Vai al contenuto

A proposito di Kavarna

...la passione per la libertà è più forte d'ogni autorità...

E' notizia di poche ore fa che il Tribunale di Trento ha rigettato la richiesta di Sorveglianza Speciale per Massimo!

La solidarietà è un'arma, usiamola!

Riceviamo e diffondiamo:

Giovedì 10 settembre, si è svolta a Trento l'udienza sulla sorveglianza speciale contro Massimo. La sentenza ci sarà nei prossimi giorni o settimane. In attesa di un resoconto sul presidio-corteo di stamane, diffondiamo la dichiarazione che Massimo ha fatto in un'aula gremita di solidali.


Dichiarazione all'udienza per la sorveglianza speciale

I governi passano, ma gli articoli del codice penale restano.
Leggendo alcuni libri di storia sulle lotte rivoluzionarie in questo Paese mi sono imbattuto nell'applicazione dell'"ammonizione" - che coincideva di fatto con l'attuale sorveglianza speciale e che si accompagnava spesso con l'imposizione del domicilio coatto - fin dal 1877. A farne le spese nella primavera di quell'anno furono i membri delle sezioni italiane dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori di cui il governo aveva decretato lo scioglimento. A differenza di altri Paesi, l'Internazionale era nata in Italia su posizioni socialiste antiautoritarie e federaliste, in una parola anarchiche. La propaganda di Bakunin e, soprattutto, l'eco gigantesca che aveva avuto la Comune di Parigi, massacrata nel sangue dalla Repubblica di Thiers, avevano portato al pieno sviluppo le idee più radicali presenti nel Risorgimento italiano, quelle di Carlo Pisacane. E per ironia della sorte, ad applicare l'ammonizione contro gli anarchici nella primavera del 1877 era stato il ministro degli Interni Giovanni Nicotera, tra i pochi sopravvissuti alla spedizione pisacaniana di Sapri. Il 25 giugno del 1857 erano partiti in trenta da Genova e, liberati trecento prigionieri dalle carceri di Ponza, erano sbarcati nel Cilento il 28 giugno allo scopo di far insorgere le plebi del Mezzogiorno contro il governo borbonico e contro i proprietari terrieri. Quell'"accozzaglia di inceppati e di galerati" (così li definiva la stampa locale borbonica) fu in buona parte uccisa e i corpi degli insorti, fra cui quello di Pisacane, arsi in un rogo il 1° luglio.
Vent'anni dopo, un insorto diventato ministro degli Interni arrestava, ammoniva, mandava al domicilio coatto decine di anarchici colpevoli di voler ancora insorgere, ma questa volta contro la monarchia sabauda e i proprietari terrieri.

Nel richiedere la misura della sorveglianza speciale contro di me, i Pubblici Ministeri Amato e Ognibene, per conto della Questura, sostengono che il mio comportamento "offende e mette in pericolo la tranquillità pubblica". Anche questa formula è tutt'altro che recente. Si trova anticipata quasi alla lettera dall'art. 426 di un vecchio codice penale, articolo votato nel 1879 sempre contro l'Associazione Internazionale dei Lavoratori, definita "associazione di malfattori". Si può dire tuttavia che il codice Zanardelli e poi il codice Rocco erano decisamente più "onesti" nel colpire anarchici, socialisti e comunisti, non nascondendo la natura politica della repressione.
Il comma usato dalla democrazia, nell'anno 2015, dichiara invece di colpire con la sorveglianza speciale "coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica". Il legislatore monarchico e fascista tirava in ballo l'incitamento all'odio fra le classi sociali o il proponimento di sovvertire l'ordine costituito, e non affastellava nello stesso elenco i minori, la sanità e la tranquillità pubblica. Visto che, bontà loro, i PM non mi accusano di molestare minorenni, con l'uso tipicamente questurino della congiunzione "o" (che permette di inserire in un elenco tutto e il contrario di tutto) mi si vorrebbe sottoporre per due anni alla sorveglianza speciale e all'obbligo di soggiorno per aver messo in pericolo una alquanto generica "tranquillità pubblica". Si potrebbe facilmente dimostrare che la cosiddetta tranquillità pubblica - a meno che non si voglia restringere la "sfera pubblica" al dominio esclusivo di ricchi, industriali, politici, dirigenti e questori - è messa in pericolo più dalla paura di non riuscire a pagare l'affitto e dalle condizioni di lavoro ogni giorno più precarie che non dall'azione degli anarchici. Ma non si tratta certo di una svista del legislatore. Essendo volutamente fumoso il fine di queste misure, i criteri per la loro applicazione sono a dir poco discrezionali. Nella stessa richiesta di sorveglianza, infatti, si può leggere: "ai fini della legittima applicazione di una misura di prevenzione non sono richieste le prove necessarie per la condanna e neppure gli indizi "gravi" richiesti in materia ... , mentre sono sufficienti semplici indizi (...) in ordine al coinvolgimento del proposto nelle attività illecite che legittimano l'adozione dei provvedimenti di interesse". E infine una perla che avrebbe fatto inorgoglire i dottori dell'Inquisizione: "Anche dalla sentenza di assoluzione possono essere ricavati elementi indiziari certi utilizzabili ai fini della prevenzione". Alla Procura di Trento piace vincere facile. Prima mi fa arrestare all'interno di un'operazione definita "Zecche" (ah! che grottesco usare il latino "Ixodidae" per nascondere un linguaggio così smaccatamente mussoliniano...), poi, utilizzando quel castello di carte già crollato in tribunale, prova a mettermi in freezer per due anni senza bisogno di prove né di "indizi gravi". E infatti nei verbali della Digos usati nel fascicolo per la richiesta della sorveglianza speciale ritorna come se niente fosse il "GAIT (Gruppo Anarchico Insurrezionalista Trentino)", nome inventato dalla polizia politica per sostenere l'accusa di "associazione sovversiva con finalità di terrorismo" caduta nel corso del processo.
La Procura sarebbe stata più coerente se avesse fatto un passo ulteriore: chiedere la sorveglianza speciale come risarcimento per l'impiego di mezzi e uomini dispiegato nella fallita operazione "Zecche". Non è forse riuscita a scrivere, nella richiesta di sorveglianza speciale, che "l'occupazione insistita di immobili è condotta che attenta la sicurezza e la tranquillità pubblica, ove si consideri, a tacer d'altro, dell'impegno (uomini e mezzi) impiegato per lo sgombero"? Convengo che bloccare un intero isolato con più di cento agenti, distruggere il tetto di un immobile e caricare occupanti e solidali abbiano scosso, a tacer d'altro, la tranquillità pubblica molto più dell'occupazione di un edificio vuoto da quindici anni. Ma far pagare - penalmente e, come vorrebbe il questore, anche economicamente - agli sgomberati le operazioni di sgombero è logica squisitamente torquemadesca.

Giunto a conclusioni anarchiche verso i sedici anni, ho deciso di dedicare la mia vita a cambiare radicalmente questa società ingiusta e insensata. Ho tracciato la mia esistenza in tal senso e le numerose condanne elencate dalla Procura testimoniano che non ho mai cambiato idea. Che sono rimasto, proprio come diceva la polizia politica durante il fascismo per legittimare la misura dell'ammonizione o del confino, "insuscettibile di ravvedimento". E mi inorgoglisce il fatto di meritare, agli occhi di Questura e Procura, lo stesso provvedimento riservato dalla polizia sabauda e dall'Ovra a compagni ben più coraggiosi e combattivi di me.
Se cercare di mettere in pratica i princìpi dell'etica più alta che per me l'umanità abbia finora concepito - il sogno di un mondo senza servi né padroni, la fine di ogni privilegio economico e di ogni dominio politico attraverso la rivoluzione sociale - significa essere un "delinquente abituale" (in altra epoca si sarebbe detto "malfattore"), allora, sì, sono un delinquente abituale. I cosiddetti onesti cittadini che mai infrangono le leggi sono gli stessi che stavano a guardare quando in questo Paese si deportavano gli ebrei e si fucilavano i partigiani. Perché anche allora a resistere, a disertare, a insorgere fu una minoranza, per lunghi anni guardata con sospetto, denunciata, confinata in una dolorosa quanto fiera solitudine morale.
D'altronde che l'ammonizione fascista coincidesse in tutto e per tutto con la democratica sorveglianza speciale non l'ho imparato dai libri, ma ascoltando il mio amico e compagno Lionello Buffatto, comunista indomito, partigiano, antifascista della prima ora. Quando mi spiegava in cosa consistesse l'ammonizione che lo aveva colpito nel 1938, ho potuto notare che le restrizioni cui era stato sottoposto erano le stesse che il codice prevede anche oggi, con la sola eccezione che lui e gli altri ammoniti non potevano nemmeno, in quanto "cittadini indegni", camminare sul marciapiede. Lionello, morto a novantasei anni in una stanza della casa di riposo in cui al posto della televisione c'era una kefiah palestinese attorcigliata, era stato raggiunto dalla misura dell'ammonizione per aver partecipato alla famosa riunione cospirativa svoltasi al bosco della città di Rovereto. Temendo che l'ammonizione si trasformasse in confino o in carcere prese la via dell'esilio con la moglie Gina e il piccolo Uliano. Dopo essersi unito al maquis francese, rientrò nella città della Quercia nel maggio del 1945.
E poiché la Procura, nella richiesta di sorveglianza speciale nei miei confronti, insiste, oltre che sulla mia partecipazione alla lotta contro il TAV in Valsusa, anche sulle recenti occupazioni di case e stabili abbandonati a Trento, vorrei raccontare qualcos'altro di Lionello. Tornato a Rovereto, egli fu nominato "commissario politico agli alloggi". In quanto tale, decise di requisire una casa vuota in via Setaioli di proprietà dei Costa (arricchitisi ben bene durante il Ventennio) per alloggiarvi una famiglia di povera gente. L'allora comandante in capo delle truppe alleate a Rovereto, un certo colonnello Somer, convocò Lionello in commissariato per dirgli che quella casa doveva essere restituita ai legittimi proprietari, nel frattempo alleatisi con la nuova classe dirigente. Alla risposta di Lionello che non era tornato in Italia per accettare ordini fascisti, il colonnello Somer lo fece arrestare. Poiché le carceri di via Prati erano state bombardate nel gennaio del 1945, Buffatto fu rinchiuso in una segreta del palazzo di Piazza Podestà dove oggi c'è la caserma della Finanza. (Tra l'altro in quei luoghi aveva operato la famigerata "banda Carità", detta anche dei toscanini, feroci seviziatori e torturatori al soldo dei nazisti, assolti tutti negli anni Cinquanta per aver agito "in stato di costrizione"...). Lionello fu liberato qualche giorno dopo grazie allo sciopero scoppiato in solidarietà con lui alla Manifattura Tabacchi.

Vedete, signori giudici, la vita è una questione di occasioni e di prospettiva. Essendo nato e cresciuto in un'epoca piuttosto grama di slanci generosi e di coerenza, ho cercato i miei maestri fra i tanti morti e i pochi vivi che non hanno mai piegato la testa.
Quello che sono riuscito a fare in tutti questi anni non è stato gran che, ma ho imparato una cosa importante. Ho imparato che ogni volta che mi sono battuto per ciò che consideravo giusto ho assaporato la gioia di essere a fianco degli onesti "malfattori" del passato e del presente; mentre ogni volta che ho ceduto mi sono sentito infelice e solo.
Per questo vorrei dirvi, con meno retorica possibile, che non ho alcuna intenzione di cambiare condotta e che non esiste misura che possa tenermi lontano dai miei compagni e dalle lotte.

Trento, 10 settembre 2015
Massimo Passamani

 germoglio-asfalto-jenkins.jpg

È il Tribunale di Teramo il primo a rispondere positivamente all’appello lanciato negli ultimi mesi da diverse Questure italiane, isole comprese, sulla necessità di mettere sotto Sorveglianza speciale alcuni sovversivi, così da toglierseli una buona volta dalle scatole, e toglierli dalle strade.
Ad essere raggiunta in questi giorni dalla sentenza di applicazione della Sorveglianza speciale per diciotto mesi è stata Chiara, attualmente detenuta agli arresti domiciliari per l’attacco contro il cantiere del Tav di Chiomonte del maggio 2013.
Dopo l’udienza dello scorso 4 giugno in cui si è discusso della misura non si può certo dire che i giudici teramani abbiano avuto molta fretta nel certificare la pericolosità sociale di Chiara, e del resto nel suo caso non c’era proprio alcuna urgenza.
Essendo infatti Chiara agli arresti domiciliari, la Sorveglianza speciale rimane per ora chiusa in un cassetto e inizierà ad essere applicata solo quando terminerà la detenzione domiciliare.
Solo allora diventeranno quindi esecutive le prescrizioni che caratterizzano la “sua” Sorveglianza: obbligo di vivere onestamente; obbligo di restare in casa tra le 20 (o le 21 nei mesi di ora legale) e le 7 del mattino, e nelle restanti ore di comunicare all’Autorità locale di pubblica sicurezza ogni allontanamento dalla propria dimora; obbligo di presentarsi all’Autorità locale di pubblica sicurezza ogni qualvolta questa lo richieda, e di portare con sé una copia della Carta di permanenza in cui è attestato lo status di Sorvegliata speciale; divieto di frequentare persone che hanno subito condanne o sono sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza; divieto di partecipare a pubbliche riunioni e di detenere armi.
A questa misura è stato poi aggiunto l’obbligo di soggiorno nel comune di residenza che, oltre a vietare di uscire dai confini del proprio comune, aggrava notevolmente le sanzioni previste per eventuali violazioni delle prescrizioni sopra elencate, fino a prevedere l’arresto in flagranza e una successiva condanna da uno a cinque anni di carcere.
Una misura niente male, insomma.
E pensare che per convincere i giudici della bontà della richiesta della Questura teramana non è che ci sia voluto poi molto: il giorno dell’udienza la procuratrice non ha proferito parola, limitandosi ad associarsi alle motivazioni questurine. I giudici dal canto loro non si sono sforzati granché nell’argomentare la loro decisione evincendo la pericolosità sociale «dall’appartenenza a frange estreme organizzate ideologicamente orientate e dalla tenuta di plurime condotte riconducibili a quelle tipiche dell’area di provenienza». La ciliegina sulla torta, naturalmente messa su un piano di assoluto rilievo, è l’attacco contro il cantiere di Chiomonte. Le tante pagine imbrattate dagli scribacchini di Questura e tribunale ruotano tutte, sostanzialmente, attorno a questi tre elementi: Chiara e il suo essere anarchica, i comportamenti “disdicevoli” - anche quelli non penalmente rilevanti - da lei tenuti nel corso delle varie lotte cui ha partecipato negli anni e l’azione di sabotaggio per cui si trova attualmente ristretta. Nel mescolare in vario modo questi tre ingredienti condendoli un po’ con tutte le salse gli inquirenti non rinunciano però a qualche invettiva e valutazione psicologica, infilandosi sopra la divisa l’abito talare e quello dello psicanalista dipingono Chiara come un «elemento di pessima condotta morale» che manifesta una «naturale e innata attitudine a delinquere» e una «perdurante insensibilità agli stimoli esterni virtuosi». Altro pezzo degno di nota, infine, quello in cui i giudici spiegano perché sia necessaria anche l’imposizione del soggiorno coatto nel Comune di residenza: «consentire un più vigile e penetrante controllo» al fine di «inibire la proliferazione del c.d. fenomeno di esportazione criminale». Una definizione, legnosa e contorta come solo le frasi in giuridichese sanno essere, che ripropone la tradizionale visione del mondo delle autorità. Quella secondo cui le lotte, con tutta la loro necessaria carica di illegalità, siano opera di untori: rinchiudendo, isolando e confinando questi la pace sociale tornerà quindi a regnare. Vana illusione. I conflitti sociali infatti, per quanto non siano inseriti in alcuna tabella degli alimenti ecosostenibili, sono prodotti rigorosamente a “km 0″.

macerie @ Settembre 8, 2015

La notte tra il 14 e il 15 aprile 2014, in provincia di Parma va a fuoco il "Pietra Nera 53", un casolare di montagna usato come luogo di ritrovo dai militanti di Casa Pound e sede di un progetto paramilitare di esercitazioni con tanto di lanci col paracadute.

Casa Pound, come tutti ormai sanno, è il partito che si autodefinisce "fascista del terzo millennio". E' un'organizzazione che basa la sua azione politica su un'ideologia beceramente populista, omofoba e razzista. Gli appartenenti a Casa Pound si sono resi responsabili negli anni di omicidi e gravi aggressioni contro immigrati, rifugiati, rom e oppositori politici.

Ricordiamo, tra i tanti, il duplice omicidio di Gianluca Casseri, a Firenze, che nel dicembre 2011 uccise due senegalesi, e l'aggressione al C.s Dordoni  a Cremona in cui Emilio, che difendeva lo spazio, finì in coma.

I fascisti, con la legittimazione di media e istituzioni, cavalcano e fomentano campagne d'odio istigando alla guerra tra poveri. Ultimo esempio è la mobilitazione razzista in Val Trompia, ad opera di Forza Nuova e Casa Pound, contro l'accoglienza di 19 profughi sistemati in un albergo dismesso. In relazione all'incendio qualche settimana fa sono stati arrestati Andrea, Pippo e Tommy, i quali si trovano tutt'ora agli arresti domiciliari. Questo è l'ennesimo provvedimento della magistratura che colpisce gli antifascisti. Ricordiamo, solo a livello locale, le denunce per rissa a carico di compagni che difendevano il Circolo Minerva di Parma, gli arresti effettuati dopo il corteo antifascista di Cremona, gli arresti di Aro e Vivi che volevano impedire il presidio di Forza Nuova a Formigine (MO), il processo che vede inquisito un compagno di Parma per aver cercato di ostacolare un presidio del gruppo neofascista Patria Nostra e i fogli di via da Forlì notificati ai partecipanti di iniziative antifasciste.

Il neofascismo riprende forza e spazio nelle nostre città: al di là della prassi della retorica, siamo complici e solidali con le pratiche che combattono il fascismo in ogni sua forma e con qualunque mezzo.

L'antifascismo non si delega

Libertà per Andre, Pippo e Tommy!

Libertà per tutti/e gli/le antifascisti/e colpiti dalla repressione!         

Compagne e compagni degli arrestati

L’ecatombe continua nel Mediterraneo. Centinaia di persone muoiono cercando di attraversarlo, per sfuggire alla miseria, alle persecuzioni, spesso alla morte (e ci sarebbero stati 22000 morti in mare dal 2000, di cui un migliaio solo questa estate). Qui trovano la miseria, la persecuzione, a volte la morte, come quelli che, ammassati a migliaia a Calais, vengono picchiati dagli sbirri e a volte muoiono cercando di passare la frontiera (11 da giugno). A Parigi, luogo di transito per quelli che cercano di andare in Inghilterra o nell’Europa del Nord, punto di arrivo per molti di loro, che semplicemente non sanno dove andare, tutti i meccanismi dello Stato fanno il loro sporco lavoro, il loro lavoro normale, per dare la caccia agli immigrati clandestini, per sfruttare in maniera efficace e redditizia tutti i poveri (con o senza documenti), per mantenerci tutti ai nostri posti, laboriosi ed obbedienti.

Così il Comune di Parigi ha ordinato, alla fine della primavera, lo sgombero di un accampamento di fortuna dalle parti di La Chapelle [nel nord di Parigi; NdT] in cui si ammassavano centinaia di clandestini. Il Comune, di sinistra, ha giocato le sue carte democratiche. La prima è stata quella della carità: qualche camera d’albergo per qualche giorno (poi, evidentemente, ritorno alla casella strada), in modo da giustificarsi di fronte ad un’opinione pubblica cittadina che non aspetta altro che questo tipo di scuse. Emmaüs e France Terre d’Asile [due importanti associazioni umanitarie; NdT] hanno fatto la loro (redditizia) parte, prendendo in carico una parte di quelle persone. Ma la gestione della miseria è il loro settore d’affari e ciò non ha nulla a che vedere con la lotta per la fine della miseria. Poi, per quelli che sono rimasti per la strada ed hanno cercato una soluzione collettiva, per mezzo di diverse occupazioni di edifici, c’è tutto il circo dei partiti di sinistra: Partito Comunista, Verdi (che, tra l’altro, siedono in Consiglio comunale, quello che li ha cacciati) e NPA [micro partitino trotzkista; NdT]. Sono venuti a farsi della pubblicità a buon mercato e a fare il loro eterno lavoro di sinistra, cioè indorare la pillola, fare delle promesse, calmare la rabbia, propagare la rassegnazione.

Ciononostante, la carta più subdola che lo Stato (nelle sue diverse componenti) ha giocato in questo affare è stata quella della divisione e del recupero. Si tratta della carta dell’asilo politico. A quanto pare, un buon numero di quelli e quelle che sopravvivevano nella bidonville della Chapelle potrebbero avere diritto all’asilo politico, arrivando da paesi in guerra. Evidentemente questo “diritto” non è per nulla garantito e somiglia piuttosto ad un terno al lotto, pagato con la calma di quelli che lo richiedono. Ma questo specchietto per allodole serve soprattutto per separare i buoni rifugiati aventi diritto all’asilo dai cattivi clandestini che devono semplicemente essere rinchiusi nei CIE e caricati su un aereo.
È del tutto comprensibile che delle persone sottoposte al ricatto della sopravivenza quotidiana, di fronte alla minaccia di essere rispedite verso l’orrore che hanno lasciato, si aggrappino alla speranza dell’asilo. Ma non bisogna perdere la lucidità di comprendere che tutto ciò, anche se può essere une soluzione parziale per dei casi precisi, non fà altro che rafforzare la politica anti-immigratoria dello Stato. E sfortunatamente funziona. Già il fatto che le persone che sostengono i clandestini li chiamino “rifugiati” e chiedano i loro “diritti” è segno che tutto si gioca sul riconoscimento di questi famosi “diritti” da parte dello Stato. Diritti che saranno pagati con dei doveri e anche con l’esclusione di tutti quelli e quelle, l’immensa maggioranza, che non hanno quegli stessi “diritti”. Il potere elargisce delle briciole per calmare un po’ gli animi e distrarli mentre rinchiude ed espelle a tutto spiano.

Vedendo quello che è successo fra La Chapelle, il Jardin d’Eole, la rue Pajol [zone del nord di Parigi, dove i clandestini hanno cercato di occupare degli spazi per viverci; NdT] e adesso la scuola superiore della rue Jean-Quarré (occupata dai clandestini e dai loro sostenitori), vedendo le retate per le strade, tutti i giorni, la domanda che viene da farsi è : cosa possiamo fare, cosa posso fare, io, per impedire la caccia all’uomo? Numerose “persone normali” si sono sentite coinvolte in quello che succedeva, hanno portato un aiuto concreto con cibo, vestiti, attrezzature, altri hanno aiutato ad occupare degli spazi o a gestirli, etc. Tutto ciò è lodevole da un punto di vista umano, ma non è la soluzione al problema della caccia ai clandestini né al problema dello Stato (di cui il primo problema fà parte).

Lo Stato uccide, alle sue frontiere come al suo interno, per mano dei suoi poliziotti, nelle sue prigioni… Questa società fondata sull’autorità ed il denaro uccide sui posti di lavoro, nelle case e anche in maniera silenziosa ed inosservata attraverso la miseria, l’abbandono, l’atomizzazione. La sola vera soluzione è quella di affrontare la radice del problema, prendendosela con lo Stato ed ogni autorità, qui ed ora, rifiutando le false soluzioni che non fanno altro che rafforzare la sua presa sulle nostre vite.

Qualche anno fa, proprio qui a Parigi, l’opposizione alla reclusione e all’espulsione delle persone che non hanno i documenti giusti aveva preso la forma del sabotaggio delle imprese che rendono possibile l’esistenza di questa macchina per espellere gli indesiderabili. Costruttori di CIE, banche che infamano i clandestini, agenzie interinali che li sfruttano (che ci sfruttano tutti), ferrovie e compagnie aeree che organizzano le deportazioni, le associazioni umanitarie che cogestiscono i campi, tutti sono stati attaccati, hanno perduto un po’ del denaro per il quale partecipano al mercato delle espulsioni. Questo esempio resta valido ed attuale ed apre un campo fertile all’attacco di tutti gli aspetti di questo mondo morboso. Perché non cercare di attuarlo di nuovo?

Anche in questa rassegnazione generalizzata, quando mendicare dei diritti può sembrare una lotta, dei piccoli esempi scaldano il cuore. Ad inizio giugno, in rue Pajol, i clandestini ed i loro sostenitori organizzano un presidio; gli sbirri sono presenti in gran numero e li accerchiano. Dei giovani della zona, mossi da un sano odio contro la polizia, cominciano a tirare fuori le barre di ferro e ad attaccare le guardie. Sì, la rivolta è sempre possibile!

Come dice una delle scritte murali anti-stato che, nel quartiere della Place des Fêtes, hanno accolto l’apertura dello squat della rue Jean-Quarré, “Contro gli stati e le loro frontiere : rivoluzione!”.

[Tratto da Lucioles, bullettin anarchiste de Paris et sa région, n. 23, agosto 2015]