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A proposito di Kavarna

...la passione per la libertà è più forte d'ogni autorità...

Sgomberato questa mattina, martedì 13 gennaio, l’ex Kag di Pisogne, 
il capannone autogestito in via Neziole occupato da gennaio. 
Questa mattina intorno alle 8.30 digos, 
polizia e carabinieri hanno eseguito lo sgombero, 
sfondando la vetrata. Bloccate anche la botola che dal secondo 
piano portava al tetto. 
All’interno del capannone 5 compagni, 
ascolta la corrispondenza con uno di loro.
http://www.radiondadurto.org/wp-content/uploads/2015/01/rec0113-083826.mp3

Aggiornamento ore 9.40: i 5 compagni vengono portati 
alla caserma di Breno 
per le foto segnaletiche e per prendere le impronte digitali. 
Ascolta la corrispondenza con Elena del collettivo Provincialotta.
http://www.radiondadurto.org/wp-content/uploads/2015/01/rec0113-093235.mp3

Indetto per questo pomeriggio alle 17 un presidio e 
una conferenza stampa alle 17.30

Sabato 17 manifestazione in difesa dell’ex Kag di Pisogne 
e di tutti gli spazi sociali. 
Di seguito il comunicato:

VOGLIAMO (UNO) SPAZIO

La neonata occupazione di “Via Neziole 4”, situata nello stabile 
che per cinque anni 
ha ospitato l’associazione culturale “KAG”, 
indice un corteo dimostrativo SABATO 17 GENNAIO 
con concentramento presso Piazza San Costanzo a Pisogne alle 14:30.
La manifestazione avrà come obiettivi:

•DIFENDERE L’OCCUPAZIONE DI VIA NEZIOLE 4
•RIVENDICARE L’ESIGENZA DI UNO SPAZIO SOCIALE IN VALLE CAMONICA LIBERO 
DALLE LOGICHE DI PROFITTO E SFRUTTAMENTO
•COSTRUIRE UNA BASE DI SOLIDARIETÀ TRA LE DIVERSE REALTÀ CAMUNE 
IMPEGNATE NELLE LOTTE SOCIALI, NEL CONFRONTO CULTURALE , 
NELLA DIFESA DEL TERRITORIO DALLE SPECULAZIONI 
CHE STANNO MUTANDO INEVITABILMENTE LA NOSTRA VALLE
•OPPORCI ALLE POLITICHE REPRESSIVE ESPRESSE DALLA GIUNTA COMUNALE 
CON IL NUOVO REGOLAMENTO DI POLIZIA MUNICIPALE

A seguito dello sfratto dell’Associazione KAG 
abbiamo collettivamente deciso di occupare 
lo stabile in Via Neziole per proseguire il percorso 
di iniziative aggregative, 
culturali e sociali che dal 2009 
si sono svolte tra le mura di questo capannone, 
gettando le basi per una nuova esperienza.

Scenderemo in piazza perché riteniamo che il mancato rinnovamento 
del bando comunale 
non sia altro che una decisione politica repressiva e ingiustificata.
Il capannone di via Neziole ha per anni rappresentato 
un’alternativa politica e culturale autogestita in Valle Camonica 
che rischia ora di essere eliminata e messa a tacere.

Continueremo ostinatamente a lottare per una società diversa, 
basata sulla solidarietà e sull’uguaglianza, contro lo sfruttamento 
e il sistema economico che lo produce promuovendo ogni forma 
di attività culturale, politica e sociale finalizzate a questo scopo.

Sono note a tutti le simpatie fascistoidi di Invernici. 
Il regolamento di polizia municipale 
colmo di divieti degni del ventennio 
dimostra l’attitudine del primo cittadino al controllo 
e alla repressione della cittadinanza: 
vietato stendere i panni, vietato bagnare i fiori in luogo pubblico, 
vietato chiedere l’elemosina. Manca solo il divieto di essere poveri.

Resistere per esistere.
Contro le politiche repressive: un altro mondo è possibile.

CONCENTRAMENTO ORE 14:30 IN PIAZZA SAN COSTANZO 
(LA PIAZZA PRINCIPALE DI PISOGNE).

Via Neziole 4 Occupata #N4O #vogliamounospazio
Vogliamounospazio@inventati.org

In questo momento dove l'unità nazionale (quella stessa che produce guerre sparse per le strade e per il mondo, quella stessa che ha prodotto e produce ancora il sanguinario colonialismo occidentale in terre lontane), sta unendo oppressori e oppressi, riportiamo due voci fuori dal coro menzognero sulla questione Charlie, barbarie e libertà...,

C'è un errore, io non sono Charlie...

Non dubito che esistano dei «Charlie» simpatici e pieni di buone intenzioni. Sono inondato, come tutti, dalle loro lettere indignate. Io non lo sono.
Non sono Charlie, perché so che l'immensa maggioranza di questi Charlie non sono mai stati né Mohamed né Zouad, vale a dire nessuno di quelle centinaia di giovani assassinati nelle periferie dai «nostri» poliziotti (di tutte le confessioni, gli sbirri!) pagati con le «nostre» tasse. Se ricorro agli arnesi del sociologo, capisco perché per dei piccoli borghesi bianchi sia immediatamente più facile identificarsi con un famoso disegnatore, intellettuale e bianco, che con un figlio di immigrati operai del Maghreb. Comprendere non è giustificare né aderire.
Non sono Charlie, perché rifiuto di «manifestare» su ingiunzione del locatario dell'Eliseo insieme a politicanti, sbirri e militanti di estrema destra. Non parlo a vanvera: una conoscente mi ha spiegato che sul suo posto di lavoro, sono i militanti cattolici omofobi della cosiddetta «Manifestazione per tutti» ad impegnarsi nell'organizzazione di un minuto di silenzio per la redazione di Charlie Hebdo.
Non sono Charlie, perché rifiuto di piangere sui cadaveri di Charlie Hebdo con un François Hollande che ha appena annunciato che l'aeroporto di Notre-Dame-des-Landes sarà costruito, cioè che ci saranno altri feriti gravi con proiettili di gomma, e probabilmente altri Rémi Fraisse.
Non sono Charlie, perché sono visceralmente — e culturalmente — ostile ad ogni sorta di «Sacra Unità». Anche i giornalisti più stupidi di Le Monde hanno capito che proprio di questo si tratta; si chiedono soltanto quanto tempo potrà durare questa «unità». «Radunarsi» dietro François Hollande contro la «barbarie islamista» non è meno stupido che fare la sacra unità contro la «barbarie tedesca» nel 1914. Anche alcuni anarchici si erano fatti coinvolgere all'epoca; basta così, abbiamo già dato!
Non sono Charlie, perché il «raduno» è la definizione neo-liberale della collaborazione di classe. Alcuni di voi forse immaginano che non esistano più classi e ancor meno lotta fra le stesse. Se siete padroni o capi di qualcosa (ufficio, laboratorio...), è normale che lo pretendiate (e ancora! ci sono delle eccezioni) o che possiate crederlo. Se siete operai e operaie costretti a mansioni tecniche, o disoccupati e disoccupate, vi consiglio di informarvi.
Non sono Charlie, perché pur condividendo la pena dei parenti delle persone assassinate, non mi riconosco in alcun modo in ciò che era diventato, ormai da alcune decine d'anni, il giornale Charlie Hebdo. Dopo aver cominciato come foglio anarchicheggiante, questo giornale si era rivoltato — soprattutto sotto la direzione di Philippe Val — contro il suo pubblico degli inizi. Restava anticlericale. Questo conta? Sì. È sufficiente? Certamente no. Apprendo che Houellebecq e Bernard Maris erano legati da grande amicizia, e che il primo ha «sospeso» la promozione del suo libro Sottomissione (cosa che non gli costerà nulla) in omaggio al secondo. Ciò dimostra che, anche nelle peggiori situazioni, c'è la possibilità di farsi una risata.
Non sono Charlie, perché sono un militante rivoluzionario che cerca di tenersi al corrente dell'andamento del mondo capitalista in cui vive. Di conseguenza non ignoro che il paese da cui provengo è in guerra, certo in «scenari operativi» lontani e mutevoli. Poiché dappertutto nel mondo e perfino nel mio quartiere, alcuni nemici della Francia possono considerarmi, nel peggiore dei modi, loro nemico. Cosa che a volte è vera, e a volte no. Almeno, sapendo che la Francia è in guerra, non provo lo stesso stupore di tanti Charlie nell'apprendere che un atto di guerra è stato commesso in piena Parigi contro umoristi irrispettosi verso le religioni.
Non sono Charlie, perché in mancanza di precisazione e per il fatto stesso dell'anonimato generato dalla formulazione «Io sono Charlie», questa dichiarazione s'intende necessariamente, e al di là delle posizioni magari differenti dell'uno o dell'altro, come un'unanimità «antiterrorista». In altre parole: come un plebiscito dell'apparato legislativo chiamato «antiterrorista», strumento di quella che definisco terrorizzazione democratica.
Non sono Charlie. Sono Claude. Rivoluzionario anarchico, anticapitalista, partigiano del progetto comunista libertario, nemico mortale di tutti i monoteismi — ma faccio sacrifici ad Afrodite! — e di qualsiasi Stato. Questo basta a fare di me un bersaglio per i fanatici religiosi e per gli sbirri (ho pagato per saperlo).
Sono disposto a discutere con coloro per cui l'eccidio di Charlie Hebdo è uno degli orrori di questo mondo, ai quali è inutile aggiungere ulteriore confusione sotto forma di emozione gregaria.
[9/1/15]
**

No, vaffanculo, io non sono Charlie

Questa mattina i parigini e le parigine, e attraverso loro il mondo intero, si sono svegliati in un odore macabro di polvere da sparo. Alcuni fanatici religioni, non sono i primi, non saranno gli ultimi, hanno aperto il fuoco durante la riunione settimanale della redazione del giornale satirico Charlie Hebdo. Una dozzina di morti e dei feriti, per la maggior parte si tratta di giornalisti e vignettisti conosciuti da tutti e regolarmente presenti sui mass media, poi due sbirri, i quali, a differenza degli altri, ricevevano un salario per farsi sparare addosso. A parte forse qualche vecchio lupo di guerra, la prima reazione suscitata da questi avvenimenti è l’empatia di fronte al terrore di questo assalto. In effetti questo attentato, che è il più sanguinoso in Francia dai tempo di quello, fascista, del treno Strasburgo-Parigi del 18 giugno 1961 durante la guerra d’Algeria, non può che provocare sgomento di fronte alla determinazione ed alla fuga in avanti dei suoi autori. Lo sgomento, allo stesso modo, di fronte all’infamia religiosa che distoglie, più che mai, una buona parte dell’umanità da una vera riflessione sul mondo che la circonda. A tutto ciò, per noi anarchici e rivoluzionari, viene ad aggiungersi lo sgomento per la sempiterna unità nazionale. Quell’unità nazionale che tirano fuori ogni volta che gli Stati hanno bisogno di carne da cannone proletaria. Perché sono sempre gli stessi quelli a cui viene chiesto di sacrificarsi sui sentieri della gloria, per interessi che non sono i loro, come la nazione, la “pace” o la repubblica, mentre quelli che prendono le decisioni si grattano la schiena contro gli stucchi dorati dei loro palazzi.
Ci hanno già giocato questo tiro cent’anni fa, nel 1914, esortandoci all’unità contri i “crucchi”, o qualche anno fa con il «caso Merah», ed oggi è lo stesso. Padroni e lavoratori, prigionieri e secondini, sbirri e “delinquenti”, ricchi e poveri, tutti uniti mano nella mano per osservare il lutto nazionale. Oggi non ci sono più classi, non ci sono più barriere fra le persone e nemmeno barricate, nonostante centinaia di migliaia di persone sfilino nelle strade di tutta la Francia (e anche altrove). Ma, in fin dei conti, tutto questo a chi serve? Certamente non agli indesiderabili che popolano le strade di Parigi e del mondo. All’improvviso, il terrorismo di Stato, il terrorismo repubblicano e democratico, i terroristi del denaro versano le loro lacrime di coccodrillo e si fanno passare per i buoni; i jihadisti servono loro quest’opportunità su un vassoio che prende le proporzioni dell’universo, a tal punto che adesso ci manca soltanto il maresciallo [Pétain, NdT] per prendere la testa dell’organigramma. Ma oggi non si tratta di recuperare l’Alsazia e la Lorena, si tratta di «difendere i valori della laicità e della libertà d’espressione». Tutta merda, insomma, per noi che vogliamo distruggere tutte le religioni e che rifiutiamo ogni libertà di espressione a chiunque porti una cravatta, una tonaca, qualunque uniforme o titolo nobiliare.
Tutti col proprio commento lacrimevole; ogni partito, ogni organizzazione di ogni sponda possibile ed immaginabile, inclusi i libertari, ci vomita ancora il discorso trito e ritrito dei “barbari” all’assalto del «vivere insieme».
Ma cos’è precisamente un barbaro?
Soffermiamoci un attimo su questo termine. Dal greco bárbaros (straniero), questa parola era usata dai Greci antichi per designare le popolazioni che non appartenevano alla loro civiltà, definita attraverso la lingua e la religione elleniche. Il barbaro è quindi l’altro, quello che non condivide la stessa minestra oppure quello che non mangia alla stessa tavola. Montaigne diceva: «Chiamiamo barbarie ciò che non è nei nostri costumi». Come abbiamo già detto altrove, noi non conosciamo barbari, conosciamo solo degli individui che sopravvivono in seno a questa civiltà ammorbante. Non conosciamo nessuno che sia al di fuori, conosciamo sì degli esclusi, ma essi non potrebbero essere più dentro di quanto sono già. I “barbari” di oggi sono ben lungi dall’essere fuori dalla civiltà, anche se per i suoi difensori può probabilmente essere rassicurante pensarlo. Esattamente come la famosa «gang dei barbari» a suo tempo, essi sono dei meri prodotti della civiltà. Ne conoscono i codici, ne utilizzano gli strumenti, e non sono molto lontani da quelli che, ipocritamente, li fustigano. Perché non fa una gran differenza, in fondo, se gli assassini portano un’uniforme verde oppure nera, se gridano «viva la democrazia» o «Allahu akbar», se portano una bandiera tricolore o una jihadista, se vengono condannati dall’opinione pubblica oppure no, se i loro massacri sono legali oppure illegali, se ci massacrano per portarci il loro Illuminismo oppure la loro oscurità. Commettendo le loro macabre gesta, si mettono tutti allo stesso livello, a partire dal momento in cui rifiutano all’individuo di realizzarsi come meglio crede.
Il terrorismo non è una pratica barbara, è una pratica altamente civilizzata, la democrazia non è forse nata dal Terrore? È per questa ragione che bisogna combattere il terrore allo stesso modo della civiltà che lo produce e ne ha bisogno, dai “settembristi” del 1792 alle pene detentive sterminatrici e a Daesh oggi. Chi sono, quei porci in cravatta che mandano i loro eserciti all’assalto delle popolazioni della Repubblica Centrafricana, dell’Afghanistan e di altri luoghi e che ci danno lezioni di pacifismo quando dodici persone vengono assassinate a Parigi? Sono esattamente tutti quelli che in questi giorni sfilano in TV per versare qualche lacrima a costo zero, per guadagnare o non perdere uno o due miserabili punti in più nei loro altrettanto miserabili sondaggi d’opinione.
Oggi non siamo Charlie più di ieri e la morte non trasforma i nostri avversari o i nostri nemici di ieri in amici di oggi; lasciamo questa visione del mondo alle iene e agli avvoltoi. Non abbiamo l’abitudine di piangere sulle tombe dei giornalisti (anche quelli vagamente alternativi o libertari) e degli sbirri, perché è da molto tempo che abbiamo riconosciuto i media e la polizia come le due armi essenziali di questo terrorismo civilizzatore, da una parte con la fabbricazione del consenso, dall’altra con la repressione e l’imprigionamento. Ecco perché rifiutiamo di piangere dei lupi insieme ad altri lupi o anche insieme alle pecore.
Quei predatori che ci esortano a piangere in coro, a dichiarare «Io sono Charlie», quegli stessi predatori in giacca e cravatta che sono responsabili dell’affermarsi di gruppi e movimenti come Al Qaeda e Daesh, vecchi alleati delle democrazie occidentali contro i precedenti pericoli, prima di conquistare un posto di rilievo sul podio degli odierni pericoli geostrategici. Quegli stessi schifosi che ogni giorno, nei tribunali, nei commissariati, nelle prigioni, assassinano, rinchiudono, mutilano e sequestrano coloro che non seguono il sentiero tracciato imposto a colpi di manganello e di istruzione. Quegli stessi esseri civilizzati che fanno morire ogni giorno alle frontiere coloro che cercano di fuggire la miseria e le guerre provocate proprio da loro, o dai loro nemici attuali, salafisti e consorti.
Costoro, non abbiamo nessuna intenzione di vederli continuare a civilizzarci e a sopprimerci, e ancora meno di serrare i ranghi con loro. Perché è contro di loro che vogliamo serrarli, contro di loro e tutti quelli che, con diversi pretesti, religiosi, politici, comunitaristi, interclassisti, civilizzatori e nazionalisti, ci considerano solo pedine da piazzare, da sacrificare, su una scacchiera immonda ed assurda. È una buona idea, oggi come ieri e come domani, ricordare le parole di Rudolf Rocker: «gli Stati nazionali sono in pratica organizzazioni di Chiese politiche; la cosiddetta “coscienza nazionale” non è innata nell’uomo, ma è costruita in lui da un deliberato addestramento. È un concetto religioso per cui si è francese o germanico o italiano allo stesso modo che si è cattolico o protestante o ebreo».
Ciononostante, non si tratta di sminuire il pericolo rappresentato da quei pazzi di Allah, innamorati dell’auto-sottomissione e del masochismo morale. E se oggi siamo completamente superati dalla loro capacità di reclutare un po’ dappertutto per andare a farsi saltare in aria a destra e a manca, bisognerà porsi delle domande a questo proposito, per riuscire a capire, senza cedere alle sirene di chi ci vuole dividere ancor di più, generalizzando a partire da un’infima parte dei musulmani. Senza cedere cioè alla stigmatizzazione di tutta una popolazione, per arrivare al presunto «scontro di civiltà» che li fa tanto sognare, in pratica la guerra civile, delle cui possibili conseguenze per tutti forse non si rendono conto.
E che dire di quell’uomo delle pulizie crivellato di pallottole, giustiziato freddamente, che non aveva chiesto niente a nessuno? Chi se ne preoccupa? Probabilmente non aveva un’utenza Twitter, né agganci all’interno dello spettacolo moderno, né un nome, una faccia, nessun amico che lo pianga in televisione. Non era Charlie. Non è che un danno collaterale di qualche folle di dio dal grilletto illuminato, come tanti altri, di questi tempi, come le milioni di vittime collaterali degli Stati, per il mondo. È a lui che vanno i nostri pensieri questa sera.
Una cosa è sicura, non c’è da scegliere fra la peste ed il colera, fra un qualunque dio con i suoi profeti sgozzatori, crocifissi o massacratori e un qualunque Stato di merda con i suoi sbirri ed i suoi militari assassini. Rifiuteremo ancora, e sempre, l'imposizione di scegliere fra diverse forme di schiavitù e di sottomissione. La scelta che vogliamo fare non potrà venire che da noi stessi ed è quella della libertà.
In questa epoca di disperazione, di fronte alla pseudo “unità nazionale”, di fronte alla guerra civile, alle jihad dei fanatici e alle “guerre pulite” degli Stati, dobbiamo riportare la guerra sociale al centro dello scenario, fino a che lo scenario bruci.
[7/1/15]

Straccetti di benzina, stracci politici e delazione

Non essendo particolarmente internettari, abbiamo letto diversi giorni dopo la loro pubblicazione l'articolo redazionale I burabacio uscito sul sito notav.info e il comunicato, pubblicato sullo stesso sito, del magistrato Imposimato a proposito dei recenti sabotaggi avvenuti contro l'Alta Velocità in Italia. Mentre stavamo ragionando di scrivere una critica ai contenuti del primo articolo e al fatto stesso di pubblicare una presa di posizione su cosa fanno o non fanno i no tav da parte di un magistrato (e nemmemo uno qualsiasi, bensì un PM responsabile di aver seppellito sotto anni di galere decine di rivoluzionari), abbiamo saputo che la prima versione de I burabacio (prontamente sostituita, senza dirlo, cercando in tal modo di cancellare le tracce) era ben peggiore. Ci sarebbe piaciuto che le nostre critiche circolassero anche in Valsusa in modo diretto (a voce e su carta), poco interessati come siamo ai "dibattiti" virtuali tra militanti e componenti politiche. Ma la faccenda è così grave da spingerci alla forma-tempo del comunicato in internet, con tutti i suoi limiti.

Nella prima versione de I burabacio, la redazione di notav.info indica i redattori del sito finimondo.org come coloro che "fino a qualche annetto fa usavano i loro petardoni postali che qualche rintocco facevano, ora usano qualche straccetto di benzina inneggiando alla rabbia generale..." (la seconda versione diventa "andavano in estasi per i petardoni postali ... e ora per qualche straccetto di benzina ...").

Indicare pubblicamente degli individui quali autori di determinati reati è, a casa nostra, delazione, pratica indegna per chiunque si consideri rivoluzionario o anche solo genericamente "compagno". Quando si criticano (o si dileggiano) delle pratiche di azione diretta, c'è la polemica, anche dura, anche aspra. Quando si afferma che Tizio o Caio hanno compiuto questo o quel sabotaggio, si fa qualcosa che è semplicemente inaccettabile. "Delazione" non è parola che usiamo alla leggera, ma con quel peso e con quella precisione che scavano fossati tra chi accetta e chi rifiuta un tale modo di fare.

E siccome in queste faccende la precisione è fondamentale, va detto che di quell'articolo sono responsabili i redattori di notav.info (cioè alcuni militanti del centro sociale Askatasuna e del comitato di lotta popolare di Bussoleno), certo non un generico e inesistente "Signor Movimento No Tav". Ci sono decine e decine di compagni (e non) che nella lotta valsusina contro il TAV hanno messo idee, impegno e cuore, che non si sono mai dissociati da alcuna pratica di attacco al potere e che non hanno mai indicato nessuno – né direttamente né indirettamente – alla polizia.

Detto ciò, e con la consapevolezza che una simile questione non si affronta attraverso un semplice, ancorché doveroso, comunicato, vogliamo aggiungere qualcosa sulle saccenti e sprezzanti parole con cui i redattori di no tav.info parlano dei "fan di due cavi bruciati" o "qualche straccetto imbevuto di benzina", loro che sanno, dall'alto della loro scienza, che "il sabotaggio è una pratica seria".

I sabotaggi di dicembre (come vari altri che li hanno preceduti) hanno dimostrato che l'Alta Velcità è un gigante dai piedi di argilla, che può essere bloccato, danneggiato, sabotato anche con mezzi alla portata di chiunque. Proprio come molte delle azioni che sono avvenute in Valsusa. Questo difendere o condannare la benzina (cos'hanno usato i compagni che si sono rivendicati l'attacco al cantiere di Chiomonte? Le bottiglie hanno più "dignità politica" degli stracci, oppure è la "narrazione tossica" dei media che decide quale sabotaggio sia legittimo e quale no?) a seconda dell'opportunismo del momento (che si spinge fino a far da cassa di risonanza a "uno che di terrorismo se ne intende"... come Imposimato) nasconde ben altro timore: quello di non poter centralizzare, e quindi controllare, la lotta contro il TAV. Per quanto ci riguarda, invece, difendiamo i blocchi di massa come le azioni in pochi, le bottiglie contro i macchinari di un cantiere come gli stracci contro i cavi dei Frecciarossa, le manifestazioni tranquille come i sassi contro la sbirraglia, i sabotaggi in Valsusa come sull'Appennino (e cogliamo anche l'occasione per esprimere tutta la nostra solidarietà ai compagni anarchici perquisiti a Bologna).

Questo, e altro ancora, avremmo voluto dire.

Ma l'attacco contro i redattori di finimondo si è spinto ben oltre.

Saremmo antiquati, ma chiamiamo gatto un gatto. E delazione la delazione.

Che nessuno provi a liquidare tutto ciò come "polemica tra componenti politiche". Ci sono princìpi che vanno difesi come le barricate.

Trento, 6 gennaio 2015

anarchiche e anarchici di Trento e Rovereto

SLALOM NO TAV, TRA OPPORTUNISTI, PRESTIDIGITATORI E SICOFANTI

Tempo di vacanze. In genere, tutti i governi di ogni Stato approfittano di questi periodi per far passare in sordina le peggio leggi, i peggio decreti, le peggio nefandezze.
In questo mondo all’incontrario è una pratica utilizzata non solo dagli stati, ma anche da coloro che aspirano ad una simile organizzazione sociale. Lo Stato, appunto, con i suoi Ministeri, da quello della Paura a quello della Messainriga passando per quello della Formazione delle Coscienze.

Facciamo un balzo indietro, al finire dello scorso anno. L’antefatto:
Dei cavi che scorrono lungo la linea dell’Alta Velocità, nei pressi di Bologna, vengono dati alle fiamme. “Sabotaggio No Tav” si mormora per le strade, nei bar, lungo i sentieri. “Terrorismo No Tav” sbraita qualche politico, i mass-media riportano ora un termine ora l’altro, a seconda dell’indicazione del proprio padrone. Qualcuno però non ci sta e afferma che NO, un No Tav non può averlo fatto, e se non lui, chi? Ma i servizi segreti, è ovvio. Ma perché afferma ciò?
Perché lo ha dichiarato il magistrato Ferdinando Imposimato [1], ex-gendarme e cerbero di molti rivoluzionari negli anni ’70 e ’80 (come Gian Carlo Caselli del resto), ed ora “sostenitore delle politiche No Tav”;
perché la protesta è genuina se è “spontanea e non violenta”;
perché “nessuno di noi è a conoscenza di azioni come quella di questi giorni”;
perché non è il momento di sabotare visto che l’accusa di terrorismo è caduta per tutti/e i sette No Tav agli arresti;
perché sono cose che accadono lontano dalla valle.

[fonte: http://www.ilsecoloxix.it/p/italia/2014/12/26/ARbpc4zC-sabotaggi_velocita_strategia.shtml]

Queste misere considerazioni sarebbero sufficienti per affermare che un atto di sabotaggio è “strategia della tensione”!

Che diamine, solo un paio d’anni fa, forse tre, si coniava l’espressione, poi divenuta per alcuni/e pratica attiva, di “PORTARE LA VALLE IN CITTÀ” e viceversa.
Solo un paio d’anni fa, forse tre, gli stessi che oggi fanno dietrologia, affermavano da un palco che non è importante venire in Val Susa per lottare contro il Tav, perché il Tav è ovunque.
“IL TAV È OVUNQUE” è un’espressione che non è stata inventata sul finire del 2014, ma alcuni anni fa e, soprattutto, praticata.

Ferdi (al contrario del Carlin) dice che è “strategia della tensione”, e voi scordate la sofferenza di centinaia di ragazzi e ragazze, torturati/e dai suoi sgherri (e da quelli del Carlin e dell’Armand) nelle questure e nelle carceri e gli date credibilità e legittimità?
Sono stati i servizi perché la protesta genuina è non violenta, cioè non deve far male a nessun essere umano. A parte che mi piacerebbe sapere il motivo per cui io posso perdere un occhio grazie ad un razzo al cs sparato ad altezza d’uomo, o sputare sangue per giorni, dalla gola o dalla vagina, grazie a migliaia di lacrimogeni al cs sparati in poche ore, o avere il volto tumefatto per mesi grazie alle sprangate degli sbirri……e i responsabili di ciò devono ricevere da me un trattamento differente, a parte queste mie considerazioni, a voi risulta che sui binari bolognesi qualcuno si sia fatto del male a causa di quell’incendio?
Sono stati i servizi perché noi non ne eravamo a “conoscenza”. Perché, eravate forse a conoscenza dell’attacco al cantiere del 13 maggio 2013 o di altri sabotaggi avvenuti in valle, o altrove? E che differenza c’è tra il cremare un compressore o dei cavi?
È caduta l’accusa di terrorismo, bene, e allora andiamo tutti/e al mare e lasciamo che continuino a devastare quella che adesso è anche la mia Valle?
Possibile che con inchieste e processi ancora in corso, con la quotidiana verifica dell’asservimento dei mass-media al Partito del Tav, con la consapevolezza della generosità di tanti nemici del Tav e non solo, si è ancora così ingenui?

Ma non è finita, perché adesso arriva il peggio, e qui torniamo all’inizio di questo testo, al vero e proprio nocciolo della questione.

Gli aspiranti autocrati a cui mi riferisco, cioè i curatori del sito NOTAV.INFO, per zittire dei loro rivali di web arrivano alla vera e propria delazione. Come differentemente definire la seguente frase in un loro post dal titolo “I burabacio”:
<< […] Ma tanto a loro che importa, gli interessa solo mantenere accesa la fiammella sempre più tenua (la fobia sessista a volte gioca brutti scherzi, n.d.r.) del prossimo gesto individuale che saprà guadagnarsi qualche prima pagina dei tanto disprezzati giornali….fino a qualche annetto fa usavano i loro petardoni postali che qualche rintocco facevano, ora usano qualche straccetto imbevuto di benzina inneggiando alla rabbia generale…chissà che Finimondo! […] >>.
Come si pensa di essere definiti, infami? Collaborazionisti? Sicofanti? Informatori? Merde? Che termine preferite, io li odio tutti.
Quando dite e/o scrivete queste considerazioni, quando le condividete e le diffondete (vedi “Dans Le Rue”, “NoTavGenova” e persino un redattore di Radio Black Out), siete dei pusillanimi.
Antonio Gramsci e Rosa Luxemburg si rivolterebbero nella tomba ad avere degli epigoni simili.

Probabilmente qualcuno/a gli ha fatto notare che “sì, forse, magari, potrebbe essere che stavolta avete cacato a chilometri di distanza dal vasino, esagerato un tantino, che magari qualcuno/a potrebbe davvero essere arrestato grazie alla vostra soffiata”, e quindi loro che fanno? Mettono un cappello su quel post? Si scusano? Avvisano il Ministero della Paura che non volevano affermare ciò che hanno scritto? Nooo, nulla di tutto ciò.
Eliminano dalla Home Page l’articolo in questione, “I burabacio” non si trova più, e quando lo scovi non ha più quel passaggio infame.

Che abilità questi aspiranti leninini, chissà che corsi hanno fatto, o forse le loro arti prestidigitatorie le hanno apprese dalla CMC che, all’indomani del crollo del viadotto sulla Palermo-Agrigento ha fatto scomparire dal proprio sito la pagina dove annunciava la costruzione del viadotto crollato:

Il viadotto crollato sulla Palermo-Agrigento è opera Cmc

oppure lo hanno imparato da quei “rivoluzionari” milanesi che dopo aver ricevuto aspre critiche per l’opuscolo (diffuso il 10 maggio 2014 “in occasione del corteo di Torino in solidarietà ai quattro e a tutti i No Tav sotto processo”, sich), dal titolo “NO TAV, TERRORISMO E CONTRO-INSURREZIONE PARTE 1. WELCOME TO THE TERRORDOME SMONTARE IL DISCORSO SUL TERRORISMO” [link]

lo hanno tolto dalla circolazione e sostituito con un altro pressoché identico dove erano stati tolti (senza scuse, tantomeno autocritiche) dei passaggi davvero osceni, quali “[…] Il discorso antiterrorista cerca di creare confusione, ma per chi lotta quotidianamente, per chi ha i piedi per terra, non è difficile riconoscere quali gesti sono dalla parte della lotta e quali gesti sono di fatto dalla parte dell’ordine, che siano opera di uno sbirro, di un fascista, di un nichilista o semplicemente di un idiota. […]”
Abilità prestidigitatorie sulle quali è bene riflettere.

Situazioni spiacevoli, che aggiungono merda alla merda già circolante.
Qui non si tratta di aver toccato il fondo, e nemmeno di raschiarlo. Qui, notav.info, ha iniziato proprio a scavare.

Un anarchico attivo contro il Tav, ovunque.
Epifania 2015

Riportiamo alcuni scritti per un'orrenda situazione che si è creata.

Contro tutte le delazioni, sempre. Il sabotaggio è nostro compagno di lotta, in qualunque lotta!

No Tav - Sabotaggi, prese di distanza e delazione: uno scritto dalla Francia

da non-fides.fr

Certo, le prese di distanza nei confronti di alcuni sabotaggi o i discorsi dietrologici (che parlano di servizi segreti, della mafia, di provocatori o di macchinari bruciati per intascare i premi delle assicurazioni…) non sono una novità per il sito notav.info, né per altre parti del movimento No TAV. E lasciamo da parte il disprezzo che i redattori di notav.info provano verso i sabotaggi (“qualche straccetto imbevuto di benzina”) e la mancanza di memoria storica che fa dimenticare loro cos’era l’opposizione al TAV verso la metà degli anni ’90 (quando alcuni individui risoluti sabotavano delle infrastrutture nella valle, mentre le loro tanto amate masse erano davanti alle loro televisioni…).

Però questa volta è stato superato un limite. In un articolo pubblicato sul sito notav.info per criticare le tesi di finimondo.org, gli autori (che si presentano come la redazione) arrivano alla delazione. Scrivono che in passato i compagni avrebbero spedito dei pacchi bomba e che sarebbero loro gli autori dei sabotaggi di dicembre.

Cosa significa tutto ciò? Che chi non si dissocia immediatamente da ogni attacco, come fanno regolarmente su notav.info, potrà essere accusato un giorno di esserne l’autore? Che chi dà visibilità a degli attacchi, al contrario di chi invece li sminuisce, li nasconde o li ignora, ne sta facendo la rivendicazione? Che chi tiene un discorso coerente di sovversione dell’esistente con ogni mezzo necessario sarà condannato come terrorista?

Che sbirri e giudici ragionino così è logico: è il loro lavoro. Che a fare lo stesso siano i redattori di un sito che è una delle voci del movimento No TAV la dice lunga su di loro. Ma la dice lunga anche sulle prospettive di un movimento all’interno del quale si producono tali comportamenti senza che vi sia alcuna critica (quantomeno nessuna critica pubblica, che è quello che conta), cioè col consenso generale, almeno implicito.
Ma una parte non piccola dei “No TAV” sono anarchici.

Per l’appunto, quello che ci stupisce ancor di più è il silenzio dei compagni e delle compagne anarchici. Restare in silenzio significa lasciare che le cose seguano il loro corso (e prendere la posizione più facile). In un caso come questo, ciò vuol dire avallare il comportamento di qualcuno che indica alcuni compagni come autori di delitti precisi. Se vogliamo farla breve, i redattori di Finimondo vengono infamati agli sbirri, pubblicamente e nell’indifferenza generale. Per essere più precisi, vengono lasciati soli da altre parti del movimento anarchico nel momento in cui qualcuno li accusa di aver detto e fatto quello che ogni anarchico dovrebbe dire e fare.

Un tale silenzio è estremamente grave. Non ha nulla a che vedere col fatto che ci piacciano o meno degli individui ben precisi e non dovrebbe nemmeno avere nulla a che vedere con le critiche acerbe ed insistenti che i redattori di Finimondo (fra gli altri) hanno portato al movimento No TAV. Non si tratta qui di prendere posizione nelle eterne guerre di parrocchia, ma piuttosto di dire chiaramente due cose molto precise. Innanzitutto, che la delazione non è accettabile e non deve essere accettata in silenzio. E che ciò dovrebbe significare anche, per gli anarchici che prendono parte alla lotta contro il TAV, difendere pubblicamente, anche contro altri “No TAV”, un’idea ben precisa: la necessità dell’attacco senza mediazioni contro questo mondo. Un’idea che è uno dei fondamenti dell’anarchismo.

Forse questa necessità non viene accettata da tutte le componenti della lotta No TAV? In effetti. Ma allora che i compagni e le compagne scelgano il loro campo.

Alcun* anarchic* di Parigi e dintorni


Segue da finimondo.org

I buoni di Natale

Dicembre è un mese birichino. Comincia come tutti gli altri ma poi, inutile nasconderlo, assume un’aria frizzantina tutta particolare. È il mese delle festività, dei doni, il mese di Natale e dell’ultimo dell’anno. Il mese in cui tutti sono un po’ più buoni. Dai, siamo a Natale. È nato Gesù il caritatevole, ricordate? Massì, nella stalla proletaria, il figlio di Dio-padrone riscaldato dal bue-popolo e dall’asino-ignoranza... Non sentite anche voi l’irresistibile bisogno d’essere più buoni? Chissà che non sia anche per questo che lo scorso 17 dicembre il Tribunale di Torino ha respinto l’aggravante di «terrorismo» nel condannare i quattro compagni sabotatori No Tav. Perché siamo a Natale, e bisogna essere più buoni.
Ecco perché quando alcuni giorni dopo si sono verificati alcuni sabotaggi contro il Tav, a Firenze e a Bologna, perfino il premier Babbeo Renzi ha parlato di sabotaggio. Non ha parlato di terrorismo, esasperando gli animi, no no, lo ha detto chiaro e tondo: è sabotaggio. Ma perché lui è stato anche lupetto, e siamo a Natale, e bisogna essere più buoni. Del resto, fosse stato davvero terrorismo, i treni sarebbero saltati in aria come accadde in quel brutto Natale di trent’anni fa. Che poi, qualcuno la butta lì, questi sabotaggi saranno autocostruiti e autoprodotti dal basso oppure costruiti e prodotti dall’alto? Boh, chissà se ce lo dirà la Befana.
Intanto è Natale, e bisogna essere più buoni. I mass media infatti per un giorno hanno dato risalto persino ad un nostro articolo, «A stormo!». Devono averlo fatto perché sono buoni, sì, buoni a nulla in cerca di scoop. Per fare un regalo al loro direttore e ai questurini? Per obbedire ad una certa Ragione di Stato, mettere al bando il No Stato cattivo e mettere in riga il No Tav buono? Chissà. Ma è Natale, bisogna capirli. Auguri, auguri!
E questo è niente. Perché – non ci crederete mai, davvero – sapete chi si è ricordato di noi per farci un bel regalo? Ma sì, sì, lui, proprio lui, il Capo-Popolo, la Bocca della Protesta, lo Stratega della Lotta, il Comitato Centrale della Rivoluzione... che emozione... il Signor Movimento No Tav!!!
Non potevamo crederci, lui si è proprio precipitato a mettersi in riga e nel suo post domenicale ci ha omaggiato pubblicando pari pari quello stesso nostro articolo! Se i mass media ne avevano riportato solo stralci senza citare la fonte, lui – che è meglio e più dei mass media – ci fa il servizio completo. Che umiltà, che bontà, il compiaciuto leader di un movimento di massa che si abbassa a fare gli auguri a minuscoli individui come noi. E dire che ne abbiamo dette tante sul suo conto... meriteremmo il carbone, meriteremmo... Ma lui è un proprio un Signore, sapete. Non serba rancore verso nessuno, mica a caso accoglie benevolmente un Vittorio Agnoletto o un Giulietto Chiesa, delatori di black bloc a Genova 2001; mica a caso scodinzola davanti a un Ferdinando Imposimato, boia di rivoluzionari negli anni 70 e seguenti.
Infatti fa precedere il nostro testo da una presentazione lusinghiera che ci ha fatto arrossire come scolarette. Sfoderando tutta la sua fine dialettica e la sua possente argomentazione, egli ci dipinge così: Spaventapasseri! Nemici del mondo tutto! (adulatore) Professori dell’estetica dei gesti! Millantatori delle miccette che fanno “puff”! (grazie, grazie, che gentile) Frustrati delle mancate rivolte individuali! Cattedratici giudica tutti! Alfieri dell’anarco-nichilismo! (ma no, davvero, è troppo) Sputasentenze! Disprezzatori dei movimenti popolari! Sfigati! (oddio, così ci metti in imbarazzo, sciocchino) Deliranti quaquaraquà! Fan di due cavi bruciati! Interessati solo alla fiammella sempre più "tenua" [fiammella-a, tenua-a, ovvio] del prossimo gesto individuale! (ma n’zomma, quanti complimenti, con quegli occhietti malandrini che ci scrutano).
Quale onore, quale onore! E tutto perché i giornalisti lo hanno per un giorno tradito, preferendo sfruttare bestemmie anziché preghiere. E tutto perché qualche consigliere del Re gli ha stuzzicato i sensi, anzi, il senso di (altro) Stato, evocandogli la nostra esistenza. Basta così poco per diventare desiderabili? Ma chi se ne frega: Lui ci conosce, ci diffonde, ci ama. Che uomo questo Signor Movimento No Tav! Ha un cuore così grande e generoso – è Natale, è Natale – che non si è accontentato di fare un regalo solo a noi. No, macché, lui ha pensato anche agli amici inquirenti. Poverini, chiusi in Procura a lavorare sotto le feste, che tristezza. E allora, cosa ha fatto per rallegrarli il Signor Movimento No Tav? In quella stessa presentazione ha dato sfoggio delle sue capacità deduttive nei nostri confronti: «fino a qualche annetto fa usavano i loro petardoni postali che qualche rintocco facevano, ora usano qualche straccetto imbevuto di benzina inneggiando alla rabbia generale... chissà che Finimondo!».
È Natale, dio maiale, e questo è proprio un bel regalo. Anche alcuni giornalisti sono rimasti così deliziati da un simile colpo di scena da pubblicizzarlo, e per questo inaspettato dono il Signor Movimento ha subito ripreso posto nei loro cuori. Considerato che all’epoca della morte di Sole e Baleno alcuni di noi furono inquisiti per i primi pacchi bomba inviati, gli inquirenti gliene saranno doppiamente grati. In archelingua il termine «delatore» sarebbe stato fuori luogo in questo caso solo perché la delazione è la denuncia segreta di un reato commesso, al di là della sua veridicità. Abituato ad una neolingua in cui tutto ciò è al massimo libera opinione o banale constatazione il Signor Movimento No Tav ci mette la faccia, ci mette, e la sua denuncia contro di noi l’ha fatta pubblicamente!
No, anzi no. La faccia la mette e poi la toglie. Qualcuno deve averlo avvisato che l’archelingua non per tutti è ormai desueta, e che un proprietario di una trionfale lotta popolare non può apparire al tempo stesso un confidente di polizia. Così ha pensato bene di modificare la rivelazione contenuta nel suo testo, che adesso suona così: «fino a qualche annetto fa andavano in estasi per i petardoni postali che qualche rintocco facevano, ora per qualche straccetto imbevuto di benzina inneggiando alla rabbia generale...». Da vecchia volpe con la coda di paglia, ha provveduto a lasciare immutate l’ora e la data di pubblicazione. Nessuna correzione, nessun sospetto! Il Signor Movimento No Tav non è un indicatore di polizia, giammai – tant’è che per lui il sabotaggio è una cosa seria – sono i giornalisti che hanno pubblicato la precedente versione a farlo passare per tale!
È Natale, e dobbiamo essere tutti più buoni. Noi infatti non ci preoccupiamo di cosa possano pensare gli inquirenti al riguardo. La magistratura per toglierci di mezzo non ha certo bisogno di usare come prova a carico i post domenicali non ancora taroccati degli ammiratori del Presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione. È noto che isteria e verità non sempre coincidono, anche se certe indicazioni corroborano e fortificano. E queste indicazioni, il Signor Movimento No Tav le ha già date. Il suo taroccamento non serve per proteggere noi dalla magistratura, serve solo a proteggere la sua reputazione. Così nessuno potrà sostenere pubblicamente che a partire dalle 18.29 del 28 dicembre 2014 la definizione infame calza al Signor Movimento No Tav come un guanto. E questo al di là delle conclusioni che potrebbero trarre i lettori ermellinati del blog notav.info (occasionalmente notav.infam).
È Natale, e dobbiamo essere tutti più buoni. Ma, disgraziatamente per il Signor Movimento No Tav, noi la schermata originale l’abbiamo conservata (chi volesse vederla con i propri occhi non ha che da chiedercela). Il suo revisionismo di staliniana memoria che cerca di far sparire cose imbarazzanti dalle immagini di famiglia è stato inutile, già.
A noi le attenzioni degli sbirri, e sia.
Ma al Signor Movimento No Tav, tutto il disprezzo che si meritano gli infami, fossero anche occasionali!

[30/12/14]

No Tav - Riportiamo il discorso sui binari

Riceviamo e diffondiamo:

Riportiamo il discorso sui binari

I fatti avvenuti il 21 dicembre a Firenze e il 23 a Bologna hanno avuto un grande risalto mediatico a livello nazionale e in tanti hanno sentito l’esigenza di prendere parola, lanciandosi in più o meno fantasiosi voli pindarici, per cercare di analizzare e spiegare gli eventi. Dal momento che da più parti  -sbirri, media e non solo- siamo stati chiamati in causa (vedi perquisizioni, dichiarazioni, allusioni…) ci sentiamo di dire la nostra per provare, con un po’ di lucidità, a ri-centrare il discorso e a riportarlo sui binari.

Partiamo dai fatti:  tutti abbiamo letto di cavi del sistema di gestione e controllo del traffico ferroviario incendiati nei pozzetti accanto ai binari e, nel caso di Bologna, di  scritte no tav in vernice verde (diverse dalle tag “tau” ) su un muro lungo i binari.
La conseguenza: treni  AV con enormi ritardi o soppressi e anche treni di altre categorie (anche perché le Ferrovie, pur di ridurre i ritardi delle frecce, posticipavano la partenza dei regionali sfruttandone le linee).

Tempistiche: qualcuno può vedere la vicinanza dei fatti con il giorno di Natale,  e dispiacersene per i passeggeri che hanno subito disagi; questo, del resto, avviene anche per gli sfortunati automobilisti che incappano nei blocchi autostradali, altra pratica spesso usata in valle e a fianco della valle (ci ricordiamo quanto avvenuto in tutta Italia dopo l’indotta caduta di Luca Abbà dal traliccio da parte degli sbirri?). Qualcun altro, invece, può rintracciare la vicinanza dei fatti con la sentenza di primo grado che ha portato alla condanna di 3 anni e 6 mesi Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò, seppur contestualmente alla loro assoluzione dal reato di terrorismo. Lo stesso reato, pochi giorni prima, era stato contestato anche a Francesco, Graziano e Lucio in carcere per gli stessi fatti, con conseguente inasprimento delle misure detentive.

Al di là dei commenti di politicanti vari che hanno subito soffiato sul fuoco per alimentare letture farcite di terrore, e delle tesi complottiste che si sono fatte lentamente strada anche tra i nemici del tav, ci piacerebbe riprendere quanto oggettivamente accaduto per tornare a ragionare sulla pratica del sabotaggio. Ai tempi delle prime azioni di sabotaggio in Val Susa alla fine degli anni ’90, diverse voci erano distanti dal sentire questa pratica come “compagna di lotta”. Nel tempo, forse e soprattutto in seguito all’attacco al cantiere del 13 maggio 2013 e ai conseguenti arresti, molti hanno iniziato a considerarla come tale.

Nella lotta contro il treno veloce si intrecciano pratiche diverse e in questo sta la sua grande forza. Dai picchetti davanti alle aziende ai blocchi stradali, dalle marce popolari alle passeggiate notturne, dalle assemblee popolari alle discussioni serali ai campeggi, dall’apertura dei caselli autostradali all’imbrattamento delle sedi dei partiti del tav,  dalle azioni di attacco al cantiere agli attacchi incendiari e non diffusi in tutta la penisola contro le aziende del tav, dal blocco dei treni AV nelle stazioni di mezza Italia -e non solo- al blocco delle linee ferroviarie attraverso azioni di sabotaggio di vario genere. Esatto, anche il sabotaggio fra queste pratiche, fra i metodi che un movimento coeso ma plurimo ha fatto proprie. Allora perché volersi girare dall’altra parte  e chiamare le cose con un altro nome ora? Terrorismo? Servizi segreti? Vandalismo? Neofascisti? Furti di rame?

Il sabotaggio è stata una pratica di base nella storia dei movimenti di lotta e rivoluzionari. Di volta in volta è servito ad inceppare dei meccanismi, fossero essi di sfruttamento, di produzione, di reclusione, nocività ecc.  Qui ed ora ne stiamo parlando nei termini di una pratica che mira a danneggiare ciò che fa parte del sistema di funzionamento di una macchina economica e politica che in questo caso è rinchiusa nelle vesti di un treno che si vuol far passare per quella montagna. Un treno che prima di arrivare in Val Susa ha attraversato mezza penisola, distrutto interi territori (pensiamo agli effetti ambientali oltreché economici che i cantieri del TAV hanno avuto  -e si apprestano ad avere-  al Terzo Valico, nel bresciano, in Trentino, nel Mugello, oltreché dove sono state realizzate le grandi nuove stazioni) e fruttato fior di quattrini ai soliti noti.

Tanti e tante provenienti da ogni dove in questi anni hanno partecipato a giornate di lotta contro il tav in valle (ricordiamo ad esempio il 27 giugno e il 3 luglio), così come ne hanno organizzate a casa propria in seguito ad appelli arrivati dalla Valle, ma anche per propria spontanea volontà. Tanti e diversi sono stati i contributi che, in ogni dove, si sono fatti sentire a fianco dei valsusini in lotta e di chi, per quella lotta, stava e sta pagando con la privazione della propria libertà. Dal famoso “portiamo la Valle in città”, lo slancio partito con la pratica dei blocchi ha contagiato i solidali di ogni dove che hanno dato così un senso concreto a quelle parole, uscendo dagli slogan ed entrando in autostrada.  Dopo gli arresti per il sabotaggio al cantiere di Chiomonte nel maggio 2013 il ragionamento si è ampliato, e come qualcuno ricordava in un bell’opuscolo appositamente redatto, “siccome le parole, quando scaturiscono da un’esperienza reale, fatta da individui reali e non già da sembianti, hanno un senso, tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno dello stesso anno ci fu una serie significativa di sabotaggi ai danni delle strutture e delle aziende collegate con l’impresa del Tav”.

Crediamo che ciò che è accaduto parli in modo chiaro e trovi una sua precisa collocazione nel tempo, nello spazio e nelle pratiche di un movimento che lotta contro il tav e che ha sostenuto per oltre un anno i compagni accusati di terrorismo per un atto di sabotaggio contro il cantiere.

A ciascuno le proprie analisi, senza ammettere delazioni e infamie.

E chiamiamo le cose con il proprio nome.

anarchici e anarchiche bolognesi

Oggi, il Tribunale dell'ingiustizia di Modena ha deciso di fissare il processo con giudizio unico e immediato per la data di giovedì 26 febbraio alle ore 11,30, per quanto riguarda le accuse mosse contro Vivi e Aro per i fatti di Formigine.

Oggi le restrizioni sulla loro libertà sono ancora in atto: obbligo di dimora a Cremona e rientro notturno obbligatorio nelle rispettive case.

Qui trovate le noterelle sui fatti: http://www.informa-azione.info/antifascismo_repressione_noterelle_sui_fatti_di_formigine

Sicuramente fino a quella data saremo come al solito nelle strade per portare la nostra voce e la nostra solidarietà e vicinanza ai compagni colpiti dalla repressione.

Contro ogni fascismo, gli spiriti ribelli non si arrestano.

ACAB