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"[…]ne resta che guardando intorno a sè, ogni individuo scoprirà che il suo punto di vista è il solo di cui può avere coscienza diretta, fatto di frammenti visivi inscindibili dall’intenzione del proprio sguardo. Non frammenti isolati, perchè ognuno rimanda ad altri, in un gioco di innumerevoli costellazioni. Componimenti di cui non vi sono linee tracciate ma distanze percorribili solo ruotando il capo. Eccola l’unica opera compositiva a noi cara, instabile e uniforme unità data dalla nostra esperienza visiva e dal nostro divagare nel paesaggio dei sogni.La mutabile unità della persona, delle sue intuizioni e prospettive come lettura di sé e del mondo. Mandata in frantumi la realtà, non resta che cogliere i frammenti di vita autentica, inconciliabili con la trascendente cristallizzazione positiva della verità oggettiva. Frammenti di storie, frammenti di pensieri, frammenti di fantasia, frammenti di sogni, frammenti del linguaggio stesso, o più genericamente: frammenti di sé”.

Questo era un estratto dall’Editoriale del nuovo numero della rivista “Caligine”, da ora disponibile!
Per chi volesse ordinarne delle copie, o inviarci delle idee, spunti, articoli, poesie, stralci di scritti o ancora disegni e/o grafiche può scrivere a:

Caligine, Sobborgo Valzania 27, 47521, Cesena (FC)
o alla mail: caligine@riseup.net

prezzo di copertina 4euro (Tutto il ricavato della rivista, una volta recuperate le spese di stampa, è benefit prigionierx e inguaiatx con la legge)

Indice:
– Editoriale
– Solo unx saggix impazzirebbe
– Balletto in distopia
– Buon Nato Urban Operation
– L’idolo della razionalità
– 2+2=7
– Il buio oltre la luce
– Mito-Mania
– Risposta di Alfredo all’articolo “Alcuni spunti di riflessione a
partire dall’intervista ad Alfredo Cospito”
– Intaccando l’arroganza del privilegio
– Il silenzio rumoreggia nella dissonanza

Un giovane artigiano, abile ciabattino, proletario orgoglioso di sé, s’innamora di una prostituta. I poliziotti della buoncostume lo accusano di esserne il protettore. Sanno di mentire, ma vogliono dare una lezione a quella testa che non si abbassa al loro cospetto. A nulla varranno in tribunale le dichiarazioni della ragazza, del giovane artigiano, di chi lo conosce, nemmeno il suo datore di lavoro sarà creduto. Come sempre accade, per il giudice fa fede la parola dei poliziotti. E condanna il ciabattino. La Società decreta pubblicamente che Jean-Jacques Liabeuf è un volgare magnaccia. Il suo cuore esplode di rabbia per questa umiliazione. Allorché esce di prigione, un solo pensiero prende possesso della sua mente. Non si rivolge all’opinione pubblica, non fa scioperi della fame, non invia lettere di protesta alle autorità competenti, non fa presidi davanti ai tribunali, non si suicida per la vergogna. Ma pianifica la sua terribile vendetta. Si costruisce dei bracciali e dei paraspalle appositi, irti di punte d’acciaio per tenere a bada la stretta degli sbirri (che all’epoca giravano disarmati, contando solo sulla forza dei loro muscoli), si procura un’arma e va a caccia di coloro che hanno calpestato la sua dignità. Non trovandoli, se la prenderà coi loro colleghi. Ovvero con chi ha sicuramente mortificato qualcun altro o, nel migliore dei casi, è quotidianamente complice di simili nefandezze. Sono stati gli sbirri ad averlo immerso nel fango insudiciando il suo amore, sono gli sbirri che lui vuole annegare nel sangue. Ed è quello che farà. Così Liabeuf prova «l’inebriante gioia della vendetta soddisfatta».

136 pagine // A5 // 6 euro (4 per le distribuzione)

Tratto da: Imprimerie anarchiste l'Impatience (noblogs.org)

Ripercorrendo ciò che è successo a Genova, ci chiediamo: è possibile la memoria senza che essa divenga simbolo e la lotta liturgia? E la solidarietà, come decidiamo di esprimerla? Quali sono le molteplici forme possibili per contribuire ad una lotta e per sabotarne le dinamiche interne di potere, recupero e autorità?

Dalle commemorazioni per il ventennale dell’uccisione di Carlo Giuliani, magari organizzate dagli stessi che sputarono sul suo cadavere ancora caldo, alle presentazioni militanti dei libri di Wu Ming in Val Susa dimenticandosi del loro infame passato, che prospettive possono offrire queste miserie a quegli individui che non vogliono mettersi a capo di nulla, non hanno bandiere da difendere e non hanno fretta di insabbiare il passato?

La critica del recupero, della ricerca populista del consenso e della visibilità a tutti i costi, sono concetti che esistono solo nei libri anarchici o sono idee che possono essere utilizzate nella realtà e che possono essere di ispirazione per le nostre scelte esistenziali ed organizzative, senza paura di restare soli o fuori dal gregge?

Queste domande ci hanno spinto verso questo tentativo di riscoperta del passato: stiamo preparando una discussione per il 2 giugno e stiamo raccogliendo dei testi sul G8 e su ciò che accadde prima e dopo le tre giornate genovesi. Riscoperta che non vuol essere lavoro da storici ma affondo nelle pieghe del presente.

Fiera dell’editoria anarchica – Pensiero e azione – Lecce

Tre giorni di diffusione e propaganda delle idee anarchiche. Tre giorni di libri, incontri, presentazioni e discussioni per parlare della storia e dell’attualità del pensiero e dell’azione anarchica, del legame indissolubile che le unisce e della loro capacità di incidere nel mondo nella prospettiva di cambiarlo.

Venerdì 4 giugno

Ore 18.30: Apertura della fiera e degli stand di stampa anarchica

Ore 20: Musica dal vivo con Past&Fasul, tra swing, gipsy, folk e jazz

Sabato 5 giugno

Ore 11: Controllo dei corpi e obbligo vaccinale: una questione non rinviabile

A cura di alcune compagne e discussione.

Ore 13.30: Pranzo

Ore 15.30: Uno sguardo su guerra e frontiere attraverso l’individuazione di alcuni responsabili.

Discussione a partire da: Nemici di ogni frontiera. La lotta contro il Cpt nel Salento, ed. Anarchismo, 2019, a cura di Alcuni nemici di ogni frontiera.

Leonardo-Finmeccanica e il militarismo nel tarantino. Una breve ricognizione a cura di alcuni compagni della Masseria Foresta

Ore 17.30: La critica radicale alla società tecno-industriale nel pensiero di Ted J. Kaczynski.

A cura di alcune compagne e discussione

Ore 20: Cena

Ore 21: Musica dal vivo con Pippop, rap hardcore

Domenica 6 giugno

Ore 11: Fuoco! Sangue! Veleno! Patto con la morte. Anarchici a Marsiglia alla fine del XIX secolo, Ed. Indesiderabili, 2020

Presentazione del libro a cura degli editori e discussione

Ore 13.30: Pranzo

Ore 16: Scienza, tecnica e tecnologia invadono sempre più ogni aspetto dell’esistente, tendendo alla realizzazione di un Dominio totale. Che cosa può suggerire tale consapevolezza?

Discussione a più voci con un curatore di Contro lo scientismo. di Pierre Thuillier, S-edizioni, 2020 e alcune redattrici di Chrysaora, rivista anarchica, Chrysaora edizioni.

Ore 20: Cena

Via Silvio Pellico Lecce, traversa di via Taranto

disordine@riseup.net

disordine.noblogs.org

Sono benvenute le distribuzioni di stampa anarchica e di critica radicale.

A chi viene da lontano, chiediamo di avvisarci con qualche giorno di anticipo per poterci organizzare.

«La libertà può essere soltanto la libertà totale; un pezzetto di libertà non è la libertà»

Max Stirner, L'unico e la sua proprietà

Sembra che questo vaccino abbia cancellato con un colpo di spugna tutte le lotte portate avanti contro gli ogm, le biotecnologie, le nocività e il mondo che le produce. Abbiamo dimenticato che, come Cassandre, avevamo previsto che il cavallo di troia per fare accettare queste nuove tecniche sarebbe stata la salute: quale occasione migliore di questa pandemia che ha accelerato tale processo?

E oggi fatichiamo a prendere una posizione di critica verso quegli anarchici che scelgono di vaccinarsi, o peggio ancora sollecitano la vaccinazione, per paura di essere impertinenti in un ambiente ormai impregnato dal politicamente corretto… “Amare riflessioni. D’altro canto, se non si sollevano problemi spiacevoli, se non si sconvolge la pace di una lettura prima di addormentarsi, che senso può avere scrivere queste righe?” …parafrasando Bonanno.

Se la critica non è feroce, tagliente, e serve non a porsi domande ma a crogiolarsi nelle proprie sicurezze fatte di slogan e argomenti sempre uguali, che senso ha dibattere?

Allora non è più confronto, discussione ma sterile accondiscendenza per riconfermare la nostra identità chiusa in quel “noi” che si contrappone a quel “loro”. Restano solo opinioni che sono cosa diversa dalle idee. Queste ultime nascono dalla costante messa in discussione di noi stessi, aprono domande buie a cui si fatica a trovare risposte, talvolta richiedendo uno sforzo doloroso.

Ma, ben considerando, se il suo anarchismo è solo quest’insegna polverosa e ridicola, in un terreno di certezze monotone e scontate, restano quelli per i quali il proprio anarchismo è scelta di vita e non una concezione da contrapporsi in un tragico e irrisolvibile ossimoro ai mille problemi di apparenza che la società codifica e impone.

Un momento prima ad urlare che le scelte personali sono politiche e quello dopo a rimarcare che libertà di scelta è un fatto individuale… quanta ipocrisia per nascondere la propria pochezza di pensiero per chi considera il proprio anarchismo l’acquietante palestra delle proprie e delle altrui opinioni su come immaginarsi un mondo che non c’è – né mai ci sarà (A. M. Bonanno, Distruggiamo le carceri).

Parole forti, mi si dirà, ma il tempo che viviamo richiede prese di posizione forti perché se la democrazia è libertà di scelta, come recita lo slogan “Senza libertà di scelta non c’è democrazia”, dovremmo riflettere bene… altrimenti sarebbe più sensato andare a votare.

Non mi si chieda di non giudicare, con quel fare bigotto, le azioni altrui se hanno un impatto anche sulla mia vita perché io non ho fatto nessun voto clericale. E con le lotte contro gli ogm ci siamo dimenticati che, come ogni altra nefandezza di questo mondo, noi prima di tutto dovremmo essere contro la società che li produce. Quindi non siamo, solo a chiacchiere, contro gli ogm e le biotecnologie ma anche con i fatti. Fatti e preparazione di fatti (A. M. Bonanno, Distruggiamo le carceri).

La tecnica è la coscienza di un’epoca in cui gli individui sono stati reificati, trasformati in oggetti.

La tecnologia è prima di tutto un rapporto sociale, una costruzione dialogica di un “immaginario”, un modo di vedere le cose, di pensarle ancora prima di concretizzarle, che trasformando la percezione della realtà si sostituisce alla realtà stessa.

Stiamo vivendo un momento storico ben preciso, i rapporti di potere si stanno ristrutturando accelerati dalla pandemia e non riusciamo a cogliere il risvolto collettivo di ciò che la vaccinazione comporta in termini di apripista ad un mondo dominato dall’ideale scientista nato con il capitalismo. La Tecnica si sta rendendo sufficientemente indispensabile per imporre a ciascuno di arrendersi alle proprie condizioni.

Lì dove c’è ideologia si sviluppa un immaginario in cui viene ridefinito il concetto di libertà che diventa libertà di scelta e sposta l’accento da un piano collettivo ad uno non più individuale ma intimista.

Di fronte ai limiti della materia gli umani si lasciano affascinare dal discorso tecnologico nello stesso modo in cui si fanno trasportare dalla fede religiosa: le minacce e le promesse producono paura e speranza.

Non c’è necessariamente coincidenza tra libertà e molteplicità di scelta. In realtà esistono solo ordini di scelta e zone di scelta. La zona di scelta è perfettamente delimitata dal sistema tecnico: ogni scelta avviene all’interno del sistema, nulla lo oltrepassa. Si può dire che le scelte all’interno delle società tecnica vengano fatte altrove rispetto alla realtà di colui che sceglie. Le scelte possibili sono quindi delimitate dal sistema. Le nostre scelte non sono mai reali, si basano solo su ciò che la tecnica ci mette a disposizione.

L’abilità della tecnologia permette di ridurre le reali capacità di comprensione dello sfruttato.

Egli non riesce a vedere la sua co-responsabilità in una vaccinazione di gregge – come dicono gli esperti – che inocula materiale geneticamente modificato o bioingegnerizzato da cui non si potrà più tornare indietro al netto delle conseguenze. Non vede, come invece successe ai luddisti, la miseria a cui la tecnica lo condanna. Non vede che il mondo da domani sarà completamente diverso, che la dittatura tecnica astratta e benefattrice sarà molto più totalitaria della precedente. Non vede che la sua stessa vita è un susseguirsi di ricatti e dopo questo ne seguiranno altri sempre più invasivi.

Non vede perché accecato dalla paura. Di perdere il lavoro, di morire.

Ed è sulla paura che ogni dittatura democratica si fonda e cresce in potenza.

Abbattere il dominio significa fare i conti con le proprie interne paure, guardarle in faccia e superarle per non farsi appunto dominare. Forse questo è il compito più difficile di un anarchico: avere il coraggio di affrontare le paure (il carcere è la forma più alta di ricatto misto a paura che un individuo si trova a dover fronteggiare, credo) perché questo mondo è uno spavento senza fine. Allora forse solo in quel momento sarà libero, libero di apprestarsi ad infliggere un colpo distruttivo perché non avrà più paura. Quindi non potrà più essere dominato.

Allineati di paura ringraziamo

la paura che ci salva dalla follia.

Decisione e coraggio è merce rara

e la vita senza vita è più sicura.

Avventurieri ormai senza avventura

combattiamo, allineati di paura,

ironici fantasmi, alla ricerca

di ciò che fummo, di ciò che non saremo.

Allineati di paura, con voce fioca,

col cuore fra i denti, siamo

i fantasmi di noi stessi.

Gregge che la paura insegue,

viviamo così vicini e così soli

che della vita abbiamo perso il senso.

(Alexandre O’Neill, 1962)

La mia bohéme

Me ne andavo, i pugni nelle tasche sfondate;
E anche il mio cappotto diventava ideale;
Andavo sotto il cielo, Musa! ed ero il tuo fedele servitore;
Oh! quanti amori splendidi ho sognato!

I miei unici pantaloni avevano un largo squarcio.
Pollicino sognante, nella mia corsa sgranavo
Rime. La mia locanda era sull’Orsa Maggiore.

– Nel cielo le mie stelle dolcemente frusciavano

Le ascoltavo, seduto sul ciglio delle strade
In quelle belle sere di settembre in cui sentivo gocce
Di rugiada sulla fronte, come un vino di vigore;

Dove, rimando in mezzo a fantastiche ombre,
Tiravo, come fossero delle lire, le stringhe
Delle mie scarpe ferite, un piede vicino al cuore!

Ma Bohéme

Je m’en allais, les poings dans me poches crevées;

Mon paletot aussi devenait idéal;

J’allais sous le ciel, Muse! Et j’étais ton féal;

Oh! là! Là! Que d’amours splendides j’ai rêvées!

Mon unique culotte avait un large trou.

Petit-Poucet rêveur, j’égrenais dans ma course

Des rimes. Mon auberge était à la Grande-Ourse.

– Mes étoiles au ciel avaient un doux frou-frou.

Et je les écoutais, assis au bord des routes,

Ces bons soirs de septembre où je sentais des gouttes

De rosée à mon front, comme un vin de vigueur;

Où, rimant au milieu des ombres fantastiques,

Comme des lyres, je tirais les élastiques

De mes souliers blessés, un pied près de mon coeur!

Arthur Rimbaud