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Si balla a Ponte San Luigi

Ieri notte a Ventimiglia un centinaio di migranti è salito su un treno per attraversare in blocco il confine italo-francese. Molti di loro li avevamo conosciuti sabato in occasione dell'assemblea No Borders in stazione, durante la quale avevano avuto la possibilità di prendere parola ed esprimere la loro esasperazione per la situazione insostenibile in cui versano da mesi. Come prevedibile, il tentativo di attraversamento si è scontrato con i controlli costanti effettuati dalla gendarmerie a Menton-Garavan, la prima stazione oltreconfine. I migranti fermati hanno deliberatamente scelto di sfidare la chiusura della frontiera e rifiutato di scendere dal treno. Sono stati pertanto trascinati di peso sulle camionette per essere ricondotti alla postazione frontaliera francese di Ponte San Luigi, dove sono stati messi in container recintati ed è stata inoltrata alle autorità italiane una richiesta di riammissione sul proprio territorio.

Questa pratica è abituale per tutti i migranti sospettati di provenire dall'Italia e che vengono sorpresi in Francia dai rastrellamenti sistematici effettuati sui treni, sui bus, nelle stazioni e nelle città. Quelli che vengono riammessi sono trasferiti alla postazione frontaliera italiana e da lì riaccompagnati dalla Croce Rossa in stazione. Chi non viene riaccettato viene semplicemente rilasciato in Francia. È una prassi che non viene accompagnata da alcuna formalità giuridica e di cui l'ASGI ha già denunciato l'irregolarità. In entrambi i casi i migranti non hanno altra prospettiva che riprendere il loro viaggio, durante il quale continuano a essere fermati, riportati in frontiera e ripartire.

Questa triste giostra dell'assurdo è ben nota al movimento No Border, che ha sempre svolto operazioni di copwatching e supportato con la propria presenza i migranti internati nei container di Ponte San Luigi. Anche questa notte, appena saputo l'accaduto, una ventina di solidali si è mossa per portare sostegno ai migranti ed essere testimoni di quello che stava loro accadendo. Giunti sul posto abbiamo trovato i migranti che protestavano per il loro essere rinchiusi e stipati come bestiame in uno spazio transennato troppo stretto per così tante persone.

La gendarmerie francese ci ha subito allontanati, schierandosi tra noi e i migranti per impedire qualsiasi contatto. Nel modo più eloquente possibile hanno riproposto materialmente lo spazio della frontiera e ci hanno ricordato che "Every Cop is a Border". I nostri cori e la battitura - da mesi simbolo della lotta migrante - hanno fatto da ponte di comunicazione tra noi e i ragazzi, in un gioco di risposte, cori e grida di entusiasmo reciproci. Dopo balli e sberleffi a una frontiera che non abbiamo alcuna ragione di rispettare, abbiamo invitato i passanti in transito a esprimere la loro solidarietà contro l'ineguaglianza all'accesso alla mobilità tornando indietro; molti di loro hanno acconsentito.

Nell'istante in cui la gendarmerie francese ha deciso di procedere ugualmente alla deportazione dei migranti in territorio italiano, gli attivisti No Border hanno reagito cercando di impedire il passaggio dei furgoni sedendosi e sdraiandosi sulla strada. A più riprese siamo stati spostati in malo modo, spintonati e insultati, e diversi di noi hanno riportato contusioni.

Mentre la polizia francese è stata udita definire questa ripetuta serie di respingimenti "infornate", quella italiana prendeva in consegna i migranti negli uffici di frontiera domandando ai ragazzi "a quale razza di bestia appartenessero". Dopo simili trattamenti i migranti sono stati caricati sui furgoni e riportati in stazione a Ventimiglia, dove però il centro della Croce Rossa rimane chiuso di notte. Sono stati quindi costretti a trovare una sistemazione precaria accampandosi sul piazzale. In risposta abbiamo subito portato latte e viveri ai migranti bloccati in stazione, confermandogli ancora una volta il nostro sostegno.

Nel frattempo, affatto scoraggiati dagli eventi, abbiamo continuato a fare resistenza passiva alla frontiera italo-francese, nel tentativo di bloccare il trasporto coatto dei migranti. Non appena abbiamo deciso di andarcene, polizia francese e polizia italiana schierate in assetto antisommossa ci hanno stretto attorniandoci dai due lati della frontiera, costringendoci successivamente a seguirli in caserma.

I 17 attivisti italiani fermati, oltre a una nottata alla centrale di polizia, hanno rimediato un'identificazione fotodattiloscopica e una notifica di denuncia per "invasione di terreni o edifici", in merito alla contestata provenienza dal presidio dei Balzi Rossi; chi aveva già qualunque tipo di precedente, in totale 6 persone, ha ricevuto istantaneamente un foglio di via che obbliga a recarsi al comune di residenza in capo a uno o due giorni in quanto "elemento pericoloso per l'ordine e la sicurezza pubblica" e astenersi dal fare ritorno al comune di Ventimiglia per tre anni, onde evitare di "reiterare quei reati che creano allarme sociale".

I 3 attivisti francesi, trascinati via brutalmente, sono stati dapprima identificati e rilasciati dalla gendarmerie, poi messi in garde a vue dalla polizia che li ha trattenuti al commissariato di Menton per dodici ore. I loro video sono stati cancellati e Medecins du Monde ha attestato le contusioni e le contratture accusate da uno di loro a seguito dei maltrattamenti ricevuti.

Al contempo apprendiamo che i membri dell'associazione francese "Au Coeur de l'Espoir" sono stati fermati dalla polizia mentre si recavano in stazione, sono stati trattenuti a loro volta in merito alla violazione dell'ordinanza cittadina che vieta di somministrare cibo ai migranti "per spirito di mera solidarietà".

I poteri pubblici si rendono ormai conto della loro perfetta incompetenza nell'affrontare il fenomeno migratorio. Da decenni si cerca di gestirlo in modo sistematicamente improvvisato e emergenziale, colpendo la libertà di circolazione delle persone. In questa cornice il giro di vite sui migranti si fa espressione del cortocircuito in cui le istituzioni si sono incastrate: cortocircuito che si palesa qui a Ventimiglia nella forma del "Ping Pong", così come dichiarato dal prestante gendarme incaricato di far sloggiare i migranti dai vagoni del regionale. Noi che ci troviamo ad osservare questa assurda partita, decidendo di stare tra una racchetta e l'altra, assistiamo a un dispiegamento delle misure repressive anche nei confronti delle realtà che esprimono solidarietà ai migranti senza limitarsi alla sola dimensione assistenziale. Aumenta la distanza tra la realtà delle persone in viaggio e le maglie strette di un sistema giuridico i cui provvedimenti sono brutali e inutili.

Noi continueremo a contestarli e a lottare per l'apertura di tutti i confini, continueremo a denunciare le deportazioni illegittime di migranti e le violenze a cui sono sottoposti, continueremo ad affiancarci alle persone in viaggio. Così come mari, deserti, e galere non fermano i migranti in viaggio, allo stesso modo non saranno certo i fermi o un pugno di indagini e provvedimenti amministrativi a fermare gli attivisti No Border. La lotta aperta questa notte a San Luigi è un passo in avanti nel nostro percorso ed è per questo che facciamo appello a quanti condividono le nostre ragioni a sostenere il presidio permanente di Ventimiglia e la lotta No Border in tutta Europa. Essere presenti a Ventimiglia, così come al Brennero, a Lampedusa o a Calais significa contribuire a sgretolare le frontiere di questa Fortezza Europa ormai in crisi. Un giorno sulle frontiere di quest'Europa balleremo, ricordando i tempi in cui ancora provavano a respingerci.

We are not going back!

Presidio Permanente No Border di Ventimiglia - 10/08/2015

Il cuore di Mohammed, sudanese di 47 anni, ha protestato in maniera estrema e definitiva, smettendo di battere, stanco della fatica, della polvere e del calore. Qualche giorno di scandalo, un  po’ di cordoglio e di pietismo delle anime belle della società, e poi il ritorno della quotidianità. Non bisogna meravigliarsi, perché la morte di quest’uomo rientra a pieno titolo nella normalità di questo mondo, una normalità fatta di sfruttamento di poveri disgraziati ad opera di padroni, sostenuti da Governi  e amministrazioni locali (di destra quanto di sinistra) e associazioni no-profit che tra tante belle parole hanno lasciato che la situazione rimanesse inalterata.
Questa morte in mezzo ai campi di pomodoro non è un’anomalia, frutto di condizioni di lavoro schiavistiche, bensì la normale conclusione dello sfruttamento capitalista. Mohammed non era uno dei tanti invisibili, un clandestino, ma un uomo più o meno in regola col permesso di soggiorno, che forse non poteva essere in regola anche col contratto di lavoro per via della sua condizione di apolide, frutto del limbo giuridico in cui ci si trova sospesi quando si è richiedenti asilo, una condizione che impedisce di avere un regolare lavoro. Il fatto che il padrone di turno fosse già stato arrestato per sfruttamento nei campi, al massimo fa riflettere sulla sua poca furbizia, ma non sposta di una virgola la spaventosa normalità di questo genere di morti.
Qual è infatti la differenza tra uno sfruttatore di africani a Nardò ed uno sfruttatore di cinesi nella famigerata Foxconn a Shenzhen, fabbrica-dormitorio dove vengono prodotti gli I-phone, in cui si sono suicidate decine di persone in pochissimi anni? È nella distanza geografica che separa lo sfruttatore dagli sfruttati, perché Steve Jobs (e i suoi eredi) si trovano dall’altra parte del mondo rispetto a coloro che ammazzano per trarne profitto. È un po’ come per la guerra: i combattenti dell’Isis che sgozzano da vicino e si sporcano di sangue sono terroristi, gli eserciti che bombardano a distanza sono esportatori di democrazia. Nella realtà, tolte le sfumature, le differenze non esistono.
La differenza è anche nella distanza – per dir così – sociologica che separa il pomodoro dal telefono; la raccolta del primo è legata alla terra e richiama condizioni di lavoro dure e retrograde, la produzione del secondo è sintomo di progresso e civiltà. Nessuno si chiede, mentre corre sempre più veloce col ditino su uno schermo, quanti morti lasci dietro di sé la nuova, entusiasmante app di cui si vanta con gli amici.
All’interno di questo mondo di merci, fatto di produzione e consumo, e delle sue Repubbliche fondate sul lavoro, non esistono imprenditori dal cuore tenero e crudeli schiavisti, ma vige sempre l’insuperabile divisione in classi tra padroni e servi, tra sfruttati e sfruttatori. In mezzo a tutto ciò, l’unica protesta sembra essere quella del cuore che si ferma, perché in troppi ormai un cuore non lo hanno più o, come diceva il poeta, ha la forma dei salvadanai.

[Brecce n°3, agosto 2015]

Per scaricare il numero 3 di Brecce ecco il PDF: Brecce 3.pdf

La bandiera nera e' il simbolo dell'Anarchia. Essa provoca reazioni che vanno dall'orrore alla delizia tra quelli che la riconoscono. Cercate di capire cosa significa e preparatevi a vederla sempre piu' spesso in pubblico… Gli Anarchici sono contro tutti i governi perche' credono che la libera ed informata volonta' dell'individuo sia la vera forza dei gruppi e della stessa societa'.

Gli Anarchici credono nell'iniziativa e nella responsabilita' individuali e nella completa cooperazione dei gruppi composti di liberi individui. I governi sono l'opposto di questi ideali, dato che si fondano sulla forza bruta e la frode deliberata per imporre il controllo dei pochi sui molti. Che questo processo crudele e fraudolento sia giustificato da concetti come il diritto divino, elezioni democratiche, o un governo rivoluzionario del popolo conta poco per gli Anarchici. Noi rigettiamo l'intero concetto stesso di governo e ci affidiamo in modo radicale alla capacita' di risoluzione dei problemi propria di ogni uomo libero.

Perche' la bandiera nera? Il nero e' il colore della negazione. La bandiera nera e' la negazione di tutte le bandiere. È la negazione dell'idea di nazione che mette la razza umana contro se stessa e nega l'unita' di tutta l'umanita'. Il colore nero e' il colore del sentimento di rabbia e indignazione nei confronti di tutti i crimini compiuti nel nome dell'appartenenza allo stato. È la rabbia e l'indignazione contro l'insulto all'intelligenza umana insito nelle pretese, ipocrisie e bassi sotterfugi dei governi…

Il nero e' anche il colore del lutto; la bandiera nera che cancella le nazioni e' anche simbolo di lutto per le loro vittime, i milioni assassinati nelle guerre, esterne ed interne, a maggior gloria e stabilita' di qualche maledetto stato. È a lutto per quei milioni il cui lavoro e' derubato (tassato) per pagare le stragi e l'oppressione di altri esseri umani. È a lutto non solo per la morte del corpo, ma anche per l'annullamento dello spirito sotto sistemi autoritari e gerarchici. È a lutto per i milioni di cellule grigie spente senza dar loro la possibilita' di illuminare il mondo. È il colore di una tristezza inconsolabile…

Ma il nero e' anche meraviglioso. È il colore della determinazione, della risoluzione, della forza, un colore che definisce e chiarifica tutti gli altri. Il colore nero e' il mistero che circonda la germinazione, la fertilita', il suolo fertile che nutre nuova vita che continuamente si evolve, rinnova, rinfresca, e si riproduce nel buio. Il seme nascosto nella terra, lo strano viaggio dello sperma, la crescita segreta dell'embrione nel grembo materno - il colore nero circonda e protegge tutte queste cose…

Cosi' il colore nero e' negazione, rabbia, indignazione, lutto, bellezza, speranza, e' il nutrimento e il riparo per nuove forme di vita e di relazioni sulla e con la terra. La bandiera nera significa tutte queste cose. Noi siamo orgogliosi di portarla, addolorati di doverlo fare, e speriamo nel giorno nel quale questo simbolo non sara' piu' necessario.

Emma Goldman

Un'Ora
Da un' idea di Giovanni Uggeri
Microconferenze, letture, autobiografie,
omaggi a, racconti, esperienze, ipotesi,
visioni
ORALITÀ, COMUNICAZIONE , CONDIVISIONE
Giovedì 6 Agosto 2015 ore 18:30
Libreria Ponchielli, piazza S. Antonio Maria Zaccaria, 10, Cremona
(e se piove? E se piove “è tempo di bagnarsi” come diceva Jack London)
“Derek Walcott”
“Il faro delle genti”
“Tesi sull'era atomica”
“Diversamente giovani”
“DEREK WALCOTT”
Derek Walcott (1930), poeta originarioio delle Indie Occidentali, è stato talmente influenzato dal patchwork linguistico tipico di quelle zone da scrivere nel poemetto La Goletta Flight a proposito di un personaggio:
ho dell'inglese del negro e dell'olandese in me
sono nessuno, o sono una nazione.
Incontro a cura di Giovanni Uggeri
“IL FARO DELLE GENTI”
Augusto Frassineti, nato a Faenza nel 1911, ha studiato a Parma e a Bologna, è vissuto a Roma dal 1945 dove è morto nel 1985. Piú che gli studi e gli incontri culturali fortunati, hanno influito sulla sua formazione di scrittore le prove e gli «spaventi» della vita: l'antifascismo clandestino, la guerra, la prigionia, poi l'immersione improvvisa nel mondo burocratico romano: un'esperienza decisiva da cui nasceva il suo primo libro, Misteri dei Ministeri .
In "Il faro delle genti", tratto dal libro "Tre bestemmie uguali e distinte" (1969), Augusto Frassineti prospetta per l'Italia la Soluzione Arcipelago, ovvero una progressiva erosione del suolo sotto l'effetto degli agenti naturali e soprattutto umani: è l'uomo infatti, e in particolare l'uomo ufficiale e incravattato, che forte di un potere rappresentativo pecca di negligenza e malizia, e prevarica su tutto e tutti. Il testo, pensato come un discorso, o un trattatello, raccoglie l'avversione totale di Frassineti per il potere tentacolare della burocrazia e le fastose retoriche italiote, restituendo al contempo un linguaggio e una struttura testuale che manda profumo di Rabelais, di cui Frassineti fu traduttore.
Incontro a cura di Jacopo Narros
“TESI SULL'ERA ATOMICA”

Günther Anders (1902 -1992), filosofo tedesco che nel 1954 ha fondato con Robert Jungk il movimento antinucleare. Nel 1959 ha pubblicato il suo diario filosofico della conferenza internazionale su Hiroshima e nel 1961 la sua corrispondenza con il pilota Claude Eatherly che guidò la spedizione per lo sganciamento della bomba su Hiroshima.

Il 6 agosto 1945 a Hiroshima fece la propria atroce comparsa un
dichiarato nemico dell'umanità: il nucleare.
A 70 anni da quel tragico evento, attraverso un compendio elaborato da
Andrea su uno scritto di Günther Anders - “Tesi sull'era atomica” - si
vuole scavare nella mostruosità di quello che comporta l'uso del
nucleare nelle nostre vite e la minaccia totalitaria che comporta.
Per chi ama la tensione verso una libertà tutta da creare è impossibile
lasciare in pace chi fa la guerra.
“DIVERSAMENTE GIOVANI”
Eleni Albarosa e Jacopo Narros leggeranno alcune pagine del libro “Diversamente giovani” di Adriana Aroldi. Questo libro parla delle cascine come luogo perduto del recente passato che rappresentano una disposizione dell'anima alla felicità: anche un lettore contemporaneo e cittadino, che mai ha vissuto in cascina, ha da imparare da questo libro di memorie attive. La vita in cascina viene rievocata nella sua quotidianità, anche spartana, come modalità di esistenza in cui il prendere è inseparabile dal dare (in fondo è vita comunitaria; alla natura). La cascina è oggetto di un recupero non tanto nostalgico e archeologico, quanto simbolico e metaforico che si può cercare e fiutare nelle nostre vite. Quel che conta è l'universalità insita nella cascina reale e storica e immaginaria, in cui si può desiderare ancora di vivere.