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Il 25 giugno 2013, nel carcere di Terni un altro detenuto è morto di Stato, ucciso dal cinismo dei servi in divisa.

Le guardie lo hanno picchiato, lo hanno lasciato da solo rinchiudendo e minacciando i compagni che lo avevano salvato da un primo tentativo di suicidio, lo hanno incitato ad uccidersi e infine lasciato morire senza muovere un dito in suo soccorso.
Episodi come questo sono all'ordine del giorno nelle carceri italiane, tenuti in un silenzio che va spezzato.

Maurizio Alfieri, ora detenuto a Spoleto, denuncia pubblicamente i responsabili di questa morte: i secondini agli ordini del comandante Fabio Gallo.

Maurizio da anni lotta coraggiosamente contro tutti i soprusi e le violenze del sistema carcerario di cui viene a conoscenza. Per questo ha subìto pesanti ripercussioni: minacce, isolamento, procedimenti giudiziari con false accuse, continui trasferimenti che tentano di spezzare le reti di solidarietà che gli si creano attorno, dentro e fuori le carceri.
Questo è il trattamento riservato a tutti e tutte quelle detenute che non abbassano la testa e lottano per la libertà e per delle condizioni più degne.

Ai servi in divisa, nelle carceri come nelle strade, è stata garantita l'impunità. Nelle carceri come nelle strade sono sempre più le persone che vengono uccise, subiscono violenze e umiliazioni.
Solo lottando, solo organizzandoci, solo rispondendo direttamente ai soprusi ci possiamo difendere.

Opponiamoci alle continue morti nelle carceri e denunciamo la responsabilità delle amministrazioni carcerarie nei continui casi di suicidio.

Opponiamoci alle condizioni di reclusione all'interno del carcere di Spoleto.

Opponiamoci all'uso delle sezioni di isolamento all'interno delle carceri: vera e propria forma di tortura.

Se le guardie sono i responsabili di queste morti, il DAP è il mandante.

Il 28 novembre saremo in presidio di fronte al DAP (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) a Roma.
Dentro quel palazzo, seduti dietro le loro comode scrivanie, quegli aguzzini decidono le sorti di migliaia di persone. Che per un giorno sentano l'urlo di rabbia che viene da dentro le carceri.

VENERDI 28 NOVEMBRE ORE 14,00 APPUNTAMENTO A LARGO DAGA, ROMA
bus H da Termini, fermata Silvestri/Serafini
metro A fermata Cornelia e bus 889 (direzione Mazzacurati), fermata Bravetta Consolata

Sabato 29 dalle 14,00 saremo invece di fronte al carcere di Spoleto a portare calorosi saluti a Maurizio e ai detenuti/e lì rinchiusi/e.

Aggiornamento notturno: In attesa di maggiori informazioni apprendiamo che in serata un corteo spontaneo di circa 150 solidali ha cercato di muoversi verso il carcere di San Vittore per salutare i compagni arrestati nell'arco della giornata di lotta. La celere si è frapposta con lancio di lacrimogeni, impedendo ai manifestanti di proseguire in quella direzione. Il corteo selvaggio si è quindi spostato in zona Navigli, lasciando scritte di solidarietà e banche danneggiate.

Aggiornamento mercoledì 19 novembre: a differenza di quanto si era appreso precedentemente, i tre compagni non sono stati portati in carcere a San Vittore, bensì trattenuti in stato di fermo per circa 16 ore. Oggi sono stati tutti rilasciati.

Apprendiamo dai compagni che in mattinata sono iniziate le operazioni per tentare di sgomberare l'occupazione del Corvaccio e lo spazio anarchico Rosa Nera, entrambi in via Ravenna nel quartiere di Corvetto a Milano. Gli sbirri sono entrati all'interno degli spazi, alcuni occupanti del Corvaccio sono riusciti a raggiungere il tetto e hanno resistito per alcune ore, diversi solidali da Milano e non solo si sono radunati all'esterno nei pressi di via Ravenna 30.

Seguono aggiornamenti e dirette da RadioBlackout.org

Ancora sgomberi questa mattina dopo la fiaccolata di ieri sera, quando centinaia di abitanti del quartiere Corvetto hanno risposto alle operazioni repressive e agli sfratti della mattinata.

La risposta polizesca non si è fatta attendere, così questa mattina le forze di polizia hanno deciso di attacare le occupazioni abitative di Corvaccio e Rosa Nera nello stesso quartiere, un messaggio chiaro e intimidatorio a chi da anni spalleggia le occupazioni di case nei quartieri polpolari della città meneghina. Ne sono seguiti scontri e cariche, con un centinaio tra compagn* e abitanti del quartiere che hanno tenuto impegnate le forze dell’ordine per qualche ora.

Aggiornamento h 13.30: A fine mattinata sono stati eseguiti numerosi fermi: 3 compagni sono stati tratti in arresto per resistenza, gli altri denuciati a piede libero. Ora è in corso un presidio permanente in via dei 500. Per le h 17 è stato indetto un concentramento cittadino, sempre in via dei 500 (Metro Corvetto): per rilanciare l’autodifesa dei quartieri popolari. Per la solidarietà! Contro la prepotenza delle guardie e dei padroni! Per fermare immediatamente sfratti e sgomberi! Per la liberazione immediata di tutt*!

"SABOTARE È GIUSTO, TERRORISTA È LO STATO"

Il movimento NO TAV ha lanciato un appello di lotta, su tutti i territori dal 14 al 22
novembre.
Questo presidio è stato lanciato per far conoscere a che punto è la lotta contro l'
alta velocità e il mondo che la produce.

A dicembre ci sarà la sentenza di primo grado per il processo a Mattia, Claudio,
Niccolò e Chiara, accusati di terrorismo per un sabotaggio (uno dei tanti...)
avvenuto al cantiere del TAV tra la notte del 13 e 14 maggio dello scorso anno.
A gennaio verrà emessa la sentenza del maxi-processo ai 53 NO TAV per i fatti di
rivolta del 27 giugno e 3 luglio 2011, in cui sono state richieste condanne per 200
anni di reclusione.
Il nostro pensiero va anche a Lucio, Graziano e Francesco (rinchiuso nel carcere di
Cremona), arrestati in estate con l' accusa di aver partecipato al sabotaggio del
cantiere del TAV in Val di Susa, come Mattia, Chiara, Niccolò e Claudio.

Il motivo di tanto accanimento giudiziario nei confronti degli oppositori al treno
veloce, va sicuramente ricercato nella loro capacità di scavalcare la retorica della
legalità, riconoscendo la differenza fra giusto e legale, manifestata anche in
pratiche di lotta come il sabotaggio.

In un presente caratterizzato da proteste mediatiche e rassegnazione, chiunque
osi contrapporsi ad un progetto ingiusto, senza appellarsi al politico di turno, non
può che venir schiacciato dalla macchina repressiva messa in moto da piagnistei
giornalistici e sotterfugi polizieschi.

Noi, complici, siamo solidali con chi agisce direttamente contro questo progetto di
morte.
Questo significa rifiutare e rompere con questa società, fatta di gerarchie e
autorità.

Bentornato sabotaggio compagno di lotta.
Terrorista è chi devasta e saccheggia i territori.

NO TAV

cip: 15/11/2014 Cremona

Roma – Corrispondenza da Tor Sapienza

Tor Sapienza, esempio di architettura concentrazionaria. Piccolo quartiere disperso nell’immensa periferia romana. Case popolari, edifici disposti ad anello, con un unica via di accesso ed un unico bar come punto di ritrovo. Il cento di prima accoglienza (per minori non accompagnati, richiedenti asilo e misure alternative al carcere minorile) lo hanno piazzato lì, al centro della discarica sociale costruita trent’anni fa, ma è corpo estraneo anche ai codici condivisi del ghetto, unico edificio in qualche modo collegabile allo Stato, altrimenti ritiratosi da questo suo lembo estremo. Un edificio in cui vivono dei poveri considerati privilegiati perché hanno tetto e pasti assicurati.

É in questo luogo, che martedì scorso dopo un’assemblea pubblica una parte degli abitanti ha protestato contro il centro di accoglienza ed alcuni lo hanno attaccato con bombe carta.
Il Centro non ha mai creato particolari problemi a nessuno. Parlando con persone diverse (ospiti, operatori, residenti) non è emersa una chiara causa scatenante degli attacchi. Neppure i media abituati a sponsorizzare la guerra etnica, ci hanno detto qual’è stata la “colpa” degli immigrati, se non quella di esistere.
I pochi episodi citati come “causa scatenante” non coinvolgono gli ospiti del centro: i residenti lo sanno perfettamente. Non si è verificata, da quanto abbiamo appurato, una lesione degli interessi criminali di qualche capo-zona, recondita causa di episodi similari.

Cos’è successo quindi e perché?
Ci sembra che Il centro di accoglienza sia stato individuato come anello debole, come punto facile da attaccare per rendere visibili le proprie rivendicazioni e sfogare la frustrazione.
Da quanto abbiamo appreso esiste nel quartiere un forte malessere legato alla qualità della vita ed alla mancanza di servizi. Vi è una difficile convivenza, nella comune povertà, degli italiani con gli stranieri residenti in zona, in particolare con il vicino campo nomadi. Vi è un evidente dilagare di una sottocultura razzista, malcelata dietro il solito “io non sono razzista ma …”.

Esiste poi chi questi attacchi li sta pianificando da tempo. Chi fomenta e incanala l’odio, indirizzandolo contro i poveri tra i poveri. Il tutto palesemente finalizzato al controllo sociale, ad un progetto politico di destra che ricalca modelli che hanno avuto successo in Grecia e Francia.
Dietro episodi come questo, che si stanno susseguendo sul territorio romano troviamo sempre gli stessi attori: pezzi del neofascismo e famiglie criminali fanno il lavoro sporco, comitati anti-degrado ed il partito “Fratelli d’Italia” si muovono alla luce del sole.
É l’anticipo di una campagna elettorale sporca.
É, inoltre, una battaglia che questi fascisti stanno vincendo nel momento in cui sono riusciti a determinare il terreno dello scontro: quello del degrado e della sicurezza. La sinistra, con la sua aggiunta dose di ipocrisia, insegue sullo stesso piano. Il risultato per i poveri è la repressione. Per gli immigrati in particolare, ad ogni sparata di questi “cittadini per l’ordine”, seguono retate, deportazioni nei CIE, espulsioni.

Successivamente al primo assalto, diversi solidali hanno preso contatti con questa realtà. Si tratta di un quartiere di duemila abitanti con scarsa presenza di compagni, nonostante la zona di Roma est abbia un’alta concentrazione di case occupate, centri sociali, collettivi.
Mercoledì sera, quando tutto sembrava tranquillo, si è verificato un secondo attacco. In questo caso si è trattato di un’azione pianificata compiuta da non molte persone, capaci di stare in strada e reggere gli scontri. É molto probabile che una parte degli assalitori sia venuta dall’esterno del quartiere e che vi fossero fascisti. L’attacco è stato violento ed effettuato da più lati, i ragazzi del centro hanno barricato le porte e lanciato oggetti dalle finestre per impedire l’accesso.
Alcuni solidali con gli immigrati hanno tentato di radunarsi per portare un aiuto, ma sono giunti sul posto quando l’accesso al quartiere era bloccato dalla polizia giunta in forze.
I razzisti hanno vinto questo scontro nel momento in cui hanno fatto assumere all’episodio una dimensione di carattere nazionale, garantendosi il successo del trasferimento della struttura e costruendo un precedente riproducibile a cascata su tutto il territorio. Di questo va preso atto.

Prendendo contatti con il centro, il giorno successivo, ci è stato fatto presente come la minaccia di tornare ad incendiare il posto fatta la sera precedente fosse da prendere seriamente. Nel pomeriggio, da parte degli operatori che temevano per l’incolumità degli ospiti, è stata fatta una chiamata per intervenire a difesa nell’eventualità di un attacco.
Non nutriamo simpatia per i centri di accoglienza, ma ci sembra interessante sottolineare il fatto che da un’entità legata alle istituzioni sia partito un’ appello verso verso contesti solidali, informali o antagonisti. Ci sembra che ben simboleggi il ritirarsi dello Stato, di fronte alla crisi, dalle sue diramazioni periferiche.
Questo territorio abbandonato cos’è?
É certamente un terreno su cui rischia di insediarsi la guerra civile, la barbarie dello scontro etnico. Per qualcuno è un terreno sul quale bisogna fare ritornare lo Stato, richiamandolo ai suoi doveri. Ci piace proporre un’altra lettura, più difficile da concretizzare ma molto più allettante: quella di un terreno provvisoriamente liberato, sul quale si può trovare lo spazio per costruire forme di sperimentazione, di autonomia, auto-organizzazione, autogestione. Non chiediamo nulla ma ci riprendiamo quanto lo Stato abbandona retrocedendo.

Alla richiesta di intervento, molti hanno risposto negativamente, anteponendo considerazioni di stampo strategico, che sconsigliavano di intervenire. Insieme ad altri abbiamo risposto all’appello partendo da considerazioni di natura etica. Volevamo dire a ragazzi, alcuni con alle spalle esperienze traumatiche, che fuori da quelle mura non vi era solo odio contro di loro. Queste persone erano in pericolo, noi potevamo intervenire, quindi lo dovevamo fare.
Le considerazioni strategiche le lasciamo a persone sicuramente più abili di noi.
Siamo andati in un contesto non facile, con il centro presidiato dalle polizia, ed alcuni dei solidali sono riusciti ad entrare. Il nostri bottino politico consiste nell’accoglienza e nei sorrisi sinceri che abbiamo ricevuto dai ragazzi: siamo contenti così.

All’esterno le voce dell’arrivo dei fasci si sono susseguite senza che i fasci arrivassero. Dall’alto lato della strada si è radunato un folto gruppo di persone, visto che siamo stati invitati a parlare ci siamo avvicinati. L’impressione è stata quella di trovarsi di fronte la Folla nel senso teorico del termine, con i suoi umori, la sua imprevedibilità, la sua plasmabilità. Persone che, in fondo, hanno un gran bisogno di parlare e di sfogare il loro disagio. Ci hanno identificai come “quelli dei centri sociali”, che non sanno niente, e che vengono a gettare discredito su di loro. Ci vorrebbe molto tempo per stabile un dialogo proficuo, abbiamo una forte necessità di capire, oltre ogni letture ideologica e precostituita.
Abbiamo semplicemente detto di non avere nulla a che spartire con le guardie e questo era l’unico punto d’incontro immediatamente possibile.
Parlando della famosa guerra tra poveri, abbiamo chiesto come si potesse prendersela con dei ragazzini e non con i veri responsabili del disagio che non sono certo difficili da individuare. Qualcuno ci ha risposto – parole letterali – che il centro è solo un capro espiatorio, insomma il posto giusto per fare casino, attirare l’attenzione, farsi dare qualcosa e probabilmente, aggiungiamo noi, fare un piacere a qualcuno che poi si ricorderà.

La notte è molto buia in questa via. Nei prossimi giorni giorni arriveranno i politici a farsi fare le foto davanti al trofeo. La guerra sociale, invece, riprende da domani in un punto qualsiasi qua attorno. Chi vuole star sveglio prenda il suo posto.

Roma 13-11-2014