PRIMO MAGGIO D’ ATTACCO PER L’ AUTOLIBERAZIONE DAL CARCERE DI BRUGOLI – AUGUSTA.

Obbiettivo: Evadere

Esito: Evasione non conclusa (che non è un fallimento!)

Causa: Il fortissimo vento bastardo!

Progetto: Riscattarmi allargando lo sguardo sovversivo della vendetta e lanciare una campagna di atti per l’autoliberazione.

Braccato in ogni spiraglio di movimento, con tutte le conseguenze maniacali di controllo che questo implica nel vissuto quotidiano carcerario che mi mette in cella 21 ore al giorno, per agire ho aspettato l’ultima perquisizione del 30 maggio, burlandomi dei carcerieri anche durante le battiture che fecero durante la giornata. Le ore d’aria che trascorro si fondono tra l’elaborazione teorica e pratica che mi ha portato a raggiungere un perfetto piano di fuga giacchè viene individuato un limite del controllo nella sua sofisticata complessità del meccanismo di controllo, delle falle, che si posso rintracciare in qualsiasi galera e che ne rivelano le sue intime debolezze.

Nonostante la soggezione che vorrebbero imporre sull’infallibilità che si costruiscono dal totalitarismo e perfezione del sistema carcerario, in realtà vi sono sempre degli spazi. Uno spazio del carcere che ho occupato e liberato dal momento in cui è iniziata l’azione.

Era una giornata di vento molto forte e la scelta del primo maggio derivò da un concreto calcolo tattico, in cui ci fu una consistente mancanza di personale, tanto da utilizzare la guardia addetta al monitoraggio diretto delle telecamere dei passeggi per aprire e chiudere quest’ultimi.

Che poi abbia combaciato con questa giornata di lotta, che si rinvigorisca allora la quotidianità delle azioni dirette anarchiche, che purtroppo è a livelli molto bassi… eludendo dunque il controllo visivo della guardia dal passeggio mi arrampico sul tetto come una scimmia pronto a tutto e corro come un fulmine per tutto l’edificio, arrivando nel punto in cui sono saltato giù da un’altezza di 4 metri, dirigendomi sotto la finestra della cella dove stavo io , per recuperare i 7 bastoni nastrati, legati e incollati di lungo, alla cui sommità vi era legato un gancio di ferro (che si trova all’interno di tutte le celle di tutte le galere, basta un’osservazione attenta) e alla base di quest’ultimo vi era collocata saldamente la lunga “corda” intrecciata. Il tutto era stato lanciato la notte dalla finestra della cella facendo un buco nella dura e snervante griglia di ferro.

Prendo quindi la mia lancia di libertà e inizio ad arrampicarmi velocemente sulla ringhiera interna per portarmi davanti al muro di cinta. Sapevo che le telecamere della perimetrale registravano senza visione diretta, come pure sapevo che il sistema antievasione, cioè la rete antiscavalcamento coi relativi sensori d’allarme non fossero in funzione. Inizio subito con gli occhi scintillanti a sollevare i 7 bastoni funzionali ad appoggiare il gancio nel muro di cinta o direttamente nella trave della rete, ma un’ infame raffica di vento fortissima mi trancia in due la mia lunga asse, avvertendo un colpo al cuore per la merdosa sfiga, venendo giù tutto il materiale meticolosamente preparato. Non perdendomi mai d’animo mi adopero nel riassemblare la parte danneggiata con delle cordicelle che mi sono portato dietro e slegando e strappando il punto di giuntura in prossimità del danno, facendomi perdere minuti preziosi.

Terminato il lavoro rialzo immediatamente il mio lungo bastone armato e mentre stavo sul punto di agganciare, delle raffiche di vento più forti di prima mi sballottano da una parte all’altra per cercare di sostenere l’equilibrio spaccando di lungo un’ intero bastone e spezzandone un altro! Porci maledetti! Non posso credere a tutta questa sfiga! Non dandomi per vinto, riprendo il lavoro di aggiustamento, eliminando il bastone inutilizzabile e il pezzo spaccato con cordicelle e materiale delle giunture. Sono già passati dieci minuti e tra altri dieci si accorgeranno della mia assenza. Quando per la terza volta, sbavando di rabbia, rialzo l’artefatto artigianale contro l’opprimente muro di cinta, come avevo già previsto, con la perdita di quasi due metri di bastone, quelli rimasti non furono sufficienti per poter agganciare e anche cercare di lanciarlo è stata impresa inutile. Cazzo!

Non può finire così e allora corro nella parte interna del carcere in direzione dello scarico-carico merci e mi porto dietro un bidone grande della spazzatura, lo colloco ai piedi dell’infame muro e ci salgo sopra insieme a quello che ne resta della mia unica arma di fuga che tiro su, ma ancora non arriva, però manca poco.

Riesco,alla fine ad agganciare con ripetuti lanci. Finalmente!

Ma intanto sono passati circa venti minuti e quando mi arrampico nella corda per raggiungere la cima, dall’altra parte del muro c’era una sentinella pronta a spararmi mentre gli altri mi circondavano da sopra il muro e da sotto.

Questa operazione era stata calcolata nel portarla a termine in 45 secondi dove già mi vedevo correre nei boschi circostanti!

Per niente sconfitto, ma in collera con tutta questa mala sorte mi conducono in cella liscia e dopo 11 giorni mi viene di nuovo applicato per 6 mesi il 14bis.

La liberazione passa anche dalla libertà dei corpi da dentro le gabbie che ci rinchiudono e nessun isolamento totale può castrare la passione di sentirmi più vivo, più libero, per un presente d’attacco che meriti di esser vissuto per un’anarchia da realizzare ora.

Oltre all’appropriazione del tempo del tempo per evadere, colpendo l’ordine costituito, senza riuscire nel mio intento per cause non dipendenti dalla mia volontà, l’azione voleva anche essere un mio contributo alla campagna di atti di auto liberazione lanciata da me, per gli impazienti, i nemici dell’autorità, per chi vuole mettersi in discussione senza freni di automatismo.

Sociopatico, per lanciarsi nella cospirazione.

Ricordiamoci che le scelte che facciamo oggi dettano il presente e quello che avverrà poi.

Ovviamente mai domo, anche perché non si è conclusa la vicenda, saluto tutti i refrattari che hanno deciso ora di agire.

Un abbraccio per l’anarchia ai compagni imprigionati e a quelli non sottomessi.

Davide Delogu.