“Gli ispettori indagano su di noi,
i dottori studiano su di noi,
i preti pregano per noi,
i morti vivono con noi,
tu, o stai con noi o sei uno in meno tra noi.”
DSA Commando, Le brigate della morte
In questo periodo di presunta pandemia da CoronaDigos (con “presunta” non intendiamo sminuire il problema, intendiamo piuttosto palesare la nostra totale mancanza di fiducia verso le informazioni propinate dalle autorità, comprese quelle sanitarie), l’ambiente rave ha dato l’ennesima dimostrazione della propria dilagante superficialità e mediocrità a livello di idee e di pratiche. A qualcuno pare assurdo, ma è proprio così.
Eh già, perché dal “reclaim the streets” degli anni 90 allo “stay at home” odierno è un attimo…
Trovarsi davanti flyers di free party o rave in streaming (ma ce la facciamo?! Streaming free party?!?! Ma che roba è?!?!?!) ha dell’incredibile…e ancora più incredibile è doversi rendere conto di come la stragrande maggioranza delle persone che promuovono questa sottospecie di eventi, teoricamente illegali per natura, se ne stiano fottendo altamente degli strumenti e dei mezzi di comunicazione ai quali affidano questi surrogati esperienziali in stile Airbnb: si tratta di piattaforme organizzate gerarchicamente il cui unico scopo è il profitto tratto dalla vendita dei nostri dati e delle nostre coscienze; le stesse piattaforme utilizzate, se non addirittura create, dal sistema per inculcare e veicolare un pensiero unico dominante; le stesse piattaforme che le autorità utilizzano per controllare e reprimere ogni nostra azione.
Chi se ne frega se certe piattaforme guadagnano con la vendita dei nostri dati “personali”; chi se ne frega se sono le stesse che ci controllano e manipolano e che credevamo di combattere; chi se ne frega se il risultato pratico è arricchire le tasche di personaggi ultra-miliardari al soldo del miglior (sbirro) offerente (per citarne uno, Jeff Bezos, tra gli uomini più potenti e ricchi al mondo, nonché titolare di Amazon); chi se ne frega! Chi se ne frega se, mentre noi godiamo della sterilità di uno streaming su schermo, la fuori stanno facendo a pezzi la libertà di movimento e di assembramento e, di conseguenza, la vita di tutt* noi. Poco importa tutto questo, se serve a tutelare la comodità sul nostro divano di casa e la nostra pigrizia emotiva…ciò che realmente conta è mettersi in mostra, fare sentire e vedere la propria “arte” e, perché no, far vedere la propria faccia strizzando pure l’occhiolino ai vari followers da una web cam!
L’aspetto più inquietante di questo tentativo di recupero e “normalizzazione” della festa risiede però nel simbolico e nel prepolitico: è impossibile non notare il completo ribaltamento dei valori di cui il rave è espressione. Il dj/producer che nella festa scompare, immerso nella folla danzante, o addirittura nascosto dietro le casse, ora diventa il protagonista, il punto focale dell’esperienza. Tutti con gli occhi fissi su chi suona e che si mostra alla ricerca di quella notorietà fondamento del business dell’intrattenimento. Non più folla estatica che suda, si sfiora, condivide la corporeità e la materialità dell’estasi e del rito, ma individui atomizzati , isolati, che condividono la celebrazione della società del consumo. Non più riscoperta e rivendicazione di un’espressione indifferente alla legge, impazzita e distopica, ma accettazione e diffusione degli strumenti di controllo e assoggettazione che il capitale ci mette a disposizione e che ci invita ad usare per normalizzarci e diventare placidi e prevedibili ingranaggi della produzione e del consumo.
L’illegalità, lo smarrimento dell’io e la condivisione di un momento al di fuori dalle regole di un sistema marcio erano parte fondamentale e fondante di un’esperienza mistico-musicale inclusiva di cui lo streaming è solo uno scimmiottamento, simulacro per banalizzare e distruggere la TAZ: un tempo ridevamo pensando a quelli che partecipavano ai silent party…beh, ora c’è da piangere!
Ma non finisce qui…
Cosa possiamo pensare di eventi in streaming che raccolgono fondi per associazioni o realtà che collaborano apertamente con le stesse istituzioni responsabili e complici dei nostri sgomberi e del continuo controllo a cui siamo sottoposti? Le stesse istituzioni che ci arrestano, che ci processano e che perseguitano l’intera vita di chi si ribella a questo mondo retto da sfruttamento e alienazione.
Per quanto ci riguarda, proviamo un’istintiva vergogna e un’irrefrenabile disgusto a pensare di far parte di un ambiente nel quale ci sono gruppi che si adoperano per creare “eventi” benefit per lo Stato (perché fare donazioni a un ospedale significa fare donazioni allo Stato, se non fosse chiaro) e per associazioni che collaborano apertamente con le istituzioni quali Comuni e organi di Polizia.
Siamo di fronte a uno, se non al più grande esperimento sociale della storia, in cui i poteri che gestiscono nazioni e istituzioni sovranazionali stanno testando il livello di sudditanza degli individui. Non possiamo accettare di vivere un simulacro di socialità rispetto ai contatti personali e sociali che vorremmo avere vagabondando liberi e ostili contro questo mondo.
Stanno cercando di abituarci a vivere una realtà virtuale e distopica, sfruttando un’emergenza sanitaria che hanno contribuito a creare e diffondere.
Stanno uccidendo la musica dal vivo, l’arte di strada, il cinema e il teatro, la vita di piazza e qualsiasi alternativa umana a una vita arida e digitale.
Non vogliamo vivere la nostra vita in streaming, non vogliamo vivere la nostra vita davanti a un monitor, vogliamo viverla sulle strade, negli squat, negli spazi liberati, nei boschi, nei capannoni abbandonati e ovunque ci pare e piace! E se ciò non fosse realizzabile, preferiamo marcire in un isolamento totale (e magari contemplativo degli errori nostri e di chi ci circonda), o, perché no, nel sottosuolo, piuttosto che sperimentare queste forme di socialità smart mediate da certi soggetti, spacciandole per giunta come una presunta alternativa a ciò che abbiamo sempre fatto…ma alternativa de che? Alternativa a cosa? A quale mondo? A quale sistema?
Meglio ammutinati con i propri corpi che naufraghi per carità.
Dov’è finita la “nostra” controcultura? Dov’è finito il movimento underground che ha dato vita a luoghi dismessi e abbandonati??
…noi ci crediamo ancora…non ci siamo ancora stancati di crederci.
Il futuro è già arrivato, è la nostra ultima occasione, se rinunciamo non sappiamo se ne avremo altre.
Pillola blu, fine della storia: domani ci sveglieremo nella nostra stanza e crederemo allo streaming che vogliamo.
Pillola rossa: restiamo nel paese delle meraviglie, montiamo il sound e vediamo quanto è profonda la tana del Bianconiglio…
“Se vuoi un’immagine del futuro, immagina uno stivale che calpesta un volto umano in eterno.”
George Orwell
Maggio 2020
La Bolla – SabotaZ Crew – & friends…