccorrere i feriti, increduli e
attoniti di fronte a questa ferocia.
Oggi, ad 11 anni dalla morte di Dax, i fascisti, con altri nomi come forza nuova e casa
pound, continuano a presentare nelle piazze le loro iniziative menzognere, razziste e
sessiste.
Oggi, a 70 anni dalla fine della dittatura nazi­fascista sconfitta sotto i colpi ben assestati dei partigiani, ancora si muore di fascismo nelle strade, come è successo a Dax, Abba e altri.
O si muore di violenza poliziesca, come Carlo Giuliani e Alexandros Andrea (Alexis)
Grigoropoulos, ucciso da due sbirri per le strade di Atene nel 2009.
Chi non muore resta ferito ma non si arrende, con il ricordo vivo trova la forza per
rialzarsi e continuare a lottare.
Rendersi conto che qui come ovunque fascisti e sbirri sono il braccio armato del potere, è
il primo passo per praticare delle azioni contro la continua oppressione delle nostre vite.

Amiche e amici di DAX

No, ma davvero tu ami gli sbirri?
Li si vede tutti i giorni, in borghese annidati all’angolo di una strada, oppure in forze sui vialoni, a volte nascosti nelle loro macchine o al riparo nei loro commissariati. Qualche volta li si vede che corrono dietro un venditore ambulante, un ladro di brioche, una prostituta o qualcuno che ha frodato i trasporti pubblici. Sono fieri di mostrarci la loro forza, di insultarci, di minacciarci, di molestarci, di portarci via. Sono fieri del loro potere corporativistico, che permette loro di cavarsela sempre, giocando con le leggi che a noi impongono a colpi di manganello. Se il loro è un piccolo mondo a parte, con il proprio linguaggio, le proprie pose da macho, la loro andatura da cowboy, la loro mentalità da schiavi, però il loro lavoro è invasivo per tutti. Sono loro contro il resto del mondo, a parte i ricchi che sono lì per proteggere ed i cittadini-sbirri che fanno una parte del lavoro al loro posto. Sempre spalleggiati dalla giustizia, sanno bene che senza di loro quest’ultima non sarebbe nulla, e pure i giudici lo sanno bene, al caldo nei loro uffici lussuosi, fra le due consegne quotidiane di bestiame umano che gli fanno i loro scagnozzi. I politici e la borghesia che essi rappresentano vogliono civilizzarci a colpi di carota e la polizia tiene il bastone per i refrattari.
Ma la più subdola e, alla fine, la più efficace delle polizie è quella che non indossa la divisa. Dal portinaio che racconta loro quello che vede, alla spia prezzolata. Dal cittadino che si sente in dovere di filmare o di chiamarli appena è testimone di una fessura nella sua piccola normalità, al commerciante che installa delle telecamere nel suo negozio, fino a sequestrare lui stesso i ladri.
Dalla televisione che ci diffonde in continuazione la sua propaganda di pace sociale, allo psichiatra che addormenta la rabbia a colpi di medicinali. Dal lavoro, che ci tiene occupati ed al nostro posto, intenti a sopravvivere piuttosto che vivere, al professore che ci insegna ad abbassare gli occhi di fronte all’autorità. Dalla politica che ci fa credere che votare possa far cambiare qualcosa in tutta questa merda, allo stadio che ci permette di urlare dietro un pallone per evitare di urlare contro il nostro padrone. Dal patriottismo, che ci mantiene nell’illusione dei ranghi serrati dietro una bandiera, uniti da un interesse comune, ai militari che ci parlano di viaggi, d’avventura e di cameratismo mentre si tratta solo di essere un assassino in nome di quella stessa bandiera insanguinata. Dal prete che ci fa ingoiare le sue ostie scadute e le vecchie promesse di paradiso dopo la morte, allo spacciatore che ci vende la morte prima ancora di aver vissuto. Non tutti hanno bisogno del salario dello sbirro per fare questo sporco lavoro di integrazione sociale, che ha il prezzo della disintegrazione della libertà individuale e della nostra singolarità. Anche se non c’è una divisa su ogni spalla, è sempre la stessa divisa che ci intimano di indossare. Tutti cittadini, tutti sbirri.
Non servirebbe a nulla sbarazzarsi degli sbirri, della giustizia e delle prigioni, se è per lasciare la società intatta, ecco perché dobbiamo minare le fondamenta morali così come le strutture fisiche di questo mondo di dominio, cominciando per esempio coll’imparare a gestire i nostri conflitti fra di noi invece che chiamare il 113, fare appello al sindacato, al padrone o ad una persona influente. Ma per fare ciò, bisognerebbe già far cadere tutti i muri che rinchiudono i nostri immaginari ed i nostri sogni, supposto che siamo ancora capaci di sognare dopo tanti secoli di servitù e di rapporti alienati.
Gli sbirri sono delle merde, proprio come questa società, ed il buon senso dice a tutti di non amare la merda.

Sarà loro oppure la nostra libertà.
Prendiamone atto.
Per un mondo senza sbirri e senza autorità.
Per l’insurrezione...

Alcuni/e selvaggi/e